Inviato da CCI il
1917: LA RIVOLUZIONE RUSSA
Le Tesi di Aprile, faro della rivoluzione proletaria
Nulla fa arrabbiare di più una classe sfruttatrice quanto un sollevamento degli sfruttati. Le rivolte degli schiavi sotto l’impero romano, dei contadini sotto il feudalesimo, sono state sempre represse con la crudeltà più disgustosa. Ma la ribellione della classe operaia contro il capitalismo è un affronto ancora maggiore contro la classe dominante di questo sistema perché porta in sé i vessilli di una società nuova, una società comunista che realmente corrisponde ad una possibilità ed a una necessità storica. Per la classe capitalista, dunque, non è sufficiente reprimere i tentativi rivoluzionari della classe operaia, di annegarli nel sangue – sebbene la controrivoluzione capitalista sia la più sanguinosa della storia. È necessario ridicolizzare l’idea che la classe operaia sia portatrice del nuovo ordine sociale, mostrare la totale futilità del progetto comunista, e per poterlo fare occorre un arsenale di menzogne e distorsioni da affiancare all’arsenale bellico. Da qui la necessità per il capitale di alimentare nel corso del ventesimo secolo la più grande menzogna della storia: Stalinismo = comunismo.
Il crollo del blocco dell’est nel 1989, e della Russia due anni dopo, benché abbia privato la borghesia di un “esempio” vivente di questa falsità, nei fatti ha rafforzato la mistificazione perché ha reso possibile il diffondersi di una gigantesca campagna sul definitivo fallimento del comunismo, del marxismo, e persino sull’obsolescenza della stessa idea di lotta di classe. Abbiamo esaminato più volte nella nostra stampa gli effetti profondamente distruttivi di questa campagna sulla coscienza del proletariato mondiale e non svilupperemo qui questo aspetto. E’ importante però sottolineare che, benché l’impatto di questa campagna sia diminuito negli ultimi anni – in particolare perché le promesse della borghesia su di “un nuovo ordine mondiale” di pace e prosperità, che avrebbe dovuto seguire alla scomparsa dello stalinismo, si sono dimostrate aria fritta – essa è così importante per l’apparato ideologico di controllo della borghesia che questa non mancherà di sfruttare ogni opportunità per dargli nuova vita e vigore.
Nell’ottantesimo anniversario della rivoluzione russa sicuramente sentiremo nuove menzogne. Ma una cosa è certa: l’odio e il disprezzo della borghesia verso la rivoluzione proletaria iniziata in Russia nel 1917, gli sforzi per deformare e snaturare la memoria di quei giorni, saranno focalizzati soprattutto sull’organizzazione politica che incarnò lo spirito di quel vasto movimento insurrezionale: il partito Bolscevico. Il che non deve sorprenderci: sin dai giorni della Lega dei Comunisti e della I Internazionale, la borghesia si è sempre mostrata disposta a “perdonare” alla maggioranza dei poveri lavoratori di essersi fatti imbrogliare dai complotti e le macchinazioni delle minoranze rivoluzionarie, le quali invece sono state sempre mostrate come l’incarnazione del male. E per il capitale nessuna è stata tanto nefasta quanto i bolscevichi che sono riusciti a “fuorviare” i poveri lavoratori più a lungo e meglio di ogni altro partito rivoluzionario della storia.
Non è questo il luogo per esaminare tutti i recenti libri, articoli e documentari dedicati alla rivoluzione Russa. Basta dire che i più pubblicizzati - per esempio The Unknown Lenin: from the Soviet Archives, (Lenin sconosciuto: dagli archivi sovietici) e Il vero Lenin del vecchio archivista del KGB, Volkogonov, che pretende di aver avuto accesso agli schedari del 1917, finora inaccessibili - hanno avuto un tema ben preciso: mostrare che Lenin e i bolscevichi erano una banda di fanatici affamati di potere che hanno fatto di tutto per usurpare le conquiste democratiche della rivoluzione del febbraio ‘17, e far precipitare la Russia ed il mondo in una delle esperienze più disastrose della storia. Naturalmente, questi signori “dimostrano” con minuziosa e dettagliata attenzione che il terrore stalinista fu la semplice continuazione e completamento del terrore leninista. Il sottotitolo della edizione tedesca del lavoro di Volkogonov su Lenin, “Utopia e Terrore”, riassume bene l’approccio della borghesia: la rivoluzione degenera nel terrore proprio perché tenta di imporre un ideale utopico, il comunismo, che è antitetico alla natura umana.
Un importante elemento di questa inquisizione anti-bolscevica è l’idea che il bolscevismo, con tutto il suo parlare di marxismo e rivoluzione internazionale, sia soprattutto un’espressione dell’arretratezza russa. Questa canzone non è nuova: era una delle preferite del “rinnegato Kautsky” subito dopo l’insurrezione di Ottobre, che in seguito ha acquisito una considerevole rispettabilità accademica. Uno dei migliori studi sui dirigenti della rivoluzione russa - Three Who Made a Revolution di Bentram Wolfe, scritto negli anni ’50 - sviluppa questa idea con una particolare attenzione verso Lenin. Secondo la sua visione, la posizione di Lenin sull’organizzazione politica proletaria vista come un “ristretto” corpo di rivoluzionari convinti, apparteneva più che a Marx, alle concezioni cospirative e segrete dei “narodniki” e di Bakunin. Tali storici spesso contrappongono la visione di Lenin alle concezioni più “sofisticate”, più “europee” e più “democratiche” dei menscevichi. E naturalmente, poiché la forma dell’organizzazione rivoluzionaria è strettamente legata alla forma della rivoluzione stessa, l’organizzazione democratica menscevica avrebbe portato ad una Russia democratica mentre la forma dittatoriale bolscevica ci ha dato una Russia dittatoriale.
A spacciare questo genere di idee non sono solo i portavoce ufficiali della borghesia. In una veste leggermente diversa, sono veicolate anche da anarchici di ogni risma, specialisti nell’approccio del tipo “l’avevamo detto noi”. “Si sapeva sin dall’inizio che il bolscevismo era cattivo e sarebbe finito in lacrime – tutto quel parlare di partito, periodo di transizione e dittatura del proletariato, non potevano che portare a questo”. Ma l’anarchismo ha l’abitudine di rinnovarsi in continuo e può essere molto più subdolo di così. Un esempio ci viene dal materiale che è stato divulgato da una specie parassitaria d’anarchismo che si proclama la “London Psychogeographical Association”. La LPA ha calorosamente aderito all’argomento della CCI secondo il quale il bakuninismo, con tutto il suo parlare di libertà e uguaglianza, le sue critiche all’ “autoritarismo” marxista, si basava in realtà su una visione profondamente gerarchica ed anche esoterica, strettamente legata alla franco-massoneria. Tuttavia per la LPA questo è solo l’antipasto: il piatto forte è che la concezione bolscevica del partito è la vera continuazione del bakuninismo e quindi della franco-massoneria. Il cerchio è chiuso: i “comunisti” della LPA rigurgitano gli avanzi dei professori della guerra fredda.
La sfida posta da tutti questi diffamatori del bolscevismo è considerevole, e non può trovare risposta nel contesto di un singolo articolo. Ad esempio, fare una valutazione critica della concezione “leninista” dell’organizzazione, rifiutare il pregiudizio secondo il quale quest’ultima sia una nuova versione del narodnikismo o del bakuninismo, potrebbe richiedere una serie di articoli. Il nostro obbiettivo qui è più limitato: esaminare un particolare episodio degli eventi della rivoluzione russa – le Tesi d’Aprile difese da Lenin al suo ritorno in Russia nel 1917. Non solo perché manca un mese all’anniversario, ma soprattutto perché questo corto e preciso documento ci offre un eccellente punto di partenza per rifiutare tutte le falsità sul partito bolscevico, e per riaffermare la cosa essenziale: questo partito non era un prodotto dell’arretratezza russa, di un distorto anarco-terrorismo, o di una non mitigata brama di potere dei leader della rivoluzione. Il bolscevismo fu soprattutto un prodotto del proletariato mondiale. Inseparabilmente legato all’intera tradizione marxista, non fu il seme di una nuova forma di sfruttamento e oppressione, ma l’avanguardia di un movimento per abolire lo sfruttamento e l’oppressione.
Da febbraio ad Aprile
Verso la fine del febbraio del 1917, i lavoratori di Pietrogrado lanciano uno sciopero generale contro le intollerabili condizioni di vita imposte dalla guerra imperialista. Gli slogan del movimento rapidamente diventano politici, con la richiesta della fine della guerra e il rovesciamento dell’autocrazia. In pochi giorni la protesta si diffonde nelle altre città e nei villaggi, e quando i lavoratori impugnano le armi e fraternizzano coi militari, lo sciopero di massa assunse il carattere di un’insurrezione.
Rivivendo l’esperienza del 1905, gli operai centralizzano la lotta attraverso dei Soviet di deputati operai, eletti dalle assemblee di fabbrica e revocabili in ogni momento. Contrariamente al 1905, soldati e contadini seguono questo esempio su vasta scala.
La classe dominante, resasi conto che i giorni dell’autocrazia sono contati, si sbarazza essa stessa dello Zar, e invita i partiti liberali e della “sinistra”, in particolare gli elementi ex proletari di recente passati nel campo della borghesia per aver appoggiato la guerra, a formare un Governo provvisorio con l’esplicito obbiettivo di guidare la Russia verso un sistema di democrazia parlamentare. Ne fatti si genera una situazione di doppio potere dato che gli operai ed i soldati hanno realmente fiducia solo ed esclusivamente nei Soviet e il Governo provvisorio borghese non è ancora in una posizione abbastanza forte per ignorarli e ancor meno per scioglierli. Ma questa netta divisione di classe è parzialmente oscurata dalla nebbia dell’euforia democratica calata sul paese dopo la rivolta di febbraio. Con l’eliminazione dello zar e il popolo giubilante per una libertà mai vista prima, tutti sembrano essere favorevoli alla “Rivoluzione” – inclusi gli alleati democratici della Russia i quali sperano che ciò possa permettere ai russi di partecipare con più efficacia allo sforzo bellico. Il Governo provvisorio si presenta quindi come guardiano della rivoluzione; i Soviet sono politicamente dominati dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, che fanno di tutto per ridurli ad una appendice del nuovo affermato regime borghese. In breve, tutto l’impeto dello sciopero generale e dell’insurrezione – che in realtà è una manifestazione del movimento rivoluzionario più ampio prodottosi nei maggiori paesi capitalisti a causa della guerra – viene deviato verso fini capitalistici.
Dove sono i bolscevichi in questa situazione così piena di pericoli e promesse? Nella più completa confusione:
“Il primo mese della rivoluzione era stato per il bolscevismo un periodo di disorientamento e tergiversazione. Nel “Manifesto” del Comitato Centrale dei bolscevichi, redatto subito dopo la vittoria dell’insurrezione, si diceva che “gli operai delle fabbriche e degli stabilimenti, come pure le truppe insorte, devono eleggere immediatamente i loro rappresentanti al governo rivoluzionario provvisorio” (…) Agivano non come rappresentanti di un partito proletario che si prepari a iniziare con la loro autorità una lotta per il potere, ma come l’ala sinistra della democrazia che, proclamando i suoi principi, si dispone per un periodo di tempo indeterminato a sostenere la parte di una leale opposizione” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, vol. 1, cap. 15).
Quando in marzo Stalin e Kamenev prendono il timone del partito si spingono anche oltre. Stalin sviluppa un teoria sul ruolo complementare del governo provvisorio e dei soviet. Ancor peggio, l’organo ufficiale del partito, la Prava, adotta apertamente una posizione “difensiva” sulla guerra: “Non facciamo nostra l’inconsistente parola d’ordine:“abbasso la guerra”. La nostra parola d’ordine consiste nell’esercitare una pressione sul governo provvisorio per costringerlo… a fare un tentativo per indurre tutti i paesi belligeranti ad aprire immediate trattative… fino a quel momento ognuno resti al suo posto di combattimento!” (citato in Trosky).
Trotsky racconta di come molti elementi nel partito avvertono profonda inquietudine e rabbia per questa manica di opportunisti all’interno del partito, ma non sono armati programmaticamente per rispondere alla posizione della leadership, che sembra basarsi sulla prospettiva sviluppata dallo stesso Lenin e che era stata la posizione ufficiale del partito per un decennio: la prospettiva della “dittatura democratica degli operai e dei contadini”. L’essenza di questa teoria è che, sebbene dal punto di vista economico la rivoluzione russa sia di natura borghese, la borghesia russa è essa stessa troppo debole per realizzare la propria rivoluzione, di conseguenza la modernizzazione capitalista della Russia deve essere assunta dal proletariato e i settori più poveri dei contadini. Questa posizione si situa a metà strada tra quella dei menscevichi – che pretendono di essere dei marxisti “ortodossi” e quindi sostengono che il compito del proletariato sia dare un supporto critico alla borghesia contro l’assolutismo fino a quando in Russia non maturino i tempi per il socialismo – e quella di Trotsky, la cui teoria della “rivoluzione permanente”, sviluppata dopo gli eventi del 1905, insiste sul fatto che la classe operaia sarà il propellente della rivoluzione futura, e spingerà la rivoluzione oltre lo stadio borghese verso lo stadio socialista, ma sarà in grado di farlo solo se la rivoluzione russa coinciderà, o sarà innescata da una rivoluzione socialista nei paesi industrializzati.
In verità la teoria di Lenin è il prodotto di un periodo in cui diventa sempre più evidente che la borghesia russa non è più una forza rivoluzionaria, ma non è ancora chiaro che si è aperta l’era della rivoluzione internazionale socialista. Tuttavia la superiorità delle tesi di Trotsky sta proprio nel fatto che queste partono da un quadro internazionale, piuttosto che dal quadro specifico della Russia; e Lenin stesso, malgrado i suoi numerosi e aspri disaccordi con Trostky all’epoca, dopo gli avvenimenti del 1905, si avvicina alla nozione di rivoluzione permanente.
Nella pratica il concetto di “dittatura democratica di operai e contadini” si dimostra essere priva di sostanza; i “leninisti ortodossi”, che ripetono questa formula nel 1917, la usano come copertura del loro scivolamento verso il menscevismo puro e semplice. Kemenev afferma con vigore che bisogna dare un sostegno critico al Governo provvisorio poiché la fase democratica borghese non è ancor finita: questo corrisponde a malapena all’idea originale di Lenin, il quale sosteneva che la borghesia sarebbe arrivata inevitabilmente ad un compromesso con l’autocrazia. Ci sono anche dei seri tentativi di riunificazione tra menscevichi e bolscevichi.
Il partito bolscevico, disarmato politicamente viene trascinato verso il compromesso e il tradimento. Quando Lenin torna dall’esilio il futuro della rivoluzione è appeso ad un filo.
Nella sua Storia della Rivoluzione Russa (vol.1, cap.15), Trotsky ci dà una descrizione dettagliata dell’arrivo di Lenin alla stazione di Pietrogrado, il 3 Aprile 1917. Il soviet di Pietrogrado, ancora dominato dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, organizza una grande festa di benvenuto ed accoglie Lenin con dei fiori. A nome del Soviet, Cheidze ringrazia Lenin con queste parole: “Compagno Lenin (…) salutiamo il vostro arrivo in Russia (…) ma noi riteniamo che il compito essenziale della democrazia rivoluzionaria sia per il momento quello di difendere la nostra rivoluzione da tutti gli attentati che potrebbero essere compiuti contro di essa sia dall’interno che dall’esterno (…) Speriamo che perseguirete con noi questi scopi”.
Lenin indirizza la sua risposta non ai dirigenti del comitato di benvenuto ma alle centinaia di soldati e operai che si accalcano alla stazione:
“Cari compagni, soldati, marinai e operai sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, di salutarvi come avanguardia dell’esercito rivoluzionario mondiale… Non è lontana l’ora in cui, all’appello del compagno Karl Liebknecht, i popoli rivolgeranno le armi contro i capitalisti sfruttatori. La rivoluzione russa da voi compiuta ha inaugurato una nuova epoca. Viva la rivoluzione socialista mondiale!”.
E’ così che quel guastafeste di Lenin tratta il carnevale democratico sin dal momento del suo arrivo. Quella notte Lenin elabora la sua posizione in un discorso di due ore che lascia costernati in primo luogo tutti i democratici e socialisti sentimentali, che non volevano che la rivoluzione andasse oltre a quanto fatto in febbraio, che avevano applaudito gli scioperi di massa degli operai quando questi cacciarono lo Zar e permisero al Governo provvisorio di assumere il potere, ma avevano il terrore di ogni ulteriore polarizzazione della classe. Il giorno dopo ad un incontro tra bolscevichi e menscevichi, Lenin espone quelle che in seguito si sarebbero chiamate le Tesi di Aprile:
“1) Nel nostro atteggiamento verso la guerra, la quale - sotto il nuovo governo di Lvov e consorti e grazie al carattere capitalistico di questo governo - rimane incondizionatamente, da parte della Russia, una guerra imperialista di brigantaggio, non è ammissibile nessuna benché minima concessione al “difensismo” rivoluzionario.
A una guerra rivoluzionaria, che realmente giustifichi il difensismo rivoluzionario, il proletariato cosciente può dare il suo consenso soltanto alle seguenti condizioni: a) passaggio del potere nella mani del proletariato e degli strati più poveri della popolazione contadina che si mettono dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non a parole, a qualsiasi annessione; c) rottura completa, effettiva, con tutti gli interessi del capitale.
Data l’innegabile buona fede di vasti strati delle masse, che sono per il difensismo rivoluzionario e accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, dato che essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna innanzi tutto mettere in luce i loro errori minutamente, ostinatamente, pazientemente, mostrando il legame indissolubile tra il capitale e la guerra imperialistica, mostrando che non è possibile mettere fine alla guerra con una pace puramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale.
Organizzazione della più vasta propaganda di questi concetti nell’esercito combattente.
Fraternizzazione.
2) La peculiarità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione – che, a causa dell’insufficiente coscienza ed organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia – alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini.
Da una parte, questo passaggio è caratterizzato dal massimo di legalità (fra tutti i paesi belligeranti, la Russia è, oggi, il paese più libero del mondo) e, d’altra parte, dall’assenza di violenza contro le masse e, infine, dall’atteggiamento inconsapevolmente fiducioso delle masse verso il governo dei capitalisti, dei peggior nemici della pace e del socialismo.
Questa peculiarità ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro del Partito fra le immense masse proletarie appena destate alla vita politica.
3) Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo invece di “esigere” (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista.
4) Riconoscimento del fatto che il nostro partito è una minoranza e, finora, una piccola minoranza nella maggior parte dei Soviet dei deputati degli operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, sottomessi all’influenza della borghesia e veicoli dell’influenza borghese sul proletariato: dai socialisti populisti e dai socialisti-rivoluzionari al Comitato d’organizzazione (Ckheidze, Tsereteli, ecc.), a Steklov, ecc.
Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono la sola forma possibile di governo rivoluzionario e che, per conseguenza, il nostro compito, finché questo governo sarà sottomesso all’influenza della borghesia, può consistere soltanto nella spiegazione paziente, sistematica, perseverante – particolarmente adattata ai bisogni pratici delle masse - degli errori della loro tattica.
Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori.
5) Niente repubblica parlamentare - ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai, sarebbe un passo indietro - ma repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei braccianti e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto.
Soppressione della polizia, dell’esercito e corpo dei funzionari.
Salario ai funzionari - tutti eleggibili e revocabili in qualunque momento - non superiore al salario medio d’un buon operaio.
6) Nel programma agrario trasferire il centro di gravità nel Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
Confisca di tutte le terre dei grandi proprietari fondiari.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione dei Soviet locali dei deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri. Formazione dei Soviet dei deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali e secondo le decisioni delle istituzioni locali) un’azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposta al controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
7) Fusione immediata di tutte la banche del paese in una unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.
8) Come nostro compito immediato, non “l’instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
9) Compiti del partito:
a) Congresso immediato del partito.
b) Modificare il programma del partito, e principalmente:
1) Sull’imperialismo e sulla guerra imperialista;
2) Sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello “Stato-Comune”;
3) correggere il programma minimo invecchiato.
c) Cambiare il nome del partito.
10) Rinascita dell’Internazionale.
Prendere l’iniziativa della creazione di un’Internazionale rivoluzionaria, contro gli socialsciovinisti e contro il ‘centro’ ”.
La lotta per il riarmo del partito
La dimostrazione del metodo marxista
Zalevski, all’epoca membro del Comitato Centrale Bolscevico, riassume così la reazione alle Tesi di Lenin sia all’interno del partito che nel movimento: “Le tesi di Lenin produssero l’effetto dell’esplosione di una bomba” (Trotsky, Vol.1, cap.15). La reazione iniziale è di incredulità e molti anatemi cadono sulla testa di Lenin: Lenin è stato troppo tempo in esilio, ha perso il contatto con la realtà russa. La sua prospettiva sulla natura della rivoluzione è caduta nel “trotskismo”. Per la sua idea sulla presa del potere dei Soviet è regredito al blanquismo, all’avventurismo, all’anarchismo. Un ex-membro del Comitato Centrale Bolscevico, a quel tempo fuori dal partito, Goldenberg, si esprime così: “Per molti anni, il posto di Bakunin nella rivoluzione russa era rimasto vuoto: ora è preso da Lenin” (Trotsky, idem). Secondo Kamenev, la visione di Lenin impedisce ai bolscevichi di agire da partito di massa, riducendone il ruolo a quello di un “gruppo di comunisti propagandisti”.
Non è la prima volta che i “vecchi bolscevichi” si aggrappano a logore formule in nome del leninismo. Nel 1905 la prima reazione dei bolscevichi nei riguardi dei Soviet era stata una meccanica interpretazione delle critiche di Lenin allo spontaneismo nel Che fare?; la direzione aveva all’epoca chiamato il Soviet di Pietrogrado a subordinarsi al partito oppure sciogliersi. Lo stesso Lenin ha rigettato categoricamente questo atteggiamento, essendo stato uno dei primi a comprendere il significato rivoluzionario del Soviet come organo del potere politico del proletariato, affermando che la questione non era “soviet o partito” ma i due insieme, i soviet ed il partito, i cui ruoli sono complementari. Allora, ancora una volta, Lenin dette a questi “leninisti” una lezione sul metodo marxista, dimostrando come il marxismo sia l’esatto contrario di un dogma; è una teoria scientifica vivente che deve costantemente essere verificata nel laboratorio dei movimenti sociali. Le Tesi di Aprile sono il compendio della capacità del marxismo di scartare, adattare, modificare o arricchire le posizioni precedenti alla luce delle esperienze della lotta di classe: “Per il presente, bisogna mettersi bene in testa questa verità incontestabile che un marxista deve tener conto della vita, dei veri fatti precisi della realtà, e non aggrapparsi alla teoria di ieri che, come ogni teoria, è al massimo capace di indicare l’essenziale, il generale, di fornire un’idea che si approssima alla complessità della vita. ‘La teoria è grigia, amico mio, ma verde è l’albero eterno della vita’” (1)
E nella stessa lettera redarguisce “questi ‘vecchi bolscevichi’ che già più di una volta hanno giocato un triste ruolo nella storia del loro partito, ripetendo stupidamente una formula imparata a memoria invece di studiare quello che c’era di originale nella realtà nuova, vivente”.
Per Lenin la “dittatura democratica” è già stata realizzata coi Soviet dei deputati operai e dei contadini e come tale già rappresenta una formula antiquata. Il compito essenziale per i bolscevichi è ora favorire la dinamica proletaria all’interno del vasto movimento sociale che si orienta verso la formazione di uno Stato-Comune (cioè ad immagine della Comune di Parigi) in Russia come primo avamposto della rivoluzione socialista mondiale. Si può discutere sullo sforzo di Lenin per salvare l’onore della vecchia formula, ma l’elemento essenziale nel suo approccio è che lui fu capace di vedere il futuro del movimento e, quindi, di comprendere la necessità di rompere col vecchiume delle consumate teorie.
Il metodo marxista non è solo dialettico e dinamico; esso è anche globale, cioè pone ogni particolare questione in un quadro storico e internazionale. Ed è soprattutto questo che ha permesso a Lenin di comprendere il senso reale degli avvenimenti. A partire dal 1914 i bolscevichi, Lenin in testa, hanno difeso la posizione internazionalista più coerente contro la guerra imperialista, vedendo in essa la prova della decadenza del capitalismo mondiale e l’inizio dell’epoca della rivoluzione proletaria mondiale. Questa è la base della posizione “trasformare la guerra imperialista in guerra civile” che Lenin ha difeso contro tutta una varietà di sciovinismi e pacifismi. Saldamente ancorato a questa analisi, Lenin non si lascia prendere neanche per un momento dall’idea che l’ascesa al potere del governo provvisorio avesse cambiato il carattere imperialista della guerra, e non risparmia alcuna critica ai bolscevichi che sono caduti in questo errore: “La Pravda esige che il governo rinunci alle annessioni. Esigere che un governo di capitalisti rinunci alle annessioni è una sciocchezza, è una vera e propria presa in giro…” (citato da Trotsky).
La riaffermazione intransigente della posizione internazionalista sulla guerra è, in quel momento, in primo luogo una necessità se si vuole porre un freno alle scivolate opportuniste nel partito. Ma è anche il punto di partenza per liquidare teoricamente la formula della “dittatura democratica” e tutte le giustificazioni mensceviche per sostenere la borghesia. All’argomento che la Russia arretrata non è ancora matura per il socialismo, Lenin risponde da vero internazionalista, riconoscendo nella Tesi 8 che “nostro compito immediato, non (è) “l’instaurazione” del socialismo”. La Russia, di per sé, non è matura per il socialismo, ma la guerra imperialista ha mostrato che il capitalismo mondiale è in realtà più che maturo. Da qui il saluto di Lenin ai lavoratori alla stazione di Pietrogrado: prendendo il potere, gli operai russi agiscono da avanguardia dell’esercito proletario internazionale. Da qui anche l’appello ad una nuova Internazionale alla fine delle Tesi. E per Lenin, come per ogni autentico internazionalista, la rivoluzione mondiale non è una pia speranza ma una prospettiva concreta che si sviluppa dalla rivolta del proletariato mondiale contro la guerra - scioperi in Gran Bretagna e Germania, manifestazioni politiche, ammutinamenti e fraternizzazioni nelle forze armate in molti paesi, e naturalmente la crescente ondata rivoluzionaria nella Russia stessa. Questa prospettiva, in quel momento ancora embrionale, sarebbe stata confermata a pieno dopo l’insurrezione di Ottobre dall’estensione dell’ondata rivoluzionaria all’Italia, l’Ungheria, l’Austria e soprattutto la Germania.
L’“anarchismo” di Lenin
I difensori dell’“ortodossia” marxista accusano Lenin di blanquismo e bakuninismo sulla questione dell’attacco al potere e sulla natura della Stato post-rivoluzionario. Di blanquismo perché si suppone sia a favore di un colpo di Stato guidato da una minoranza – o da parte dei soli bolscevichi, o anche da parte degli operai dell’industria senza tener conto della maggioranza contadina. Di bakuninismo perché il rifiuto delle Tesi sulla repubblica parlamentare sarebbe una concessione al pregiudizio anti-politico degli anarchici e degli anarco-sindacalisti.
Nelle Lettere sulla tattica, Lenin difende le sue Tesi dalla prima accusa in questo modo: “Nelle mie tesi mi sono ben premunito contro ogni tentativo di saltare al di sopra del movimento contadino o piccolo-borghese in generale, che non ha ancora esaurito tutte le sue possibilità, contro ogni tentativo di giocare alla “presa del potere” da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista, perché mi sono richiamato espressamente all’esperienza della Comune di Parigi. E quell’esperienza, come è noto e come Marx ha esaurientemente dimostrato nel 1871 e Engels nel 1891, escluse del tutto il blanquismo, garantì il dominio diretto, immediato e incondizionato della maggioranza e l’iniziativa delle masse soltanto nella misura in cui questa massa si afferma in modo cosciente.
Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta per l’influenza all’interno dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati. E, per non lasciare in proposito nemmeno l’ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato due volte la necessità di un lavoro di “spiegazione”, paziente e tenace, che si conformi ai bisogni pratici delle masse”.
Per ritornare alla posizione anarchica sullo Stato, Lenin sottolinea in aprile, come lo farà più estesamente in Stato e Rivoluzione, che i marxisti “ortodossi”, con personalità quali Kautsky e Plekhanov alla loro testa, abbiano sotterrato il vero insegnamento di Marx ed Engels sullo Stato sotto un mucchio di letame parlamentarista. L’esperienza della Comune aveva mostrato che l’obbiettivo del proletariato nella rivoluzione non è impadronirsi del vecchio Stato, ma demolirlo da cima a fondo; questo nuovo strumento del controllo proletario, lo Stato-Comune, prima di tutto non deve essere basato sulla rappresentanza parlamentare, la quale in fin dei conti è una facciata per mascherare la dittatura della borghesia, ma sulla delega diretta e revocabile dal basso, sulle masse armate ed auto organizzate. Con la costituzione dei Soviet, l’esperienza del 1905, e la rivoluzione del 1917 non solo confermano questa prospettiva, ma determinano un passo ulteriore. Mentre la Comune era stata un organismo “popolare” in cui tutte le classi oppresse della società erano ugualmente rappresentate, i Soviet sono una forma superiore perché permettono al proletariato di organizzarsi autonomamente all’interno del generale movimento di massa. I soviet, presi nel loro insieme, costituiscono quindi un nuovo Stato qualitativamente differente dal vecchio Stato borghese, ma uno Stato vero e proprio – e qui Lenin si distingue saggiamente dagli anarchici: “(…) l’anarchismo è la negazione della necessità dello Stato e del potere statale nel periodo di transizione dal dominio della borghesia al dominio del proletariato. Io difendo invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d’accordo con Marx e con l’esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato senza esercito permanente, senza una polizia opposta al popolo, senza una burocrazia posta al di sopra del popolo.
Se il signor Plekhanov, nel suo Edinstvo, grida con tutte le sue forze all’anarchia, non fa che dare prova ancora una volta della sua rottura con il marxismo.” (Lenin, Lettere sulla Tattica).
Il ruolo del partito nella rivoluzione
L’accusa che Lenin stia preparando un golpe blanquista è inseparabile dall’idea che sia in cerca di potere per il suo partito. Questo comincia ad essere il tema centrale della propaganda borghese dopo la rivoluzione di Ottobre che non sarebbe altro che un colpo di Stato guidato dai bolscevichi. Non possiamo qui trattate tutte le varietà e le sfumature di questa tesi. Trotsky fornisce una delle migliori risposte nella sua Storia della Rivoluzione Russa, quando mostra che non è il partito, ma sono i soviet a prendere il potere in Ottobre. Ma uno dei fili conduttori di questa idea è l’argomento secondo il quale la visione di Lenin del partito, come un’organizzazione unita e fortemente centralizzata, porta inesorabilmente al colpo di mano minoritario nel 1917, quindi al terrore rosso ed infine allo stalinismo.
Questa questione rimanda alla scissione iniziale tra i bolscevichi ed i menscevichi, ma non possiamo qui entrare nei dettagli di questo episodio chiave. È sufficiente dire che, da allora, la concezione di Lenin sull’organizzazione rivoluzionaria è stata sempre descritta come giacobina, elitaria, militarista e persino terrorista. Eminenti marxisti, dalla rispettabilità di Rosa Luxemburg e Trostky, sono stati citati a supporto di questa visione. Da parte nostra non neghiamo che la visione di Lenin sulla questione dell’organizzazione, sia in quel periodo che in quelli seguenti, contenga molti errori (per esempio la sua adozione nel 1902 della tesi di Kautsky sulla coscienza di classe proveniente dall’esterno della classe operaia, benché rigettata in seguito da Lenin stesso; alcune sue concezioni sul regime interno al partito, sul rapporto tra il partito e lo Stato, ecc). Ma contrariamente ai menscevichi del tempo, ai numerosi anarchici, socialdemocratici e consiliaristi, noi non facciamo di questi errori il punto di partenza, così come non analizziamo la Comune di Parigi o la Rivoluzione russa insistendo sugli errori fatti– anche quelli fatali. Il vero punto di partenza è che la lotta di Lenin lungo tutta la sua vita per costruire l’organizzazione rivoluzionaria è un’acquisizione storica del movimento operaio che ha lasciato ai rivoluzionari di oggi un base indispensabile per comprendere sia come un’organizzazione rivoluzionaria deve funzionare al suo interno, sia quale deve essere il suo ruolo all’interno dell’insieme della classe.
Rispetto all’ultimo punto, e contro ogni analisi superficiale, la concezione “stretta” dei bolscevichi sull’organizzazione, che Lenin contrappose alla “più larga” concezione menscevica, non era semplicemente il riflesso delle condizioni imposte dalla repressione zarista. Così come gli scioperi di massa e i sollevamenti rivoluzionari del 1905 non erano le ultime eco delle rivoluzioni borghesi del 19° secolo, ma mostravano il prossimo futuro della lotta di classe nella nascente epoca della decadenza del capitalismo, così la concezione bolscevica di un partito formato da rivoluzionari determinati, avente un programma chiaro e che funzionasse in maniera centralizzata, era un’anticipazione del ruolo e della struttura richiesta al partito nelle condizioni della decadenza del capitalismo, epoca della rivoluzione proletaria. Come pretendono molti anti-bolscevichi, può darsi che i menscevichi guardassero all’occidente per il loro modello di organizzazione, ma essi guardavano anche indietro, al vecchio modello socialdemocratico del partito di massa che riunisce la classe e la rappresenta essenzialmente attraverso il processo elettorale. E contro tutte le affermazione secondo le quali i bolscevichi rimangono invischiati nelle condizioni della Russia arcaica, rifacendosi al modello delle associazione cospirative, in realtà essi sono gli unici a guardare avanti, verso un periodo di grande turbolenza rivoluzionaria di massa, che non poteva essere né organizzata, né pianificata, né inquadrata dal partito, ma che rendeva tuttavia ancora più essenziale il ruolo del partito. “In effetti, lasciamo da parte la pedante teoria di uno sciopero dimostrativo messo in scema artificialmente dal Partito ed i sindacati fatti da una minoranza organizzata e consideriamo il quadro di un vero movimento popolare nato dall’esasperazione dei conflitti di classe e dalla situazione politica (…) allora il compito della social democrazia consisterà nella preparazione della direzione tecnica dello sciopero, ma nella direzione politica dell’insieme del movimento” (Sciopero di massa, partito e sindacati). Così scriveva Rosa Luxemburg nella sua magistrale analisi dello sciopero generale e delle nuove condizioni della lotta di classe internazionale. Quindi la Luxemburg, la quale è stata la più feroce critica di Lenin ai tempi della scissione del 1903, converge con gli elementi fondamentali della concezione bolscevica del partito rivoluzionario.
Questi elementi sono esposti con la massima chiarezza nelle Tesi di Aprile che, come abbiamo già visto, rifiutano ogni nozione di “imposizione” della rivoluzione dall’alto: “Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori”. Questo lavoro di “spiegazione paziente, sistematica, perseverante” significava precisamente fornire una guida politica in un periodo rivoluzionario. Non è possibile passare alla fase dell’insurrezione finché le posizioni rivoluzionarie dei bolscevichi non guadagnano i soviet. In effetti, prima che questo accada, le posizioni rivoluzionarie di Lenin devono guadagnare il partito bolscevico, e ciò richiede una lotta dura e senza compromessi sin dall’arrivo di Lenin in Russia.
“Non siamo ciarlatani, dobbiamo basarci solo sulla coscienza delle masse” (secondo discorso di Lenin al suo arrivo a Pietrogrado, citato in Trotsky). Nella fase iniziale della rivoluzione, la classe operaia ha consegnato il potere alla borghesia, e ciò non dovrebbe sorprendere alcun marxista “perché abbiamo sempre saputo, e molte volte detto, che la borghesia si mantiene il potere non solo con la violenza, ma anche grazie all’incoscienza, alla routine, all’abbrutimento, alla mancanza di organizzazione delle masse” (Lettere sulla Tattica). Quindi l’obbiettivo principale dei bolscevichi è contribuire alla coscienza di classe e all’organizzazione delle masse operaie.
Questo ruolo non soddisfa i “vecchi bolscevichi” che hanno piani più “pratici”. Vogliono prendere parte alla “rivoluzione borghese” in atto e vogliono che il partito bolscevico abbia una larga influenza nel movimento così com’è. Secondo le parole di Kamenev, sono terrorizzati al pensiero che il partito possa restare su di un basso profilo, fermo sulle sue posizioni “pure”, ridotto al ruolo di “gruppo di comunisti propagandisti”.
Lenin non ha difficoltà a smontare questo argomento: gli sciovinisti non hanno forse lanciato le stesse questioni agli internazionalisti all’inizio della guerra, secondo le quali loro restavano in contatto con la coscienza delle masse, mentre bolscevichi e spartachisti non erano niente altro che una setta marginale? Deve essere particolarmente irritante ascoltare le stesse cose da compagni bolscevichi. Ma questo non indebolisce la risposta di Lenin: “Il compagno Kamenev oppone il ‘partito di massa’ al ‘gruppo di propagandisti’. Ma proprio oggi le ‘masse’ sono intossicate dal difensismo ‘rivoluzionario’. Non sarebbe allora meglio per gli internazionalisti sapersi opporre in questo momento all’intossicazione ‘di massa’ invece di ‘voler restare’ con le masse, cedendo al contagio generale? Non abbiamo visto gli sciovinisti, in tutti i paesi belligeranti d’Europa, giustificarsi con il desiderio di ‘restare con le masse’? Non è nostro dovere saper rimanere per un certo tempo in minoranza contro l’intossicazione ‘di massa’? E il lavoro di propaganda non è proprio nel momento attuale il fattore più importante per depurare la linea proletaria dall’intossicazione difensivista e piccolo-borghese delle ‘masse’? Proprio la fusione delle masse proletarie e non proletarie, senza distinzione di classe nel loro seno, è stata una delle condizioni dell’epidemia del difensismo. Parlare con disprezzo del ‘gruppo di propagandisti’ della linea proletaria è, forse, poco opportuno”. (Lettere sulla tattica).
Questo approccio, questa volontà ad andare controcorrente ed essere in minoranza difendendo dei principi di classe chiari e precisi, non ha nulla a che fare col purismo e il settarismo. Sono basati invece sulla comprensione del movimento reale che si svolge nella classe, sulla capacità di dar voce e direzione agli elementi più radicali all’interno del proletariato.
Trotsky mostra come, guadagnando il partito alle sue posizioni ed in seguito difendendo la “linea proletaria” all’interno dell’insieme della classe, Lenin cerca l’appoggio di questi elementi: “contro i vecchi bolscevichi Lenin trovò appoggio in un altro strato del partito, già temperato, ma più fresco e più legato alle masse. Nell’insurrezione di febbraio gli operai bolscevichi, come sappiamo, avevano avuto una parte decisiva. Essi ritenevano che andasse da sé che il potere sarebbe stato conquistato dalla classe che aveva riportato la vittoria. Gli stessi operai protestavano con veemenza contro l’orientamento di Kamenev e di Stalin, e il quartiere di Vyborg minacciava persino di espellere i dirigenti dal partito. Nelle province si verificava la stessa cosa. C’erano quasi dovunque bolscevichi di sinistra che venivano accusati di massimalismo e persino di anarchismo. Agli operai rivoluzionari mancavano solo le risorse teoriche per sostenere le loro posizioni. Ma erano pronti a rispondere al primo chiaro appello. Lenin si orientava verso questo strato di operai, che si erano definitivamente imposti durante l’ascesa degli anni 1912-1914.” (Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, cap. 16°).
Anche questo è un’espressione della conoscenza di Lenin del metodo marxista che, andando al di là delle apparenze, può discernere la reale dinamica di un movimento sociale. Al contrario, negli anni venti, quando lo stesso Lenin torna sulla questione se “rimanere con le masse” in modo da giustificare il Fronte Unito e la fusione coi partiti centristi, si ha un sintomo del fatto che il partito sta perdendo la sua comprensione del metodo marxista e scivola nell’opportunismo. Ma questo a sua volta è il risultato dell’isolamento della rivoluzione e della fusione tra bolscevichi e Soviet. Nella grande ondata rivoluzionaria in Russia, il Lenin delle Tesi di Aprile non è né un profeta isolato né un demiurgo sovrapposto alle masse volgari, ma la chiara voce della tendenza più rivoluzionaria all’interno del proletariato; una voce che indica, con precisione e chiarezza, il cammino che porta alla rivoluzione di Ottobre.
Amos, primavera 1997
1. Lenin, Lettere sulla tattica, 8-13 aprile 1917. La citazione è di Mefistofele nel Faust di Goethe.