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26° Congresso della CCI: Risoluzione sulla situazione internazionale (maggio 2025)

Briciole di pane

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Preambolo della risoluzione sulla situazione internazionale

Questa risoluzione è stata adottata all’inizio di maggio 2025 dal 26° Congresso della CCI. In quanto tale, può prendere in considerazione solo eventi e situazioni precedenti a tale data. Questo è ovviamente il caso per qualsiasi posizione assunta sulla situazione internazionale, ma in questo è particolarmente importante evidenziarlo perché stiamo assistendo a una rapida successione di eventi particolarmente spettacolari e imprevedibili, di grande importanza a tre livelli principali: le tensioni imperialiste, la situazione economica del capitalismo mondiale e i rapporti di forza tra proletariato e borghesia. A causa dello “tsunami” che sta attualmente colpendo il mondo, il contenuto e alcune delle posizioni assunte in questa risoluzione possono sembrare obsoleti al momento della loro pubblicazione. Pertanto, al di là dei fatti ivi menzionati, che possono essere superati dai nuovi sviluppi della situazione, è importante che si fornisca un quadro per comprendere le cause, il significato e la posta in gioco degli eventi che si svolgono sotto i nostri occhi.

Uno dei fattori principali degli sconvolgimenti in atto è ovviamente l'insediamento di Donald Trump il 20 gennaio 2025, che ha portato a uno spettacolare divorzio tra gli Stati Uniti e quasi tutti i paesi europei membri della NATO. Tutti gli “esperti” e i leader borghesi concordano sul fatto che la nuova politica internazionale della borghesia americana, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Ucraina, è un evento importante che segna la fine dell’“Alleanza Atlantica” e dell’“ombrello americano”, costringendo gli ex “protetti di Washington” a riorganizzare la loro strategia militare e a lanciarsi in una frenetica corsa agli armamenti. L’altra grande decisione dell’amministrazione Trump è ovviamente lo scatenamento di una guerra commerciale di un’intensità che non si vedeva da quasi un secolo. Molto rapidamente, soprattutto con l’ondata di panico che ha travolto i mercati azionari e gli ambienti finanziari, Trump è stato costretto a fare parzialmente marcia indietro, ma le sue decisioni brutali e contraddittorie non possono non avere un impatto sul deterioramento della situazione economica del capitalismo mondiale. Queste due decisioni fondamentali dell’amministrazione Trump sono state un fattore molto importante nell’evoluzione caotica della situazione mondiale. Ma queste decisioni devono anche e soprattutto essere intese come manifestazioni di un certo numero di profonde tendenze storiche attualmente in atto nella società mondiale. Anche prima del crollo del blocco orientale e dell'Unione Sovietica (1989-1991), la CCI aveva avanzato l’analisi secondo cui il capitalismo era entrato in una nuova fase della sua decadenza, “la fase finale (...) dove la decomposizione diventa un fattore decisivo, se non il fattore decisivo, nell’evoluzione della società”. E gli eventi caotici degli ultimi mesi non fanno che confermare questa realtà. L’elezione di Trump, con le sue conseguenze catastrofiche per la stessa borghesia americana, è l’esempio stesso della crescente incapacità della borghesia di controllare la propria politica, come avevamo previsto 35 anni fa. Allo stesso modo, il divorzio tra gli Stati Uniti e i loro ex alleati della NATO conferma un altro aspetto della nostra analisi della decomposizione: la grande difficoltà nel periodo attuale, se non l’impossibilità, di formare nuovi blocchi imperialisti come precondizione per una nuova guerra mondiale. Infine, un altro aspetto che abbiamo evidenziato, soprattutto a partire dal nostro 22° Congresso del 2017 – l’impatto crescente del caos che si sta impossessando sempre più della sfera politica della borghesia sulla sua sfera economica – ha trovato ulteriore conferma negli sconvolgimenti economici provocati dalle decisioni del populista Trump.

È quindi nel quadro della nostra analisi della decomposizione che questa risoluzione tenta di approfondire le questioni dell’attuale periodo storico. E quest’analisi deve necessariamente tener conto delle conseguenze per la lotta della classe operaia degli eventi caotici che si stanno verificando a livello mondiale.

Risoluzione sulla situazione internazionale al 26° Congresso della CCI

1.”...Proprio come il capitalismo ha diversi periodi nel suo corso storico – nascita, ascesa, decadenza – ognuno di questi periodi contiene anche un certo numero di fasi distinte e diverse. Ad esempio, il periodo di ascesa comprende le fasi successive del libero mercato, della società per azioni, del monopolio, del capitale finanziario, delle conquiste coloniali e dell'instaurazione del mercato mondiale. Allo stesso modo, anche il periodo della decadenza ha la sua storia: imperialismo, guerre mondiali, capitalismo di Stato, crisi permanente e, oggi, decomposizione. Si tratta di diverse manifestazioni successive della vita del capitalismo, ognuna delle quali permette di caratterizzarne una particolare fase...” (TESI: Decomposizione, fase finale della decadenza capitalistica[1]). Lo stesso vale per la fase di decomposizione stessa, che ha segnato una tappa qualitativa nello sviluppo della decadenza; questa fase è nel suo quarto decennio e dall'inizio degli anni 2020, con l’esplosione della pandemia Covid e lo scoppio di guerre cruente in Ucraina e Medio Oriente, ha raggiunto un livello di accelerazione che segna una nuova significativa fase, in cui tutte le sue varie manifestazioni interagiscono e si intensificano a vicenda in quello che abbiamo chiamato effetto “vortice”.

2. Questa valutazione è stata pienamente confermata dal 25° Congresso della CCI: la crisi economica, la guerra imperialista, il collasso ecologico e la crescente perdita di controllo dell'apparato politico della borghesia si combinano e si esacerbano a vicenda, portando con sé l’evidente minaccia della distruzione dell’umanità. Questa “policrisi” è già riconosciuta da alcune delle più importanti istituzioni della classe dominante, come abbiamo mostrato nel rapporto sulla decomposizione adottato dal 25° Congresso della CCI, ma queste sono impotenti a proporre soluzioni. Invece, gli elementi più irrazionali della classe dominante, sono in aumento, il che è stato chiaramente espresso dalla vittoria di Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Trump è un evidente prodotto della decomposizione del sistema, ma la “tempesta di merda” delle misure prese subito dopo il suo arrivo al potere dimostra anche che l’ascesa al governo da parte di una fazione populista guidata da un avventuriero narcisista nel paese più potente del pianeta, sarà un fattore attivo nell’accelerazione della decomposizione e nella perdita complessiva del controllo della borghesia sul proprio sistema.

3. La competizione e la guerra imperialista sono al centro di questo vortice mortale. Ma, contrariamente alle argomentazioni della maggioranza dei gruppi nell’ambiente politico proletario, l’effetto vorticoso non porta a una marcia disciplinata verso nuovi blocchi e una terza guerra mondiale. Al contrario, rafforza la tendenza all’“ognuno per sé”, che si è generata con il crollo del blocco imperialista russo e l’ingresso definitivo nel periodo di decomposizione all’inizio degli anni ‘90. Come abbiamo previsto in diversi testi fondamentali scritti all’epoca, la fine del blocco orientale ha portato allo sgretolamento del blocco dominato dagli Stati Uniti, nonostante i vari sforzi dell’imperialismo statunitense per imporre la sua autorità ai suoi ex alleati. E abbiamo insistito sul fatto che questo nuovo disordine mondiale avrebbe preso la forma di guerre estese, irrisolvibili e sempre più distruttive, che non sono meno pericolose di una traiettoria verso la guerra mondiale, proprio a causa dell’assenza di qualsiasi disciplina di blocco. Gli ultimi passi compiuti dagli Stati Uniti sotto Trump incarnano una nuova fase nel caos crescente che domina le rivalità imperialiste nella fase di decomposizione. E mentre il disordine globale scatenato dal crollo del blocco russo nel 1989-1991 era incentrato sull’indebolimento del potere economico e militare, il fatto che il “nuovo disordine” abbia come epicentro la prima potenza mondiale fa presagire un tuffo ancora più profondo nel caos nel prossimo periodo.

4. L’asse centrale del conflitto imperialista mondiale rimane l’antagonismo tra Stati Uniti e Cina. A questo livello, c’è un forte elemento di continuità con le amministrazioni Obama e Biden, che vedono la Cina come il principale rivale al dominio degli Stati Uniti. Questo spostamento del centro degli antagonismi imperialisti dall’Europa occidentale, come avvenne durante la Guerra Fredda, alla regione del Pacifico, è un fattore importante nella spinta di Trump a ridurre la “difesa dell'Europa” a un ruolo molto più modesto nella strategia degli Stati Uniti. In generale, la politica di contenimento della Cina circondandola con alleanze regionali e imponendo limiti alla sua espansione economica continuerà, anche se i mezzi tattici e pratici possono differire. Tuttavia, l’imprevedibilità dell’approccio di Trump potrebbe portare a fluttuazioni significative, che vanno dai tentativi di placare Pechino alle azioni apertamente provocatorie intorno a Taiwan. In generale, proprio questa imprevedibilità sarà un ulteriore fattore di destabilizzazione delle relazioni internazionali.

5. Al contrario, le politiche di Trump nei confronti dell’Ucraina rappresentano una vera e propria rottura con le politiche estere “tradizionali” degli Stati Uniti, basate su una vigorosa opposizione all’imperialismo russo. Il tentativo di raggiungere un accordo con la Russia sulla guerra in Ucraina, che esclude Europa e Ucraina, accompagnato dall’umiliazione pubblica di Zelensky alla Casa Bianca, segna un nuovo importante livello nella divisione tra gli Stati Uniti e le maggiori potenze europee, mostrando quanto siamo lontani dalla formazione di un nuovo “blocco occidentale”. Questo divorzio non è un evento puramente contingente, ma ha radici molto più profonde. Il conflitto diretto tra gli Stati Uniti e l’Europa si è già manifestato nella guerra in Jugoslavia nei primi anni ‘90, con la Francia e la Gran Bretagna che sostenevano la Serbia, la Germania sosteneva la Croazia e gli Stati Uniti la Bosnia. Oggi, il culmine di questo processo che nel 2003 ha visto anche potenze europee come Francia e Germania rifiutarsi di seguire gli Stati Uniti nell'invasione dell’Iraq, l’America è sempre più percepita come un nuovo nemico, simboleggiato dal voto degli Stati Uniti insieme a Bielorussia, Corea del Nord e Russia contro una risoluzione dell’ONU del 24 febbraio che condannava l’invasione russa e dalle aperte minacce di convertire il Canada, la Groenlandia e Panama in proprietà degli Stati Uniti, con la forza militare se necessario. Come minimo, gli Stati Uniti sono percepiti come un alleato inaffidabile, costringendo le potenze europee a incontrarsi in una serie di conferenze di emergenza per riflettere sul come garantire la loro “difesa” imperialista senza l’ombrello militare statunitense. Tuttavia, le reali divisioni tra queste potenze – ad esempio tra governi guidati da partiti populisti o di estrema destra che propendono per la Russia e soprattutto tra Francia e Germania nel cuore stesso dell’Unione Europea – non dovrebbero essere sottovalutate come un ulteriore ostacolo alla formazione di un’alleanza europea stabile. E l’attuale regime degli Stati Uniti farà certamente tutto il possibile per aumentare le divisioni tra i paesi dell’UE, che Trump ha esplicitamente attaccato come una formazione che è stata creata per “fregare gli Stati Uniti”.

 6. Allo stesso tempo, ancora in netta discontinuità con l’approccio della precedente amministrazione statunitense e delle maggiori potenze europee, che sostenevano una “soluzione a due Stati” al conflitto in Israele/Palestina, il regime di Trump sostiene apertamente le politiche annessioniste del governo di destra israeliano rimuovendo le sanzioni contro le azioni violente dei coloni della Cisgiordania, nominando Mike Huckabee – che dichiara che “Giudea e Samaria” sono state date a Israele da Dio 3.000 anni fa – come ambasciatore degli Stati Uniti in Israele e soprattutto chiedendo la pulizia etnica di quasi due milioni di palestinesi di Gaza, trasformando così l’intera regione in un paradiso per la speculazione immobiliare. Queste politiche, nonostante la loro forte dose di fantasia, possono solo perpetuare e intensificare i conflitti che si stanno già intensificando e diffondendo in tutto il Medio Oriente, in particolare nello Yemen, in Libano ed in Siria, dove la guerra interna è ben lungi dall’essere finita, nonostante la sostituzione del regime di Assad e dove Israele ha effettuato raid aerei più letali, generalmente percepiti come un avvertimento per la Turchia. In particolare, l’assegno in bianco che Trump ha consegnato al governo Netanyahu contiene anche la probabilità di ulteriori scontri diretti tra Israele e Iran.

7. Nel frattempo, altri conflitti imperialisti si stanno già preparando o si stanno aggravando, soprattutto in Africa, dove il Congo, la Libia e il Sudan sono diventati veri e propri teatri di massacri e carestie. L’Africa è un altro esempio di conflitti locali alimentati da una sconcertante varietà di stati regionali (come il Ruanda o il Congo) e grandi attori imperialisti (Stati Uniti, Francia, Cina, Russia, Turchia, ecc.) che possono essere alleati in un conflitto e nemici in un altro.

Anche se la caccia alle materie prime vitali è un aspetto chiave di molti di questi conflitti, la caratteristica principale di tutte queste guerre è che portano sempre meno benefici economici o strategici a tutti i loro protagonisti. Soprattutto, non indicano una soluzione alla crisi economica mondiale attraverso la svalutazione del capitale o la ricostruzione di economie in rovina, come sostengono molti gruppi dell'ambiente politico proletario. La visione economista di questi gruppi semplicemente ignora la vera direzione del capitalismo nelle sue fasi finali – che è verso la distruzione dell’umanità e non verso una nuova fase del ciclo di accumulazione.

8. La crescente interazione tra la crisi economica e le rivalità imperialiste, così come gli effetti della decomposizione sullo stato dell’economia mondiale, sono chiaramente illustrati dalla valanga di dazi decretati dal regime di Trump. Questa “dichiarazione di guerra” alle economie del resto del mondo, che prende di mira i vicini più stretti e gli ex alleati, così come i nemici dichiarati, può essere vista come un tentativo da parte degli Stati Uniti di dimostrare il loro potere di gigante imperialista in grado di andare avanti da soli senza dover rispondere a nessun altro stato o organismo internazionale. Ma si basa anche su una “strategia” economica che concepisce che gli Stati Uniti possano prosperare meglio minando o rovinando tutti i loro rivali economici. Questo è un approccio puramente suicida che si ritorcerà immediatamente contro l’economia e i consumatori degli Stati Uniti causando prezzi più alti, carenze, chiusure di impianti e licenziamenti. E, naturalmente, un grave collasso negli Stati Uniti non potrà non avere ripercussioni a livello globale. In particolare, un certo numero di economisti ha avvertito del pericolo di un default degli Stati Uniti sul suo enorme debito nazionale, la maggior parte del quale è “di proprietà” del Giappone e del suo principale avversario, la Cina. È ovvio che un default degli Stati Uniti non solo causerebbe danni incalcolabili all’economia mondiale, ma inevitabilmente si riverserebbe nella sfera della rivalità imperialista tra Stati Uniti e Cina. Tutto ciò dimostra che la politica “America First” del regime di Trump è in totale contraddizione con il carattere “globalizzato” dell’economia mondiale in cui gli stessi Stati Uniti sono stati la forza più attiva, soprattutto dopo il crollo del blocco orientale all'inizio degli anni ’90. In più segna anche un ritorno alle misure protezionistiche che le borghesie più potenti hanno in gran parte abbandonato, da quando hanno dimostrato il loro totale fallimento come mezzo per affrontare la crisi economica globale negli anni '30. L’attuale tentativo degli Stati Uniti di smantellare gli ultimi resti politici e militari dell’ordine mondiale imperialista instaurato nel 1945 è accompagnato da misure che minacciano chiaramente tutte le istituzioni globali messe in atto, in seguito alla Grande Depressione ed alla Seconda Guerra Mondiale, per regolare il commercio mondiale e contenere la crisi di sovrapproduzione.

9. Non stupisce quindi che i mercati azionari di tutto il mondo abbiano reagito ai dazi di Trump con crescente panico, mentre molti “esperti” economici hanno previsto una recessione globale, feroci guerre commerciali (che stanno già prendendo forma, soprattutto tra Stati Uniti e Cina), un'inflazione galoppante e persino un “inverno nucleare economico”[2]. Queste reazioni hanno costretto Trump a fare marcia indietro su alcune delle sue minacce economiche, ma non è chiaro se ci si possa ancora fidare della nuova amministrazione americana come garante della stabilità economica, anzi. I timori espressi dai “mercati” sono fondati, ma i rivoluzionari devono anche chiarire che, se da un lato costituiscono certamente un fattore di aggravamento della crisi economica, dall’altro non ne sono la causa ultima. La malattia di fondo dell’economia mondiale deve essere attribuita alla crisi mondiale della sovrapproduzione, che è stata intrinsecamente permanente dal 1914 e il cui punto estremo oggi è anche il prodotto del suo aggravamento storico. Molto prima dell’annuncio dei dazi di Trump, le principali economie del mondo, tra cui Germania e Cina, così come gli Stati Uniti, stavano già sprofondando in una crisi economica, che ha portato alla chiusura di fabbriche nei principali settori industriali, livelli di debito ingestibili, aumento dei prezzi in molti paesi, aumento della disoccupazione giovanile, ecc. La fine del “miracolo economico” cinese è particolarmente significativa perché, a differenza della situazione creata dal crollo finanziario del 2008, la Cina non sarà più in grado di svolgere il ruolo di “locomotiva mondiale”.

10. La crisi mondiale della sovrapproduzione, come aveva predetto Rosa Luxemburg, è il risultato della diminuzione della zona “esterna” in cui il capitalismo può espandersi. Queste aree dell’economia pre-capitalistica erano ancora considerevoli quando Rosa Luxemburg presentò la sua tesi e offrono ancora possibilità nella fase della “globalizzazione”, soprattutto attraverso lo sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici in Cina e in altre economie dell'Estremo Oriente. Ma oggi, anche se i capitalisti continuano a affamare le restanti zone economiche pre-capitaliste, specialmente in India e in Africa, sarà sempre più difficile sfruttarle a causa dell’accelerazione della decomposizione attraverso guerre locali e distruzione ecologica. Nell’impasse storica del sistema intervengono anche altri elementi «sovrastrutturali»:

(a) L’enorme peso del debito globale, una droga di sovrapproduzione che può solo avvelenare il paziente e che, come nel 2008, minaccia costantemente di esplodere sotto forma di massiccia instabilità finanziaria. E, come già osservato dalla CCI negli anni ‘80, stiamo assistendo all’ascesa di una “economia da casinò”, che prende la forma di una speculazione sfrenata ed esprime un divario crescente tra valore reale e capitale fittizio. Un esempio lampante è la diffusione di bitcoin e di altre “criptovalute” simili, progettate per sfuggire al controllo centralizzato e quindi fungere da ulteriore fattore potenzialmente destabilizzante per l’economia globale.

b) L’impatto crescente dei disastri ambientali, che implicano un “costo di produzione” sempre più elevato.

c) La crescita esponenziale del problema dei rifugiati, spesso il prodotto della guerra e della catastrofe ecologica e che pone la borghesia di fronte a un problema insolubile, perché se da un lato non può permettersi di integrare questa massa di migranti in un’economia in difficoltà, dall’altro non può permettersi di perdere questa fonte di manodopera a basso costo, constatando che una politica di deportazioni forzate come l’amministrazione di Trump ha ora messo in moto costerà miliardi per realizzarla.

d) Soprattutto, con l’intensificarsi della tendenza alla guerra, l’economia mondiale è sempre più costretta a sopportare l’enorme peso dell'impatto crescente del militarismo, che a volte può dare l’illusione di una “crescita economica” ma che, come la Sinistra Comunista di Francia aveva già sottolineato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta una perdita totale per il capitale globale. E la stessa guerra aperta ha un impatto diretto sull’economia globale, come dimostra l’aumento dei costi di spedizione derivante dagli attacchi diretti alle navi nel Mar Nero e nel Mar Rosso.

Il risultato inevitabile dell’aggravarsi della crisi e in particolare dello sviluppo di un’economia di guerra, saranno attacchi senza precedenti alle condizioni di vita del proletariato e delle masse impoverite. La borghesia dei paesi europei sta già parlando apertamente della necessità di ridurre ulteriormente la protezione sociale per finanziare la “spesa per la difesa”.

11. Riguardo alla crisi ecologica, i cicli incessanti delle conferenze internazionali non hanno avvicinato il mondo ai suoi impegni per ridurre le emissioni di carbonio, al contrario: l’obiettivo di 1,5 gradi per limitare l’aumento delle temperature è già stato dichiarato morto da un certo numero di climatologi. Anno dopo anno, una solida ricerca scientifica fornisce chiari indicatori che la crisi climatica è già qui: ogni anno viene dichiarato “il più caldo mai registrato”, lo scioglimento delle calotte polari raggiunge nuovi livelli davvero allarmanti, stanno scomparendo sempre più specie vegetali e animali, come gli insetti essenziali per la catena alimentare e il processo di impollinazione. Inoltre, la crisi non si sta manifestando solo nei paesi della “periferia” ma si sovrappone alla crisi globale dei rifugiati, poiché sempre più regioni del pianeta sono rese inabitabili dalla siccità o dalle inondazioni. Ora si sta spostando dalle periferie ai centri, come dimostrano gli incendi in California e le inondazioni in Germania e Spagna. La negazione di Trump dell’esistenza stessa della crisi climatica è stata immediatamente inserita nel lavoro della nuova amministrazione: il termine stesso cambiamento climatico viene rimosso dai documenti governativi e i finanziamenti per la ricerca sul problema vengono drasticamente ridotti; le restrizioni sulle emissioni e i progetti di estrazione di combustibili fossili vengono rimossi sotto la bandiera di “trivella, baby, trivella”; gli Stati Uniti si ritirano dagli accordi internazionali sul clima. Tutto questo darà un nuovo slancio globale alla visione del mondo negazionista, elemento centrale dei partiti populisti che stanno nascendo ovunque. Lo stesso vale per il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e la nomina di Robert Kennedy, un convinto antivaccinista, a capo del Dipartimento della Salute degli Stati Uniti, mentre affrontiamo la minaccia di nuove pandemie (come l’influenza aviaria). Queste pandemie sono un altro prodotto della rottura del rapporto tra uomo e natura che il capitalismo ha spinto al suo parossismo nella storia. Queste misure stanno nascondendo la testa sotto la sabbia e non faranno che aumentare il pericolo. Ma l’atteggiamento suicida dei populisti nei confronti della crescente crisi ecologica è fondamentalmente solo un riflesso della totale impotenza di tutte le fazioni della classe dominante di fronte alla distruzione della natura, dal momento che nessuna di esse può esistere senza un impegno per una “crescita” infinita (cioè l’accumulazione a tutti i costi), anche quando sostengono che non c’è contraddizione tra la crescita capitalista e le politiche verdi. Né la borghesia come classe può trovare soluzioni veramente globali alla crisi ecologica, le uniche che hanno senso; nessuna fazione della classe dominante può trascendere il quadro nazionale, né può chiedere la fine dell’accumulazione del capitale. Pertanto, l’avanzare della crisi ecologica può solo accelerare la tendenza verso conflitti militari caotici, con ogni nazione che cerca di salvare ciò che può di fronte alla diminuzione delle risorse e all’aumento dei disastri. È vero anche il contrario: la guerra, come è già stato verificato nei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, è essa stessa un fattore crescente di catastrofe ecologica, sia attraverso le enormi emissioni di carbonio necessarie per produrre e mantenere l’equipaggiamento militare, sia attraverso l’avvelenamento dell'aria e del suolo attraverso l’uso di armi sempre più distruttive che, in molti casi, sono una tattica deliberata per indebolire le riserve alimentari del nemico o altre risorse. Nel frattempo, la minaccia di una catastrofe nucleare – attraverso la distruzione delle centrali nucleari o l’uso effettivo di armi nucleari tattiche – è ancora sospesa sullo sfondo. L’interazione tra la guerra e la crisi ecologica è un altro chiaro esempio dell'effetto vortice.

12. Il ritorno di Trump è una classica espressione del fallimento politico delle fazioni della classe dominante che hanno una comprensione più lucida delle esigenze del capitale nazionale; rappresenta una chiara espressione di una più generale perdita di controllo politico da parte della borghesia americana, ma è anche una tendenza globale ed è particolarmente significativo che l’ondata populista stia avendo un impatto in altri paesi centrali del capitalismo: abbiamo visto l'ascesa dell'AfD in Germania, del RN di Le Pen in Francia e di Reform nel Regno Unito. Il populismo è l’espressione di una fazione della borghesia, ma le sue politiche incoerenti e contraddittorie esprimono un crescente nichilismo e irrazionalità che non servono gli interessi generali del capitale nazionale. Il caso della Gran Bretagna, che è stata guidata da una delle borghesie più intelligenti ed esperte e che si è data la zappa sui piedi con la Brexit, ne è un chiaro esempio. La politica interna ed estera di Trump non sarà meno dannosa per il capitalismo americano: a livello di politica estera, alimentando i conflitti con i suoi ex alleati mentre corteggia i suoi nemici tradizionali, ma anche a livello interno, per l’impatto del suo “programma” economico autodistruttivo. Soprattutto, la campagna di vendetta contro lo “Stato profondo” e le “élite liberali”, il prendere di mira i gruppi minoritari e la “guerra alle donne” provocheranno scontri tra fazioni della classe dominante che potrebbero assumere un carattere estremamente violento in un paese in cui un'enorme percentuale della popolazione possiede armi; l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 impallidirebbe al confronto. E possiamo già vedere, a livello embrionale, l’inizio di una reazione di una parte della borghesia che ha più da perdere dalle politiche di Trump (per esempio, lo stato della California, l’Università di Harvard, ecc.). Tali conflitti minacciano di trascinare verso il basso la popolazione nel suo insieme e rappresentano un pericolo estremo per la classe operaia, per i suoi sforzi di difendere i suoi interessi di classe e di forgiare la sua unità contro tutte le divisioni inflittele dalla disgregazione della società borghese. Le recenti manifestazioni “Giù le mani” organizzate dall’ala sinistra del Partito Democratico sono un chiaro esempio di questo pericolo, dal momento che sono riuscite a incanalare alcuni settori e richieste della classe operaia in una difesa globale della democrazia contro la dittatura di Trump e dei suoi sodali. Ancora una volta, se questi conflitti interni possono essere particolarmente acuti negli Stati Uniti, sono anche il prodotto di un processo molto più ampio. Il capitalismo decadente si è a lungo affidato all’apparato statale per evitare che tali antagonismi lacerino la società e nella fase di decomposizione, lo stato capitalista è anche costretto a ricorrere alle misure più dittatoriali per mantenere il suo dominio. Ma allo stesso tempo, quando lo stesso apparato statale è lacerato da violenti conflitti interni, c’è una forte spinta verso una situazione in cui “il centro non può reggere, la mera anarchia si scatena nel mondo”, come ha detto il poeta W.B. Yeats. Gli “Stati falliti” che vediamo più chiaramente in Medio Oriente, in Africa o nei Caraibi sono un’immagine di ciò che si sta già preparando nei centri più sviluppati del sistema. Ad Haiti, ad esempio, la macchina statale ufficiale è sempre più impotente di fronte alla concorrenza delle bande criminali e in alcune parti dell’Africa, la competizione tra bande ha raggiunto il parossismo della “guerra civile”. Ma negli stessi Stati Uniti, l’attuale dominio dello Stato da parte del clan Trump assomiglia sempre più al dominio di una mafia, con la sua aperta adesione ai metodi del ricatto e delle minacce.

13. L’irrazionalità espressa dal populismo è alla base l'espressione dell’irrazionalità di un sistema che ha da tempo superato la sua utilità per l’umanità. È quindi inevitabile che l’intera società borghese in decomposizione sia sempre più attanagliata da una piaga della malattia mentale che spesso si esprime in violenza omicida. La diffusione delle atrocità terroristiche dalle principali zone di guerra alle capitali occidentali è stato uno dei primi segni dell’avvento della fase di decomposizione, ma l’accoppiamento dell’attività terroristica con le ideologie più irrazionali è diventato sempre più evidente man mano che questa fase avanzava e accelerava. Così, le ideologie che più spesso ispirano gli atti terroristici, siano essi perpetrati da islamisti radicali o neonazisti, sono semplicemente l’espressione concentrata di credenze molto più diffuse, comprese le credenze in tutti i tipi di teorie del complotto e un’apocalisse imminente, che offrono un’immagine pericolosamente distorta di come funziona effettivamente il capitalismo e del suo reale scivolamento nell’abisso. È anche caratteristico che alcuni degli atti di uccisione più recenti – come l’uso di automobili come armi nelle città della Germania o gli orribili omicidi di bambini a Southport che hanno scatenato le rivolte razziste dell’estate del 2024 in Gran Bretagna – siano stati più o meno staccati da qualsiasi organizzazione terroristica reale e persino da qualsiasi ideologia giustificativa ed esprimano gli impulsi suicidi di individui profondamente disturbati. Altrove, questi impulsi assumono la forma di un aumento della violenza contro le donne, le minoranze sessuali e i bambini. È ovvio che la classe operaia non è immune da questo flagello e che esso va direttamente contro le esigenze della lotta di classe: la necessità di solidarietà e unità e di un pensiero coerente che possa portare a una vera comprensione del funzionamento del capitalismo e della sua evoluzione.

14. La strada che porta al caos e al collasso è quindi sempre più chiara. Ma ce n’è un’altra, quella della lotta di classe, come testimonia la “rottura” dal 2022, che non è un fuoco di paglia, ma ha una profondità storica basata sul fatto che il proletariato nei principali centri del capitalismo non ha subito una sconfitta decisiva e sull’esistenza di un lungo processo di maturazione sotterranea della coscienza che, anzi, continua anche ad assumere una forma molto più evidente, come dimostra l’esempio del Belgio. Negli Stati Uniti, le politiche di Trump porteranno a un rapido aumento dell’inflazione, minando in particolare le promesse ai lavoratori; ed il tentativo di tagliare i posti di lavoro nel governo sta già dando origine a un’embrionale resistenza di classe. In Europa, la richiesta della borghesia di sacrificarsi in nome del rilancio della macchina da guerra incontrerà certamente una seria resistenza da parte di una classe operaia imbattuta. I movimenti di classe che caratterizzano la rottura riaffermano la centralità della crisi economica come principale stimolo della lotta di classe. Ma allo stesso tempo, la proliferazione della guerra e l’aumento dei costi dell’economia di guerra, specialmente nei principali paesi d’Europa, saranno un fattore importante nella futura politicizzazione della lotta, in cui la classe operaia sarà in grado di stabilire un chiaro legame tra i sacrifici richiesti dall’economia di guerra e i crescenti attacchi ai suoi livelli di vita, integrando finalmente tutte le altre minacce che derivano dalla decomposizione, in una lotta contro il sistema nel suo insieme.

15. Nonostante la profondità della nuova fase della lotta di classe, è essenziale non concepire il suo sviluppo come parallelo e indipendente dal percorso del caos e della distruzione. Il pericolo reale che la classe operaia sia sempre più disorientata dagli effetti dell’atomizzazione sociale, della crescente irrazionalità e del nichilismo ne è la prova più evidente. Sarà difficile per essa evitare di essere coinvolta nella rabbia viscerale e nella frustrazione di una popolazione che reagisce ai disastri, alla repressione, alla corruzione, all’insicurezza sociale e alla violenza, come abbiamo visto nelle recenti proteste e rivolte negli Stati Uniti, in Serbia, in Turchia, in Israele e altrove. La classe dominante è perfettamente in grado di utilizzare gli effetti della decomposizione del proprio sistema contro la classe operaia: sfruttamento delle divisioni “culturali” (wokismo contro anti-wokismo, ecc.); lotte parziali che reagiscono all’aggravarsi dell’oppressione e della discriminazione contro alcuni strati della società; campagne anti-immigrazione, ecc. Particolarmente pericolose sono le nuove campagne di “resistenza democratica” contro il “pericolo del fascismo, dell’autoritarismo e delle oligarchie”, il cui scopo è quello di deviare la rabbia contro un sistema in decomposizione verso Trump, Musk, Le Pen e il resto dei populisti e dell’estrema destra, che sono solo l’espressione caricaturale della putrefazione del capitalismo. Anche l’ala destra della borghesia può fare i suoi appelli per la democrazia di fronte alle macchinazioni dello “Stato profondo”, uno dei temi preferiti di Trump che ora risuona in Francia dopo la decisione della corte di vietare a Le Pen di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. Ma la “difesa della democrazia” è la specialità della sinistra e dell’estrema sinistra dell’apparato politico. Inoltre, in previsione dello sviluppo della lotta di classe, l’estrema sinistra e i sindacati hanno radicalizzato il loro linguaggio e il loro atteggiamento: vediamo i trotzkisti e gli anarchici ufficiali sventolare la bandiera del falso internazionalismo di fronte alle guerre in Ucraina e a Gaza e talvolta la sinistra ha assunto la direzione dei sindacati, come è accaduto nelle lotte in Gran Bretagna. Assisteremo anche negli anni a venire, a un rinnovamento del loro linguaggio e della loro attività, volti ad incanalare il potenziale di maturazione della coscienza proletaria, che passa necessariamente attraverso un processo ineguale di avanzamenti e arretramenti, su un terreno borghese che non può che portare alla sconfitta e alla demoralizzazione.

16. La rottura con la passività degli ultimi decenni stimola anche il processo di riflessione su scala internazionale tra i diversi strati della classe, particolarmente evidente nell’emergere di minoranze alla ricerca di chiarezza politica. È in questo settore che la capacità della classe operaia di porre domande più ampie sul futuro di questo sistema si evidenzia con più chiarezza, specialmente intorno alla questione della guerra e dell’internazionalismo. Tuttavia, la possibilità di queste minoranze di evolversi verso posizioni rivoluzionarie rimane fragile, a causa di una serie di pericoli:

  • La radicalizzazione di un certo numero di tendenze di sinistra, in particolare i trotzkisti.
  • L’influenza del parassitismo come forza distruttiva volta a costruire un cordone sanitario contro la sinistra comunista, che sembra agire “dall'interno” e si nutre dell'atmosfera di decomposizione.
  • L’influenza persistente dell’opportunismo nell’ambiente politico proletario reale, che deforma il ruolo dell’organizzazione e apre la strada alla tolleranza della penetrazione di ideologie estranee al proletariato.

L’attività rivoluzionaria non ha senso senza la lotta per la costruzione di un’organizzazione politica capace di lottare contro l’ideologia dominante in tutte le sue forme. Il futuro richiede l’elaborazione di un’analisi lucida dell’evoluzione della situazione internazionale, la capacità di anticipare quelli che saranno i pericoli centrali che il proletariato dovrà affrontare, ma anche di riconoscere lo sviluppo reale della lotta e della coscienza di classe, soprattutto quando quest'ultima si evolve in modo ampiamente “sotterraneo” e sfugge a chi si ferma alle apparenze immediate.

Le organizzazioni rivoluzionarie devono fungere da polo di attrazione per gli elementi in ricerca e da faro di chiarezza programmatica e organizzativa, sulla base delle conquiste storiche della Sinistra Comunista. Devono capire che il lavoro di costruzione di un ponte verso il futuro partito mondiale è una battaglia che sarà condotta per un lungo periodo di tempo e che richiederà una lotta persistente contro l’impatto della decomposizione capitalistica nelle sue stesse file attraverso concessioni al democratismo, al localismo, all’ognuno per sé, ecc. La persistenza di un profondo opportunismo e settarismo all’interno dell'ambiente proletario sottolinea la responsabilità unica della CCI nello sforzo di preparare le condizioni per l’emergere del partito della rivoluzione comunista.

CCI (10 /05/2025)

[1] Tesi sulle decomposizione  Rivista Internazionale n.14

[2] “Il miliardario che sostiene Trump ci avverte di un inverno nucleare economico a causa dei dazi”. BBC News online, 7 aprile 2025

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