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1. Dalle menzogne alla realtà
Va ricordato che, alla fine del 2007 e all’inizio del 2008, il fallimento della banca americana Lehman Brothers aveva condotto l’economia sull’orlo del baratro. L’intero sistema finanziario, come un castello di carte, rischiava di crollare. Allora gli Stati hanno assunto a loro carico una parte del debito bancario, che rappresenta spesso dei valori incalcolabili, spingendo a loro volta questi sulla strada del fallimento. Su questa strada, le stesse banche centrali non hanno tardato a ritrovarsi in una situazione pericolosa. E per tutto questo tempo, la borghesia si è cinicamente fatto gioco del mondo intero. Abbiamo dovuto ascoltare discorsi uno più mistificatorio dell’altro. Certamente gli stessi borghesi sono in parte vittime dei loro discorsi. Gli sfruttatori non possono mai avere una piena lucidità di fronte al crollo del loro sistema. Tuttavia, mentire, ingannare per nascondere i fatti, è una necessità degli sfruttatori per mantenere gli sfruttati sotto il loro controllo.
Hanno cominciato col dire che tutto ciò non era grave, che la situazione era completamente sotto controllo. Era già difficile essere più ridicoli. Eppure, in questo campo, il meglio doveva ancora arrivare. All’inizio del 2008, dopo la caduta delle borse del 20% circa e il calo della crescita mondiale, ci avevano promesso, con la faccia seria, una rapida uscita dalla crisi. Questa era infatti presentata come passeggera e puntuale; ma i fatti sono più testardi delle parole. La situazione, infischiandosene decisamente di tutti questi imbonitori, ha continuato a peggiorare. Questi signori sono poi passati a degli argomenti bassamente nazionalisti, falsi e perfidi quanto ignobili. Per cominciare, è stata data la colpa ai poveri americani che avevano comprato a credito senza riflettere delle case senza avere i mezzi per rimborsare i loro crediti, parliamo dei famosi subprime. Naturalmente, questa spiegazione non poteva essere più valida quando la crisi ha colpito la zona euro, quando è diventato evidente che lo Stato greco non poteva evitare il fallimento. L’ignominia è allora cresciuta: gli sfruttati di questi paesi sono stati tutti trattati semplicemente come sfaticati e profittatori; la crisi in Grecia era specifica per questo paese, come lo era stato per l’Islanda e come lo sarà, pochi mesi dopo, per l’Irlanda. Per radio e televisione i vari leader trasmettevano le loro piccole frasi assassine. Secondo loro, la gente spendeva troppo; a sentire loro, gli sfruttati vivevano al di sopra delle loro possibilità, come dei pascià! Ma di fronte alla collera legittima che si sviluppava in questo paese, i discorsi menzogneri sono ancora una volta mutati. In Italia, l’indescrivibile Berlusconi, Presidente del Consiglio, viene indicato come il solo responsabile di una politica economica totalmente … irresponsabile. Ma come è possibile che abbia fatto lo stesso il serissimo premier spagnolo Zapatero?
Ora la borghesia indica col dito accusatore una parte di se stessa. La colpa della crisi si sposta in parte sul mondo della finanza, popolata da squali avidi di guadagni sempre maggiori. Negli Stati Uniti, nel dicembre 2008, B. Madoff, ex capo di Nasdaq e uno dei consulenti di investimento più conosciuti e rispettati a New York, si è trasformato dalla sera alla mattina nel peggiore truffatore del mondo. Ugualmente le agenzie di rating continuano a servire come capri espiatori. Alla fine del 2007, le si accusava di incompetenza per aver trascurato nelle loro valutazioni il peso dei debiti sovrani degli Stati. Oggi, esse sono accusate al contrario di puntare eccessivamente il dito su questi stessi debiti sovrani nella zona euro (per Moody) e negli Stati Uniti (per Standard & Poors).
Essendo divenuta infine visibilmente e apertamente mondiale, bisognava trovare una bugia più credibile, più realistica. Così, da qualche mese, sentiamo circolare con sempre maggiore insistenza che la crisi è dovuta a un indebitamento generalizzato, insopportabile, organizzato dalla finanza a beneficio dei grandi speculatori. Con l'estate del 2011 e la nuova esplosione della crisi finanziaria, questi discorsi hanno invaso i nostri televisori.
Anche se tutti questi esempi mostrano che la borghesia ha una difficoltà crescente a far passare delle menzogne credibili, possiamo essere certi che continuerà a servircene; a prova di ciò, tutto il clamore sviluppato dai partiti di sinistra, dai gauchisti e da molti economisti, secondo cui è la finanza - e non il capitalismo in quanto tale - che sarebbe responsabile dell’attuale escalation della crisi. Certo, l’economia crolla sotto i debiti che non può più né rimborsare né sopportare. Viene quindi minato il valore della valuta, il prezzo delle merci viene spinto verso l’alto e si apre la porta ad un processo di fallimento per gli individui, le banche, le assicurazioni e gli Stati. Cosa che rischia di implicare ad un certo punto la paralisi delle banche centrali. Ma questo indebitamento non era motivato fondamentalmente dall’avidità insaziabile del mondo della finanza e di altri speculatori, e ancor meno dal consumo degli sfruttati. Al contrario, questo indebitamento generalizzato era necessario, vitale per la sopravvivenza del sistema da più di mezzo secolo per evitare la sovrapproduzione sempre più massiccia. Il progressivo sviluppo della speculazione finanziaria non è dunque la causa della crisi, ma la conseguenza degli strumenti che gli Stati hanno adottato per cercare di farvi fronte da cinquant’anni a questa parte. Senza questa politica di credito facile e di indebitamento crescente fino a diventare incontrollabile, il capitalismo non avrebbe potuto vendere merci in quantità sempre crescenti. Di fatto, é l’accentuazione di questo indebitamento che ha permesso per tutto questo tempo di sostenere la sua crescita. Il fatto che lo sviluppo mostruoso della finanza speculativa sia diventata progressivamente un cancro per il capitalismo è in realtà solo il prodotto della crescente difficoltà del capitalismo di investire e di vendere con profitto. L’esaurimento storico di questa capacità, a fine 2007/inizio 2008, ha spalancato le porte alla depressione[1].
2. Nei giorni di depressione e di fallimento
Gli avvenimenti che si svolgono in questo mese di agosto ne sono la chiara manifestazione. Il presidente della Banca Centrale Europea, J.C. Trichet, ha dichiarato a tale proposito che “la crisi attuale è tanto grave quanto quella del 1930”. Come prova, a partire dall’apertura della fase attuale della crisi alla fine dell’anno 2007, la sopravvivenza dell’economia mondiale si racchiude in poche parole: creazione accelerata e titanica di denaro da parte delle banche centrali e in primo luogo dagli Stati Uniti. Quello che è stato chiamato “Quantitative Easing” n°1 e n°2[2] non sono che le fasi visibili di un iceberg di una creazione massiccia di moneta. In realtà, la FED ha letteralmente inondato l’economia, le banche e lo Stato americano di nuovi dollari e, di conseguenza, ha fatto lo stesso per l’intera economia mondiale. Il risultato è stato la sopravvivenza del sistema bancario e una crescita mondiale mantenuta per fleboclisi. La depressione iniziata quattro anni fa è stata attenuata. Quello a cui assistiamo in questa estate 2011 è il suo gran ritorno sulla scena mondiale. Una delle cose che spaventa di più la borghesia è l’attuale forte rallentamento dell’attività. La crescita alla fine del 2009 e nel 2010 è crollata. Negli Stati Uniti il PIL del terzo trimestre del 2010 aveva raggiunto 14730 miliardi di dollari in valore. Esso aveva rimontato in totale del 3,5% rispetto al punto più basso della metà del 2009. Tuttavia, era rimasto inferiore dello 0,8% rispetto al suo livello di prima del 2007. Attualmente, negli Stati Uniti, mentre era stato previsto per il primo trimestre 2011un tasso di crescita su scala annua dell’1,5%, la cifra reale è caduta a solo lo 0,4%. Per il secondo semestre la crescita, stimata all’1,3%, sarà effettivamente molto vicina a 0. E’ lo stesso fenomeno a cui assistiamo in Gran Bretagna e nella zona euro. L’economia mondiale si orienta verso dei tassi di crescita in ribasso, e anche in alcuni grandi paesi, come gli Stati Uniti, si prende il cammino verso dei tassi di crescita negativi. Eppure, in questo contesto di recessione, l’inflazione è in aumento. Essa è ufficialmente del 2,985% negli USA, ma del 10% secondo il metodo di calcolo dell’ex direttore della Federal Reserve Paul Volcker. Per la Cina, che esprime il tono di tutti i paesi emergenti, essa arriva ogni anno ad oltre il 9%.
Nel mese di agosto 2011, il panico generale dei mercati finanziari riflette, tra l’altro, la presa di coscienza che il denaro iniettato dalla fine del 2007 non è riuscito a rilanciare l’economia e ad uscire dalla depressione. Al contrario esso ha esacerbato per quattro anni lo sviluppo del debito mondiale al punto che il crollo del sistema finanziario è tornato attuale, ma in una situazione economica complessiva molto più degradata che alla fine del 2007. Attualmente la situazione economica è tale che è necessaria e vitale ogni giorno l’iniezione di nuova liquidità, anche se in quantità più ridotta. Attualmente, la Banca centrale europea (BCE) è obbligata ad acquistare quotidianamente parte del debito italiano e spagnolo per una somma di circa 2 miliardi di euro per evitare di veder crollare questi paesi. Se, dunque, questo nuovo danaro è essenziale per la sopravvivenza del sistema giorno per giorno, esso non potrà mai avere gli effetti, per quanto limitati, che ha avuto la creazione di moneta dalla fine del 2007. In effetti ci vorrebbe molto di più per riassorbire dei debiti che per la Spagna e l’Italia (e non sono i soli) ammontano a centinaia di miliardi di euro. La possibilità di degrado del rating AAA[3] della Francia sarebbe un colpo mortale per la zona Euro. Solo i paesi inclusi in questa categoria possono finanziare i fondi di sostegno europeo. Se la Francia non lo potrà più fare, l’intera area crollerà. Il panico che abbiamo appena vissuto nella prima metà di agosto non è ancora finito! Stiamo per assistere alla presa di coscienza improvvisa da parte della borghesia e dei suoi leader che il sostegno necessario e continuo alla crescita dell’attività economica - anche moderata - diventa impossibile. E’ questo che provoca lo spettacolo deplorevole al quale stiamo assistendo. Ecco le ragioni profonde della lacerazione della borghesia americana sulla questione di elevare il tetto del suo debito. Lo stesso si dica per i cosiddetti accordi - annunciati con la fanfara - dei leader della zona euro sul salvataggio della Grecia, piani rimessi in discussione pochi giorni dopo da alcuni governi europei. I conflitti tra repubblicani e democratici sull’aumento del tetto del debito non sono semplici divergenze, come cerca di presentarceli la stampa borghese, che opporrebbero delle persone responsabili agli irresponsabile della destra americana, anche se l’aberrazione rappresentata dalle rivendicazioni e dal dogmatismo assurdo di quest’ultima - in particolare del Tea Party[4] - aggravano i problemi ai quali è confrontata la classe dirigente americana. L’incapacità dei leader della zona euro ad accordarsi su una politica ordinata e consensuale di sostegno ai paesi europei non più capaci di far fronte al rimborso dei loro debiti, rileva solo gli antagonismi di interessi meschini dei leader di ogni capitale nazionale. Ciò riflette una realtà molto più profonda e ancora più drammatica per il capitalismo. La borghesia si sta semplicemente rendendo conto che un nuovo e consistente sostegno dell’economia, come quello praticato tra il 2008 e il 2010, è particolarmente pericoloso. Perché rischia di provocare sia il crollo del valore dei buoni del tesoro dei diversi paesi che quello della moneta di questi stessi paesi, compreso l’euro; crollo che annuncia, in questi ultimi mesi, lo sviluppo dell’inflazione.
3. Quali sono le prospettive per l’economia mondiale?
La depressione è lì e la borghesia non può più impedire il suo sviluppo. Ecco quello che ci mostra l’estate 2011. La tempesta è scoppiata. La prima potenza mondiale intorno alla quale si organizza tutta l’economia del mondo dal 1945 è sulla strada del default[5]. Impossibile da immaginare solo qualche tempo fa, questa realtà storica marca a fuoco il processo di fallimento di tutta l’economia mondiale. Il ruolo di locomotiva dell’economia svolto dagli Stati Uniti da oltre 60 anni è ormai superato. Gli Stati Uniti lo stanno dimostrando pubblicamente. Essi non possono più continuare come prima, a prescindere dall’importo del riacquisto di una parte del loro debito da parte di paesi come la Cina o l’Arabia Saudita. Il loro proprio finanziamento è diventato un grande problema e, di conseguenza, sono da ora in poi incapaci di sostenere la domanda mondiale. Chi se ne farà carico al loro posto? La risposta è semplice: nessuno! La zona euro non può che andare di crisi in crisi, sia a livello di debito pubblico che privato, incamminandosi a breve verso l’esplosione di questa zona nella sua configurazione attuale. I famosi “paesi emergenti”, tra cui la Cina, sono, per quanto li riguarda, completamente dipendenti dai mercati americani, europei e giapponesi. Nonostante i loro costi di produzione molto bassi, questi ultimi anni mostrano che si tratta di economie che si sviluppano attraverso ciò che viene chiamato dai media una “bolla economica”, vale a dire un investimento enorme che non potrà mai essere redditizio. E’ lo stesso fenomeno che abbiamo ben conosciuto con quello che gli esperti ed i media hanno chiamato “crisi immobiliare” negli Stati Uniti e la “new economy” qualche anno prima. In entrambi i casi abbiamo assistito allo stesso risultato: un crollo. La Cina ha voglia di aumentare il costo del proprio credito, ma non c’è niente da fare. Dei crack minacciano l’Impero di Mezzo ad immagine di ciò che sta accadendo in Occidente. La Cina, l’India, il Brasile, lungi dall’essere i futuri poli di crescita dell’economia, non possono che prendere il loro posto nel processo di depressione mondiale. L’insieme di tutte queste crepe nell’economia sarà un potente fattore di destabilizzazione e di disorganizzazione di questa. Quello che sta accadendo attualmente negli Stati Uniti e nell’Eurozona spinge il mondo in una depressione e verso dei fallimenti che si alimentano a vicenda in maniera sempre più rapida e profonda. La tregua relativa che abbiamo avuto dalla metà del 2009 è dunque terminata. Il processo di bancarotta in cui l’economia capitalistica mondiale è adesso entrata non pone solo agli sfruttati del mondo intero la necessità di rifiutare di pagare gli effetti quotidiani di questa grave crisi del sistema. Con questo, non è più solo una questione di licenziamenti di massa o di riduzione dei nostri salari reali. Ciò che la situazione implica è l’avvio di un processo di generalizzazione della miseria, una incapacità crescente per tutti i proletari di soddisfare i loro bisogni più elementari. Questa prospettiva drammatica ci obbliga a comprendere che non è una forma particolare di capitalismo che sta crollando, come il capitale finanziario, per esempio, ma il capitalismo in quanto tale. E’ l’intera società capitalistica che viene trascinata verso l’abisso e noi con essa, se non reagiamo. Non vi è altra alternativa che il suo completo rovesciamento, che lo sviluppo della lotta di massa contro questo sistema putrescente, portatore di morte e senza futuro. Al fallimento del capitalismo dobbiamo opporre una nuova società in cui gli uomini non producano a vantaggio solo di alcuni, ma per soddisfare i bisogni umani, una società veramente umana, collettiva e solidale. Questa società è il comunismo (che non ha nulla a che fare con i regimi politici e i loro modelli economici di sfruttamento forniti dall’ex Unione Sovietica o dalla Cina). Questa società è necessaria e possibile al tempo stesso.
TX (14/08/2011)
[1] Si definisce depressione un lungo periodo di caduta dell’attività economica, come è avvenuto negli anni 1930. I media parlano oggi del rischio di una nuova “recessione”. Il governo americano definisce una “recessione” come un calo della produzione per tre trimestri consecutivi. Se possiamo definire il periodo attuale di depressione è perché il periodo di stagnazione e di declino della produzione, nel quale ci troviamo, non ha nulla a che vedere, come mostrato nel resto dell’articolo, con la durata limitata che definisce, secondo la classe dominante, una recessione.
[2] Le banche centrali creano sempre della moneta per permettere alla massa di merci create dal capitale nazionale di circolare; l’aumento della creazione di moneta dipende dunque, in tempi normali, dalla crescita della produzione. Di fatto, dall’inizio dell’aggravarsi della crisi nel 2007, le banche centrali hanno creato molta più moneta di quanto fosse necessario per la circolazione delle merci (che si sono globalmente ridotte nei paesi sviluppati), perché si è reso rapidamente necessario per loro acquistare dalle banche e dagli altri Stati dei titoli che non potevano essere rimborsati al loro valore da parte dei debitori. Nonostante questo aumento, poiché era diventato evidente che né le banche americane, né lo Stato americano erano in grado di rimborsare un gran numero di debiti, si è reso necessario alla Federal Reserve emettere più denaro di quanto il suo status e i suoi libri contabili avrebbero dovuto permettergli per riscattare questi debiti “imputriditi”. Così alla fine del 2009, ha deciso di emettere una somma supplementare di 1.700 miliardi di dollari (detto Quantitative Easing - QE n°1) e, nel novembre 2010, per lo stesso scopo, un nuovo importo di denaro chiamato QE n°2 di 600 miliardi di dollari.
[3] Il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari, che le imprese (vedi anche modelli di rating IRB secondo Basilea 2) in base alla loro rischiosità. In questo caso, essi si definiscono rating di merito creditizio. AAA = indice di rating che corrisponde ad una situazione di elevata capacità di ripagare il debito. (https://it.wikipedia.org/wiki/Rating)
[4] Il Tea Party (https://it.wikipedia.org/wiki/Boston_Tea_Party) è un movimento politico populista americano che é generalmente riconosciuto come conservatore e libertario. Sostiene la necessità che i governi spendano meno e che ci siano meno tasse in modo da ridurre il debito nazionale e il deficit budgetario federale.
[5] Nell’ambito della finanza viene definita come situazione di default (in italiano insolvenza) l’incapacità tecnica di un’emittente di rispettare le clausole contrattuali previste dal regolamento del finanziamento (da https://it.wikipedia.org/wiki/Default_%28finanza%29).