Tailandia: gli operai devono lottare per i propri interessi

Printer-friendly version
Nel momento in cui stiamo scrivendo[1] le strade di Bangkok in Tailandia hanno l’aspetto di una guerra civile. Migliaia di manifestanti, organizzati nel movimento delle ‘camicie rosse’, hanno installato un accampamento con barricate e sono adesso assediati dall’esercito, che ha dichiarato il coprifuoco in alcune zone della città con lo scopo di intimidire i manifestanti ed impedire l’arrivo di qualsiasi rinforzo. Nella sola giornata del 14 maggio le truppe governative hanno ucciso minimo 16 persone. Hanno sostenuto di agire per legittima difesa, ma le camice rosse sono armate principalmente di bastoni e pietre. Inoltre le truppe stanno chiaramente usando i tiratori scelti contro obiettivi specifici: un generale dissidente, che si era unito alle camice rosse e dava loro dei consigli sulla sicurezza, è stato colpito alla testa da una pallottola sparata a grande distanza ed ha poche possibilità di sopravvivere.

 

La maggior parte delle camicie rosse è composta da thailandesi poveri ed espropriati. Molti di essi provengono dalle zone agricole del nord e del nord-ovest del paese, ma sembra che ricevano il sostegno dei poveri della città. Secondo un articolo della rivista Time, citato sul sito World Socialist (“Dieci morti nell’assedio ai manifestanti dei militari thailandesi”, 15/5/10), durante gli scontri “i soldati sono stati sotto l’attacco di centinaia di abitanti dei bassifondi del porto Klong Toey, che si sono riversati nelle strade per dar fuoco a dei razzi e lanciare colpi di fionda contro le truppe … Quando la folla di Klong Toey ha continuato ad avanzare, i soldati hanno aperto il fuoco con pallottole di gomma. Centinaia di persone prese dal panico sono tornate indietro, rifugiandosi nelle stradine adiacenti. Almeno tre persone sono state ferite”.

Non c’è dubbio riguardo al coraggio dei manifestanti, né sul fatto che ciò che li ha spinti nelle strade è stato l’impoverimento che si è riversato su di loro non solo con l’attuale crisi mondiale, ma anche a causa dell’impatto del crollo delle “Tigri” e dei “Dragoni” dell’Estremo Oriente nel 1997 e ancora di decenni di sottosviluppo precedenti. Ma il movimento delle Camicie Rosse non è un movimento di sfruttati ed oppressi che lottano per i loro propri interessi. Piuttosto è un esempio del profondo malcontento popolare incanalato in una falsa direzione: la lotta per sostituire l’attuale cricca di militari e milionari che governano in Thailandia con un’altra fazione borghese. La principale richiesta delle Camice Rosse è di indire nuove elezioni più giuste e il ristabilimento dell’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, che ha guadagnato molta popolarità fra i poveri della  campagna dopo la sua ascesa al potere nel 2001 offrendo ai coltivatori crediti e sovvenzioni facili e mantenendo alti i prezzi del raccolto; ci sono state anche delle “riforme” rivolte alle masse urbane per facilitare l’accesso alle cure sanitarie.

Questi cambiamenti hanno generato una reazione violenta da parte di settori benestanti della classe dirigente e settori della classe media (che a volte sfilano con il “Movimento delle Camicie Gialle”) ed in particolare dei militari che hanno spodestato Thaksin nel 2006. Ma la principale obiezione che questi facevano a Thaksin non era tanto il suo “sostegno” ai contadini o ai proletari quanto il fatto che stava cominciando a dirigere la Thailandia come se fosse una sua proprietà personale. Thaksin era un “nuovo ricco”, il miliardario dei media ed il suo modello di governo rompeva i tradizionali settori di influenza e di privilegio che uniscono la burocrazia e l’esercito.

Ci sono state dichiarazioni da parte di elementi del movimento delle Camicie Rosse che invitavano a “sbarazzarsi dell’elite” e appelli ai soldati per unirsi a loro. Tutto ciò indica che un domani potrebbe emergere in Thailandia un movimento con vere rivendicazioni di classe. Ma la campagna delle Camicie Rosse – il cui nome ufficiale è “Fronte nazionale unificato per la democrazia contro la dittatura” – è un ostacolo allo sviluppo di un tale movimento perché è orientato verso l’instaurazione di una democrazia borghese “pulita” in Thailandia. Un tale obiettivo ha smesso da molto tempo di avere la benché minima utilità per la classe operaia in tutti i paesi del mondo. Come abbiamo scritto nelle conclusioni di un nostro recente articolo[2], il movimento delle Camicie Rosse è fondamentalmente un movimento di poveri delle città e delle campagne, mobilitati dietro la nuova borghesia che si oppone alle “vecchie” fazioni militari e monarchiche. Non è un movimento della classe operaia, né controllato da essa. L’unica azione operaia di questo periodo, uno sciopero di 8.000 operai nella fabbrica di macchine fotografiche della Nikon, è apparso in modo completamente indipendente dal movimento delle Camicie Rosse. E qui si trova il punto centrale della nostra argomentazione. Queste sedicenti “rivoluzioni”, come il recente “Movimento verde” in Iran, non sono dei movimenti della classe operaia. È vero che ci sono molti operai implicati, e nel caso del Kirghizistan la maggioranza dei partecipanti erano probabilmente operai, ma essi partecipano a queste azioni come individui e non come operai. Il movimento della classe operaia è un movimento che può basarsi solo sulla lotta di classe dei lavoratori per i loro propri interessi, non è né un movimento “interclassista” né un movimento populista. Solo all’interno di un movimento di massa la classe operaia può sviluppare i suoi propri organi, delle riunioni di massa, dei comitati di sciopero e infine i consigli operai, che possono assicurare il controllo della classe operaia sul movimento e permettere lo sviluppo di una lotta per gli interessi di classe dei lavoratori. Al di fuori di questa prospettiva, gli operai non possono che essere utilizzati come carne da cannone per le differenti fazioni politiche. In Grecia, forse, possiamo vedere l’inizio di un lungo sviluppo verso questo processo. Nel Kirghizistan e in Thailandia non vediamo altro che operai uccisi nelle strade per conto di quelli che vogliono essere i nuovi padroni.

Amos



[1] Il riferimento è dell’articolo originale pubblicato sulla pagina inglese il 18 maggio scorso.

[2] “Kyrgyzstan and Thailand: Are revolutions going on?”,

https://en.internationalism.org/wr/334/thailand-kyrgyzstan

Geografiche: