Fukushima, un anno dopo (II): Il peggio deve ancora venire

Printer-friendly version

Pubblichiamo la traduzione della seconda parte dell’articolo di Welt Revolution, organo di stampa della CCI in Germania, in cui viene tracciato, ad un anno dalla catastrofe nucleare di Fukushima, un primo bilancio. Nella prima parte di questo articolo, i nostri compagni sottolineavano la gravità dell’avvenimento e le incurie della classe dominante che al disastro in atto ha saputo opporre soltanto le sue menzogne e le sue manipolazioni. Ora, si vuole mostrare che il peggio, per il pianeta e l’umanità, deve ancora venire.

È solo un’illusione pensare che i detentori del potere, i responsabili, siano interessati ad andare alla radice del problema del nucleare nel mondo. Al contrario, sotto il peso della concorrenza e dell’aggravamento della crisi, la tendenza è al drastico abbassamento degli investimenti nella manutenzione, la sicurezza e il personale qualificato.

Oggi è noto che molte delle 442 centrali nucleari sfruttate sul pianeta sono state costruite in zone a rischio sismico. Nello stesso Giappone sono state costruite più di 50 centrali in tali zone. In Russia, parecchie centrali nucleari non dispongono neanche di un meccanismo automatico di messa fuori-tensione, in caso di incidentale nucleare. Visto il loro stato generale, probabilmente Tchernobyl non è stata un’eccezione. Pertanto una tale catastrofe può riprodursi in qualsiasi momento. La Cina, che dal punto di vista di rischio sismico rappresenta una delle zone più attive nel mondo, si è impegnata nella costruzione di 27 nuove centrali nucleari.

Il periodo di funzionamento delle vecchie centrali nucleari destinate alla chiusura è stato prolungato. Negli Stati Uniti la loro durata di sfruttamento è stata prolungata a 60 anni, in Russia a 45 anni.

Sebbene i meccanismi di controllo sull’industria nucleare da parte degli Stati, a scala nazionale si siano rivelati insufficienti, questi ultimi si sono opposti alle norme di sicurezza ritenendole troppo restrittive o troppo interventiste da parte delle organizzazioni internazionali di sorveglianza. Hanno affermato che “La sovranità nazionale prevale sulla sicurezza”.

In Germania il governo ha deciso di abbandonare l’energia nucleare dall’estate 2011 e fino al 2022. Poi, poco dopo l’esplosione di Fukushima, come misura immediata ha chiuso alcune centrali nucleari. Possiamo pensare che il capitale tedesco abbia agito in un modo più responsabile? Non del tutto! In realtà, solamente alcuni mesi prima di Fukushima, lo stesso governo aveva prolungato la durata di funzionamento di parecchie centrali nucleari. Oggi ha deciso di abbandonare l’energia nucleare, ma ciò corrisponde, da una parte, ad una tattica politica, in effetti, spera di migliorare le sue probabilità di essere rieletto, e dall’altra certamente ad un calcolo economico, legato al fatto che l’industria tedesca è molto competitiva nella produzione di energie alternative, essendo padrona in questo campo. Adesso l’industria tedesca spera di ottenere mercati molto redditizi. Tuttavia, la questione dello smaltimento delle scorie nucleari resta sempre irrisolta.

Per riassumere: malgrado Fukushima, l’umanità si trova sempre di fronte a queste bombe ad orologeria nucleari che, o per terremoti o per altri punti deboli, in parecchi posti possono scatenare nuove catastrofi.

Il profitto a detrimento della società e della natura

Spesso sentiamo dire dai difensori dell’energia nucleare che l’elettricità nucleare prodotta è meno cara, più pulita e che non c’è altra alternativa. E’ un fatto che la costruzione di una centrale ha costi giganteschi che, grazie all’aiuto di sovvenzioni da parte dello Stato, sono presi in carico dalle compagnie elettriche. Ma la maggiore parte dei costi di eliminazione delle scorie nucleari non è presa in carico dalle società di sfruttamento. Inoltre, i costi di demolizione di una centrale nucleare sono enormi. In Gran Bretagna si è calcolato che il costo di smantellamento delle centrali nucleari esistenti nel paese raggiunge i 100 miliardi di euro, ossia circa 3 miliardi di euro per centrale nucleare.

E in caso di incidente nucleare tocca allo Stato intervenire. A Fukushima i costi di demolizione e di controllo, la cui entità è ancora sconosciuta, sono stimati a circa 250 miliardi di euro. Tepco non ha potuto mettere assieme una tale somma. Lo Stato giapponese ha quindi “promesso il suo aiuto”, a condizione che gli impiegati facessero dei sacrifici: riduzione delle pensioni e dei salari e la soppressione di migliaia impieghi! Nel bilancio giapponese sono previsti anche carichi fiscali speciali. Avendo tirato le lezioni dagli incidenti precedenti, le imprese che operano in Francia hanno limitato in caso di incidente la loro responsabilità a 700 milioni di euro, con la benedizione, lautamente retribuita, dei politicanti locali e nazionali, e ciò non è niente in paragone al costo economico di una catastrofe nucleare.

Da un punto di vista economico ed ecologico, il costo reale del funzionamento delle centrali e la questione non risolta delle scorie nucleari è un pozzo senza fondo. Ad ogni modo, la potenza nucleare è un progetto irrazionale. Le società di energia nucleare ricevono massicce quantità di denaro per la produzione di energia, ma fanno ricadere i costi di gestione sull’insieme della società. Le centrali nucleari incarnano l’insormontabile contraddizione capitalista tra la ricerca del profitto e la protezione a lungo termine dell’uomo e della natura.

Ad essere minacciata e’ l’umanità tutta intera

L’energia nucleare non costituisce il solo pericolo per l’ambiente naturale. Il capitalismo pratica un impoverimento permanente della natura. Saccheggia continuamente tutte le risorse, senza preoccuparsi minimamente del futuro per l’umanità e dell’armonia con la natura, tratta quest’ultima come una gigantesca discarica.

Oggi interi lembi della terra sono diventati inabitabili e vaste zone del mare sono inquinate irreversibilmente. Questo sistema decadente è lanciato in una dinamica irrazionale, dove sono sempre più sviluppati nuovi mezzi tecnologici ma il cui sfruttamento diventa sempre più costoso e distruttivo delle risorse naturali. Quando nel 2010, sulle rive della principale potenza industriale, gli Stati Uniti, esplose la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, l’inchiesta sull’incidente svelò importanti carenze riguardanti le regole di sicurezza.

La pressione derivante dalla concorrenza costringe i rivali, quando questi devono investire grosse somme di denaro nella costruzione e nella gestione di siti di produzione, ad economizzare e quindi a risparmiare anche sulle norme di sicurezza. L’esempio più recente è l’inquinamento da idrocarburi a largo delle coste atlantiche del Brasile. Tutte queste negligenze non si verificano solo nei paesi tecnologicamente arretrati, ma anche in quelli più evoluti dove paradossalmente assumono proporzioni ancora più grandi proprio perché i mezzi di quest’ultimi sono infinitamente più potenti.

L’energia nucleare è stata sviluppata durante la Seconda Guerra mondiale, come strumento di guerra. In questo sistema decadente il bombardamento nucleare di due città giapponesi ha inaugurato un nuovo livello di distruzione. La corsa agli armamenti durante la Guerra Fredda, col suo dispiegamento sistematico dell’arma nucleare, ha spinto la capacità militare di distruzione al punto in cui l’umanità potrebbe essere annientata da un momento all’altro. Oggi, a più di venti anni dal 1989 e dal crollo del blocco dell’Est, che avrebbe dovuto permettere la nascita di una nuova era di “pace”, restano ancora circa 20.000 testate nucleari la cui potenzialità potrebbe annientare l’umanità e per più volte.

Non solo sulla questione dell’energia nucleare, ma anche sulla protezione dell’ambiente naturale, la classe dirigente è sempre più irresponsabile, come l’ha dimostrato il plateale  insuccesso del recente vertice di Durban. Oggi la distruzione dell’ambiente naturale ha raggiunto un livello superiore e la classe dirigente è totalmente incapace di cambiare rotta e prendere misure appropriate. Il pianeta e l’umanità vengono sacrificati sull’altare del profitto.

È iniziata una corsa contro il tempo. O il capitalismo distrugge tutto il pianeta, o gli sfruttati e gli oppressi, con la classe operaia in testa, riescono a rovesciare il sistema. Poiché il capitalismo costituisce una minaccia per l’umanità a differenti livelli (crisi, guerra, ambiente), non bisogna accontentarsi di lottare solamente contro un aspetto della realtà capitalista, per esempio, contro l’energia nucleare. C’è un legame indefettibile tra queste differenti minacce e le loro radici nel sistema capitalista. Durante gli anni 1980 e 1990 ci sono stati molti movimenti che hanno poggiato la loro lotta su un solo aspetto (come la lotta contro l’energia nucleare, contro la militarizzazione, contro la penuria di alloggi, ecc.), il che ha dato come risultato la frammentazione delle lotte. Oggi più che mai, è necessario mostrare il fallimento del sistema come insieme. È vero che le connessioni tra i differenti aspetti non sono facili da comprendere, ma se non consideriamo il legame tra la crisi, la guerra e le distruzioni ecologiche, la nostra lotta si ritroverà in un vicolo cieco, credendo a torto di poter trovare delle soluzioni nel sistema, dove le cose potrebbero essere riformate mantenendo lo stesso modo di produzione. Se seguissimo questa via, la nostra lotta sarebbe destinata a fallire.

Di (gennaio 2012)

Geografiche: 

Questioni teoriche: