Inviato da CCI il
La CCI ha tenuto il suo 20° Congresso internazionale. Il congresso di un'organizzazione comunista costituisce uno dei momenti più importanti della sua attività e della sua vita. Quello dove l'insieme dell'organizzazione (per mezzo di delegazioni nominate da ciascuna delle sue sezioni) fa il bilancio delle sue attività, analizza in profondità la situazione internazionale, stabilisce delle prospettive ed elegge l'organo centrale che ha il compito di assicurare che le decisioni del congresso siano messe in opera.
Poiché siamo convinti della necessità del dibattito e della cooperazione tra le organizzazioni che combattono per il rovesciamento del sistema capitalista, abbiamo invitato tre gruppi - due della Corea e Opop del Brasile che hanno già partecipato a dei precedenti congressi internazionali. È poiché riteniamo che i lavori di un congresso di un'organizzazione comunista non rappresentino una questione “interna”, ma interessano l’insieme della classe operaia, informiamo i nostri lettori sulle questioni essenziali che sono state discusse durante questo congresso.
Questo congresso si è tenuto in un contesto d’incremento delle tensioni in Asia, di proseguimento della guerra in Siria, di aggravamento della crisi economica e di una situazione della lotta di classe complessa, contrassegnata da un debole sviluppo delle lotte operaie “classiche” contro gli attacchi economici della borghesia, ma anche dal sorgere internazionale di movimenti sociali i cui esempi più significativi sono stati quelli degli “Indignados” in Spagna e quello di “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti.
L’analisi della situazione mondiale: una sfida che richiede un importante sforzo teorico
La risoluzione sulla situazione internazionale adottata dal 20° Congresso della CCI, e che riassume le analisi sviluppate dalle discussioni, è pubblicata in questo stesso numero della Rivista internazionale[1]. Pertanto è inutile dettagliarla qui.
Questa risoluzione ricorda la cornice storica in cui è da noi compresa la presente situazione sociale, quella della decadenza del modo di produzione capitalista, decadenza che è esordita con la prima guerra mondiale, e la fase ultima di questa decadenza che la CCI, dalla metà degli anni 1980, ha analizzato come quella della decomposizione, del deterioramento di questa società. Questa decomposizione si manifesta particolarmente con la forma che oggi assumono i conflitti imperialisti, di cui la situazione in Siria ne costituisce un tragico esempio[2], ma anche con la degradazione catastrofica dell’ambiente naturale che la classe dominante, malgrado tutte le sue dichiarazioni e campagne allarmistiche, è perfettamente incapace di impedire, o anche solo frenare.
Il congresso non ha fatto discussioni specifiche sui conflitti imperialisti per mancanza di tempo ed anche perché le discussioni preparatorie avevano mostrato una grande omogeneità su questa questione. Tuttavia, il congresso ha preso conoscenza di una presentazione fatta dal gruppo coreano Sanoshin sulle tensioni imperialiste in Estremo Oriente (…).
Sulla crisi economica
Su questa questione, la risoluzione sottolinea il vicolo cieco nel quale si trova oggi la borghesia che è incapace di superare le contraddizioni del modo di produzione capitalista, ciò che costituisce una chiara conferma dell’analisi marxista. Un’analisi che tutti gli “esperti”, sostenitori o meno del “neoliberismo”, considerano col disprezzo degli ignoranti e combattono proprio perché prevede il fallimento storico di questo modo di produzione e la necessità di sostituirlo con una società dove il mercato, il profitto e il salariato saranno riposti nel museo della storia, dove l’umanità sarà liberata dalle leggi cieche che la gettano nella barbarie, per vivere secondo il principio “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Per quanto riguarda la presente situazione della crisi del capitalismo, il congresso si è pronunciato chiaramente sul fatto che l’attuale “crisi finanziaria” non è affatto all’origine delle contraddizioni in cui affonda l’economia mondiale, né le sue cause si troverebbero in una "finanziarizzazione dell’economia” preoccupata unicamente dai profitti immediati e speculativi: “È la sovrapproduzione che si trova all’origine della 'finanziarizzazione' ed essendo sempre più rischioso investire nella produzione, di fronte ad un mercato mondiale sempre più saturo, si orientano in modo crescente i flussi finanziari verso la semplice speculazione. È per tale motivo che tutte le teorie economiche 'di sinistra' che sostengono un 'ridimensionamento per questo che tutte le teorie economiche ‘di sinistra’ che preconizzano una ‘messa al passo della finanza internazionale' per 'uscire dalla crisi' sono dei puri sogni, in quanto 'dimenticano' le vere cause di questa ipertrofia della sfera finanziaria". (Risoluzione sulla situazione internazionale, punto 10). Parimenti, il Congresso ha considerato che: “La crisi dei 'subprime' del 2007, il grande panico finanziario del 2008 e la recessione del 2009 hanno segnato il raggiungimento di una nuova tappa molto importante e significativa dello sprofondamento del capitalismo nella sua crisi irreversibile" (Ibid. punto 11)
Detto ciò, il Congresso ha constatato che non c’era unanimità nell’organizzazione e che conveniva proseguire la discussione su un certo numero di questioni come le seguenti.
Il peggioramento della crisi nel 2007 ha costituito una rottura qualitativa ed ha aperto un nuovo capitolo che conduce l’economia a un crollo veloce e immediato? Quale è il significato della tappa qualitativa costituita dagli avvenimenti del 2007? Più generale, che tipo di evoluzione della crisi bisogna aspettarsi: un crollo improvviso o un “lento” declino accompagnato “politicamente” dagli Stati capitalisti? Quali paesi cadranno per primi e chi saranno gli ultimi? La classe dominante ha un margine di manovra e quali errori vuole evitare? O, più in generale, quando analizza le prospettive della crisi, la classe dominante può ignorare la possibilità di reazioni della classe operaia? Quali criteri prende in considerazione la classe dominante quando adotta dei programmi di austerità nei differenti paesi? Siamo in una situazione nella quale dove tutte le classi dominanti possono attaccare la classe operaia com’è stato fatto in Grecia? Possiamo aspettarci una riproduzione degli attacchi a uno stesso livello (riduzione dei salari fino al 40%, ecc.) nei vecchi paesi industriali centrali? Quali sono le differenze tra la crisi del 1929 e quella di oggi? Quale è il grado di pauperizzazione nei grandi paesi industrializzati?
L’organizzazione ha ricordato che, dopo il 1989, ha preso rapidamente coscienza e ha previsto i cambiamenti fondamentali sul piano imperialistico e nella lotta di classe causati dal crollo del blocco dell’Est e dei regimi detti “socialisti”[3]. Tuttavia, sul piano delle conseguenze economiche, non abbiamo previsto i grandi cambiamenti successivi. Che significato avrebbe avuto per l'economia mondiale l’abbandono da parte di regimi come la Cina e l’India di una certa autarchia e dei meccanismi d’isolamento nei confronti del mercato mondiale?
Evidentemente, com’è stato fatto qualche anno fa per il dibattito interno a proposito dei meccanismi che hanno permesso il “boom” seguito alla Seconda Guerra mondiale[4], porteremo a conoscenza dei nostri lettori i principali elementi del dibattito attuale quando questo avrà raggiunto un sufficiente grado di chiarezza.
Sulla lotta di classe
Il Rapporto sulla lotta di classe ha tirato un bilancio degli ultimi due anni (Primavera araba, movimenti degli Indignados, di Occupy, le lotte in Asia, ecc.) e delle difficoltà della classe a rispondere agli attacchi sempre crescenti dei capitalisti in Europa e negli Stati Uniti. Le discussioni al congresso hanno trattato principalmente le seguenti questioni: come spiegare le difficoltà della classe operaia a rispondere “in modo adeguato” agli attacchi crescenti? Perché non si evolve ancora verso una situazione rivoluzionaria nei vecchi centri industriali? Quale politica segue la classe dominante per evitare lotte di massa nei vecchi centri industriali? Quali sono le condizioni dello sciopero di massa?
Nel rapporto di forze globale tra le classi, quale ruolo gioca la classe operaia dell’Asia, in particolare quella della Cina? Che cosa possiamo aspettarci dalla classe? Il centro dell’economia mondiale e del proletariato mondiale si è spostato in Cina? Come si valutano i cambiamenti nella composizione della classe operaia mondiale? La discussione ha ripreso la nostra posizione sull’anello debole sviluppata all’inizio degli anni 80 in opposizione alla tesi di Lenin secondo la quale la catena del dominio capitalista si sarebbe rotta a livello del suo “anello più debole[5], e cioè nei paesi poco sviluppati.
Anche se le discussioni non hanno mostrato dei disaccordi sul rapporto presentato (il quale è riassunto nella parte lotta di classe della risoluzione), abbiamo ritenuto che l’organizzazione aveva il dovere di proseguire la riflessione su questa questione, discutendo in particolare del tema “Con quale metodo occorre affrontare l’analisi della lotta di classe nell’attuale periodo storico?”
Sulle attività e la vita dell’organizzazione
Le discussioni sulla vita dell’organizzazione, sul bilancio e le prospettive delle sue attività e del suo funzionamento hanno occupato un posto importante nei lavori del 20° congresso, com’è sempre avvenuto nei precedenti congressi. Questo perché le questioni di organizzazione non sono semplici questioni “tecniche” ma questioni pienamente politiche, e pertanto è necessario affrontarle approfonditamente. Quando ci si ferma a riflettere sulla storia delle tre Internazionali che si è data la classe operaia, si constata che queste questioni sono state prese risolutamente in carico dall’ala marxista di queste come dimostrano, tra tanti altri, i seguenti esempi:
- lotta di Marx e del Consiglio generale dell’AIT contro l’Alleanza di Bakunin, in particolare al Congresso dell’Aia nel 1872;
- lotta di Lenin e dei bolscevichi contro le concezioni piccolo-borghesi e opportuniste dei menscevichi all’epoca del 2° congresso del POSDR, nel 1903 e in seguito;
- lotta della Frazione di Sinistra del Partito Comunista d’Italia contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e per preparare le condizioni politiche e programmatiche per la formazione di un nuovo partito proletario, quando si sarebbero prodotte le condizioni storiche necessarie.
L’esperienza storica del movimento operaio ha mostrato il carattere indispensabile di organizzazioni politiche specifiche che difendano la prospettiva rivoluzionaria all’interno alla classe operaia affinché questa sia capace di rovesciare il capitalismo ed edificare la società comunista. Ma non basta proclamare l’esistenza delle organizzazioni politiche proletarie, bisogna costruirle. Dal momento che lo scopo è il capovolgimento del sistema capitalista e che una società comunista può essere costruita solo al di fuori di questo una volta rovesciato il potere della borghesia, è nella società capitalista che bisogna costruire un’organizzazione rivoluzionaria. Questa costruzione si trova dunque confrontata ad ogni tipo di pressioni e di ostacoli emanati dal sistema capitalista e dalla sua ideologia. Ciò vuole dire che questa costruzione non avviene nel vuoto, che le organizzazioni rivoluzionarie sono come un corpo estraneo nella società capitalista che quest’ultima cerca costantemente di distruggere. Un’organizzazione rivoluzionaria è costretta a difendersi continuamente contro tutta una serie di minacce emanate dalla società capitalista.
È evidente che essa deve resistere alla repressione. La classe dominante non ha mai esitato, quando l'ha ritenuto necessario, a scatenare i suoi mezzi polizieschi, addirittura militari, per fare tacere la voce dei rivoluzionari. La maggior parte delle organizzazioni del passato è vissuta per molto tempo in condizioni di repressione, erano “fuorilegge”, molti militanti erano esiliati. Detto ciò, questa repressione non ha spezzato tali organizzazioni. Spesso, al contrario, ha rafforzato la loro risoluzione e le ha aiutate a difendersi contro le illusioni democratiche. Fu il caso, ad esempio, del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) durante il periodo delle leggi antisocialiste, in cui ha resistito molto meglio al veleno della “democrazia” e del “parlamentarismo”, piuttosto che durante il periodo in cui è stato legale. Fu anche il caso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, (in particolare della sua frazione bolscevica che è stata illegale durante la quasi totalità della sua esistenza).
L’organizzazione rivoluzionaria deve resistere anche alla distruzione dall’interno che viene da delatori, da spie o da avventurieri che spesso possono provocare danni ben più importanti della repressione aperta.
Infine, e soprattutto, deve resistere alla pressione dell’ideologia dominante, in particolare quella del democraticismo e del “buonsenso comune” (stigmatizzato da Marx), e lottare contro tutti i “valori” e tutti i “principi” della società capitalista. La storia del movimento operaio ci ha insegnato, attraverso la cancrena opportunista che ha invaso la 2a e la 3a Internazionale, che la principale minaccia per le organizzazioni proletarie, è proprio quella della loro incapacità a combattere la penetrazione al loro interno di “valori” e di modi di pensiero della società borghese.
Pertanto, l’organizzazione rivoluzionaria non può funzionare come la società capitalista, deve funzionare in modo associato.
La società capitalista funziona sulla base della concorrenza, dell’alienazione, del “confronto” degli uni con gli altri, dell’instaurazione di stabilire norme, dell’efficacia massima. Un’organizzazione comunista richiede di lavorare insieme e di superare lo spirito di competizione. Può funzionare solo se i suoi membri non si comportano come un gregge di pecore, e non seguono né accettano ciecamente ciò che dicono l’organo centrale o altri compagni. La ricerca della verità e della chiarezza deve essere uno stimolo permanente in tutte le attività dell’organizzazione. L’autonomia del pensiero, la capacità di riflettere, di mettere in questione le cose è indispensabile. Ciò significa che non ci si può nascondere dietro un collettivo ma assumersi le proprie responsabilità esprimendo il proprio punto di vista e spingendo al chiarimento. Il conformismo è un grande ostacolo nella nostra lotta per il comunismo.
Nella società capitalista, se non si è nella “norma”, si viene rapidamente “esclusi”, trasformato in capro espiatorio, in colui che viene biasimato per tutto ciò che capita. Un’organizzazione rivoluzionaria deve stabilire un modo di funzionamento in cui i diversi individui, le differenti personalità possano integrarsi in una grande ed unica totalità, in altri termini un funzionamento che sviluppi l’arte di mettere a frutto e integrare la ricchezza di tutte le personalità. Ciò significa combattere l’orgoglio personale e altri atteggiamenti legati alla competizione, mentre si considera e si da importanza al contributo di ogni compagno. Allo stesso tempo, ciò significa che un’organizzazione deve avere un insieme di regole e di principi. Questi devono essere elaborati, e questo è di per sé una lotta politica. Mentre l’etica della società capitalista non conosce alcuno scrupolo, gli strumenti della lotta proletaria devono essere in armonia con lo scopo da raggiungere.
La costruzione ed il funzionamento di un’organizzazione implicano dunque una dimensione teorica e morale, entrambe richiedono sforzi costanti e permanenti. Ogni debolezza ed ogni indebolimento degli sforzi e della vigilanza in una dimensione preparano la strada all’indebolimento in un’altra. Queste due dimensioni sono inseparabili l’una dall’altra e si determinano reciprocamente. Meno sforzo teorico fa un’organizzazione, più rapidamente e più facilmente può sviluppare una regressione morale, e la perdita della bussola morale a sua volta indebolirà inevitabilmente le capacità teoriche. Alla svolta tra il 19° e il 20° secolo, Rosa Luxemburg aveva già messo in evidenza che la deriva opportunista della Socialdemocrazia tedesca andava di pari in passo con la sua regressione morale e teorica.
Uno degli aspetti fondamentali della vita di un’organizzazione comunista è il suo internazionalismo, non solo sul piano dei principi ma anche a livello della concezione che costruisce del suo modo di vita e di funzionamento.
Lo scopo - una società senza sfruttamento e che produce per i bisogni dell’umanità - non può essere realizzato che a livello internazionale e richiede l’unificazione del proletariato oltre tutte le frontiere. È per tale motivo che l’internazionalismo è stato la parola d’ordine centrale del proletariato fin dalla sua apparizione. Le organizzazioni rivoluzionarie devono essere l’avanguardia, adottare sempre un punto di vista internazionale e lottare contro ogni prospettiva “localista”.
Sebbene, fin dalla sua nascita, il proletariato abbia sempre cercato di organizzarsi a livello internazionale (La Lega dei Comunisti del 1847-1852 fu la prima organizzazione internazionale), la CCI è la prima organizzazione ad essere centralizzata a livello internazionale e dove tutte le sezioni difendono le stesse posizioni. Le nostre sezioni sono integrate al dibattito internazionale nell’organizzazione e tutti i membri - nei differenti continenti - possono basarsi sull’esperienza di tutta l’organizzazione. Questo vuole dire che dobbiamo imparare a riunire militanti che vengono da ambienti di ogni tipo, ed sviluppare dibattiti nonostante le differenti lingue - tutto ciò costituisce un processo appassionante e fruttuoso, dove il chiarimento e l’approfondimento delle nostre posizioni sono arricchite dai contributi di compagni di tutto il pianeta.
Infine, last but not least, è necessario che l’organizzazione abbia in permanenza una chiara comprensione del ruolo che le spetta nella lotta del proletariato per la sua emancipazione. Come la CCI ha spesso sottolineato, oggi la funzione dell’organizzazione rivoluzionaria non è quella di “organizzare la classe” e neanche le sue lotte (questo poteva essere valido all’epoca dei primi passi del movimento operaio, nel 19° secolo). Il suo ruolo essenziale, come enunciato già nel Manifesto Comunista del 1848, consegue dal fatto “che [i comunisti] hanno sul resto del proletariato il vantaggio di un’intelligenza chiara delle condizioni, della marcia e dei fini generali del movimento proletario”. In questo senso, la funzione permanente ed essenziale dell’organizzazione è l’elaborazione delle posizioni politiche e, per fare questo, non deve essere completamente assorbita dai compiti d’intervento nella classe. Essa deve dar prova di saper guardare al di là dell’immediato (prendere del “recul”), di saper avere una visione generale delle questioni ed approfondire continuamente le domande che si pongono alla classe nel suo insieme e nel quadro della sua prospettiva storica. Ciò significa che non può accontentarsi di analizzare la situazione mondiale ma, in modo più ampio, deve studiarne le questioni teoriche sottostanti, contrariamente alla superficialità ed alle distorsioni ideologiche della società capitalista. È una lotta permanente, con una prospettiva a lungo termine che abbraccia tutta una serie di aspetti che vanno ben oltre le questioni che possono porsi alla classe in questo o quel momento della sua lotta.
Poiché la rivoluzione proletaria non è semplicemente una lotta di “coltelli e forchette”, come sottolineava Rosa Luxemburg, la prima rivoluzione nella storia dell’umanità dove vengono rotte tutte le catene dello sfruttamento e dell’oppressione, questa lotta comporta necessariamente un’immensa trasformazione culturale. Un’organizzazione rivoluzionaria non tratta solo di questioni di economia politica e di lotta di classe in senso stretto; deve sviluppare una visione sulle questioni più importanti alle quali è confrontata l’umanità, sviluppare costantemente questa visione ed essere aperta e pronta a far fronte a nuove questioni. L’elaborazione teorica, la ricerca della verità, il desiderio di chiarimento deve essere una passione quotidiana.
E, allo stesso tempo, possiamo compiere il nostro ruolo solo se la vecchia generazione di militanti trasmette la sua esperienza e le sue lezioni ai nuovi militanti. Se la vecchia generazione non ha alcun “tesoro” di esperienza né alcuna lezione da trasmettere alla nuova generazione, fallisce nel suo compito. La costruzione dell’organizzazione richiede dunque l’arte di combinare le lezioni del passato per preparare il futuro.
Come possiamo vedere, la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria è un compito estremamente complesso e necessita di una lotta permanente. Nel passato, la nostra organizzazione ha già condotto importanti lotte per la difesa dei principi che abbiamo enunciato sopra. Ma l’esperienza ha mostrato che queste lotte erano ancora insufficienti e che avrebbero dovuto proseguire di fronte alle difficoltà ed alle debolezze dovute alle origini della nostra organizzazione e alle condizioni storiche in cui essa lavora:
“Non esiste un’unica causa, esclusiva per ciascuna delle differenti debolezze dell’organizzazione. Queste risultano dalla combinazione di diversi fattori che, anche se possono essere legati tra loro, devono essere chiaramente identificati:
- il peso delle nostre origini all’interno alla ripresa storica del proletariato mondiale alla fine degli anni ‘60, in particolare quello della rottura organica;
- il peso della decomposizione che inizia a produrre i suoi effetti dalla metà degli anni ‘80;
- la pressione della “mano invisibile del mercato”, della reificazione la cui impronta sulla società si è accentuata con il prolungarsi della sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalista.
Le differenti debolezze che abbiamo potuto identificare, anche se possono determinarsi tra loro, dipendono, in ultima istanza, da questi tre fattori e dalla loro combinazione:
- La sottovalutazione dell’elaborazione teorica, in particolare sulle questioni organizzative, ha le sue radici nelle nostre stesse origini: l’impatto della rivolta studentesca con la sua componente accademista (di natura piccolo-borghese) alla quale si è opposta una tendenza che confondeva l’anti-accademismo ed il disprezzo per la teoria, e ciò in un ambiente di contestazione dell’autorità" [dei militanti più vecchi]. In seguito, questa sottovalutazione della teoria è stata alimentata dall’ambiente generale di distruzione del pensiero specifico al periodo di decomposizione e alla presa crescente del “buonsenso comune” (…).
- La perdita delle acquisizioni è una conseguenza diretta della sottovalutazione dell’elaborazione teorica: le acquisizioni dell’organizzazione sia relative a questioni programmatiche, di analisi, che quelle sul piano organizzativo, non possono essere mantenute, in particolare di fronte alla pressione costante dell’ideologia borghese, se non vengono sostenute e alimentate continuamente dalla riflessione teorica: un pensiero che non progredisce che si accontenta di ripetere solamente delle formule stereotipate non solo rischia la stagnazione, ma regredisce. (…).
- L’immediatismo fa parte dei peccati di gioventù della nostra organizzazione che è stata formata da giovani militanti risvegliati alla politica dalla ripresa spettacolare della lotta di classe i quali (in molti) immaginavano che la rivoluzione fosse già a portata di mano. I più immediatisti tra noi non hanno resistito ed alla fine si sono demoralizzati, abbandonando la lotta, ma questa debolezza si è mantenuta anche tra quelli che sono restati (…). Questa è una debolezza che può essere fatale perché, associata alla perdita delle acquisizioni, inesorabilmente apre all’opportunismo, un percorso che regolarmente va a destabilizzare i fondamenti dell’organizzazione. (…)
- L’agire in maniera routinaria, da parte sua, è una delle maggiori manifestazioni del peso, nei nostri ranghi, di rapporti alienati, reificati, che domina la società capitalista e che tende a trasformare l’organizzazione in una macchina e i militanti in robot. (…)
- Lo spirito di circolo costituisce, proprio come lo attesta tutta la storia della CCI e anche quella di tutto il movimento operaio, uno dei veleni più pericolosi per l'organizzazione che porta in sé non solo la trasformazione di uno strumento di lotta proletaria in una semplice “banda di amici”, non solo la personalizzazione delle questioni politiche (erodendo così la cultura del dibattito), ma porta anche alla distruzione del lavoro collettivo nell’organizzazione e la sua unità, in particolare attraverso il clanismo. Esso è in egual misura responsabile della ricerca di capri espiatori, che erode la sua salute morale, ed è anche uno dei peggiori nemici della cultura della teoria attraverso la distruzione del pensiero razionale e profondo a favore delle contorsioni e del pettegolezzo. Inoltre, è molto spesso un vettore dell’opportunismo, anticamera del tradimento”. (Risoluzione di attività adottata dal Congresso, punto 4)
Per combattere le debolezze ed i pericoli ai quali è confrontata l’organizzazione, non esiste una formula magica ed è necessario orientare i nostri sforzi in parecchie direzioni. Uno dei punti su cui si è insistito particolarmente, è la necessità di combattere il rutinismo ed il conformismo, sottolineando il fatto che l'organizzazione non è un corpo uniforme ed anonimo ma un’associazione di militanti differenti che tutti devono portare il loro contributo specifico all’operato comune:
"Per operare alla costruzione di una vera associazione internazionale di militanti comunisti, dove ciascuno deve poter continuare ad apportare la sua pietra all’edificio collettivo, l’organizzazione rigetta l’utopia reazionaria del “militante esemplare”, del “militante standard”, del “super-militante” invulnerabile ed infallibile. (…) I militanti non sono né dei robot né dei “superuomini” ma esseri umani che hanno personalità, storie ed origini socioculturali differenti. È solo attraverso una migliore comprensione della nostra “natura” umana e della specifica diversità della nostra specie che possiamo costruire e consolidare la fiducia e la solidarietà tra i militanti. (…) In questa costruzione, ogni compagno ha la capacità di dare un contributo unico all’organizzazione. Ha anche la responsabilità individuale di farlo. In particolare, è responsabilità di ognuno esprimere la propria posizione nei dibattiti e in particolare i disaccordi e le questioni senza le quali l’organizzazione non sarà capace di sviluppare la cultura del dibattito e l’elaborazione teorica”. (Risoluzione di attività, punto 9).
E è proprio sulla necessità di assumere con determinazione e perseveranza lo sforzo di elaborazione teorica che il congresso ha insistito particolarmente.
“La prima sfida per l’organizzazione è prendere coscienza dei pericoli ai quali siamo confrontati. Non possiamo superare tali pericoli attraverso un’azione di “pompieraggio” (…), dobbiamo affrontare tutti i problemi con un comportamento teorico e storico e dobbiamo opporci ad ogni analisi pragmatica, superficiale. Ciò vuole dire sviluppare una visione a lungo termine e non cadere nell’atteggiamento empirico del “giorno per giorno”. Lo studio teorico e la lotta politica devono ritornare al centro dalla vita dell’organizzazione, non solamente per ciò che riguarda il nostro intervento quotidiano, ma, e più importante, proseguendo sulle questioni teoriche più profonde, sullo stesso marxismo, che si sono poste durante gli ultimi dieci anni negli orientamenti che ci siamo dati (…) Questo significa che ci diamo il tempo di approfondire e combattere ogni conformismo nelle nostre fila. L’organizzazione incoraggia il porre delle questioni critiche, l’espressione di dubbi e gli sforzi per esplorare più a fondo le cose.
Non dobbiamo dimenticare che ‘la teoria non è una passione del cervello ma il cervello di una passione’ e che quando questa “teoria si impossessa delle masse, diventa una forza materiale” (Marx). La lotta per il comunismo non comporta solo una dimensione economica e politica, ma anche e soprattutto una dimensione teorica (“intellettuale” e morale). É sviluppando la “cultura della teoria”, e cioè la capacità di porre continuamente in un quadro storico e/o teorico tutti gli aspetti dell’attività dell’organizzazione, che potremo sviluppare ed approfondire la cultura del dibattito al nostro interno e assimilare meglio il metodo dialettico del marxismo. Senza lo sviluppo di questa “cultura della teoria”, la CCI non sarà capace di “mantenere la rotta” sul lungo termine per orientarsi ed adattarsi alle situazioni inedite, di evolversi, di arricchire il marxismo che non è un dogma invariante ed immutabile ma una teoria vivente orientata verso l’avvenire.
Questa “cultura della teoria” non è un problema di “livello di studi” dei militanti. Essa contribuisce allo sviluppo di un pensiero razionale, rigoroso e coerente (indispensabile all’argomentazione), allo sviluppo della coscienza di tutti i militanti ed a consolidare nelle nostre fila il metodo marxista.
Questo lavoro di riflessione teorica non può ignorare l’apporto delle scienze (e particolarmente delle scienze umane, come la psicologia e l’antropologia), la storia della specie umana e dello sviluppo della sua civiltà. Per questo la discussione sul tema “marxismo e scienza” è stata importantissima e i passi avanti che ha permesso devono essere presenti e rafforzarsi nella riflessione e la vita dell’organizzazione" (Risoluzione di attività, punto 8).
L’invito di scienziati
Questa preoccupazione per l’apporto delle scienze non è nuova da parte della CCI. Abbiamo già reso conto negli articoli sui nostri precedenti congressi dell’invito di scienziati che hanno contribuito alla riflessione dell’insieme dell’organizzazione fornendole le proprie riflessioni nel proprio ambito di ricerca. Questa volta abbiamo invitato due antropologi britannici, Camilla Power e Chris Knight, che erano già venuti a precedenti congressi e a cui vogliamo, in questo articolo, inviare calorosi ringraziamenti. Questi due scienziati hanno fatto due presentazioni sul tema della violenza nella preistoria, nelle società che non conoscevano ancora la divisione in classi. L’interesse di questo tema per i comunisti è evidentemente fondamentale. Il marxismo ha dedicato tutta una riflessione sul ruolo della violenza. Engels dedica una parte importante de L’Anti-Dühring al ruolo della violenza nella storia. Oggi, mentre ci si prepara a celebrare il centenario della prima guerra mondiale, un secolo che è stato segnato dalle peggiori violenze che abbia conosciuto l’umanità, mentre la violenza è onnipresente nella società e quotidianamente presente sugli schermi televisivi, è importante che quelli che militano per una società libera dai flagelli della società capitalista, dalle guerre e dall’oppressione si interroghino sull’impiego della violenza nelle differenti società. In particolare, di fronte alle tesi dell’ideologia borghese secondo le quali la violenza della società attuale corrisponde alla “natura umana” la cui regola è il “ciascuno per sé”, dove domina necessariamente la “legge del più forte”, è necessario fermarsi a riflettere sull’impiego della violenza nelle società che non conoscevano la divisione in classi, come nel comunismo primitivo.
Non possiamo qui rendere conto delle presentazioni molto ricche fatte da Camilla Power e Chris Knight[6]. Ma vale la pena sottolineare che questi due scienziati hanno contraddetto la tesi di Steven Pinker secondo la quale grazie alla “civiltà” ed all’influenza dello Stato, la violenza è arretrata. Hanno mostrato che nelle società di cacciatori-raccoglitori esisteva un livello di violenza ben più bassa che nelle società che si sono susseguite.
La discussione seguita a queste presentazioni è stata, come nei congressi precedenti, molto animata. Ha illustrato in particolare, ancora una volta, quanto l’apporto delle scienze possa arricchire il pensiero rivoluzionario, un’idea difesa da Marx ed Engels più di un secolo e mezzo fa.
Conclusione
Il 20° congresso della CCI, attraverso la messa in evidenza degli ostacoli che la classe operaia affronta nella lotta per la sua emancipazione, così come sugli ostacoli che l’organizzazione dei rivoluzionari incontra nel compimento della sua specifica responsabilità in questa lotta, ha potuto constatare la difficoltà e la lunga strada che è davanti a noi. Ma questo non per scoraggiarci. Come dice la risoluzione adottata dal congresso:
“Il compito che ci aspetta è lungo e difficile. Dobbiamo armarci di pazienza, che Lenin diceva essere una delle principali qualità del bolscevico. Occorre resistere allo scoraggiamento di fronte alle difficoltà. Queste sono inevitabili e occorre considerarle non come una maledizione ma al contrario come un incoraggiamento a proseguire ed intensificare la lotta. I rivoluzionari, ed è una delle loro caratteristiche fondamentali, non sono delle persone che ricercano la comodità o la facilità. Sono dei combattenti che si danno per obiettivo il contribuire in modo decisivo al compito più immenso e più difficile che dovrà compiere la specie umana, ma anche il più entusiasmante perché significa la liberazione dell’umanità dallo sfruttamento e dall’alienazione, e l’inizio della sua ‘vera storia’” (Risoluzione di attività, punto 16).
CCI
[1] Rivista Internazionale n.152, 2° trimestre 2013 in inglese, francese e spagnolo. La traduzione in italiano della risoluzione sarà pubblicata al più presto sul sito.
[2] Vedi il Rapporto sulle tensioni imperialiste pubblicato nella Rivista internazionale su citata.
[3] Vedi “Crollo del blocco dell'Est: difficoltà aumentate per il proletariato "Rivista Internazionale n.60” https://en.internationalism.org/ir/60/difficulties_for_the_proletariat, https://fr.internationalism.org/rinte60/prolet.htm, https://es.internationalism.org/node/3502; Testo di orientamento: Militarismo e decomposizione" https://it.internationalism.org/node/974
[4] "Dibattito interno alla CCI: Le cause della prosperità seguita alla Seconda Guerra mondiale", serie di articoli pubblicati nei numeri della Rivista Internazionale dal n.133, 135, 136, 138 - 2008-2009. Pubblicati sul nostro sito in inglese, francese e spagnolo.
[5] Vedi “Il proletariato dell’Europa occidentale al centro della generalizzazione della lotta di classe”, Rivista Internazionale n.31; https://en.internationalism.org/ir/1982/31/critique-of-the-weak-link-theory, fr.internationalism.org/nation_classe.htm.
[6] Pubblicate sul nostro sito: https://en.internationalism.org/tag/25/1369/camilla-power e https://en.internationalism.org/taxonomy/term/567