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Anche il 2004 si sta chiudendo per l’Italia con una calma piatta dal punto di vista dello sviluppo dell’economia. Ciò vuol dire che i capitali investiti a livello globale non hanno reso niente, come i soldi depositati in banca. Mettendo in conto l’aumento dell’inflazione, sia reale che programmata, vuol dire che siamo in recessione. E questo è sufficiente per spingere la borghesia, statale e privata, non tanto a stringere la cinghia come si usa nelle famiglie proletarie ma ad attaccare con sempre più forza i livelli di vita altrui, dei lavoratori, dei pensionati, di chi usufruisce dei servizi collettivi.
Il debito dello Stato continua ad essere superiore al PIL, e questo nonostante tutte le privatizzazioni che ci sono state. Il deficit per quest’anno corre intorno al 3,1% ed è necessario ridurlo per evitare sanzioni dalla Comunità Europea. In una situazione disperata come questa la borghesia ha dimostrato di non sapere che pesci prendere: qualsiasi misura risulta controproducente. In queste condizioni una delle attività di governo più importanti sul piano economico è quello di promettere, cosa che riesce molto bene a Berlusconi. Ha promesso di tagliare le tasse per stimolare le spese dei privati e favorire gli investimenti, ma non può farlo perché aumenterebbe il deficit, a meno che non raccolga i fondi da qualche altra parte. Da dove? Non è molto difficile indovinarlo. Le varie riforme che stanno approvando non hanno solo un aspetto “culturale”, “ideologico”, ma anche un aspetto economico, un risparmio che si ottiene attraverso una riduzione dei posti di lavoro, la riorganizzazione dell’apparato statale, l’aumento dei ritmi di lavoro e delle mansioni (1).
La riforma sul decentramento non fa altro che trasferire competenze dallo Stato alle Regioni e questo, se in teoria dà l’impressione di una duplicazione dei compiti e quindi del personale, in effetti scarica l’autorità centrale da ogni responsabilità e affida il mantenimento del personale alle singole Regioni che, in mancanza di fondi, si vedono costrette a non coprire i vuoti, tagliare i servizi e, dulcis in fundo, aumentare le tasse. Questo decentramento porterà inoltre a dividere i settori lavorativi interessati sulla base della forza economica della regione, e quindi a peggiorare i salari del personale delle regioni del sud.
La riforma delle aliquote contributive (23%, 33%, 39%), che sulla base della pubblicità governativa tutti vogliono ma che penalizza la fascia centrale dei lavoratori, serve soprattutto a far recuperare a settori piccolo borghesi e borghesi dei capitali da utilizzare per gli investimenti e le spese non di prima necessità, ovvero di lusso. In questo modo il governo spera di far riprendere fiato all’asfittica economia nazionale, che resta ultima nelle classifiche europee, senza aggravi di spesa, scaricando il tutto sulle spalle dei lavoratori. E quei settori più deboli del proletariato, giovani, precari, che avranno qualche euro in più dalla riduzione delle tasse, dovranno subito ridarli indietro grazie agli aumenti previsti per luce, acqua, gas, trasporti e canoni vari.
La nuova manovra finanziaria per l’anno 2005 è stimata in 30 miliardi di euro, cifra di non poco conto (Il sole 24 ore, 22/09/04); il governo successivamente ha parlato di 24 miliardi. La campagna pubblicitaria governativa dice che non saranno toccati la sanità, le spese sociali, gli investimenti e ci sarà solo il contenimento delle spese ministeriali. In parole povere, avendo i ministeri meno soldi a disposizione, effettueranno dei tagli che ricadranno sui lavoratori e i settori del proletariato che già adesso incontrano difficoltà a tirare avanti quali disoccupati, pensionati, immigrati. Si avrà un aumento dei carichi di lavoro perché non ci sarà il turn over (i posti persi con i pensionamenti non saranno ricoperti) e meno soldi per i rinnovi contrattuali, tanto che Fini e i leghisti preparano la messinscena per dividere i lavoratori ed evitare di perdere simpatie. In conclusione meno soldi e più sfruttamento.
Il recente accordo tra Alitalia e sindacati ha mostrato l’inizio di una nuova offensiva contro i lavoratori. Partendo dal presupposto che con gli attuali ritmi di lavoro e salari la compagnia aerea è destinata al fallimento, e questo è già successo ad altre compagnie aeree, i lavoratori sono stati costretti ad accettare un grosso aumento percentuale delle ore lavorate, la riduzione di permessi e ferie, il blocco dei salari, e alcune migliaia di licenziamenti. Questa incredibile mole di sacrifici richiesti ai lavoratori non garantisce comunque niente, perché la rinnovata, eventuale, competitività dell’Alitalia spingerà le altre compagnie a fare altrettanto, con il risultato che ci si ritroverà punto e da capo. Con il ricatto del fallimento della compagnia, i sindacati sono riusciti a fare accettare ai lavoratori dell’Alitalia un vero e proprio salasso, dimostrando così qual è il loro reale ruolo: quello di difensori del capitale nazionale e di sabotatori delle lotte proletarie.
La crisi economica del capitalismo è una spirale senza fine che non risparmia nessun paese del mondo, nessun settore lavorativo e nessun aspetto della vita dei proletari. Perciò tutta la “ragionevolezza” cui ci invitano i sindacati, in attesa di tempi migliori, non è niente altro che un mezzo per scoraggiare i lavoratori a lottare, per fargli accettare i sacrifici oggi, per sconfiggerli definitivamente domani.
L’unico modo per uscire da questo ciclo di sconfitte è prendere coscienza che la crisi è globale e del capitalismo come sistema, quindi è necessario prendere in mano la propria lotta senza affidarla a sindacati o altri e unirsi agli altri settori dei lavoratori. Solo questo può fare paura alla borghesia e ai suoi governi e dare uno stop al peggioramento delle condizioni di vita.
Oblomov
1. I “risparmi” ottenuti con questi tagli e aumenti dei ritmi appaiono di tanto in tanto tra le notizie soprattutto ad uso e consumo dei sindacati che hanno firmato i vari contratti con la nota che i risparmi ottenuti sarebbero stati ripartiti tra coloro che hanno subito sacrifici. Aspetta e spera verrebbe da dire.