La Corte Penale Internazionale, quel baluardo della moralità borghese e dei «diritti umani», una delle tante chimere dell'ideologia borghese, ha emesso il suo verdetto contro uno dei signori della guerra del conflitto che devasta il Sudan, Ali Kushayb, una figura sinistra a capo delle milizie janjawid filogovernative.
È accusato di «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità».
Un esame penale accompagnato da un’indagine per determinare se fosse stato commesso un genocidio in Darfur nel 2003, anno in cui almeno 300.000 persone sono morte.
Per la popolazione sudanese, queste vicende legali non cambiano la sofferenza, che sta solo aumentando. Il verdetto è stato emesso in un momento in cui la «peggior crisi umanitaria al mondo», che ha già causato la morte di quasi 150.000 persone1 dal 15 aprile 2023 e sfollati tra i 12 e i 14 milioni di persone, sta infuriando ancora nella stessa regione. Oltre al massacro dei civili, ci sono state carestie e un’epidemia di colera (dall’estate del 2024).
La carneficina e una tale situazione illustrano solo il vuoto della «giustizia» borghese e del «diritto internazionale» che ancora oggi appare come un inganno che c’è sempre stato e sempre ci sarà.
Il mondo ha assistito contemporaneamente allo spettacolo ripugnante della pulizia etnica a Gaza e ai massacri di persone innocenti, incluse donne e bambini. Una follia militarista che continua anche in altre regioni del mondo. Questo è particolarmente vero in Ucraina, dove una pioggia di ferro e fuoco sta devastando numerose città, inclusa la capitale Kiev, particolarmente presa di mira e tormentata. L’uso massiccio di ondate di droni e missili fa piombare molte località, compreso l’est del paese già occupato, in un terrore quotidiano spaventoso.
A Gaza, nonostante il cessate il fuoco del 10 ottobre, con l’egida dell’«autorità americana» e che Trump e i suoi simili accolgono con favore, i bombardamenti continuano e la «tregua» ha registrato 275 morti e più di 600 feriti (rapporto del 19 novembre). Le sofferenze del popolo di Gaza riempiono la propaganda multiforme della borghesia mondiale, ma quelle della popolazione sudanese sono in gran parte relegate sullo sfondo. Probabilmente la ragione principale di questa «guerra dimenticata» è che non è abbastanza utilizzabile ideologicamente, affinché l’indignazione per i massacri possa essere manipolata per creare un impulso nazionalista in una direzione o nell’altra.
Lo sprofondamento nel caos
Dall’inizio degli scontri violenti del 15 aprile 2023, tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), una milizia paramilitare, le due parti sono state coinvolte in una terribile guerra civile, con il supporto di milizie armate provenienti da tutto il Sudan e da diversi altri paesi che, spudoratamente, stanno gettando benzina sul fuoco. Il Sudan è ora lacerato da un conflitto multiforme al di fuori del controllo delle due principali forze armate. Il paese ci offre un esempio di follia irrazionale in cui le alleanze, da tutte le parti, nascondono contraddizioni intrinseche fin dalla loro origine e mutano secondo gli interessi o le circostanze immediate dei protagonisti.
In questo sanguinoso conflitto, non c’è una vera linea del fronte e i civili sono intrappolati nel fuoco incrociato.
I due principali campi e le numerose milizie informali compiono attacchi indiscriminati contro infrastrutture civili, inclusi gli ospedali2, contro i civili in aree densamente popolate come i campi profughi e fanno ampio uso della violenza sessuale. Le RSF, in particolare, strumentalizzano il conflitto per intensificare la pulizia etnica, prendendo di mira le comunità non arabe. Un episodio di violenza estrema in questa guerra civile si è verificato lo scorso aprile, quando le RSF hanno perpetrato un massacro «genocida» durato 72 ore nel campo profughi di Zamzam. I 500.000 abitanti (per lo più donne e bambini) erano indifesi e circa 1.500 di loro furono uccisi in uno dei più sanguinosi «crimini di guerra» commessi in questo conflitto. Alla fine di ottobre, l'assedio della città di El Fasher portò a un nuovo massacro: furono prese di mira le moschee, nonchè i volontari della Croce Rossa e i civili, indiscriminatamente (oltre 2000 morti).
Va aggiunta la carestia, che sta infuriando sempre di più contro la popolazione. Si è diffusa in 10 regioni del paese e altre 17 sono minacciate. Quasi un milione di persone si trova di fronte a questa piaga. Ad esempio, a causa della mancanza di cibo sano, i residenti sono costretti a preparare il porridge (pappa di farina o di avena) con ingredienti normalmente destinati al mangime animale. La guerra rappresenta un grande ostacolo per la consegna degli aiuti dove sono più necessari. La fame viene persino provocata deliberatamente, diventando essa stessa un'arma di guerra (come anche a Gaza). Il Sudan è una manifestazione chiara della dinamica della decomposizione capitalista: «pericolose linee di faglia imperialiste si sono aperte e continuano ad aprirsi in tutto il mondo, il militarismo essendo la principale via di sfogo per lo Stato capitalista». Lo scoppio della guerra civile «esprime la profonda tendenza centrifuga verso un caos irrazionale e militaristico»3 nel mondo di oggi. Mostra il futuro che questo sistema riserva a tutti noi. Tuttavia, questo futuro non è solo una discesa diretta nel caos; è una dinamica folle che le borghesie di tutte le nazioni stanno accelerando cercando di sfruttarle per i propri fini avidi, in una corsa sfrenata senza via d’uscita. I contorni di queste politiche stanno diventando più chiari. Vaste aree di caos e violenza confinano con fortezze di confine e centri di detenzione. Dal Sudan e dal Sahel a Gaza, dalla Libia a El Salvador, da Calais/Dover al confine USA-Messico, questo futuro di distruzione e disgregazione cresce ogni giorno.
Segna il volto del futuro che ci riserva il capitalismo.
Una posta in gioco delle rivalità imperialiste
L'Africa è oggetto di importanti interessi per innumerevoli potenze imperialiste nel mondo che cercano di conquistare una posizione favorevole. Oltre agli Stati Uniti e alla Cina, paesi con enormi interessi commerciali e geopolitici in Africa, come Turchia, Russia, Giappone, Brasile e India sono presenti in forme diverse, militare, commerciale o puramente diplomatica. Il crescente caos, segnato dal collasso sociale, ambientale ed economico di intere regioni, è visto da molti altri paesi come un'opportunità per interferire nel teatro africano. Questa moderna corsa verso l'Africa è accompagnata più che mai da violenze organizzate, perpetrate dalle milizie più spietate e brutali.
In Sudan, sono principalmente gli Stati del Golfo a «trarre profitto» dalla destabilizzazione del paese e dal caos che si sta sviluppando. Il conflitto ha spinto diverse potenze imperialiste della regione a sostenere una delle parti in guerra. Arabia Saudita, Turchia ed Egitto sostengono le SAF (le cosiddette forze governative «legittime») contro gli Emirati Arabi Uniti, che stanno sostenendo sempre più apertamente le RSF. Ma anche altri predatori imperialisti stanno alimentando il caos nel paese. Non solo gli interessi di Arabia Saudita, Emirati, Egizi e Turchia, ma anche Qatariani, Russi, Ucraini e Iraniani si stanno intersecando e sovrapponendo, trasformando il conflitto in una situazione estremamente esplosiva.
L’intero Sahel fa sempre più parte di quello che alcuni giornali borghesi hanno descritto come un «ecosistema» di conflitti4. È sempre più parte di una tendenza generale verso la balcanizzazione, che in ultima analisi è un aspetto della più ampia tendenza all’«ognuno per sé» nella società capitalista. Così, una delle conseguenze della guerra in Sudan è la sua estensione attraverso la proliferazione di piccoli conflitti armati, che attraversano i confini porosi del Sudan, portando a un peggioramento della situazione in gran parte del Sahel, tendendo a trasformarsi in una pozza regionale di sangue. Il Darfur non è l'unica destinazione per le RSF. Gli aeroporti in Libia e Ciad sono già utilizzati per fornirle armi. Il leader delle RSF, Dagalo, ha radici in Ciad e ha manifestato la sua aspirazione ad espandere la sua influenza in tutto il Sahel.
La borghesia è abbastanza arrogante da credere di poter controllare questa discesa all'inferno. Certo, questa è stata una strategia adottata finora in molti aspetti da varie potenze imperialiste; Tuttavia, questa padronanza è e rimarrà sempre una chimera. Non domina, e non potrà mai controllare, tutte le manifestazioni barbare del proprio sistema sociale! Questo è ciò che bisogna ricordare quando si analizzano le strategie imperialiste del nostro tempo. Nonostante i suoi tentativi di sfruttare il caos a proprio vantaggio e di instaurare forme di controllo sempre più brutali per contenerlo, la borghesia sta in realtà scavando la propria fossa.
La situazione catastrofica in Sudan viene solitamente presentata come una «crisi umanitaria». Ma il conflitto e le sue conseguenze disastrose non possono essere risolti con l'intervento di enti di beneficenza o di paesi «responsabili». Il vero problema è la guerra interna tra i vari gangster, usata dalle nazioni imperialiste della regione per aumentare la loro influenza sul continente africano. E per molti, il loro interesse principale non è un Sudan unificato; un Sudan diviso, ai loro occhi, dovrebbe offrire maggiori opportunità per affermarsi nel paese.
La soluzione della classe operaia
La guerra nella fase di decomposizione rappresenta un pericolo importante per i lavoratori di tutto il mondo. Rischiano di essere inghiottiti da un mare di fenomeni putridi e quindi perdere la capacità di agire nella storia come classe. È proprio per questo che dobbiamo riaffermare che la nostra forza risiede nella solidarietà internazionalista. Dobbiamo resistere al tentativo del capitalismo di dividerci in «cittadini», ospitati in gabbie più o meno confortevoli, e "paria", consegnati agli idoli della distruzione militarista.
Il risultato positivo di tale resistenza non sarà raggiunto attraverso inviti idealistici di fratellanza e unità, ma solo attraverso la pratica della lotta internazionale della classe operaia contro la classe dominante, ovunque ci troviamo. Le frazioni della classe proletaria che vivono in regioni del globo non immerse nelle profondità della barbarie che è davanti a noi devono combattere con ancora più determinazione in vista del momento in cui tutte le lotte dei lavoratori del mondo potranno essere unificate. Ovunque, però, il nemico è lo stesso e ovunque, la posta in gioco finale è la stessa: il rovesciamento del capitalismo o la distruzione dell’umanità.
(Tratto da World Revolution, 21 novembre 2025)
1 Il bilancio delle vittime è difficile da stimare a causa della generale disorganizzazione del sistema sanitario e della mancanza di ospedali e dati. Un inviato statunitense in Sudan stima il numero di circa 150.000 perdite, mentre altre stime sono molto più basse (circa 60.000).
2 Tra aprile 2023 e ottobre 2024sono stati registrati almeno 119 attacchi a strutture sanitarie, ma il numero reale è probabilmente molto più alto. Nelle zone di conflitto, oltre l’80% degli ospedali è fuori uso.
3 Vedi: «Soudan 2023 : une illustration frappante de la décomposition du capitalisme», CCIonline.
4 Un conflitto che non è isolato, ma il risultato di molteplici interazioni.