A proposito di provenienze. Un chiarimento necessario nei confronti delle dichiarazioni di Battaglia Comunista su un nostro articolo

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Quando la nostra organizzazione ha pubblicato, all’inizio del 1983, l’articolo Il Partito Comunista Internazionale (Programma Comunista) alle sue origini. Come è e come pretende di essere, comparso sulla Rivista Internazionale nelle varie lingue in cui questa viene pubblicata, Battaglia Comunista, attuale componente della Tendenza Comunista Internazionalista (TCI), si è sentita toccata e ha dedicato a tale articolo, sul numero 3 del suo omonimo giornale dello stesso anno, il commento che segue, a cui noi abbiamo dato la dovuta risposta.

A proposito di provenienze (commento di Battaglia Comunista)

Capita spesso che nella polemica di parte, chi non ha argomenti troppo validi ricorra alle furbate, fra il retorico e il demagogico. È così che per esempio la CCI, argomentando sulla crisi di Programma Comunista su Revue Internationale 32, fa finta di trovare nelle origini del P.C.Int. e quindi nel periodo ‘43-‘45, i peccati originari che votavano alla dannazione il P.C.Int. (o almeno uno dei tronconi in cui nel ‘52 si scisse).

Non vogliamo qui farla lunga, facciamo solo notazioni telegrafiche.

1) Il documento “Appello del Comitato d’Agitazione del P.C.Int.”, contenuto nel n. 1 di Prometeo aprile ‘45, fu un errore? Concesso. Fu l’ultimo tentativo della Sinistra Italiana di applicare la tattica di “fronte unico dal basso” preconizzata dal P.C.d’I. in polemica con l’Internazionale negli anni ‘21-‘23. Come tale noi lo cataloghiamo fra i “peccati veniali” perché i nostri compagni seppero mondarsene definitivamente, sul piano sia politico che teorico con una chiarezza che oggi ci rende sicuri di fronte a chiunque.

2) Qua e là alcuni altri errori tattici sono stati commessi e, senza aspettare la CCI, ce li siamo già rivisti da soli da un bel pezzo e ce li rivediamo continuamente per metterci in guardia dal ripeterli. Ma erano, quelli, errori che non ci hanno impedito di andare avanti, appunto correggendoli e non ci hanno mai portato fuori dal terreno, che ci è proprio, del marxismo rivoluzionario.

3) È chi sta fermo che non sbaglia mai, o chi non c’è. E allora nel cuore della guerra imperialista, mentre le masse sfruttate e spinte al macello accennavano alcune prime reazioni e tendenze a rompere la rete delle forze interclassiste, legate ai blocchi imperialisti, “i padri” della CCI, sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva... accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di “sporcarsi le mani” nel movimento operaio.

4) Dopo di che, sentenziato che il proletariato non era più prostrato e sconfitto, sono riapparsi, hanno raccolto un po’ di studenti e di capziosi intellettuali, per “fecondare” le nuove lotte rivoluzionarie di cui saremmo in presenza o in attesa che grandiosamente ci portino diritti alla rivoluzione. Ed eccoci dunque al vero errore di fondo della CCI. Il peccato di origine della CCI sta proprio nella impostazione dei problemi: su questo come su quello del rapporto di classe-coscienza-partito. Se (e diciamo se, perché è una probabilità elevata da mettere in conto) la guerra scoppia prima che la classe operaia insorga, la CCI non potrà che... tornarsene a casa, mentre noi, ancora una volta, ci “sporcheremo le mani”, operando con tutta la concretezza che ci sarà consentita dalle nostre forze organizzative, per il disfattismo rivoluzionario durante e dopo, come prima della guerra stessa.

5) Per quanto riguarda gli errori di Programma, sono grandi come è grande il suo opportunismo di fondo. Lo abbiamo già scritto (v. numeri precedenti di BC): anche in Programma Comunista sono rimaste “aperte” (nonostante dicessero, prima, il contrario) questioni enormi: quella dell’imperialismo e delle guerre nazionali e quella - guarda caso - sindacale. Su queste sono entrati in crisi, così come è entrata in crisi la CCI.

E, ci si permetta, non è quello che scrivemmo sul n. 15-16 del dicembre ‘81? In “Crisi delle CCI o del movimento rivoluzionario?” dichiaravamo che ad essere in crisi sono «solo certe ben individuabili organizzazioni». CCI e Programma. Quelle organizzazioni, per intenderci, che non avendo le idee chiare su problemi maggiori, “saltano” quando questi, in un modo o nell’altro, andando in avanti o all’indietro, emergono con forza. Sono le organizzazioni-crisi, quelle che nel movimento non reggono: appaiono “vive” solo quando la situazione è ferma; così come un peso morto si regge finché l’equilibrio delle forze non è turbato.

La nostra risposta (CCI)

Per prima cosa, prendiamo atto che Battaglia conferma l’autenticità e fedeltà all’originale del testo da noi pubblicato. Chiarito questo, Battaglia si interroga: “fu un errore? Concesso”, ma si tratta tutt’al più di un “peccato veniale”. Non si può che restare ammirati per la delicatezza con cui ci si esprime, per l’abilità nel non ferire la propria sensibile suscettibilità. Se un’offerta di fronte unico ai macellai stalinisti e socialdemocratici è un semplice peccato veniale, per poter parlare esplicitamente di sbandate che cosa avrebbe dovuto fare il PCInt. nel ‘45? Entrare nel governo? Ma Battaglia ci rassicura: i propri errori se li è rivisti da un bel pezzo, senza aspettare la CCI, e quindi non ha mai avuto motivo di nasconderli. Può essere. Ma quando nel 1977 abbiamo per la prima volta accennato sulla nostra stampa alle sbandate collezionate dal PCInt. nell'immediato dopoguerra, Battaglia replicò con una lettera indignata in cui ammetteva le sbandate, ma sosteneva che erano responsabilità esclusiva dei compagni poi usciti nel '52 a costituire Programma Comunista. Già allora rispondemmo che ci sembrava strano che Battaglia si lavasse le mani di tutto: “In altri termini: alla costituzione del PCInt. abbiamo partecipato noi e loro; ciò che c’era di buono eravamo noi, il cattivo erano loro. Ammettendo che fosse così, rimane il fatto che questo ‘cattivo’ c’era... e che nessuno ha trovato nulla da ridire...” (Risposta a B.C.: “Ambiguità sulla natura di classe della ‘Resistenza’ nella fondazione del PCInt.”, Rivoluzione Internazionale n.7, 1977).

È troppo facile accettare in silenzio compromesso su compromesso per fare il partito con Bordiga (il cui nome in Italia richiama migliaia di aderenti) e con Vercesi (che assicura una rete di contatti all’estero), e poi, quando le cose vanno a scatafascio, mettersi a strillare che è tutta colpa dei bordighisti. Per fare un compromesso bisogna essere almeno in due... A parte questo, la pretesa di rigettare ogni colpa sui “cattivi” non regge più. L’appello del ‘45 non è stato scritto dai “gruppi del sud” che facevano riferimento a Bordiga, ma dal centro ufficiale del partito al Nord, costituito dalla tendenza Damen, oggi Battaglia Comunista. Per fare ancora un solo esempio fra mille possibili, possiamo ricordare che le peggiori sbandate localiste ed attiviste vennero dalla Federazione di Catanzaro, diretta da Francesco Maruca che era rimasto nel PCI stalinista fino alla sua espulsione nel 1944. Ora, al momento della scissione del ’52, la Federazione di Catanzaro non è confluita in Programma ma è rimasta in Battaglia, ed infatti un articolo su Prometeo n. 26/27 del 1976 ancora additava Maruca come un militante esemplare. Vero è che l’articolo (di natura apologetica) non faceva parola delle posizioni tenute allora da Maruca, anzi, per far quadrare meglio i conti, anticipava di ben quattro anni, al 1940, la sua esclusione dal PCI. Ecco come Battaglia fa continuamente i conti con i suoi errori...

All’inizio B.C. vantava pubblicamente un passato senza macchia alcuna. Poi, quando le sbandate sono venute alla luce, le ha attribuite ai programmisti. Quando non ha potuto più negare la propria partecipazione, ci ha ripensato e le ha ridotte a semplici peccati veniali. Ma le sbandate bisogna pur scaricarle su qualcuno e questa volta è toccato a noi, o meglio ai nostri “padri” che “sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di 'sporcarsi le mani' nel movimento operaio”.

L’accusa di diserzione dalle trincee di classe è un’accusa grave e la CCI tiene a rispondere immediatamente, non tanto per discolpare sé stessa o i suoi “padri” - non ce ne sarebbe bisogno - ma per difendere l’ambiente rivoluzionario da pratiche inammissibili quali quella di fare accuse gravissime senza sentire minimamente il bisogno di provare quello che si afferma. È fuori di dubbio che tutta una parte della Frazione Italiana e Frazione Belga della Sinistra Comunista Internazionale durante la guerra considerò il proletariato come socialmente non esistente ed abbandonò di conseguenza ogni attività di classe, fino a partecipare, verso la fine della guerra, al Comitato Antifascista di Bruxelles. Contro questa tendenza, guidata da Vercesi reagirono la maggioranza della Frazione Italiana raggruppatasi a Marsiglia e - a partire dal ‘42 - il nuovo nucleo francese che, alla fine del ’44, si costituì in Sinistra Comunista di Francia, iniziando la pubblicazione della rivista Internationalisme e del giornale di agitazione L’Etincelle. Lo scontro si focalizzò sulla natura di classe degli scioperi del '43 in Italia:

Una tendenza della Frazione Italiana, la tendenza Vercesi, ed in parte anche la Frazione Belga, negavano, e questo fino alla fine della guerra, l’apparizione del proletariato italiano sulla scena politica... Il proletariato italiano, secondo questa tendenza, era e continuava ad essere assente sia politicamente che socialmente. Questa per far quadrare i conti con tutta la loro teoria sulla ‘inesistenza sociale del proletariato durante la guerra e per tutto il periodo dell’economia di guerra’. Prima e dopo il ‘43 questi elementi sostenevano la passività assoluta, fino alla dissoluzione organizzativa della Frazione. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo combattuto questa tendenza liquidazionista nella Sinistra Comunista Internazionale. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo analizzato gli avvenimenti del 1943 in Italia come una manifestazione avanzata di scontro sociale e dell’apertura del corso alla Rivoluzione ed abbiamo sostenuto l’orientamento della trasformazione della Frazione in Partito” (“A proposito del I Congresso del PCInt. d’Italia”, Internationalisme n.7, gennaio 1946).

Nel 1945 si ha tutta una serie di colpi di scena. Quando si viene a sapere che in Italia si è effettivamente costituito un partito dalla fine del ‘43, la tendenza Vercesi, con un triplo salto mortale, si ritrova nella direzione di quel partito, assieme alla tendenza esclusa nel ‘36 per la sua partecipazione alla guerra di Spagna ed alla maggioranza della Frazione Italiana che le aveva escluse entrambe!

Unici estranei a questo abbraccio opportunista sono i nostri “padri” di Internationalisme. E non senza motivo. Proprio perché, al contrario di Vercesi, sono stati in prima fila nel lavoro illegale durante la guerra per la ricostituzione dell’organizzazione proletaria, non sentono il bisogno di nascondersi dietro alle grida di “viva il partito”. Al contrario, constatando che il capitalismo è riuscito a sconfiggere le reazioni operaie contro la guerra (Marzo ‘43 in Italia, Primavera ‘45 in Germania) ed a precludere ogni possibilità di apertura di situazioni prerivoluzionarie, iniziano a porsi la questione se sia ancora valida la prospettiva della trasformazione della Frazione in Partito. Inoltre la Sinistra Comunista di Francia, pur continuando a difendere la natura proletaria del PCInt., anche di fronte agli attacchi degli altri gruppi[1], non per questo accettava di stendere un velo pietoso sulla sua disomogeneità politica e le sue continue sbandate. Al contrario non cessava di esigere una rottura politica con tutte le tentazioni opportuniste:

“... o la tendenza Vercesi liquida pubblicamente di fronte al partito ad al proletariato la sua politica di Coalizione antifascista e tutte le sue teorie opportuniste che l'hanno portata a questa politica, oppure tocca al Partito, dopo una discussione politica aperta, liquidare teoricamente, politicamente ed organizzativamente la tendenza opportunista di Vercesi” (Ibidem).

Quale fu la reazione del PCInt.? Per più di un anno fece orecchie da mercante ed ignorò i ripetuti appelli di Internationalisme. Alla fine del ‘46, in occasione della ricostituzione dell’Ufficio Internazionale della Sinistra Comunista Internazionale ad opera del PCInt. e dei nuclei francesi e belga che vi facevano riferimento, Internationalisme inviò un’ennesima lettera aperta in cui chiedeva di partecipare alla Conferenza, in vista di una discussione franca sui punti lasciati sotto silenzio e di una definitiva delimitazione politica dalle sbandate opportuniste. Come tutta risposta ebbe questa lettera:

Poiché la vostra lettera dimostra una volta di più la costante deformazione dei fatti e delle posizioni politiche prese sia dal PCInt. che dalle Frazioni francese e belga, poiché dimostra che non siete un’organizzazione politica rivoluzionaria e che la vostra attività si limita a gettare confusione e fango sui nostri compagni, noi abbiamo escluso all’unanimità la possibilità di accettare la vostra domanda di partecipare alla riunione internazionale delle organizzazioni della S.C.I.[2]

Così i “padri” di Battaglia, pur di conservare l’alleanza opportunista con la tendenza Vercesi, liquidarono l’unica tendenza della S.C.I. che aveva avuto il coraggio politico di non adattarsi ad avere paraocchi chiusi e memoria corta. Quanto al coraggio fisico, non è nostra abitudine vantarcene, ma possiamo assicurare a Battaglia che ci voleva molto più coraggio ad attaccare manifesti disfattisti contro i partigiani durante la “liberazione” di Parigi che non a partecipare, inquadrati nelle file partigiane, alla caccia ai fascisti durante la “liberazione” del Nord-Italia.

Tornando ai nostri giorni, Battaglia dice che non è il movimento rivoluzionario ad essere in crisi, ma la CCI, Programma, tutti gli altri gruppi della Sinistra Italiana (ad eccezione di Battaglia) ed in più tutti i gruppi degli altri paesi che non hanno partecipato alla Conferenza Internazionale organizzata da B.C. e dalla C.W.O. Ma, scusate, se leviamo questi gruppi, cosa resta? Giusto Battaglia e la C.W.O.! Tanto valeva allora sostenere che il movimento rivoluzionario non esiste e per questo non può essere in crisi. Inoltre la crisi non si manifesta solo con disintegrazione di gruppi o scissioni, si manifesta anche con le sbandate politiche, come quando la CWO sosteneva che in Polonia bisognava “fare la rivoluzione, subito!” o quando Battaglia presentava forze più che dubbie come 1’U.C.M. iraniano ed il Komala curdo come organizzazioni comuniste e si spingeva fino a sostenere acriticamente “lo scambio di prigionieri” (!) fra il Komala e l’esercito iraniano. Bisogna notare che sia Battaglia che la CWO hanno corretto i loro errori dopo le fraterne critiche apparse sulla nostra stampa, specie inglese. Ma questo dimostra appunto che le esitazioni temporanee di ogni gruppo possono essere corrette anche grazie all’apporto di altri gruppi e che quindi nessuna organizzazione rivoluzionaria può considerarsi totalmente indipendente dall’insieme dell’ambiente rivoluzionario.

Battaglia ritiene che, ripubblicando i documenti del movimento rivoluzionario, la CCI voglia dimostrare che Battaglia ha una storia piena di errori e quindi si trova fuori dal campo proletario. In questo B.C. commette un grave errore. Le esitazioni di un Maruca non appartengono a Battaglia, più di quanto non le appartenga il disfattismo coerente di un Damen, così come errori e contributi di Vercesi non appartengono a Programma Comunista. Tutto questo, nel bene e nel male, costituisce un patrimonio di tutto il movimento rivoluzionario e spetta all’insieme del movimento farne un bilancio critico che permetta di trarne tutte le lezioni. Questo bilancio non può essere fatto dai singoli gruppi, rinchiusi a leccarsi ciascuno le sue ferite, ma richiede la possibilità di un dibattito aperto ed organizzato, come era possibile nel quadro delle Conferenze Internazionali della Sinistra Comunista. Battaglia ha contribuito ad affossare le Conferenze; non è dunque sorprendente che oggi non capisca come contribuire al dibattito.

Una nota finale

Molti compagni - non essendo già familiarizzati con la storia della Sinistra Comunista - potrebbero avere qualche difficoltà ad orientarsi nei riferimenti ad una fase del movimento rivoluzionario di cui si sa poco o niente. Ce ne rendiamo conto, ed è proprio per colmare questo “buco” nella comprensione del nostro passato che la CCI si è assunta il compito di ripubblicare tutta una serie di vecchi testi, la cui conoscenza può offrire una base più solida alla ripresa del dibattito rivoluzionario oggi. Dopo l’articolo di B.C. riprodotto sopra, la ripubblicazione dell’Appello del ‘45 ha stimolato anche la CWO a replicare con un articolo sul n.20 di Revolutionary Perspectives (nuova serie). In attesa di rispondere con la dovuta ampiezza alle critiche fatteci da questi compagni, ci limitiamo ad una breve osservazione di metodo. Per la CWO, la CCI mente parlando di appello agli stalinisti, “lasciando così intendere che fosse rivolto al partito stalinista e non semplicemente ai lavoratori caduti sotto la sua influenza” (R.P. n.20, pag.36). A questo punto ci sono due obiezioni da fare. In primo luogo, non è vero: l’Appello non è indirizzato ai lavoratori ingannati dai partiti controrivoluzionari, ma ai Comitati di Agitazione del partito stalinista, socialdemocratico, ecc. In secondo luogo, anche se la CCI si fosse sbagliata nel valutare l’Appello, non ha “lasciato intendere” niente, ma ha ripubblicato il testo integralmente in modo che tutti i compagni potessero giudicarlo di persona. A proposito, sul contenuto del testo, che giudizio dà la CWO? Atteggiamenti di questo tipo non sono produttivi e soprattutto sono in contraddizione con l’eccellente iniziativa di pubblicare sullo stesso numero di Revolutionary Perspectives tutta una serie di testi di discussione interna sulla Sinistra Italiana, “per portare il nostro dibattito di fronte all’insieme del movimento rivoluzionario”. Fino ad ora la CCI era praticamente la sola organizzazione a pubblicare sulla sua stampa alcune delle sue discussioni interne. Alla CCI ed alla CWO non resta che augurarsi che Battaglia Comunista segua il loro esempio.

Beyle

 

[1] Vedi, nell’articolo citato, il paragrafo “I rivoluzionari (in Italia, n.d.r.) debbono aderire al PCInt. d’Italia”, in risposta ai Comunisti Rivoluzionari di Francia e Germania.

[2] Tutti questi documenti furono pubblicati sul n.16 di Internationalisme, dicembre 1946. La lettera aperta della Sinistra Comunista di Francia al PCInt. è stata riprodotta con altri documenti sul Bulletin d’Etude et Discussion n.7, giugno 1974, di Revolution Internationale.

Vita della CCI: 

Correnti politiche e riferimenti: