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I recenti dati sull’andamento dell’economia italiana hanno ufficializzato una situazione che più nera non si può. Una diminuzione del Prodotto Interno Lordo per due trimestri consecutivi, accompagnata da una diminuzione della produzione industriale, significa una recessione aperta (confermata dalle previsioni OCSE di una diminuzione del PIL sull’intero 2005); un deficit del bilancio statale che aumenta, superando anche i limiti del patto di Maastricht; una competitività dell’apparato industriale che precipita, con una incapacità per l’industria italiana a reggere la concorrenza internazionale. Tutto questo significa che l’azienda Italia è sull’orlo del fallimento, produttivo e finanziario, e questa volta non c’è più la possibilità della "svalutazione competitiva", cioè dell’abbassamento fittizio dei prezzi delle merci italiane, realizzato tramite la svalutazione della moneta. L’euro non lo consente: una sua svalutazione (che comunque non può decidere il governo italiano) avrebbe sì un effetto sul mercato internazionale, ma favorirebbe l’economia di tutti i paesi europei, che sono i principali concorrenti dell’Italia. D’altra parte, per i nostalgici della lira va ricordato che l’euro ha protetto l’Italia, e gli altri paesi, da tempeste finanziarie tipo quella toccata all’Argentina, che ha sprofondato questo paese nella miseria più nera. Quello che è più grave, quindi, è che non esiste via d’uscita, se non quella solita di ulteriori attacchi alla classe operaia, che ha già pagato caro il costo di una crisi che colpisce il capitalismo del mondo intero. Quando il centrosinistra accusa Berlusconi di essere il principale responsabile della situazione mente sapendo di mentire: la responsabilità principale sta nel fallimento storico di questo sistema di produzione, come è testimoniato dal fatto che negli ultimi anni, a partire da quelli in cui al governo c’era il centrosinistra, c’è stato un peggioramento continuo delle condizioni di vita e di lavoro dell’intero proletariato italiano, un peggioramento che ha portato all’aumento del numero di famiglie povere; ormai anche in Italia, come già era successo negli USA, i poveri non si contano più solo tra i disoccupati, gli emarginati, ma anche tra quelli che hanno un lavoro, solo che il salario che percepiscono non consente loro di assicurarsi più del minimo necessario per la sopravvivenza.
Se la borghesia di tutto il mondo ha provato a forzare le stesse leggi dell’economia, per continuare a tirare avanti (in primo luogo continuando a produrre solo sulla base del debito), la borghesia italiana comincia a manipolare i dati reali dell’economia, per impedire alla classe operaia di prendere coscienza completa dell’entità del disastro. Così il governo ha mentito alla Commissione Europea sui dati del deficit statale degli ultimi due anni (superiore al fatidico 3% stabilito dal trattato di Maastricht), così l’ISTAT mente sui dati riguardanti l’inflazione che, almeno per i beni di prima necessità, è di gran lunga superiore a quel 2-3% dichiarato e su cui vengono calcolati gli adeguamenti salariali all’inflazione.
Ma le menzogne lasciano il tempo che trovano, perché su questo piano ogni famiglia operaia fa i conti con le proprie tasche e non certo con i dati ufficiali. E le tasche dei lavoratori sono sempre più vuote, dopo più di una decina di anni di sacrifici.
E comunque ci sono altri dati che lo testimoniano: secondo la Od&M, una società di consulenza che monitorizza i redditi di un milione di lavoratori dipendenti di ogni categoria in Italia, vi è una effettiva diminuzione del potere d’acquisto e milioni di italiani si sono veramente impoveriti. "A farne maggiormente le spese sono stati gli impiegati perché è l’intero valore delle attività impiegatizie a risultare diminuito". Per queste categorie, infatti, si sarebbe registrata dal 2001 una perdita secca, tutto compreso, superiore al 13%. "Da una parte le nuove tecnologie hanno sostituito l’uomo in molte mansioni e banalizzato i compiti. Dall’altra sono arrivati i Co.co.co., gli interinali, i contratti a termine: forze precarie e a buon mercato". La stessa Istat ha detto che nel 2003 la spesa media mensile delle famiglie italiane ha raggiunto i 2313 euro, 119 euro in più rispetto al 2002, un aumento del 5,4.
Tenendo conto del fatto che l’Istat, dal 2000 al 2003, calcola un’inflazione totale del 7,8%, una segretaria ha perso il 17,8 % del suo potere d’acquisto, un disegnatore grafico il 15,4%, un responsabile del servizio clienti il 14,1 %, un contabile il 13,7 mentre un operaio in media perde il 9,0%. L’impiegato che si è difeso meglio di tutti, quello addetto ai call-center, ha ceduto il 2,1% di retribuzione reale, ma partiva da livelli salariali tra i più bassi di tutto il mercato del lavoro: 17.319 euro lordi annui tre anni fa.
La riduzione del potere d’acquisto dei salari e/o la riduzione assoluta del valore degli stipendi erogati ai lavoratori si riflette naturalmente sull’andamento dei consumi dei cittadini. È del 23 febbraio scorso la comunicazione da parte dell’Istat secondo cui le vendite al dettaglio sono calate dello 0,4% rispetto al 2003, il peggiore dato da 10 anni a questa parte. Non solo: dicembre, periodo d’oro per gli acquisti sul quale i commercianti facevano conto per risollevarsi, ha chiuso a meno 0,5%. In parallelo, l’osservatorio del ministero della salute, l’Osmed, ha indicato un aumento dei prezzi dei medicinali del 15,9%, laddove l’Istat ha rilevato addirittura una diminuzione del 3,1%.
Anche sul piano dell’occupazione, se si va a cercare oltre i dati propagandistici del governo, troviamo una situazione sempre peggiore. Ecco un interessante stralcio da un articolo del Corriere della Sera del 27 giugno 2003:
"Il tasso di disoccupazione scende al minimo degli ultimi undici anni. Secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, in aprile ha raggiunto l’8,8%: in dodici mesi si sono creati 301.000 posti di lavoro in più e per la prima volta l’Italia scende sotto la soglia del 9% e si allinea perfettamente alla media europea. Fa addirittura meglio della Germania, inchiodata a una percentuale di senza lavoro del 9,4%, della Francia (9,1%) e della Spagna (11,4%). Una tendenza positiva, rilevano i tecnici dell’Istituto di statistica, che dura da almeno cinque anni, dal 1998: da allora, quando la percentuale di disoccupazione era pari al 12,1%, si sono creati 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro superando la soglia dei 22 milioni di occupati. (…) Tuttavia, l’aumento del tasso di occupazione è un dato economico che va curiosamente in senso opposto alla crisi dei consumi e alla scarsa crescita del PIL. Come si spiega? "Se fossero tutti nuovi posti di lavoro – afferma l’economista Tito Boeri – avremmo una ricaduta anche sui consumi, quindi l’unica spiegazione possibile è nella regolarizzazione dei contratti anzi, più in particolare, nella sanatoria dell’immigrazione che da sola coinvolge oltre 700.000 persone". Quindi nessun nuovo posto di lavoro, ma solo regolarizzazione di una parte di quelli già esistenti.
Il risultato finale di tutto questo è che il 16,6% dei bambini in Italia vivono in famiglie povere, cioè in famiglie il cui reddito è la metà di quello medio. Tale percentuale è aumentata di due unità rispetto a quella dell’anno scorso.
Questi risultati non li possiamo imputare tutti a Berlusconi, anzi. Sono stati i governi di sinistra che, a partire da quello Amato del 1992, hanno portato avanti una politica di austerità che è alla base dell’attuale perdita del potere d’acquisto dei lavoratori e della precarizzazione delle loro condizioni di vita e di lavoro. Tutti noi ricordiamo come ci avevano chiesto questi sacrifici in nome dell’entrata nell’euro che ci avrebbe dovuto portare finalmente in una situazione di stabilità che avrebbe posto fine ai sacrifici. Invece la situazione attuale è peggiore di quella che c’era all’inizio di tutto questo periodo di austerità. E questo per un motivo molto semplice: alla base di tutto questo non c’è tanto l’incompetenza di Berlusconi, ma la crisi economica mondiale che spinge i governi di tutto il mondo a continuare con la sola ricetta economica che la borghesia conosce, quella degli attacchi alla classe operaia. È questo che si accinge a fare ancora una volta il prossimo probabile governo di centrosinistra, addebitandone le cause a Berlusconi.
I lavoratori non devono farsi incantare da queste sirene del capitale ma ingaggiarsi, fin da ora, nell’unica impresa che può frenare questo massacro: quello delle lotte unite e solidali di tutti i lavoratori.
Helios, 30/05/05