Inviato da RivoluzioneInte... il

Il contesto di un proletariato imbattuto
Nella prima parte di questo articolo, il nostro obiettivo è stato quello di mostrare che l'attuale rinascita della lotta di classe, la “svolta” o “rottura” rispetto a decenni di arretramento, non è solo una risposta al drammatico aggravarsi della crisi economica mondiale, ma ha radici più profonde nel processo che chiamiamo “maturazione sotterranea della coscienza”, un processo seminascosto di riflessione, discussione, disillusione nei confronti delle false promesse, il quale emerge in superficie in alcuni momenti chiave. Il secondo elemento a sostegno dell'idea che stiamo assistendo a una profonda evoluzione del proletariato mondiale è l'idea – la quale, così come la nozione di maturazione sotterranea, è più o meno esclusiva della CCI - che i principali comparti della classe operaia non abbiano sofferto di una sconfitta storica paragonabile a quella subita con il fallimento dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23. E questo nonostante le crescenti difficoltà poste alla classe nella fase terminale della decadenza capitalista, la fase della decomposizione.
Il nostro rifiuto di quello che è senza dubbio un asse portante dell'ideologia dominante - secondo cui l’idea che la classe operaia possa offrire un'alternativa storica al capitalismo sia totalmente obsoleta e screditata - si basa sul metodo marxista, e in particolare sul metodo sviluppato dalla Sinistra Comunista Italiana e Francese durante gli anni Trenta e Quaranta. Nel 1933, l'anno in cui il nazismo salì al potere in Germania, la Sinistra Italiana in esilio iniziò a pubblicare la rivista Bilan - così chiamata perché capì che il suo compito centrale era quello di fare un serio “bilancio” della sconfitta dell'ondata rivoluzionaria e della vittoria della controrivoluzione. Ciò significava mettere in discussione i presupposti errati che avevano portato alla degenerazione opportunista dei partiti comunisti e sviluppare le basi programmatiche e organizzative per i nuovi partiti che sarebbero sorti in una situazione prerivoluzionaria. Il compito immediato era quindi quello di una frazione, in opposizione alla corrente che gravitava intorno a Trotzki che guardava continuamente alla formazione di una nuova Internazionale sulle stesse basi opportuniste che avevano portato alla scomparsa della Terza Internazionale. Una parte della sfida di sviluppare il programma del futuro sulle basi delle lezioni del passato, consisteva nel non tradire i principi internazionalisti fondamentali di fronte alle enormi pressioni della controrivoluzione, che ora aveva mano libera per far marciare la classe operaia verso una nuova guerra mondiale. Ciò condusse al rifiuto di schierarsi con l'ala “antifascista” della classe dominante nella guerra civile spagnola (1936-39) e permise di respingere gli appelli a sostenere le “nazioni oppresse” nei conflitti imperialisti in Cina, Etiopia e altrove; conflitti che, come la guerra civile spagnola, erano tappe di avanzamento verso la nuova guerra mondiale.
La Sinistra Comunista Italiana non era immune alla pressione dell'ideologia dominante: verso la fine degli anni '30, fu preda della teoria revisionista dell'economia di guerra, la quale sosteneva che i conflitti che stavano di fatto ponendo le basi per una nuova spartizione imperialista fossero invece volti a prevenire il pericolo di un nuovo focolaio rivoluzionario. Questa falsa tesi portò al totale disorientamento della maggioranza della Frazione Italiana di fronte allo scoppio effettivo della guerra imperialista; inoltre verso la fine della guerra, senza alcuna seria analisi della situazione del proletariato come classe mondiale, la rinascita dei movimenti di classe in Italia portò ad una frettolosa proclamazione di un nuovo partito solo in Italia (il Partito Comunista Internazionalista), ed esso nasceva su una base profondamente opportunista che riuniva elementi molto eterogenei senza un accurato processo di chiarificazione programmatica.
Di fronte a questo scivolamento nell'opportunismo, i compagni che formeranno la Gauche Communiste de France riuscirono a capire che la controrivoluzione era ancora in piedi, soprattutto dopo che la borghesia aveva dimostrato la sua capacità di schiacciare le sacche di resistenza proletaria apparse alla fine della guerra; e così la GCF criticò severamente gli errori opportunistici del PCInt (ambiguità sulle formazioni partigiane in Italia, partecipazione alle elezioni borghesi, ecc.) Per la CGF, la questione se il proletariato stesse ancora soffrendo per una profonda sconfitta o se stesse recuperando la propria autonomia di classe con lotte massicce, era un elemento decisivo per interpretare il proprio ruolo.
La fine della controrivoluzione
La “tradizione” della CGF - che si sciolse nel 1952, lo stesso anno in cui il PCInt si divise nelle sue ali “bordighista” e “damenista” - fu ripresa dal gruppo Internacionalismo in Venezuela, animato da Mark Chirik, che aveva combattuto contro il revisionismo nella Frazione Italiana ed era stato membro fondatore della CGF. Già nel 1967, percependo i primi segnali di un ritorno della crisi economica aperta e di un certo numero di lotte operaie in vari paesi, Internacionalismo prevedeva un nuovo periodo di lotte di classe: la fine della controrivoluzione e l'apertura di un nuovo corso storico[[1]]. La previsione fu presto confermata dagli eventi del maggio-giugno 1968 in Francia, seguiti da tutta una serie di imponenti movimenti di classe in tutto il mondo: movimenti che dimostrarono la tendenza a rompere con i consolidati organi di controllo ai danni della classe (partiti di sinistra e sindacati), rivelarono una precisa dimensione politica che alimentò l'apparizione di una nuova generazione di giovani in cerca di posizioni di classe e mostrò il potenziale per il raggruppamento di forze rivoluzionarie su scala internazionale.
Questa rottura con la controrivoluzione non fu un semplice fuoco di paglia. Essa ha creato una situazione storica che non è stata cancellata, anche se ha attraversato varie fasi e molte difficoltà. Tra il 1968 e il 1989 abbiamo assistito a tre grandi ondate internazionali di lotta di classe in cui sono stati compiuti alcuni progressi significativi a livello di comprensione dei metodi di lotta, illustrati in particolare dagli scioperi di massa in Polonia nel 1980, che hanno dato vita a forme indipendenti di organizzazione di classe in un intero Paese. L'impatto di questi movimenti non si è fatto sentire solo attraverso lotte aperte e di massa, ma anche attraverso l'aumento del peso del proletariato nel rapporto di forza tra le classi all’interno della società. A differenza degli anni Trenta, l’equilibrio di forze tra le classi negli anni Ottanta ha fatto da barriera ai preparativi per una terza guerra mondiale, che era stata rimessa all'ordine del giorno dal ritorno della crisi economica aperta e dall'esistenza di blocchi imperialisti già formati che si contendevano l'egemonia globale.
L'impatto della decomposizione
Ma il fatto che la classe dominante avesse trovato la strada sbarrata verso la guerra mondiale, non significava che la borghesia non fosse più in fase offensiva, che fosse stata disarmata di fronte alla classe operaia. Gli anni '80 videro un riallineamento delle forze politiche borghesi, caratterizzato da governi di destra che sferravano attacchi brutali ai posti di lavoro e ai salari dei lavoratori, con la complicità della sinistra all'opposizione che era lì per incanalare, controllare e far deragliare le lotte della classe operaia la quale reagiva a questi attacchi. Questa controffensiva capitalista inflisse una serie di importanti sconfitte a vari settori della classe operaia nei principali centri capitalistici, in particolare ai minatori in Gran Bretagna: lo schiacciamento della loro resistenza alla chiusura più o meno totale dell'industria del carbone servì ad aprire la porta a una più ampia politica di deindustrializzazione e di “delocalizzazione” che spezzò alcuni dei principali centri di militanza della classe operaia. La lotta di classe continuò comunque nel periodo 1983-88, in particolare con importanti movimenti in Belgio, Francia, e Italia nel 1986-87, e non ci fu una sconfitta frontale dei principali comparti del proletariato come quella che si era vista negli anni Venti e Trenta. Ma nemmeno le lotte degli anni '80 riuscirono ad elevarsi al livello politico richiesto dalla gravità della situazione mondiale, e così si arrivò allo “stallo” che fece precipitare il processo di decomposizione capitalistica. Il crollo del blocco orientale nel 1989-91 ha segnato una fase completamente nuova della decadenza, portando con sé enormi difficoltà per la classe. Le assordanti campagne ideologiche sulla vittoria del capitalismo e sulla cosiddetta morte del comunismo, l'atomizzazione e la disperazione che sono state gravemente esacerbate dalla decomposizione della società, e lo smantellamento consapevole da parte della borghesia dei centri industriali tradizionali con l'obiettivo di spezzare questi vecchi poli di resistenza operaia - tutto questo si è combinato per erodere l'identità di classe del proletariato, il suo senso di essere una forza distinta nella società con i propri interessi da difendere.
In questa nuova fase di decadenza del capitalismo, la nozione di corso storico non era più valida, anche se la CCI ha impiegato molto tempo per comprenderla appieno[2]. Ma già nelle nostre Tesi sulla Decomposizione del 1990 avevamo capito che l'avanzare della putrefazione del capitalismo avrebbe potuto travolgere il proletariato anche senza una sconfitta frontale, poiché la continuazione delle sue lotte difensive, che avevano sbarrato la strada alla guerra mondiale, non era sufficiente a fermare la minaccia della distruzione dell'umanità attraverso una combinazione di guerre locali, disastri ecologici e rottura dei legami sociali.
Sebbene i decenni che hanno seguito il crollo del blocco orientale possano essere descritti come una ritirata della classe operaia, ciò non ha significato una completa scomparsa della lotta di classe. Ad esempio, abbiamo visto una nuova generazione di proletari impegnarsi in movimenti significativi come la lotta contro il CPE in Francia nel 2006 e il movimento degli Indignados in Spagna nel 2011. Tuttavia, sebbene queste lotte abbiano dato vita a forme genuine di auto-organizzazione (assemblee generali) e abbiano agito da fulcro per un serio dibattito sul futuro della società, la loro debolezza fondamentale è stata che la maggioranza di coloro che vi hanno preso parte non si vedeva come parte della classe operaia, ma piuttosto come “cittadini” in lotta per i propri diritti, e quindi vulnerabili a varie mistificazioni politiche “democratiche”.
Ciò sottolinea l'importanza della nuova rottura del 2022, iniziata con gli scioperi diffusi in Gran Bretagna, poiché preannuncia il ritorno della classe come classe, ovvero l'inizio di un recupero dell'identità di classe. Alcuni sostengono che questi scioperi siano stati in realtà un passo indietro rispetto ai movimenti precedenti, come gli Indignados, poiché hanno mostrato pochi segnali di dare vita ad assemblee generali o di stimolare direttamente il dibattito politico su questioni più ampie. Ma questo significa ignorare il fatto che, dopo tanti anni di passività, “la prima vittoria della lotta è la lotta stessa”: il fatto che il proletariato non si adagi di fronte alla continua erosione delle sue condizioni di vita e ricominci a vedersi come classe. Le Tesi sulla Decomposizione insistevano sul fatto che, piuttosto che le espressioni più dirette della decomposizione come il cambiamento climatico o la gangsterizzazione della società, sarebbe stato l'aggravarsi della crisi economica a fornire le condizioni migliori per la ripresa delle lotte di classe; i movimenti a cui abbiamo assistito a partire dal 2022 in poi lo hanno già confermato, e ci stiamo dirigendo verso una situazione in cui la crisi economica sarà la peggiore della storia del capitalismo, aggravata non solo dalle contraddizioni economiche fondamentali del capitale (sovrapproduzione e caduta del tasso di profitto), ma anche dalla crescita del militarismo, dalla diffusione delle catastrofi ecologiche e dalle politiche sempre più irrazionali della classe dominante.
In particolare, il tentativo sempre più palese di imporre un'economia di guerra nei paesi centrali del capitalismo sarà una questione vitale nella politicizzazione della resistenza dei lavoratori. Ciò è già stato anticipato da due importanti sviluppi: in primo luogo, il fatto che la svolta del 2022 sia avvenuta proprio nel momento in cui lo scoppio della guerra in Ucraina è stato accompagnato da grandi campagne sulla necessità di sostenere l'Ucraina e di prepararsi a sacrifici per resistere alla futura aggressione russa; in secondo luogo, lo sviluppo di minoranze politicizzate dalla minaccia della guerra e alla ricerca di una risposta internazionalista. Queste reazioni sulla questione della guerra non vengono dal nulla: sono un'ulteriore prova che la nuova fase della lotta di classe trae la sua forza storica dalla realtà di un proletariato imbattuto.
Ripetiamo: il pericolo che la decomposizione travolga il proletariato non è scomparso, anzi cresce man mano che l'“effetto vortice” dei disastri capitalistici tra loro interagenti prende piede, accumulando distruzione su distruzione. Ma le lotte a partire dal 2022 dimostrano che la classe può ancora reagire e che ci sono due polarità nella situazione, una sorta di corsa contro il tempo[3] tra l'accelerazione della decomposizione e lo sviluppo della lotta di classe a un livello superiore; uno sviluppo in cui tutte le questioni sollevate dalla decomposizione possono essere integrate in un progetto comunista che può offrire una via d'uscita dalla crisi economica, dalla guerra perpetua, dalla distruzione della natura e dalla putrefazione della vita sociale. Quanto più chiaramente le organizzazioni rivoluzionarie di oggi comprenderanno la posta in gioco nell'attuale situazione mondiale, tanto più efficacemente potranno svolgere il loro ruolo di elaborare questa prospettiva per il futuro.
Amos
[1] Inizialmente la CCI definì questo nuovo corso storico come un corso verso la rivoluzione, ma a metà degli anni Ottanta adottò la formula "corso verso massicci scontri di classe", poiché non poteva esistere una traiettoria automatica verso un esito rivoluzionario della crisi capitalistica.
[2] Rapporto sulla questione del corso storico Rivista Internazionale n°35
[3] Questa idea dei "due poli" non deve essere confusa con l'idea di un "percorso parallelo tra guerra mondiale e rivoluzione mondiale" che alcuni gruppi dell'ambiente politico proletario hanno difeso, poiché, come ha spiegato Bilan, un percorso verso la guerra mondiale richiede un proletariato sconfitto e quindi esclude la possibilità di una rivoluzione mondiale. Per una polemica con Battaglia Comunista su questa questione, si veda The Historic Course International Revue n°18