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Il 24 settembre scorso il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, di fronte a commentatori e giornalisti del mondo intero, ha fatto un discorso “inusuale”. Nel suo intervento televisivo ha annunciato senza mezzi termini quali tormente stavano per abbattersi sul “popolo americano”:
“E’ un periodo straordinario per l’economia degli Stati Uniti. Da alcune settimane molti americani sono in ansia per la loro situazione finanziaria ed il loro avvenire. (…) Abbiamo osservato grandi fluttuazioni della Borsa. Grandi istituti finanziari sono sul bordo del crollo ed alcuni sono falliti. Mentre l’incertezza aumenta, numerose banche hanno proceduto ad una contrazione del credito. Il mercato creditizio è bloccato. Le famiglie e le imprese hanno più difficoltà a prendere in prestito del denaro. Siamo nel mezzo di una crisi finanziaria grave (…) tutta la nostra economia è in pericolo. (…) Settori chiave del sistema finanziario degli Stati Uniti rischiano di crollare. (...) L’America potrebbe affondare nel panico finanziario, ed assisteremmo ad uno scenario desolante. Nuove banche potrebbero fallire, alcune nella vostra comunità. Il mercato borsistico crollerebbe ancora più, riducendo il valore della vostra pensione. Il valore della vostra casa cadrebbe. I pignoramenti si moltiplicherebbero. (...). Numerose imprese dovrebbero chiudere e milioni di americani perderebbero il posto di lavoro. Anche con un buono bilancio creditore, vi sarebbe difficile ottenere i prestiti di cui avreste bisogno per comperare un’auto o mandare i vostri figli all’università. In fin dei conti, il nostro paese potrebbe affondare in una lunga e dolorosa recessione”.
L’economia mondiale scossa dal sisma finanziario
In realtà non è solo l’economia americana che rischia di “affondare in una lunga e dolorosa recessione” ma l’insieme dell’economia mondiale. Gli Stati Uniti, motore della crescita da sessant’anni, trascinano questa volta l’economia mondiale verso il baratro!
L’elenco degli organismi finanziari in grave difficoltà si allunga ogni giorno:
- in febbraio, la Northern Rock, l’ottava banca inglese, ha dovuto essere nazionalizzata altrimenti sarebbe scomparsa;
- in marzo, la Bear Stearns, la quinta banca di Wall Street, si salva grazie al suo riacquisto da parte della JP Mogan, terza banca americana, attraverso i fondi della Banca federale americana (FES);
- in luglio, Indymac, uno dei più grandi istituti di credito ipotecario americano, viene messo sotto tutela dalle autorità federali. In quel momento la più importante impresa bancaria che fallisce negli USA da ventiquattro anni! Ma il suo record non durerà a lungo;
- inizio settembre, il gioco al massacro continua. Freddie Mac e Fannie Mae, due organismi di rifinanziamento ipotecario che da soli contano circa 850 miliardi di dollari, evitano per un pelo il fallimento con un nuovo soccorso della FED (banca centrale americana);
- qualche giorno dopo, la Lehman Brothers, la quarta banca americana, si dichiara in fallimento e questa volta la FED non la salva. Al 31 maggio il totale dei suoi debiti ammontava a 613 miliardi di dollari. Record battuto! Il fallimento più grande di una banca americana finora, quella della Continental Illinois nel 1984, metteva in gioco una somma sedici volte più modesta (cioè 40 miliardi di dollari)! Questo mostra tutta la gravità della situazione.
- per evitare di essere colpita dalla stessa sorte, la Merrill Lynch, altro fiore all’occhiello americano, ha dovuto accettare di essere acquistata in tutta fretta da Bank of America;
- stessa sorte per HBOS riacquistata dalla sua compatriota e rivale Lloyds TSB (reciprocamente seconda e prima banca della Scozia);
- l’AIG (American International Group, uno dei maggiori istituti di assicurazione a livello mondiale) è stato foraggiato copiosamente dalla Banca centrale americana. In realtà, anche le stesse finanze dello Stato americano stanno maluccio e per questo la FED aveva deciso di non soccorrere la Lehman Brothers. Se lo ha fatto per l’AIG, è perché se questo organismo fosse fallito, la situazione sarebbe diventata completamente incontrollabile;
- nuovo record! Ad appena due settimane dalla Lehman Brothers è la Washington Mutual (WaMu), la più importante cassa di risparmio degli Stati Uniti, a chiudere i battenti![1]
Inevitabilmente anche le Borse sono prese dalla tormenta. Regolarmente crollano del 3, 4 o 5% ad ogni fallimento. La Borsa di Mosca ha dovuto finanche chiudere i battenti per vari giorni, a metà settembre, in seguito a cadute successive che superavano il 10%.
Verso un nuovo 1929?
Di fronte a questa serie di cattive notizie, anche i maggiori specialisti dell’economia restano sconvolti. Alan Greenspan, l’ex presidente della FED considerato come un mito dai suoi pari, ha così dichiarato alla rete televisiva ABC il 15 settembre scorso:
“Si deve riconoscere che si tratta di un fenomeno che si verifica una volta ogni cinquanta anni, o forse una volta ogni secolo [...] Non vi è alcun dubbio, non ho mai visto una cosa simile e non è ancora finita e prenderà ancora del tempo”.
Ancora più significativa è stata la dichiarazione del premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz che, volendo “calmare gli spiriti”, ha dichiarato piuttosto maldestramente che la crisi finanziaria attuale dovrebbe essere meno grave di quella del 1929, anche se occorreva guardarsi da un “eccesso di fiducia”:
“Naturalmente è anche possibile sbagliarsi, ma il punto di vista generale è che disponiamo oggi di di strumenti [...] per evitare un’altra grande depressione”[2]
Piuttosto che rassicurare, questo eminente specialista dell’economia ma certamente non fine psicologo ha evidentemente provocato il panico generale. Di fatto, involontariamente, lui ha formulato ad alta voce il timore che tutti sussurrano a bassa voce: non è che stiamo andando verso un nuovo ‘29, verso une nuova “depressione”?
Da allora, per rassicurarci, gli economisti si succedono alla televisione per spiegare che se è vero che la crisi attuale é molto grave, questa non ha niente a che vedere con il crack del 1929 e che, in ogni modo, l’economia finirà per ripartire.
Costoro hanno ragione solo per metà. Quando ci fu la Grande depressione, negli Stati Uniti, migliaia di banche fallirono, milioni di persone persero tutto quello che avevano, il tasso di disoccupazione raggiunse il 25% e la produzione industriale crollò all’incirca del 60%. In breve si può dire che l’economia si arrestò. Di fatto, all’epoca, i dirigenti degli Stati avevano reagito piuttosto tardivamente. Per mesi e mesi essi avevano lasciato i mercati liberi a sé stessi. Peggio ancora, la loro sola misura fu di chiudere le frontiere alle merci straniere (attraverso il protezionismo) cosa che finì per bloccare il sistema. Oggi, il contesto è del tutto diverso. La borghesia ha imparato dal precedente disastro economico, si è dotata di organismi internazionali e sorveglia la crisi come il latte sul fuoco. A partire dall’estate del 2007, le diverse banche centrali (principalmente la FED e la Banca centrale europea) hanno iniettato circa 2000 miliardi di dollari per salvare gli stabilimenti in difficoltà. Esse sono così riuscite a evitare il crollo netto e brutale del sistema finanziario. L’economia sta decelerando molto molto rapidamente ma non si blocca. Ad esempio, secondo il settimanale tedesco Der Spiegel del 20 settembre, in Germania la crescita per il 2009 dovrebbe essere soltanto dello 0,5%. Ma, contrariamente a ciò che dicono tutti questi specialisti e altri scienziati, la crisi attuale è molto più grave che nel 1929. Il mercato mondiale è completamente saturo. La crescita di questi ultimi decenni è stata possibile solo grazie ad un indebitamento massiccio. Il capitalismo crolla oggi sotto questa montagna di debiti![3]
Alcuni politici o alti responsabili dell’economia mondiale ci raccontano oggi che bisogna “moralizzare” il mondo della finanza in modo da impedirgli di commettere gli eccessi che hanno provocato la crisi attuale e permettere il ritorno ad un “capitalismo sano”. Ma si guardano bene dal dire (oppure non vogliono vedere) che sono proprio questi “eccessi” ad aver permesso la “crescita” degli scorsi anni, cioè la fuga in avanti del capitalismo nell’indebitamento generalizzato[4]. I veri responsabili della crisi attuale non sono gli “eccessi finanziari”; questi eccessi e questa crisi della finanza non fanno che esprimere la crisi senza via d’uscita, l’impasse storico nel quale si trova il sistema capitalista come insieme. E’ per questo che non ci sarà una vera “uscita dal tunnel”. Il capitalismo continuerà ad insabbiarsi inesorabilmente. Il Piano Bush di 700 miliardi di dollari, che dovrebbe “risanare il sistema finanziario”, sarà necessariamente un fiasco.
Se questo piano viene accettato[5] il governo americano recupererà dei prestiti di dubbia esigibilità per verificare i conti delle banche e rilanciare il credito. All’annuncio di questo piano, sollevate, le borse hanno battuto record di aumento in un solo giorno (ad esempio 9,5% per la Borsa di Parigi). Ma dopo hanno cominciato a fare su e giù poiché, in fondo, nulla è stato realmente risolto. Le cause profonde della crisi sono sempre là: il mercato è sempre saturo di merci invendibili e gli istituti finanziari, le imprese, gli Stati, i privati … crollano sempre sotto il peso dei loro debiti.
Le migliaia di miliardi di dollari gettate sui mercati finanziari dalle diverse banche centrali del pianeta non cambieranno nulla. Peggio ancora, queste massicce iniezioni di liquidità significano un nuovo aumento dei debiti pubblici e bancari.
La borghesia è in un vicolo cieco, essa ha solo cattive soluzioni da offrire. E’ per questo che la borghesia americana esita tanto a lanciare il “piano Bush”; essa sa che se nell’immediato ciò evita il panico, ciò nondimeno lo stesso intervento tende a preparare dei nuovi soprassalti di una violenza estrema per domani. Per George Soros (uno dei finanzieri più famosi e rispettati del pianeta), la “possibilità di uno scoppio del sistema finanziario esiste”.
Un’ondata di pauperizzazione senza precedenti dopo quella degli anni ‘30
Le condizioni di vita della classe operaia e della maggioranza della popolazione mondiale si stanno degradando brutalmente. Un’ondata di licenziamenti sta colpendo simultaneamente i quattro angoli del pianeta. Migliaia di fabbriche vengono chiuse. Secondo il quotidiano francese les Échos del 26 settembre, da qui alla fine di questo anno, nel solo settore della finanza, dovranno essere eliminati 260.000 posti di lavoro negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ma, un’occupazione nelle finanze genera a sua volta in media altri quattro posti di lavoro! Il crollo degli organismi finanziari significa dunque la disoccupazione per centinaia di migliaia di famiglie operaie. I pignoramenti di case aumenteranno ancora. Due milioni e duecentomila americani sono stati già sfrattati dalla loro casa dall’estate del 2007 e ancora un milione di persone si troveranno per strada da qui a Natale. E questo fenomeno comincia a toccare l’Europa, in particolare la Spagna e la Gran Bretagna.
In Inghilterra, il numero di pignoramenti immobiliari è aumentato del 48% nel primo semestre del 2008. Da poco più di un anno, l’inflazione ha fatto il suo grande ritorno sulla scena. Il prezzo delle materie prime e dei prodotti alimentari è esploso, cosa che ha provocato carestie e sommosse in numerosi paesi[6]. Le centinaia di miliardi di dollari iniettati dalla FED e dalla BCE tendono ad accrescere ulteriormente questo fenomeno. Ciò si traduce in un impoverimento di tutta la classe operaia: per alloggiare, nutrirsi, spostarsi diventa sempre più difficile per milioni di proletari!
La borghesia non mancherà di presentare la nota delle spese della sua crisi alla classe operaia. In programma: riduzione dei salari reali, degli aiuti e dei sussidi (per la disoccupazione, la salute …), prolungamento dell’età di pensionamento, aumento delle imposte e moltiplicazione delle tasse. D’altra parte Georges W. Bush si è già anticipato: il suo piano da 700 miliardi di dollari sarà finanziato dai “contribuenti”. Le famiglie operaie dovranno sborsare molte migliaia di dollari ciascuna per riportare a galla le banche nello stesso momento in cui una grande parte di loro non arriva neanche più a trovare un alloggio!
Se la crisi attuale non ha l’aspetto improvviso del crack del 1929, ciò nondimeno essa farà subire gli stessi tormenti agli sfruttati del mondo intero. La vera differenza con il 1929 non sta sul piano dell’economia capitalista ma su quello della combattività e della coscienza della classe operaia. All’epoca, con il fallimento della rivoluzione russa del 1917 che aveva appena subito, lo schiacciamento delle rivoluzioni in Germania tra il 1919 ed il 1923 e le angosce prodotte dalla controrivoluzione staliniana, il proletariato mondiale era completamente abbattuto e rassegnato. Le scosse della crisi avevano anche provocato dei movimenti importanti di disoccupati negli Stati Uniti, ma questi non sono andati molto lontano ed il capitalismo era riuscito a portare l’umanità verso la Seconda Guerra mondiale. Oggi le cose stanno in tutt’altra maniera. A partire dal 1968, la classe operaia ha sollevato la cappa di piombo della controrivoluzione e se le campagne del 1989 sulla “fine del comunismo” le avevano portato un violento colpo, dal 2003, essa sviluppa la sua lotta e la sua coscienza. La crisi economica può essere il terreno fertile su cui germineranno la solidarietà e la combattività operaia!
Françoise (27 septembre)
[1] All’annuncio di tutti questi fallimenti a catena non si può che essere indignati pensando alle somme vertiginose intascate in questi ultimi anni dai responsabili di questi diversi organismi. Per esempio, i dirigenti delle prime cinque banche di Wall Street hanno toccato 3,1 miliardi di dollari in 5 anni (Bloomberg). Ed oggi, chi subisce le conseguenze della loro politica è la classe operaia. Anche se la dismisura del loro salario non spiega la crisi, essa rivela tuttavia ciò che è la borghesia: una classe di gangster che ha il più grande disprezzo per gli operai, la “gente umile”!
[2] La “Grande depressione” corrisponde alla crisi degli anni ‘30.
[3] I “crediti incerti” (cioè quelli ad alto rischio di rimborso) si situano oggi, a livello mondiale, tra i 3.000 e i 40.000 miliardi di dollari, secondo le valutazioni. Una così grande incertezza dipende dal fatto che le banche si sono vendute reciprocamente questi prestiti a rischio al punto tale da non riuscire più a valutarne l’ammontare reale.
[4] Come ha detto esplicitamente un giornalista all’emittente televisiva France 5: “Gli Stati Uniti hanno potuto prendere tempo grazie al credito”.
[5] Mentre scriviamo sono ancora in corso le discussioni tra il governo ed il congresso. (Nota della redazione italiana: in realtà il piano è stato poi approvato, e l’effetto è stato la settimana nera vissuta tra il 6 e il 10 ottobre, con crolli successivi delle borse e panico finanziario in tutto il mondo).