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In Europa, la violenza della crisi economica e delle politiche di austerità producono un ulteriore aumento della povertà della popolazione. Secondo l’organismo ufficiale europeo di statistica, Eurostat, il 16,4% della popolazione dell’Unione europea (80 milioni di persone) vive oramai sotto la soglia di povertà nel 2010[1], i più colpiti essendo giovani con meno di 25 anni[2].
La gioventù dell’Europa è duramente colpita...
Secondo l'istituto di ricerche economiche e sociali (IRES), “nell’Unione europea, l’occupazione giovanile è calata più di quella totale e dell’attività economica tra il 2007 ed il 2010. (…) Dopo quattro anni, la crisi si è anche tradotta in un aumento di lavori temporanei e a tempo parziale, un aumento della disoccupazione e della disoccupazione di lungo periodo, un incremento della proporzione di giovani senza impiego e fuori da ogni forma di educazione culturale e di formazione (i “NEET”)[3], e più generalmente attraverso un importante degrado della situazione economica e sociale dei giovani”[4]. A tutto questo si aggiunge, in certi paesi come il Regno Unito, il peso enorme dell’indebitamento privato degli studenti necessario al finanziamento della loro formazione e le difficoltà di rimborso conseguenti alla mancanza di impiego stabile alla fine dei loro studi. Ciò ha per conseguenza che, “confrontati alla degradazione del mercato del lavoro, una parte dei giovani l’ha lasciato o non vi è entrato affatto, cedendo spesso allo scoraggiamento, rifugiandosi nel sistema educativo prolungando i loro studi, o restando inattivi”. Risultato, i giovani lasciano il loro paese sperando di trovare lontano un impiego per potere vivere: “Le cifre provvisorie sono incerte, ma parecchie fonti confermano una forte emigrazione di giovani, in particolare di diplomati. (…) In Italia, (…) si stima che ci sono 60.000 giovani emigranti ogni anno di cui il 70% sono laureati”[5].
Tra tutti i paesi dell'UE, solo la gioventù tedesca è per ora relativamente risparmiata dall’impoverimento.
… in Italia …
La situazione di degrado è tale che lo Stato si vede costretto a truccare le carte per nascondere il disastro. “Non è vero che siamo meno poveri, come gli ultimi dati ufficiali sulla povertà (luglio 2010) farebbero pensare. Secondo l’Istat lo scorso anno l’incidenza della povertà relativa (cioè la percentuale di famiglie con un reddito al di sotto di una cosiddetta linea di povertà relativa, ndr) è stata pari al 10,8% (era 11,3% nel 2008), mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Secondo l’Istat si tratta di dati “stabili” rispetto al 2008. In realtà, si tratta di un’illusione «ottica»: succede che, visto che tutti stanno peggio, la linea della povertà relativa si è abbassata, passando da 999,67 euro del 2008 a 983,01 euro del 2009 per un nucleo di due persone. Se però aggiornassimo la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi tra il 2008 e il 2009, il valore di riferimento non calerebbe, ma al contrario salirebbe a 1.007,67 euro. Con questa operazione di ricalcolo, alzando la linea di povertà relativa di soli 25 euro mensili, circa 223 mila famiglie ridiventano povere relative: sono circa 560 mila persone da sommare a quelle già considerate dall’Istat (cioè 7 milioni e 810 mila poveri) con un risultato ben più amaro rispetto ai dati ufficiali: sarebbero 8 milioni e 370 mila i poveri nel 2009 (+3,7%).[6]”
“Accanto ai poveri ufficiali, ci sono le persone impoverite che, pur non essendo povere, vivono in una situazione di forte fragilità economica. Sono persone che, soprattutto in questo periodo di crisi, hanno dovuto modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di una serie di beni e di servizi, precedentemente ritenuti necessari. Il fenomeno è confermato anche da alcuni dati: nel 2009 il credito al consumo è sceso dell’11%, i prestiti personali hanno registrato un -13% e la cessione del quinto a settembre 2009 ha raggiunto il +8%. Facendo una media di questi indicatori, si può calcolare un 10% in più di poveri, da sommare agli oltre 8 milioni stimati.
La povertà familiare è un fenomeno consolidato, che non accenna a diminuire. Diversamente da altri paesi, in Italia più alto è il numero di figli, maggiore è il rischio di povertà: se in famiglia c’è un solo figlio minore l’incidenza della povertà relativa sale dal 10,8%, che è il dato medio, al 12,1%, mentre se ci sono tre o più figli l’incidenza è del 26,1%. La società italiana si nega così la possibilità di futuro: il numero medio di figli minori per famiglia era trent’anni fa di 0,75, passato nei primi anni novanta a 0,6 e ulteriormente sceso a 0,5 nel 2000 per arrivare all’attuale 0,43.
L’assistenza alle persone non autosufficienti è un altro problema incalzante che grava sulle famiglie, che non vogliono separarsi dai propri cari o non possono permettersi le rette delle case di riposo o le assistenti familiari.[7]”
… in Francia...
Sul problema della povertà giovanile, la Francia si colloca ad un livello intermedi rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea. Concretamente, “su quattro giovani sul mercato del lavoro, uno è disoccupato, un secondo ha un impiego precario e gli ultimi due occupano un impiego normale. E per ottenerli, per la maggior parte, hanno dovuto accettare degli stage o impieghi temporanei. Anche con un diploma o laurea, l’inserimento nel campo del lavoro dei giovani è difficile. (…) Così, il 29% dei giovani non riesce ad avere un alloggio confortevole o a riscaldarsi ed il 17% non riesce a pagare le sue fatture ritrovandosi a decine di migliaia in una situazione di superindebitamento. Prima dei 25 anni, i giovani non sempre hanno diritto ad un reddito minimo, salvo condizioni draconiane”[8]. E la situazione è ancora peggiore per i giovani delle “zone urbane sensibili” dove il tasso di disoccupazione ufficiale raggiunge il 43%!
… come in Spagna
Ma l’Irlanda, la Spagna e la Grecia sono attualmente i paesi dove le condizioni di vita dei giovani si sono più fortemente degradate tra il 2007 ed il 2011: “Un notevole calo dell’impiego giovanile, troppo poco attenuato da un aumento dell’inattività, provocando un aumento del lavoro precario, un’esplosione del lavoro part-time e della disoccupazione, in particolare della disoccupazione di lunga durata, esplosione della proporzione di giovani poveri o in pericolo di esclusione, una forte emigrazione”[9].
La situazione in Spagna è un’illustrazione concreta del reale significato di tale degrado; in questo paese, “700.000 giovani dai 15 ai 29 anni erano già disoccupati a metà 2007, cioè un tasso del 14%, il più basso dei trenta anni precedenti. In poco più di tre anni, si è ritornati ai livelli più elevati conosciuti: il numero dei giovani disoccupati ha raggiunto nel 2° trimestre 2011 circa 1,6 milioni, con un tasso di disoccupazione del 32%. Il numero dei giovani disoccupati di lunga durata si è moltiplicato per sei nel periodo 2007-2011. Oggi, il 42% dei giovani disoccupati lo sono di lunga durata, mentre nel 2007 erano solo il 15%”[10], e il degrado della situazione nel primo trimestre 2012 ha anche portato il tasso di disoccupazione ufficiale dei minori di 25 anni al di sopra del 52%![11] Perciò, “si assiste ad una inversione di tendenza da parte dei giovani che lasciano il domicilio dei loro genitori: il tasso di giovani che lo fanno si è ridotto di circa il 5% per la fascia di età 18-34 anni, scendendo al 45,6%. Questo calo è ancora più accentuato per gli ultra 29venni, per i quali questo tasso cala del 10%”[12].
Quale è la risposta del governo spagnolo di fronte a questa miseria crescente? Ancora più austerità! Così, in seguito alle misure prese il 20 aprile dal governo conservatore, gli studenti vedranno presto salire alle stesse le loro tasse di iscrizione universitaria, passando in media da 1000 a 1500 €[13].
Pensioni di miseria e morte prematura aspettano la vecchiaia
Queste ultime misure del governo spagnolo colpiscono anche i pensionati che fino ad oggi avevano un accesso gratuito ai medicinali ma che oramai dovranno pagare in funzione dei loro redditi, fino a 18 € al mese per procurarseli[14].
In effetti, anche se, a livello di tutta l’UE, gli anziani sono meno colpiti dei giovani dall’impoverimento, la loro situazione si deteriora drammaticamente nei paesi che hanno già adottato dei severi piani di austerità.
Così, in Portogallo, “secondo la Direzione generale della salute portoghese (DGS), a febbraio scorso sono morte circa 11.600 persone, ossia il 10% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La maggior parte delle vittime avevano più di 75 anni”[15]. Numerosi medici denunciano le misure di austerità e le loro conseguenze sulle magre pensioni: denutrizione legata al rialzo del prezzo dell’alimentazione, ipotermia legata al rialzo del prezzo dell’elettricità ed ai tentativi di ridurre le fatture del riscaldamento, alloggi insalubri, incapacità di pagare i trasporti, le spese ospedaliere ed i medicinali. Alcuni anziani così riassumono la situazione: “Possiamo acquistare o il cibo o i medicinali, ma non tutte e due le cose insieme”[16].
Detto in altri termini, la borghesia portoghese ormai lascia crepare di fame, di freddo e di malattie gli anziani più miserabili, improduttivi da un punto di vista capitalista, impossibili da sfruttare. E con l’aggravarsi della crisi economica e l’austerità crescente che ne risulta, non c’è alcun dubbio che questa pandemia di miseria e di morte che comincia a colpire gli anziani del Portogallo si propagherà presto in tutta Europa.
Tuttavia, le cifre sopra menzionate sono in parte ingannevoli. Da un lato, certe cifre, come quelle relative alla disoccupazione, sono sistematicamente falsificate, attraverso complesse manovre statistiche, dagli organi statali incaricati di produrle. Dall’altro, questi stessi organi statali riuniscono nello stesso paniere statistico “i giovani” o “gli anziani” come se si trattasse di categorie popolari non divise in classi sociali. Da tutto questo risulta che all’interno delle classi oppresse, che rappresentano l’immensa maggioranza della popolazione, la situazione sociale è ancora peggiore rispetto a quello che ci lasciano intravedere queste cifre!
Il proletariato non troverà vie d’uscita che nella lotta!
Ma, come diceva Marx, stiamo attenti a non vedere “nella miseria solo la miseria, senza vedere il lato rivoluzionario, sovversivo che rovescerà la vecchia società”[17].
La classe operaia, in particolare la sua gioventù, non ha intenzione di subire senza combattere. È ciò che hanno mostrato i movimenti sociali che hanno percorso il pianeta nel 2011, nel corso dei quali i giovani proletari, ancora studenti, già al lavoro o disoccupati, sono stati tra gli elementi più combattivi[18].
Perché tra gli operai, giovani o anziani, si sviluppa progressivamente la coscienza che la possibilità di una vita migliore può realizzarsi soltanto attraverso la lotta.
DM (29 aprile)
[1] La soglia di povertà è fissata al 60% del reddito medio nazionale. In Francia per esempio, questa soglia corrisponde ad un reddito mensile di 876 euro per una persona sola, secondo le stime di Eurostat.
[3] NEET, “Not in Education, Employment or Training”, sono coloro che non sono “né studenti, né impiegati, né corsisti”.
[4] Dossier di stampa, n° speciale 133 della Cronaca internazionale dell’Ires (Chronique internationale de l’Ires) “I giovani nella crisi Principali risultati”, www.ires-fr.org/images/pdf/IresDossierConferencePresseLesJeunesdanslaCri...
[5] Idem.
[7] Idem.
[9] “I giovani nella crisi”, op. cit.
[10] Idem.
[12] “I giovani nella crisi”, op. cit.
[14] Idem.
[16] Idem.
[18] Su queste lotte, vedi in particolare fr.internationalism.org/ri431/2011_de_l_indignation_a_l_espoir.html.