Lotte settoriali o lotta di classe?

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Non passa giorno che non si senta parlare di un femminicidio, se non di molestie sessuali contro le donne. Il fatto che questi fenomeni (sempre esistiti da quando le società divise in classi sono diventate società patriarcali) aumentino ancora, come pure le discriminazioni dei “diversi” (ma diversi da che, da chi?) (siano essi omosessuali, transessuali, o anche disabili) o quelle razziali, è una ulteriore dimostrazione della barbarie che avanza in questa società che non ha ormai più niente da offrire se non ulteriori orrori e minacce alla stessa sopravvivenza dell’umanità (vedi guerre e cambiamenti climatici). Come diceva Marx, il capitalismo nasce “grondante di sangue e di fango”, ma nella sua fase ascendente poteva almeno pretendere di imporsi all’insieme dell’umanità perché il suo sistema garantiva lo sviluppo delle forze produttive, un miglioramento delle condizioni generali di vita. Da più di un secolo non è più così, è su tutti i piani che assistiamo a degli arretramenti: maggiore sfruttamento sui luoghi di lavoro, perdita di potere di acquisto dei salari, guerre sempre più diffuse nel mondo anche in assenza di una guerra mondiale, aumento delle discriminazioni, della violenza, dell’insicurezza. È perciò che questo sistema deve essere abbattuto, prima di trascinare nella sua decadenza la stessa vita umana. Ma come, chi può fare tutto questo? Possiamo farlo sviluppando tante lotte “specifiche”, “settoriali”, o è solo mettendo in discussione il sistema nel suo complesso e sviluppando le lotte dell’unica classe che ha interesse e può riuscire ad abbattere questo sistema e dare vita a una nuova società, senza sfruttamento, senza guerre, senza discriminazioni, senza distruggere l’ambiente naturale, cioè il proletariato?

È a questa questione che è dedicato l'articolo che segue, già pubblicato da noi nel 2012, che è tanto più attuale dal momento che la situazione è peggiorata e non certo migliorata.

La condizione della donna nel XXI secolo