Né populismo, né democrazia borghese… La sola vera alternativa è lo sviluppo mondiale della lotta di classe contro tutte le frazioni della borghesia

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Trump torna alla Casa Bianca quattro anni dopo la sua sconfitta elettorale contro Biden. Questa è una cocente sconfitta per la borghesia americana che arriva nonostante tutti gli sforzi impiegati dal 2020 da una parte di questa per isolare Trump e i suoi alleati, con l’impegno di Biden, del partito democratico, di una parte del partito repubblicano e di una parte dell’intellighenzia americana. In effetti la recente vittoria elettorale contro la Harris, ancora più netta di quella contro Hilary Clinton nel 2016, non ha niente di casuale ma è il tipico prodotto della decomposizione capitalista, di cui il trumpismo et un prodotto. Trump aveva già mostrato chiaramente la sua capacità di nuocere durante il suo primo mandato e la sua delirante irresponsabilità al momento dell’assalto al Campidoglio che lui ha incoraggiato contro l’elezione di Biden. Tutto questo illustra il vicolo cieco in cui si trovano il capitalismo americano e la sua borghesia, incapaci di annullare, durante i quattro anni del mandato di Biden, la presa del populismo. Tanto che questa è ancora cresciuta con l’effetto di avere un Trump 2 che è ancora più delirante del Trump 1.

Il programma del populismo, un abominio e un’aberrazione sociale ed economica

Il programma di Trump esprime una aberrante radicalizzazione del populismo, in particolare con le sue promesse elettorali più deliranti dal punto di vista della stessa gestione del capitale nazionale: espulsione forzata di milioni di emigrati illegali; licenziamento di centinaia di migliaia di funzionari statali, in particolare quelli che, nel compiere la loro funzione, si erano trovati a posizionarsi contro Trump, in particolare per il suo ruolo nell’assalto al Campidoglio dopo l’elezione di Biden.

Per rinnovare l’amministrazione, Trump procede a una selezione dei candidati ai posti chiave dei ministeri e delle agenzie strategiche seguendo due criteri determinanti che non hanno niente a che vedere la competenze dei candidati: “essere un fedele di Trump” e “impegnarsi nell’offensiva contro lo Stato federale”. Tra le proposte di Trump la più strategica – perché riguarda il vertice del Pentagono – ed emblematica della “rottura radicale” promessa durante la campagna elettorale figura un vecchio militare (Pete Hegseth, ben lungi dall’avere una unanimità di consenso nel campo repubblicano) e presentatore di Fox News che, in aggiunta, è oggetto di accuse di aggressione sessuale e di consumo eccessivo di alcool. Questo metodo che garantisce la più grande incompetenza nei posti strategici per la difesa degli interessi del capitale americano è un buon indicatore di dove porta l’America il Trump 2.

Ancora una volta si verifica che la politica dei populisti, quando non è inquadrata al vertice dello Stato da altre frazioni della borghesia più responsabili nella gestione del capitale nazionale, risulta pregiudizievole per gli interessi di questo. Lo si era visto, per esempio, con la disastrosa gestione del Covid da parte di Trump negli USA e di Bolsonaro in Brasile. E che può uscire dal tandem Trump-Musk al vertice dello Stato americano? Entrambi condividono senza dubbio i valori più immondi del populismo, così come sono profondamente d’accordo su un certo numero di questioni come il bisogno di operare una profonda purga nell’amministrazione, ed entrambi si mostrano indifferenti rispetto ai gravi disfunzionamenti che ne potrebbero derivare. In più, dietro il loro accordo, esistono motivazioni diverse che costituiranno presto o tardi un fattore di rivalità e di fragilità al vertice dello Stato: Trump vuole deliberatamente vendicarsi delle istituzioni che gli sono state ostili, Musk, a sua volta, vuole migliorare la redditività del capitale americano attraverso una sgrassatura dell’amministrazione. Lo stesso disaccordo esiste anche a proposito dell’immigrazione legale che Trump vuole bloccare totalmente, contrariamente a Musk che vuole fare una eccezione per gli ingegneri stranieri.

Le conseguenze mondiali della politica di Trump al potere

Se queste sono prevedibili nella direzione che prenderanno perché annunciate nella sua campagna elettorale, sono invece imprevedibili nelle decisioni finali.

Quello che sarebbe stato inimmaginabile in qualsiasi altra epoca e in qualsiasi luogo, ad eccezione forse di qualche repubblica delle banane, si è verificato nella prima potenza mondiale qualche giorno prima dell’investitura ufficiale di Trump. Il futuro nuovo presidente si è messo a sognare ad alta voce di una stella supplementare sulla bandiera americana, quella del vicino Canada! E se questa può sembrare una semplice “battuta populista” tutt’altra connotazione assume la minaccia di Trump di recuperare il Canale di Panama (ceduto da Carter al Panama nel 1979) con la forza, se necessario, con la scusa che la Cina esercita una crescente influenza su questa cruciale via marittima. Stessa cosa per la Groenlandia (appartenente alla Danimarca) che Trump prospetta di annettere perché necessaria alla sua sicurezza. Nessuno può dire se questo può avere o meno degli effetti, certo è che questo ha generato un’ondata di panico nelle diverse cancellerie. Ed alcune di esse sono state certamente prese da una certa paura di fronte agli insulti da parte di Musk al primo ministro britannico Keir Starmer accusato di complicità con reti pedo criminali.

Una nuova crisi migratoria?

Se Trump riesce a mettere in esecuzione l’espulsione da parte dell’esercito di migliaia di migranti irregolari dal territorio americano, c’è il grosso rischio di provocare una nuova crisi migratoria, ad immagine di quelle popolazioni che in altre parti del mondo fuggono dalla guerra a centinaia di migliaia. L’arrivo forzato di queste masse di deportati nei paesi dell’America Latina li condannerà a sprofondare in una miseria nera – da cui una parte di loro aveva cercato di fuggire – vulnerabili alle persecuzioni e ai ricatti della polizia, delle gang, … e costituirà un rischio di destabilizzazione dei paesi di destinazione.

Una spinta supplementare alla crisi economica

Il mondo è confrontato alla prospettiva di uno sviluppo storico della recessione economica mondiale, di una gravità almeno equivalente a quella degli anni ’30. Né Trump, né nessun altro rappresentante della borghesia ne è responsabile in sé, perché sono le contraddizioni insormontabili del modo di produzione capitalista che spingono in questa direzione. Ma invece di differire o attenuare gli effetti della crisi, il prosieguo e l’amplificazione delle dottrine “America first” e “Make America Great Again” non fanno che approfondirli, in particolare attraverso delle misure già prese dall’amministrazione Biden che hanno smantellato tutti gli organismi internazionali destinati a sostenere il commercio mondiale. Più in generale, l’obiettivo della politica degli Stati Uniti è la concentrazione sul suo territorio dei capitali e delle industrie moderne del mondo intero, a detrimento del resto del mondo di cui una crescente parte è destinata a somigliare sempre più a un deserto industriale. Questo tipo di politica non è caratteristico di una amministrazione populista, ma quello che la distingue è la violenza irrazionale delle misure protezioniste. Le principali potenze economiche mondiali in Europa e in Asia sono ben coscienti di questa situazione e si preparano ad organizzarsi al meglio che possono per far fronte a una nuova tappa della guerra commerciale annunciata da Trump. Comunque vada, quello che ci dobbiamo aspettare sono le conseguenze della guerra commerciale e della crisi, il cui costo si tradurrà immancabilmente in un attacco massiccio alle condizioni di vita della classe operaia e in un impoverimento generale della popolazione.

Una carta supplementare a favore… dell’aggravamento della crisi climatica

Si può misurare l’atteggiamento di Trump rispetto al cambiamento climatico attraverso la sua recente presa di posizione sugli incendi a Los Angeles, in cui ha attribuito pubblicamente la responsabilità di questi al governatore dello Stato della California. Questa maniera vergognosa di evitare il fondo del problema lascia presagire il peggio sull’impatto futuro sul clima della seconda presidenza Trump.

L’aggravamento delle tensioni imperialiste

Dopo il crollo del blocco dell’est gli Stati Uniti, il gendarme del mondo, si sono rivelati il paese che ha più provocato caos nel mondo. Non c’è motivo per pensare che possa cambiare, visto che questa è la condizione per il mantenimento della loro leadership mondiale. I due principali focolai attuali di guerra nel mondo, Ucraina e Medio Oriente, sono destinati a diventare degli esempi della difesa degli interessi imperialisti dell’America di Trump.

In Ucraina

La guerra in Ucraina ha per contesto il prosieguo della vecchia politica di accerchiamento della Russia di cui la NATO era la punta di lancia. Essa è una risposta della Russia agli sforzi dell’imperialismo americano per far entrare la Georgia e l’Ucraina nella NATO. Poichè Biden aveva assicurato che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti di fronte a una invasione dell’Ucraina da parte della Russia, questa è caduta nella trappola e la guerra in Ucraina è effettivamente arrivata, dopo tre anni di massacri e di barbarie, a quello che era l’auspicio dell’imperialismo americano, cioè l’esaurimento militare ed economico della Russia allo scopo di privare la Cina di un eventuale alleato, dotato di un potente arsenale nucleare, nell’eventualità di una futura guerra con gli Stati Uniti. Ma oggi l’Ucraina si trova in una situazione sul terreno che non è migliore, se non peggiore, di quella della Russia, e che non potrà che peggiorare tanto più rapidamente in quanto il sostegno degli Stati Uniti, con la fornitura di materiale militare, è destinato a sparire, dato che Trump è sempre stato contrario a questo sostegno. D’altra parte egli non ha cessato di sbandierare che, se fosse stato eletto, avrebbe “messo fine in due giorni al conflitto” con un accordo tra le due parti. Cosa che oggi sembra molto poco probabile. Se l’Ucraina crolla e la Russia minaccia l’Unione Europea, questa non sarà portata a intervenire per congelare una situazione di status quo proteggendo una Ucraina agonizzante vulnerabile ad un ulteriore intervento della Russia? E come? Con quali paesi e quali mezzi? Questa è l’incognita e nessun esito può essere escluso.

In questa ottica e anche di fronte alla molto probabile pretesa di Trump che l’Unione Europea prenda a suo carico il costo della propria difesa, aumentando il suo contributo alla NATO e le spese militari di tutti i suoi paesi membri, questi non potranno aver altra scelta che piegarsi.

La situazione in Medio oriente è più prevedibile. In effetti è molto verosimile che Trump proseguirà la politica di sostegno incondizionato alle mire imperialiste di Israele; è anche possibile che egli incoraggerà apertamente alcune di queste mire, in particolare quelle finalizzate all’annientamento della potenza militare dell’Iran.

Le tensioni con la Cina non possono che accentuarsi, essendo questo paese il più capace di minacciare la leadership mondiale degli Stati Uniti. Questi continueranno a fare di tutto per indebolire la Cina, mantenendo su di essa una pressione militare crescente, e ostacolando il suo commercio con gli altri paesi industrializzati.

Di fronte agli attacchi della borghesia, di fronte alla guerra, di fronte alle false alternative populismo/antipopulismo, fascismo/antifascismo, abbiamo una sola scelta: quello della lotta di classe

Prodotto della decomposizione del capitalismo, il populismo costituisce a sua volta un fattore che la aggrava. Così la situazione mondiale evolve verso un aggravamento della decomposizione del capitalismo, verso ancora più caos, più guerre, verso un aggravamento delle condizioni di vita della classe operaia in conseguenza della crisi e della guerra. Gli attacchi contro le condizioni di vita della classe operaia favoriscono le lotte difensive aprendo la possibilità di una risposta sempre più unita e cosciente. Tuttavia le condizioni in cui questa lotta si svilupperà presentano dei pericoli mortali che la classe operaia deve evitare:

  • Il contesto stesso della decomposizione – in particolare il ciascuno per sé e l’assenza di prospettive sono un ostacolo allo sviluppo di una pratica e di un progetto unito e cosciente;
  • è in permanenza che la classe operaia sarà chiamata dalle diverse frazioni della borghesia a schierarsi in favore della democrazia contro il populismo, come in passato fu spinta a sostenere il campo della democrazia contro quello del fascismo.

La classe operaia avrebbe tutto da perdere a soccombere alla disperazione, al “no futur”,..; il solo terreno di lotta che le appartiene e che è portatore di un avvenire è quello della difesa dei suoi interessi economici di classe in risposta agli attacchi del capitalismo in crisi, che può portare alla politicizzazione delle sue lotte e quindi alla prospettiva del rovesciamento del capitalismo.

Sylunken (10/01/2025)

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Trump 2.0