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La tragedia si è consumata veloce e profonda nel giro di pochi giorni. I motivi di tensione esistenti tra le due diverse frazioni della dirigenza palestinese facenti capo ad Hamas e ad Al Fatah rispettivamente erano diversi. Entrambi espressione del riscatto di una nazione palestinese contro l’eterno nemico israeliano, hanno espresso nel tempo questa ambizione di rivalsa con modalità diverse e concretamente opposte. Al Fatah esprimendo il versante ragionevole e collaborativo, Hamas esprimendo viceversa il versante oltranzista, carico anche di un forte fanatismo religioso. Le elezioni parlamentari dello scorso anno e la vittoria schiacciante di Hamas, che ha preso il pieno controllo del parlamento, con un presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, che resta un moderato, hanno solo finito per produrre gli ingredienti per l’atto finale. Dopo una serie di scontri interni tra le due fazioni, alla fine si è arrivati ad una vera e propria resa dei conti, con uno scontro armato che ha portato alla presa del potere da parte di Hamas della striscia di Gaza mentre, per contromisura, il presidente Abu Mazen ha sciolto il precedente governo di coalizione e, dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, ha messo su un nuovo governo “di emergenza” senza neanche l’avallo del parlamento (che non glielo darebbe data la sua composizione), profittando appunto dello stato di emergenza. Ma come si è arrivati a tanto?
La Palestina, cassa di risonanza di tutte le tensioni imperialiste
E’ dai tempi della guerra fredda che gli Usa utilizzano Israele come avamposto militare per controllare e tenere a bada i paesi arabi e tutta l’area mediorientale. E’ ugualmente dalla stessa epoca che la questione palestinese è stata invocata e propugnata da tutti i sedicenti liberatori di popoli, dagli ex paesi stalinisti fino ai vari partiti e movimenti di sinistra che hanno portato avanti l’illusione che per risolvere - o per lo meno lenire - le sofferenze di quel popolo occorresse arrivare all’edificazione di un suo stato. Di fatto gli uni come gli altri si sono serviti delle sofferenze di questi due popoli, entrambi particolarmente provati dalle traversie della storia, per metterli gli uni contro gli altri e per portare avanti la loro politica. Così lo sfascio che oggi possiamo osservare in Palestina è solo in minima parte attribuibile ai rancori antichi esistenti tra le diverse comunità sciite e sunnite e molto più il risultato dei giochi imperialisti che le varie potenze, grandi e meno grandi, hanno svolto e stanno svolgendo tuttora in quest’area. Giusto per ricordare qualche elemento che ha sicuramente concorso a caricare lo scontro tra le due frazioni, possiamo citare come Israele abbia in tutta una fase favorito lo sviluppo di Hamas ai danni di Al Fatah sperando così di ottenere proprio quello a cui siamo arrivati oggi, la perdita di credibilità dell’autorità palestinese e lo scontro tra le due frazioni:
“Quanto ad Hamas, chi conosce le vicende della Palestina occupata sa bene quanta parte abbiano avuto gli israeliani nell’insediamento degli islamisti a Gaza e in Cisgiordania. Come nella seconda metà degli Ottanta fossero visti, da Ariel Sharon in particolare, quali utili contendenti dell’Olp di Arafat. Come ne vennero favorite la crescita e le attività, così da produrre due risultati: uno certo, l’indebolimento dell’Olp, e un altro auspicabile, lo scontro interno tra le due fazioni” (La Repubblica, 14/06/07).
Nello stesso senso possiamo ricordare come l’assedio posto da Israele al quartiere generale del capo dell’Olp Arafat a Ramallah e durato un anno e mezzo e, più recentemente, la sospensione degli aiuti e dei finanziamenti all’autorità palestinese da parte di Usa e UE dopo la formazione del primo governo di Hamas, abbiano giocato entrambi a discreditare la componente moderata della borghesia palestinese, dando vigore alla sua ala estremista di Hamas.
Solo che oggi la situazione di frattura che si è creata in Palestina rischia di sfuggire di mano anche a coloro che in tempi lontani l’hanno innescata e può produrre una instabilità in tutta l’area di cui possono profittare soprattutto quelle potenze emergenti, Iran, Siria tra le principali, che partendo da una situazione di debolezza non possono che guadagnare da qualunque situazione in movimento. E’ per questo che la situazione palestinese costituisce un elemento di grande preoccupazione per le borghesie dei paesi dominanti, Usa in testa, e non è un caso che in seguito alla situazione che si è creata siano stati ripristinati con urgenza i finanziamenti all’autorità palestinese, proprio per dare forza a credibilità all’unica forza politica che in questo momento ha, almeno sulla carta, qualche vaga speranza di recuperare la situazione.
La Palestina, inferno dell’umanità
In tutto questo c’è da chiedersi come stanno e che dicono le popolazioni che vivono nei territori palestinesi. Purtroppo, se prima stavano male, adesso non possono che stare ancora peggio. Infatti la popolazione palestinese, già sottoposta alla doppia autorità dello stato palestinese e di quello israeliano, oggi addirittura si vede contesa tra due diversi governi che si reclamano entrambi il suo legittimo rappresentante, con atti di reciproche vendette e controvendette per i “traditori”, ovvero per quelli che incappano nelle maglie degli uni o degli altri carnefici, come è stato il caso di un miliziano di Al Fatah che è stato gettato da un palazzo di 18 piani dai guerriglieri di Hamas. Naturalmente poco dopo è stato reso lo stesso sporco servizio dai “moderati” di Al Fatah che non hanno esitato a sottoporre allo stesso tipo di supplizio un combattente di Hamas. Questo tipo di esecuzioni sono del tutto consuete nei ranghi delle milizie e del popolo palestinesi, oggi “giustificate” dallo scontro tra fazioni, ieri semplicemente alimentate dal sospetto di non essere del tutto fedeli alla causa palestinese e di avere delle simpatie per Israele. In altri termini lo stesso pacifismo, in Palestina, può essere visto come elemento di tradimento e giudicato passibile di esecuzione capitale. E’ questa la cultura di libertà che porta dentro il popolo palestinese? E’ la guerra civile il risultato degli sforzi di un popolo che da decenni si batte per uno stato proprio? In realtà, se siamo arrivati a questo, non è perché “il popolo” palestinese abbia delle cattive qualità, non abbia la capacità di esprimere una cultura della libertà, ecc., ma perché oggi come oggi, in una fase di crisi storica del capitalismo, non è più ai popoli che può essere demandato il compito di fare sviluppare questo o quel paese. In un’epoca di declino storico e di crisi irreversibile di tutta la società, solo la classe operaia e la sua lotta per il socialismo può mettere fine alle sofferenze dell’umanità. La frattura del ministato palestinese in due sub-unità in lotta fra di loro è la dimostrazione storica della mistificazione che ha sempre accompagnato la parola d’ordine della lotta per lo stato palestinese. La guerra che si combattono due diversi eserciti agli ordini di due diversi e contrapposti governi palestinesi, le sofferenze del popolo palestinese, preso in una trappola dai cannoni di Israele e dalle mitragliatrici di Hamas e di Al Fatah, l’incubo di migliaia di persone che cercano di scappare dalla trappola di Gaza per andare in Cisgiordania dovendo attraversare oltre 40 chilometri di territorio israeliano, esprimono fino in fondo quanto sia falsa la prospettiva di uno stato palestinese come soluzione delle sofferenze del suo popolo. Hamas come Al Fatah, Hezbollah come al Qaida, sono tutte bande criminali al pari di tutte le altre borghesie del mondo, alla ricerca di uno spazio imperialista in un mondo in disfacimento. E’ solo la classe operaia che, polarizzando intorno a sé gli strati popolari non sfruttatori, può dare una risposta in positivo alla tragedia dell’epoca che viviamo.
Ezechiele, 22 giugno 2007
1. Ma solo di nome, perché stalinisti di fatto.