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Quattordici persone sono morte a Stresa, domenica 23 maggio, a causa della caduta della cabina della funivia. Come al solito dopo tali disastri, non sono mancate le lacrime di coccodrillo e l’ipocrita indignazione da parte dello Stato e di tutti i suoi responsabili politici. Poi rapidamente sono stati trovati i capri espiatori: "C'è stato un malfunzionamento sulla funivia, la squadra di movimentazione non ha risolto il problema, o solo parzialmente. Per evitare di interrompere il collegamento, hanno scelto di lasciare al suo posto la forcella che impedisce il funzionamento del freno d'emergenza", ha spiegato un ufficiale dei carabinieri a Radiotre. Secondo il procuratore incaricato dell'inchiesta, Olimpia Bossi, questi tre funzionari sapevano che la funivia funzionava senza freno di emergenza dal 26 aprile, giorno della riapertura dell'impianto. L’analisi dei rottami trovati sul posto ha permesso di dimostrare che "il sistema di frenata d'emergenza della cabina caduta nel vuoto era stato manomesso". Secondo gli inquirenti, si è trattato di un "atto materiale realizzato in modo consapevole", per "evitare interruzioni e l'arresto della funivia", mentre "l'impianto presentava anomalie che avrebbero richiesto un intervento più radicale con conseguente arresto" dell'impianto.
Perché questo "intervento più radicale" non è stato effettuato? Ovviamente, i tre proprietari hanno una pesante parte di responsabilità. Non c'è dubbio sulla loro ignobile colpa. Ma come possono dei professionisti della sicurezza essere indotti a disattivare un sistema di frenata su una tale struttura? Semplicemente per riaprire subito l’impianto, appena c’è stata un po’ di via libera alla circolazione delle persone, e mantenerlo a pieno ritmo durante il periodo estivo con una sola preoccupazione: garantire il massimo profitto! Dopo un fermo di quasi due stagioni per le restrizioni sanitarie causate dal Covid-19, questa stazione di sci alpino era in grande difficoltà finanziaria (perdita di diversi milioni di euro di fatturato) e si è affrettata a riaprire le sue strutture in barba alle più elementari norme di sicurezza...
Questa funivia è una risorsa importante in questa regione. La sua chiusura è stata accolta molto male dalle autorità locali e dalla società che la gestisce che hanno spinto per mantenerla in funzione "a tutti i costi", ignorando deliberatamente i principi di sicurezza di base. Se i tre "colpevoli" designati hanno agito in questo modo, le motivazioni stanno nelle contingenze economiche, in questo caso dell'industria turistica.
Ora la classe dominante, e in particolare la borghesia italiana, assolve sé stessa da ogni responsabilità per questa tragedia. Hanno dei "colpevoli" ad hoc da dare in pasto ai media e alla giustizia. Ma al di là delle apparenze, il vero colpevole è il capitalismo che, nella sua logica di redditività per generare sempre più profitto, non esita a farsi beffe di tutte le regole di base della sicurezza o a costringere i suoi “esecutori” a violarle. Questa tragedia della funivia non è purtroppo la prima: diversi "incidenti" mortali di funivie e teleferiche sono avvenuti in Europa negli ultimi cinquant’anni. Sono gli stessi responsabili, manager, finanziatori, autorità locali e nazionali che, quando accadono tragedie "prevedibili", vengono a spargere le loro condoglianze e piangere e rammaricarsi davanti ai media, a fingere sorpresa e incredulità per la tragedia!
L’episodio della funivia ci riporta naturalmente alla memoria tutte le altre tragedie provocate dall’avidità del capitalismo, a partire dal crollo del Ponte Morandi a Genova nel 2018, al crollo di un intero palazzo a Miami nell’aprile scorso, alle varie inondazioni e colate di fango che avvengono ogni anno in Italia, spesso negli stessi luoghi, che uccidono persone e distruggono case e attività lavorative, ma anche alla tragedia del 14 luglio scorso in Germania in seguito al nubifragio che ha fatto più di cento morti, 1.300 dispersi (fino a questo momento) e prodotto danni incalcolabili. Anche qui, come altrove, la scusa della Merkel è bell’e trovata: “Tutta colpa dei cambiamenti climatici”. Il copione cui siamo costretti ad assistere periodicamente e con sempre maggiore frequenza è sempre lo stesso: nonostante sia noto che ci sono gravi problemi strutturali o la necessità di interventi preventivi radicali, in Italia come nel resto del mondo, non si fa nulla. Quando la tragedia annunciata si concretizza: stupore, sdegno e caccia al colpevole, poi inchieste interminabili per far trionfare la “verità” e la “giustizia”, sperando nel frattempo che la cosa vada nel dimenticatoio e si possa continuare come prima.
Come dicevamo nell’articolo sul crollo del Ponte Morandi nel 2018, Morti di Stato a Genova, ostaggi di Stato sulla nave Diciotti. Il cinismo e l’ipocrisia senza ritegno della borghesia, “Ci sono degli avvenimenti che, sgrossati di tutte le retoriche, le false lacrime, le frasi altisonanti propinate da politici, opinionisti e mass media, mostrano con chiarezza la vera essenza ipocrita e cinica della borghesia verso le sofferenze e le sorti degli essere umani; quanto poco valore ha, ed ha sempre avuto, per la classe dominante la vita dell’uomo se non come elemento indispensabile nell’ingranaggio produttivo del capitale. Attraverso l’attacco del Giappone a Pearl Harbor, il bombardamento di Dresda, l’attacco alle Torri Gemelle, le bombe di Stato in Italia, la storia ci dimostra che la borghesia di qualsiasi Stato e colore, di fronte ai propri interessi, non ha mai avuto alcuno scrupolo morale a far morire degli esseri umani. Così come i terremoti, le tempeste, i disastri ambientali che ogni anno mietono centinaia di vittime ci mostrano come la messa in sicurezza delle popolazioni non sia la sua preoccupazione prioritaria, nonostante la conoscenza scientifica e tecnologica di cui dispone che permetterebbe un’azione preventiva di salvaguardia di strutture e vite umane”.
Ma come diceva Bordiga già negli anni ‘50: “Il capitalismo non è innocente neppure nelle catastrofi dette “naturali” […]. Che piova senza sosta (o non piova affatto) per intere settimane è certamente un fatto naturale; ma che ne segua un’inondazione (o una siccità) è un fatto sociale. Analogamente, le scosse sismiche delle Ande sfuggono all’uomo; ma il fatto che distruggano le città del Perù, mentre Macchu Picchu vi resiste da secoli, ha cause sociali […]. Non solo la civiltà borghese può essere causa diretta di queste catastrofi per la sua sete di profitto e per l’influenza predominante dell’affarismo sulla macchina amministrativa (si veda il ruolo del disboscamento nelle inondazioni o […] la costruzione di case in zone di valanghe e d’inondazioni), ma si rivela impotente ad organizzare una protezione efficace nella misura in cui la prevenzione non è un’attività redditizia”. (Prefazione a Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, raccolta di scritti di A. Bordiga degli anni 1951-53 sui disastri nel capitalismo moderno, pag. 8-9. Edizioni Iskra)
Basato sull’articolo Accident de téléphérique à Stresa (Italie): Un nouveau drame sur l’autel du profit.