Più di ogni altra, la pace imposta da Donald Trump a Gaza merita il nome di "pace del cimitero". Dopo due anni di conflitto e blocchi, dopo 68.000 morti, la maggior parte dei quali civili, tra cui 20.000 bambini, dopo la distruzione di case, ospedali e scuole, i due milioni di abitanti di Gaza sopravvissuti sono esausti, 50.000 bambini sono a rischio di malnutrizione acuta e hanno bisogno di cure immediate. Si tratta di un cessate il fuoco molto precario, poiché i conflitti di interessi imperialisti in Medio Oriente sono esplosivi.
Questi conflitti di interesse tra le grandi potenze, tra le potenze regionali, tra le diverse fazioni borghesi all'interno di ogni paese, gli scontri tra clan e bande armate, contraddiranno rapidamente le promesse di una "alba storica di un nuovo Medio Oriente" fatte dal magniloquente Trump. Fino ad oggi, la tregua è stata violata e il ciclo infernale dei massacri è ripreso. Il valico di Rafah, al confine con l'Egitto, viene nuovamente bloccato, impedendo l'arrivo dei tanto attesi aiuti alimentari e sanitari.
Nell'attuale periodo storico, in cui tutti i fenomeni della decadenza capitalistica sono spinti all'estremo, in cui il militarismo e la morte sono in agguato ovunque, questo massacro non poteva che trasformarsi in genocidio. Ogni palestinese è stato giudicato colpevole e quindi meritava la morte. "Non esiste un palestinese innocente" è stata la litania dell'opinione pubblica israeliana, plasmata come sempre e come ovunque dai media agli ordini del governo. Tutti gli eventi che sono seguiti hanno preso la forma di uno sfogo cieco, irrazionale, barbaro, dall'attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre 2023, alla risposta apocalittica di Israele, che ha dimostrato di non avere nessuna preoccupazione per la sopravvivenza degli ostaggi, fino alle umiliazioni e torture inflitte agli ostaggi nei sotterranei di Gaza e ai palestinesi nelle carceri israeliane.
Questa situazione ha provocato ovunque disgusto, indignazione e talvolta anche riflessione sulla natura del capitalismo e sul futuro che ci promette. Queste reazioni di empatia e rabbia sono certamente presenti negli scioperi scoppiati in Italia il 19 settembre, seguiti dalla prima grande mobilitazione il 22 settembre e dal successivo sciopero del 3 ottobre. Questo sciopero ha interessato molti settori del pubblico e del privato e ha portato a gigantesche manifestazioni in più di 80 città italiane. Un milione di persone hanno marciato per le strade contro il massacro in corso a Gaza.
Tuttavia, l'indignazione e la rabbia, che possono essere elementi della coscienza di classe, non devono essere confuse con essa. Il proletariato oggi non ha ancora avuto il tempo di sviluppare sufficientemente la sua coscienza dalla ripresa della combattività nel 2022. Il peso del riflusso subito dopo il crollo del blocco imperialista russo e dell'assordante campagna democratica scatenata dopo il 1989 pesa ancora e ostacola la maturazione della sua coscienza e il ripristino della sua identità di classe.
Quando facciamo un passo indietro e guardiamo i fatti più da vicino, vediamo che lo "sciopero generale" lanciato dai sindacati di base (USB, Adl Cobas, Cobas, Cub e Sgb) e dalla CGIL non ha rivolto sostegno e solidarietà ai lavoratori palestinesi e alla popolazione sfruttata, vittime di questo genocidio, ma alla Palestina, vale a dire, a uno dei campi di questa guerra imperialista tra Israele e Hamas. Nonostante la crisi economica e i conflitti imperialisti che la stanno colpendo duramente, la borghesia internazionale ha ancora la forza di deviare le reazioni spontanee del suo nemico di classe, finalizzate a voler fare almeno qualcosa contro la barbarie che sta avvenendo a Gaza, sul terreno del nazionalismo, dello sciovinismo e del pacifismo, vale a dire, imprigionarle nelle reti dell'ideologia borghese. Questo è il significato delle tante bandiere palestinesi presenti nelle manifestazioni nelle città italiane e degli slogan come "Palestina libera". La borghesia e le sue appendici di sinistra e di estrema sinistra hanno chiesto al proletariato di scegliere uno dei due campi opposti.
Naturalmente, questa guerra riguarda il proletariato nel suo insieme, perché esso è il depositario della solidarietà internazionale di classe che sarà costretto a sviluppare nelle sue lotte per forgiare la sua unità. È anche la principale vittima della guerra imperialista, al fronte come carne da cannone sacrificata in nome del profitto capitalistico, nelle retrovie come forza lavoro supersfruttata per far fronte alla domanda esponenziale di armi. Infine, è l'unica forza sociale in grado di opporre la propria alternativa alla prospettiva borghese, quella della moltiplicazione delle guerre imperialiste che minacciano persino la scomparsa dell'umanità nel vortice della crisi, del caos e della barbarie attuali.
Ricordiamoci che è stata la rivoluzione proletaria in Russia e in Germania a costringere la borghesia a porre fine alla prima guerra mondiale. Va ricordato che nel bel mezzo della controrivoluzione, gli operai di Amsterdam, trascinando dietro di sé la popolazione in una dozzina di città dei Paesi Bassi, scesero in sciopero nel febbraio 1941 per ostacolare i rastrellamenti degli ebrei da parte dei nazisti. Eravamo davvero nel bel mezzo di una controrivoluzione, ma prima che arrivasse il bulldozer della seconda guerra mondiale a schiacciare tutto, la classe operaia olandese aveva conservato la memoria delle lotte rivoluzionarie che erano iniziate in Russia nel 1917. Oggi non siamo più nella controrivoluzione, ma il proletariato è ancora troppo debole per contrastare la forza ideologica e la propaganda di massa della classe dominante.
La classe operaia rimane comunque capace di reagire, di mobilitarsi di fronte agli attacchi economici alle sue condizioni di lavoro e di vita, come ha dimostrato a livello internazionale dal 2022, è persino in grado di comprendere, soprattutto per le sue minoranze più consapevoli e combattive, il legame tra riarmo, bilanci militari e politiche di austerità.
Ma oggi è più difficile una reazione di classe di fronte alla guerra, i cui massacri e il terrore le riflettono l'immagine della propria impotenza. L’orrore provoca la paralisi, mentre maoisti, trotskisti e anarchismo ufficiale lodano la resistenza palestinese o i battaglioni femminili della resistenza curda. Che si tratti di uno Stato ufficiale o di uno Stato potenziale, come in Palestina e in Kurdistan, la guerra imperialista contrappone le fazioni borghesi che cercano di mobilitare l'intera popolazione, e in particolare la classe operaia, nello sforzo bellico. Rispetto alla classe dirigente israeliana, Hamas non è molto meglio, dal momento che sostiene di essere l'islamismo radicale che vediamo all'opera in Afghanistan o in Iran. Non appena l'esercito israeliano si è parzialmente ritirato, Hamas ha ripreso le sue parate militari e ha giustiziato sulla pubblica piazza circa trecento "traditori" che avrebbero collaborato con Israele.
Come dice Engels ne L'origine della famiglia, la proprietà privata e lo Stato, l'esistenza delle classi è la fonte della dinamica che porta alla formazione di uno Stato che è sempre nelle mani della classe dominante e mira a proteggere le condizioni di sfruttamento, e questa è la situazione in Palestina. La classe operaia non ha alcun interesse in questa guerra e i suoi interessi divergono da quelli della classe borghese palestinese, che si tratti di Hamas, dell'Autorità Palestinese, di Fatah o di qualsiasi altra organizzazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Durante le prime manifestazioni operaie contro la prima guerra mondiale, Lenin spiegò che il pacifismo proclamato dalle larghe masse del proletariato nel 1915 e nel 1916 era, naturalmente, una debolezza, ma che la dinamica stava allora portando il proletariato verso la rivoluzione. Oggi non ci troviamo in una situazione del genere. Ecco perché è importante che i rivoluzionari spieghino pazientemente ai lavoratori che il pacifismo è una trappola, così come è il sostegno del “diritto internazionale” o la difesa della democrazia contro le fazioni borghesi populiste. Difendere il diritto all'autodeterminazione nazionale significa che il proletariato si scava la fossa da solo. Al contrario, l'internazionalismo, il rifiuto di scegliere tra i due campi imperialisti, è l'antidoto che gli permetterà di costituirsi come classe e di essere in grado di abbattere il capitalismo che, attraverso ogni guerra, prende ogni giorno la sua libbra di carne dalla grande massa del proletariato.
Anton Pannekoek scriveva il 19 giugno 1915 sul De Tribune, l'organo del Sociaal-Democratische Partij in Olanda: "È solo nell'ambito della lotta generale contro il capitalismo che la lotta contro il militarismo può dare risultati". In effetti, la pace è impossibile sotto il capitalismo e gli eventi a Gaza lo stanno già confermando. Allo stesso modo, la mistificazione dell'emancipazione nazionale è già costata cara ai proletari palestinesi, ed esprime oggi le difficoltà che il proletariato in Italia deve affrontare.
YR, 20 ottobre 2025