All’inizio di luglio è venuto a mancare il compagno Rosario, un convinto simpatizzante e sostenitore della CCI.
Rosario era un proletario che da giovane fu spinto all’impegno politico dalle lotte operaie che a partire dal Maggio 1968 in Francia e dall’Autunno caldo 1969 in Italia segnarono la ripresa storica della lotta di classe dopo il lungo periodo di controrivoluzione che aveva seguito la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria degli anni 1917-1923.
Come molti giovani di allora, privi di esperienza ma spinti dalla volontà di battersi per il comunismo, Rosario finì nelle grinfie di Lotta Continua, uno dei tanti gruppi falsamente rivoluzionari che si svilupparono allora. Ma, a differenza dei capi di questa organizzazione che con il riflusso del movimento di classe finirono per rientrare nei ranghi della politica ufficiale o ad occupare posti importanti nel giornalismo, Rosario non si rassegnò al riflusso, né si ritirò a vita privata. Piuttosto Rosario continuò la sua ricerca di una risposta di classe alle contraddizioni del capitalismo e di una visione coerente della prospettiva rivoluzionaria. Fu così che venne in contatto con le posizioni della Sinistra Comunista e in particolare della CCI; la coerenza di queste posizioni, le risposte che in esse trovava alle questioni che si era posto per anni, spinsero Rosario ad avvicinarsi alla CCI, fino a condividerne completamente le posizioni, dopo un lungo percorso di discussioni.
Anche se Rosario non fu mai un militante della nostra organizzazione, non smise mai di sostenerla, fino a quando le sue forze glielo permisero. Il suo contributo era veramente di un compagno che aveva capito l’importanza di sostenere l’organizzazione, e lo faceva su tutti i piani e al massimo delle sue possibilità e capacità.
Sempre attivo sul proprio posto di lavoro, Rosario non smetteva mai di discutere con i suoi compagni di lavoro dei problemi della lotta di classe, e per spingere all’approfondimento, diffondeva tra loro la stampa della CCI, e li invitava a partecipare alle riunioni pubbliche della CCI, facendo così conoscere l’organizzazione a nuovi elementi che sono poi divenuti frequentatori delle nostre riunioni pubbliche e nostri simpatizzanti.
Il suo sostegno alla CCI era pratico e politico: dall’attacchinaggio dei manifesti che annunciavano le riunioni pubbliche della CCI, alla diffusione della stampa durante le manifestazioni, Rosario non faceva mancare la sua disponibilità.
Ma era soprattutto nelle discussioni che si svolgevano nelle riunioni pubbliche che Rosario dimostrava la sua adesione convinta e profonda alle posizioni rivoluzionarie. I suoi interventi erano sempre chiari, argomentati, esempio di cosa vuol dire discutere per convincere, per arrivare a una chiarezza superiore, vero obiettivo di un dibattito proletario. Nelle discussioni non era mai passivo, ma affrontava le analisi e le posizioni dell’organizzazione con spirito critico e in maniera attiva, ponendo domande per approfondire le varie questioni in discussione. Questo spirito critico lo mostrava anche nei confronti di altri partecipanti alle nostre riunioni pubbliche, rispondendo con argomenti a posizioni errate formulate da altri compagni nella riunione.
Di tanto in tanto inviava anche dei contributi scritti che a volte abbiamo anche pubblicato per il loro interesse generale. In particolare ricordiamo delle prese di posizione molto chiare in difesa dell’organizzazione contro degli attacchi da elementi denigratori che lui identificava, come noi, in quanto parassiti della sinistra comunista. Il suo ultimo contributo è stato un lungo testo sulla questione della decomposizione del capitalismo, che Rosario scrisse e ci inviò per chiedere di “verificare se ho capito bene la questione”: sì, l’aveva capita e questo testo dimostra ancora una volta che le posizioni che egli difendeva non erano frutto di improvvisazione, di un atteggiamento superficiale, ma risultato di una riflessione profonda.
Purtroppo la malattia che alla fine lo ha stroncato gli ha procurato vari problemi, tanto che ad un certo punto ha perso anche la facoltà di parlare e, per comunicare, gli rimaneva solo la possibilità di scrivere. Ma questo non lo ha fermato ed ha continuato a partecipare alla vita politica e alle nostre riunioni pubbliche, facendo gli ultimi interventi orali con il filo di voce che gli era rimasto e più tardi scrivendoli e facendoli leggere da altri compagni e una volta anche dalla sua compagna.
Il suo atteggiamento militante si evidenziava anche nel sostenere l’organizzazione a livello finanziario con importanti contributi. Il compagno aveva infatti capito che la questione economica è un aspetto cruciale per permettere all’organizzazione dei rivoluzionari di portare avanti la sua attività di lotta contro la società borghese.
Insomma, Rosario era uno di quegli esponenti della classe che, come diceva Lenin, pur senza appartenere al partito, gli sono di sostegno, un sostegno indispensabile nei momenti decisivi della lotta.
Rosario era anche stimato da chi lo conosceva per la sua disponibilità umana: se qualcuno aveva bisogno di un aiuto Rosario non aspettava che glielo si chiedesse e si offriva spontaneamente. Il senso di solidarietà, che è una caratteristica fondamentale della classe operaia, gli apparteneva pienamente.
Rosario mancherà molto alla sua compagna e ai suoi due figli, a cui va tutta la nostra solidarietà, e mancherà a noi come compagno di lotta non solo per le sue qualità politiche, ma anche per la sua umanità. Una lotta che continueremo anche in suo nome e nel suo ricordo. Ciao, Rosario.
CCI, 9 agosto 2025
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Una lettera della famiglia sul nostro ricordo di Rosario:
Pubblichiamo qui di seguito la lettera che ci ha inviato la figlia di Rosario, MP. Questa lettera, come si potrà constatare, ha un carattere molto intimo e personale. È l’ultimo saluto che una figlia dà al proprio padre scomparso. Tuttavia abbiamo deciso di pubblicarla non solo perché ce lo ha chiesto MP, ma anche perché dalla lettera traspare tutta la sofferenza e le difficoltà che attraversano la vita di un proletario. Infatti lavorare per una società diversa non è un’attività come un’altra, ma una lotta che dura tutta una vita, una sfida continua che bisogna affrontare e vincere ogni giorno che passa. E Rosario questa lotta l’ha vinta decisamente.
“Un uomo che sapeva essere tanti uomini, mio padre. È stato la persona che ricordate, ma anche tante altre. Un sognatore, un idealista? Si incazzerebbe come sapeva fare lui, se mi sentisse, perché il suo orgoglio gli avrebbe impedito di ascoltarmi davvero. La concezione materialistica della storia, il marxismo, il suo legame con la CCI, il suo impegno quotidiano, di anni e anni, i suoi studi ininterrotti in quest’ambito erano una sorta di fede incrollabile - lui che non credeva nell’aldilà -, forse il suo modo per dare un senso alla sua vita, che tante volte, troppe credo, lo ha visto infelice. Era irascibile. Era arrabbiato mio padre. E la rabbia è l’altra faccia della paura. La vita era per lui una battaglia costante contro i suoi demoni: i sentimenti, i legami, quelli più intensi, non sapeva maneggiarli, non sapeva nominarli. Preferiva dribblarli abilmente usando gli strumenti della logica, della ragione che erano per lui arma contro l’insicurezza, la conflittualità, le contraddizioni profonde dell’animo umano. Lo angosciavano la precarietà dell’esistenza, il dolore, la malattia, la morte, ma, in fondo, credo, a terrorizzarlo era la vita. Si difendeva con il distacco dalle emozioni, le sue e quelle altrui. A volte appariva un uomo capace di un enorme cinismo, quasi senza cuore. Lo aveva, invece. Troppe cose, in fondo, tradivano la sua estrema sensibilità e chi più ha bisogno di amore, troppo spesso, lo dimostra nel peggiore dei modi. Amava la natura, gli animali, l’arte, i vecchi film, la storia, le canzoni dei suoi vent’anni. Era un artigiano che sapeva lavorare con le mani. Le sue mani. Le sue mani tornite sembravano quelle di uno scultore intento a forgiare la materia e darle forma, vita. Lavorava con passione e preferiva le persone semplici e profonde, ‘serie’ diceva lui…Sapeva sorridere e il suo sguardo diventava, per brevi attimi, quello di un bambino. E ti incantava. Ti incantava vederlo esprimere con passione, intensità, forza, entusiasmo le idee in cui credeva. Quel fuoco e quell’energia vitale, che d’un tratto sembrava animarlo, sapevano contagiarti. Il senso che dava al mondo, leggendolo da marxista, diventava una bussola per non smarrirsi, e anche tu ritrovavi un significato nell’altrimenti inspiegabile spaventosa disumanità del nostro tempo. E ti sentivi meno sola perché sentivi il tuo battito e il tuo respiro andare allo stesso ritmo di un’umanità passata presente e futura in cui riconoscerti, singola cellula di un grande immenso organismo che vive resiste combatte. Più spesso risprofondava nel buco nero di sé stesso e per non smarrirsi del tutto diventava ostile, torvo, inaccessibile. Era un uomo che potevi odiare e amare, amare come si ama un amore impossibile. Poi era bello, come una statua classica. Capisco perché mia madre se ne sia innamorata alla follia. Alla fine, quando il suo corpo martoriato dalla malattia lo aveva reso inerme, solo alla fine, quando passavamo ore ad abbracciarci, io stesa accanto a lui, ho ritrovato il padre che mi è sempre mancato e ho ritrovato me stessa, sua figlia. Ho letto il suo ultimo scritto, quello che voi citate. Inizia così: “Cari compagni, prima di decidermi ad inviarvi questo testo sulla decomposizione, sono stato per qualche tempo, per niente breve, ostaggio della sua importante complessità.” Un passaggio mi ha colpito particolarmente:
“Ma l’imperialismo, in questa sua nuova veste alquanto malconcia, caotica e soprattutto folle, e per questo non meno pericoloso, è incalzato sempre più dalle sue contraddizioni insolvibili. In particolare da una coperta economica che, diventando sempre più corta e sempre più imputridita da un indebitamento abnorme, ha trasformato ogni sua componente borghese in una ferocissima belva che, tormentata da una iper-bulimica famelicità, non perde occasione di azzannarla da ogni parte possibile riducendola ogni volta in ulteriori brandelli. Inoltre, eventuali e ipocriti tentativi di ricucirne qualche pezzo, dettati da effimeri vantaggi imperialisti, non fanno che predisporla ad ulteriori lacerazioni”.
Queste parole, scritte diversi mesi prima che la sua malattia si aggravasse, sembrano descrivere, profeticamente, lo scempio che una belva ferocissima ha fatto del suo corpo, azzannandolo e tormentandolo, riducendolo in brandelli, lacerandolo fino a fargli desiderare la morte. L’ho accompagnato a morire e, ora che non c’è più, è con me come non lo è mai stato. È diventato coscienza e la coscienza è come un grande immenso organismo che vive, resiste, combatte. Sono sicura che avrebbe apprezzato molto le vostre parole e di questo vi ringrazio. Spero invece che possiate perdonare il tono certamente molto personale delle mie.
Un caro saluto a tutti, M.P.”