Elezioni regionali. Verso la fine del berlusconismo?

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I recenti risultati delle elezioni regionali e, soprattutto la crisi del governo che le ha seguite, fanno pensare, e molti già lo dicono, che sarebbe finita l’epoca di Berlusconi, e che anche le prossime elezioni politiche (nel 2006 o addirittura anticipate) vedrebbero la sicura sconfitta di Berlusconi e del centrodestra. Prima di dire se è questa effettivamente la situazione, vediamo quali sono i criteri che spingono la borghesia a scegliere una compagine governativa invece di un’altra. E già, perché innanzitutto va ricordato che la democrazia borghese è una grande finzione e che se tutti i partiti politici ufficiali rappresentano gli interessi del capitale, non è sulla base della libera competizione tra di loro che viene fuori chi vince le elezioni, ma, al contrario, è il capitale nazionale che in base alle esigenze del momento decide chi deve rappresentarlo a livello di governo.

I criteri che guidano questa scelta sono essenzialmente tre:

1) lo stato dei rapporti tra borghesia e proletariato, ovverosia, lo stato della lotta di classe;

2) le inclinazioni imperialiste della borghesia nazionale;

3) la capacità di una certa compagine di difendere meglio gli interessi dell’economia nazionale

Il primo di questi punti ha portato spesso la borghesia a adottare addirittura a livello internazionale una strategia di utilizzo al governo di quelle forze che meglio potevano affrontare la situazione sociale. Per esempio negli anni ’70, di fronte alla forte crescita della lotta di classe, la borghesia adottò la strategia della "sinistra al governo" (1) per deviare le lotte dei lavoratori su questo falso obiettivo e sull’illusione che la sinistra al governo potesse dare risposta alle esigenze dei lavoratori; negli anni ‘80 invece, di fronte a una lotta di classe ancora molto vivace e per non bruciare le sinistre al governo (dove avrebbero dimostrato di non saper dare risposte alle esigenze dei lavoratori), la strategia diventò quella della "sinistra all’opposizione", dove la sinistra poteva fare la voce dura e, soprattutto, essere presente nelle lotte operaie per poterle sabotare dall’interno.

Alla fine degli anni ’90 la borghesia torna ad una politica di "sinistra al governo" (13 paese europei su 15) perché se questo periodo "è ancora marcato dal riflusso della combattività e della coscienza provocati dagli avvenimenti della fine degli anni ’80 (crollo del blocco dell’est) (...), anche se delle tendenze ad una ripresa della combattività si fanno sentire e si constata una fermentazione politica in profondità che resta ancora molto minoritaria" (2), la borghesia cercò di guadagnare tempo sfruttando le capacità di mistificazione della sinistra per bloccare lo sviluppo delle lotte e frenare la riflessione politica.

Negli ultimissimi anni però questa strategia non è più servita (questa carta non può comunque essere usata per troppo tempo, perché l’illusione su quello che può fare la sinistra al governo svanisce presto se questa, al governo, non prende misure a favore del proletariato), per cui la borghesia ha preferito più rilanciare la mistificazione democratica lasciando che ci fosse una certa "alternanza" al governo, o facendo le sue scelte sulla base di altre esigenze.

Un’altra di queste esigenze è l’inclinazione imperialista della borghesia di un paese. Infatti, se, come diceva Rosa Luxemburg, nell’epoca dell’imperialismo tutti i paesi sono imperialisti, quello che non è scontato e automatico è come una determinata borghesia nazionale vuole portare avanti i suoi interessi imperialisti e, soprattutto, con quali alleati. Addirittura su questo piano ci possono essere delle vere e proprie fratture interne alla borghesia, che porta a scontri anche violenti. È proprio il caso dell’Italia, dove il crollo del blocco sovietico, e il conseguente disfacimento di quello occidentale, diede l’occasione alle frazioni della borghesia più ostili all’alleanza con gli USA per scatenare un’offensiva volta a liberare il paese dalla pesante tutela americana: fu il ciclone Mani Pulite, che nel giro di tre o quattro anni distrusse la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, due partiti di forte fede atlantista, che di questa alleanza erano stati i garanti, in particolare la Democrazia Cristiana che fu messa al governo dagli USA nel dopoguerra proprio per rappresentare l’alleanza. La riorganizzazione delle forze filoamericane si concretizzò con l’entrata in campo di Berlusconi, e la sua vittoria alle elezioni del 2001 rappresentò la controffensiva di queste forze. E come Berlusconi abbia spinto l’imperialismo italiano a seguire quello USA lo si è visto bene soprattutto in occasione della guerra in Iraq.

Infine c’è la ovvia necessità della borghesia di mettere al governo delle forze capaci di difendere gli interessi del capitale nazionale da tutti i punti di vista, oltre quello relativo ai rapporti con la classe operaia e quello dello schieramento imperialista. Soprattutto in una situazione in cui la crisi economica è per il capitale una situazione permanente, al governo devono esserci forze capaci di far fronte a questa crisi, e alla concorrenza internazionale che la crisi acuisce, in maniera adeguata. Da quest’ultimo punto di vista la coalizione di Berlusconi non ha mai dato troppe garanzie, per la fretta e la particolarità della sua nascita: Berlusconi, espressione, come abbiamo detto della frazione della borghesia italiana filoamericana, ebbe anche il compito di ricostruire una coalizione di centrodestra che la disgregazione della Democrazia Cristiana aveva fatto scomparire, rendendo la borghesia italiana nell’immediato priva di questa ala per poter giocare all’alternanza di governo secondo le convenienze e le circostanze. Berlusconi poté farlo grazie alla formazione in poco tempo di un partito che utilizzò la struttura della sua azienda per organizzarsi e l’appoggio delle sue tre reti televisive nazionali che consentì alla nuova formazione di conquistare ben presto un certo credito tra la popolazione.

Ma la fretta della discesa in campo di Berlusconi aveva come controaltare il fatto che gli uomini su cui poteva contare non avevano esperienza di governo (tranne quelli provenienti dalla ex DC o dall’ex PSI), per cui la gestione dell’economia (e della vita del paese in generale) è stata abbastanza disastrosa: il capitale italiano, all’interno della crisi economica che affligge l’intero mondo capitalista, ha perso numerose posizioni rispetto ai suoi principali concorrenti europei, cosa che l’ha portato alla attuale situazione di vera e propria recessione e di perdita di competitività anche rispetto ad economie "emergenti" (3), che costituiscono le premesse per un vero e proprio crollo dell’economia (4).

Fatte tutte queste premesse si potrebbe concludere che effettivamente per Berlusconi, che per il suo eccessivo sbilanciamento filoamericano non ha mai goduto dell’appoggio convinto di tutta la borghesia italiana, sia arrivato il momento di fare le valigie, visto il risultato delle recenti elezioni che non sono un fatto accidentale, ma il preludio di quello che può accadere con le prossime elezioni politiche (che potrebbero anche essere anticipate proprio perché la situazione è così grave che un altro anno di pannicelli caldi berlusconiani può essere fatale per il capitale italiano). E il ritorno del centrodestra all’opposizione significherebbe anche la fine del berlusconismo, perché Berlusconi non potrebbe più pretendere di essere lui a comandare il centrodestra (peraltro l’età non gli consente di pensare che il centrodestra possa puntare sicuramente su di lui alle elezioni del 2011) e dovrebbe cedere il posto a qualcun altro per evitare che, con la sua crisi, si rinnovi la disgregazione del centrodestra, come fu agli inizi degli anni novanta, e ritornare ad una situazione in cui la borghesia italiana non potrebbe giocare all’alternanza al governo delle sue forze politiche, che è la fonte primaria della mistificazione democratica. Ma naturalmente tutto questo va commisurato alla luce di un fattore che è sorto a partire dagli anni ’70 e che incide sempre più fortemente sulla vita della società: l’entrata nella fase di decomposizione. Questo aspetto è importante perchè i giochi e le manovre della borghesia sono spesso essi stessi complicati da questo fenomeno: vedi ad esempio l’incapacità dei due schieramenti politici presenti in Italia di mantenere una vera coesione su qualunque problema, ivi compreso l’ultima sortita di Rutelli nei confronti di Prodi e dell’Ulivo come partito unico (5).

Per quanto ci riguarda, il nostro compito è sempre stato quello di denunciare tutte le forze politiche della borghesia, di destra o di sinistra che fossero, perché esse non difendono altro che gli interessi del capitale nazionale che sono incompatibili con quelli del proletariato. E la prospettiva di un ritorno del centrosinistra al governo potrebbe costituire un freno alle lotte proletarie per le aspettative che essa può creare nelle file dei lavoratori, portati a pensare quantomeno che "peggio di Berlusconi non possono fare". Invece possono fare molti più danni proprio alla lotta di classe, a causa della maggiore forza (e strumenti) di mistificazione che la sinistra possiede. Perciò fin da ora compito dei rivoluzionari è denunciare questa prospettiva e ricordare ai proletari cosa ha fatto la sinistra negli anni in cui è stata al governo: una sequenza di attacchi antioperai che hanno aumentato (più di quanto sia stato capace di fare Berlusconi) la miseria e la precarietà delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato. Perché non esistono ricette per "uscire dalla crisi": la sola strada che ogni capitale nazionale conosce per reggere la competizione con i propri avversari è quello di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori, e questo la sinistra lo sa fare ancora meglio della destra pasticciona di Berlusconi.

Helios

1. Che poi non significava sempre che la sinistra andasse al governo, ma che questo fosse l’obiettivo su cui si accentrava l’attenzione della popolazione.

2. Vedi "Perché la presenza di partiti di sinistra nella maggioranza dei governi europei attuali?" (Rivista Internazionale n.23).

3. Per noi questo termine non sta ad indicare che ci sarebbero delle parti del capitalismo mondiale che non sono in crisi, ma solo che ci sono parti del mondo dove le condizioni particolari locali, vedi ad esempio la possibilità di uno sfruttamento del proletariato molto più feroce di quello possibile nei paesi più avanzati, fanno sì che esse possano crescere più delle altre, senza che questo faccia uscire il capitalismo mondiale dalla sua crisi, o che questi paesi potrebbero costituire alla distanza i nuovi paesi economicamente dominanti.

4. In realtà, oltre alla incapacità di Berlusconi ci sono fattori di debolezza strutturali del capitale italiano che spiegano meglio l’attuale situazione; ma quello che la borghesia non può perdonare è la superficialità con cui vengono difesi i suoi interessi, e Berlusconi, con la sua arroganza, superficiale lo è stato abbastanza, non foss’altro che nel non voler guardare in faccia la gravità della situazione.

5. Vedi "La decomposizione fase ultima della decadenza del capitalismo" (Rivista Internazionale n.14).

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