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In Russia la questione poteva solo essere posta. Essa non poteva essere risolta in Russia” (Rosa Luxemburg, La Rivoluzione Russa).
Nel corso della controrivoluzione che, nel mondo intero, ha seguito il periodo rivoluzionario del 17-23, si è sviluppato un mito riguardo al bolscevismo, descritto come un prodotto specifico dell’“arretratezza” russa e della barbarie asiatica. Alcuni superstiti delle Sinistre tedesca e olandese, profondamente demoralizzati per la degenerazione e la morte della rivoluzione in Russia, regredirono su posizioni semimensceviche; secondo queste, lo sviluppo borghese in Russia negli anni ‘20 e ‘30 era inevitabile, dato che la Russia non era matura per il comunismo, il bolscevismo era considerato un’ideologia dell’“intellighenzia” e gli si attribuiva l’unico scopo della modernizzazione capitalistica della Russia. I bolscevichi avrebbero, quindi, fatto una rivoluzione “borghese” o “capitalista di stato”, appoggiandosi su un proletariato immaturo.
Questa teoria, nel suo complesso, metteva totalmente in dubbio il carattere genuinamente proletario della rivoluzione russa e del bolscevismo e costituiva un ripudio da parte di molti comunisti di Sinistra della propria partecipazione al dramma eroico cominciato nell’ottobre ‘17. Ma come tutti i miti, esso conteneva una parte di verità. Se il movimento operaio è fondamentalmente un prodotto di condizioni internazionali, esso presenta pur tuttavia certe caratteristiche specifiche, frutto di condizioni storiche e nazionali particolari. Oggi, per esempio, non è per caso che il riemergere del movimento comunista è più marcato nei paesi dell’Europa occidentale, e di gran lunga più debole, per così dire quasi inesistente, nel blocco dell’Est. Ciò è una conseguenza della maniera specifica in cui si sono svolti gli avvenimenti storici negli ultimi cinquanta anni, in particolare del modo in cui si è organizzata nei differenti paesi la controrivoluzione capitalista. Così, quando si esamina il movimento rivoluzionario in Russia prima e dopo l’insurrezione d’ottobre, se non si può coglierne l’essenza che considerandolo nel contesto del movimento operaio internazionale, certi aspetti della sua forza e della sua debolezza possono essere legati alle condizioni particolari allora prevalenti in Russia.
Sotto molti aspetti, le debolezze del movimento rivoluzionario russo non erano che il rovescio della medaglia di ciò che costituiva la sua forza. La capacità del proletariato russo di indirizzarsi in maniera decisa verso una soluzione rivoluzionaria ai suoi problemi è stata enormemente determinata dalla natura del regime zarista. Autoritario, completamento decrepito, incapace di mettere in atto un qualsiasi “tampone” stabile tra lui e la miseria proletaria, il sistema zarista faceva sì che il proletariato, in tutti i suoi sforzi per difendersi, fosse immediatamente portato ad affrontare le forze repressive dello Stato. Per il proletariato russo, giovane ma molto combattivo e concentrato, non c’è mai stato né tempo né spazio politico perché si sviluppasse al suo interno una mentalità riformista, che avrebbe potuto portarlo a identificare la difesa. dei suoi interessi materiali immediati con la sopravvivenza della sua “patria”. Era quindi molto più facile per esso rifiutare ogni immedesimazione con i tentativi di guerra zarista dopo il 1914 e vedere nella distruzione dell’apparato politico zarista una condizione preliminare alla sua marcia in avanti nel 1917. In maniera molto generale e senza voler stabilire un legame troppo meccanico tra il proletariato russo e le sue minoranze rivoluzionarie, si può dire che questi punti di forza della classe russa furono uno dei fattori che permisero ai bolscevichi di essere alla testa del movimento rivoluzionario mondiale sia nel 1914 che nel 1917, attraverso la denuncia chiara della guerra e l’affermazione senza compromessi della necessità di distruggere l’apparato dello Stato borghese.
Ma, come abbiamo detto, questi elementi di forza erano anche delle debolezze, l’immaturità del proletariato russo, la sua mancanza di tradizioni organizzative, la brutalità con la quale fu proiettato in una situazione rivoluzionaria, portarono al permanere di importanti lacune nell’arsenale teorico delle sue minoranze rivoluzionarie. E’ significativo, per esempio, che le critiche più pertinenti alle pratiche riforniste della socialdemocrazia o ai sindacati cominciarono a essere formulate nei paesi in cui queste pratiche avevano messo radici più solide, in particolare in Olanda o in Germania. Fu in primo luogo là piuttosto che in Russia, dove il proletariato si batteva ancora per dei diritti parlamentari e sindacali, che i pericoli e i danni delle abitudini riformistiche sono stati capiti dai rivoluzionari. Per esempio, il lavoro di Anton Pannekoek e del gruppo olandese Tribune, negli anni che hanno preceduto il primo conflitto mondiale contribuì a preparare il terreno per la rottura radicale, avvenuta dopo la guerra, tra i rivoluzionari tedeschi e olandesi e le vecchie pratiche riformiste. Lo stesso vale per la Frazione Astensionista[1] di Bordiga in Italia. I bolscevichi, invece, non hanno mai veramente capito che il periodo delle “tattiche” riformistiche era finito una volta per tutte con l’entrata del capitalismo nel suo periodo d’agonia nel 1914; o almeno non hanno mai compreso pienamente tutte le implicazioni del nuovo periodo riguardo alla strategia rivoluzionaria. Gli scontri sulle tattiche parlamentari e sindacali che lacerarono l’Internazionale Comunista dopo il 1920 furono dovuti alla incapacità del partito russo a cogliere in pieno le necessità della nuova epoca; e questa carenza non era ristretta alla sola direzione bolscevica: essa si riflette anche nel fatto che la critica del sindacalismo, del parlamentarismo, del sostituzionismo e degli altri residui socialdemocratici, che i comunisti di Sinistra russi fecero, non pervenne mai allo stesso livello di chiarezza raggiunto dalle frazioni di Sinistra olandese, tedesca, italiana.
Ma dobbiamo mitigare quest’osservazione, se teniamo presente il contesto internazionale della rivoluzione. Le debolezze teoriche del partito bolscevico non erano definitive, proprio perché era un partito proletario e, pertanto, aperto a tutti i nuovi sviluppi e chiarezze che si traggono dalla lotta del proletariato quando è in una fase ascendente. Se la rivoluzione d’ottobre si fosse estesa internazionalmente, queste debolezze avrebbero potuto essere superate; le deviazioni socialdemocratiche che esistevano in seno al bolscevismo si sono consolidate come un ostacolo fondamentale al movimento rivoluzionario solo quando la rivoluzione mondiale è entrata in una fase di riflusso e il bastione proletario in Russia si è trovato bloccato dal suo isolamento. Lo scivolamento rapido dell’Internazionale comunista verso l’opportunismo, in gran parte sotto l’influenza del partito russo dominante, fu, tra le altre cose, il risultato del tentativo dei bolscevichi di trovare un equilibrio tra i bisogni di sopravvivenza dello Stato Sovietico e quelli internazionali della rivoluzione; un tentativo che rovinò sempre più nella contraddizione con il rifluire dell’ondata rivoluzionaria e che infine fu abbandonato con il trionfo del “socialismo in un solo paese” che significò la morte dell’Internazionale Comunista e coronò la vittoria della controrivoluzione in Russia.
Se l’isolamento estremo del bastione russo impedì, in definitiva, al partito bolscevico di superare i suoi errori iniziali, esso ostacolò anche seriamente lo sviluppo teorico delle frazioni della Sinistra Comunista che si erano staccate dal partito russo in degenerazione. Tagliata fuori dalle discussioni e dai dibattiti che si susseguivano continuamente nelle frazioni di Sinistra in Europa, sottoposta alla repressione spietata di uno Stato sempre più totalitario, la Sinistra russa si limitò ad una critica formale della controrivoluzione russa e non giunse che raramente a comprendere le radici stesse della degenerazione. La novità assoluta e la rapidità dell’esperienza russa dovevano lasciare un’intera generazione di rivoluzionari in una confusione completa riguardo a quanto era avvenuto. Non fu che verso gli anni 30 e 40 che la questione cominciò ad essere approcciata in maniera coerente da parte delle frazioni comuniste che erano sopravvissute. Ma il processo di chiarificazione fu soprattutto opera dei rivoluzionari in Europa e in America; la Sinistra russa era troppo vicina, troppo addentrata in tutta questa esperienza per elaborare un’analisi oggettiva globale del fenomeno. Ecco perché non possiamo che essere d’accordo con la valutazione della Sinistra comunista fatta dai compagni di Internationalism:
“Il contributo duraturo di questi piccoli gruppi che tentavano di comprendere la nuova situazione, non sta nel fatto che essi avrebbero eventualmente capito l’insieme del processo del capitalismo di Stato al suo esordio né che avrebbero espresso un programma coerente per rilanciare la rivoluzione, ma che suonarono la campana d’allarme e furono, quindi, i primi a denunciare profeticamente lo stabilirsi di un regime di capitalismo di Stato; il loro contributo nel movimento operaio é di aver fornito la prova politica che il proletariato russo non é andato alla sconfitta nel silenzio”. (“Un contributo sulla questione del capitalismo di Stato”, J.A.; sul Bollettino di Studio e Discussione di Révolution Internationale, sezione della CCI in Francia e su Internationalism, organo della CCI negli USA).
Che cosa è la Sinistra Comunista?
Un aspetto del mito del bolscevismo “arretrato” e “borghese” è l’idea che esista un abisso insuperabile tra i bolscevichi da una parte, che sono rappresentati come partigiani del capitalismo di Stato e della dittatura del partito e, dall’altra parte, i comunisti di sinistra, dipinti come i veri difensori del potere operaio e della trasformazione comunista della società. Quest’idea è sostenuta particolarmente da consiliaristi e libertari che tendono ad identificarsi solo con ciò che piace a loro nel movimento operaio passato e che rigettano l’esperienza reale della classe, non appena scoprono le sue imperfezioni. Nel mondo reale, c’è comunque una continuità diretta e ineluttabile tra ciò che fu originariamente il bolscevismo e ciò che furono i comunisti di sinistra negli anni 20 e dopo.
Gli stessi bolscevichi si situavano all’estrema sinistra del movimento socialdemocratico dell’anteguerra, soprattutto per la difesa accanita della coerenza organizzativa e della necessità di un partito rivoluzionario indipendente da tutte le tendenze riformistiche e confusioniste del movimento operaio.[2] La loro posizione sulla guerra del 14-18 (o piuttosto la posizione di Lenin e di coloro che gli erano più vicini all’interno del partito) era ancora la più radicale di tutte le dichiarazioni contro la guerra espresse dal movimento socialista: “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, e il loro appello alla liquidazione rivoluzionaria dello Stato borghese li rendeva il punto di riferimento di tutte le più intransigenti minoranze rivoluzionarie del mondo. I “Radicali di Sinistra” di Germania – attorno ai quali si costituì il nucleo del KAPD (Partito Comunista Operaio Tedesco) nel 1920 – furono direttamente ispirati dall’esempio dei bolscevichi, soprattutto quando cominciarono a reclamare la costituzione di un nuovo partito rivoluzionario in opposizione totale ai social patrioti dell’SPD (Partito Socialdemocratico Tedesco).[3]
Così fino ad un certo punto i bolscevichi e l’Internazionale Comunista, fondata in gran parte su loro iniziativa, rappresentarono la “Sinistra”; essi divennero il movimento comunista. Il comunismo di sinistra va considerato come reazione alla degenerazione di questa originaria avanguardia comunista, all’abbandono da parte di questa stessa avanguardia di quanto essa difendeva all’inizio. Quindi il comunismo di sinistra è emerso organicamente dal movimento comunista animato dai bolscevichi e dall’Internazionale Comunista.
Tutto ciò risulta particolarmente chiaro quando si considerano le origini della sinistra comunista proprio in Russia. Tutte le frazioni di sinistra russe avevano le loro origini nel partito bolscevico. Questo fatto è già di per sé una prova del carattere proletario del bolscevismo. Dato che fu un’espressione vivente della classe operaia - la sola classe che può fare una critica radicale e continua della propria pratica - il partito bolscevico ha dato vita, senza posa, a delle frazioni rivoluzionarie. Ad ogni tappa del processo degenerativo si sono levate al suo interno delle voci di protesta, si sono formati dei gruppi che se ne separavano per denunciare l’abbandono del programma iniziale del bolscevismo. Solo quando il partito fu alla fine sepolto dai suoi becchini stalinisti, cessò di generare al suo interno frazioni di sinistra. La Sinistra comunista russa era costituita tutta da bolscevichi, furono loro a difendere una continuità con il bolscevismo degli anni eroici della rivoluzione, mentre coloro che li calunniarono, perseguitarono e sterminarono, per quanto celebri siano stati i loro nomi, furono proprio quelli che ruppero con l’essenza del bolscevismo.
La Sinistra Comunista durante gli anni eroici della Rivoluzione: 1918 - 21
a) I primi mesi
Il partito bolscevico fu nei fatti il primo partito del movimento operaio, ricostituito dopo la guerra, a dare vita ad una “sinistra”. Ciò precisamente perché fu il primo partito a condurre un’insurrezione vittoriosa contro lo Stato borghese. Secondo la concezione del movimento operaio dell’epoca, il ruolo del partito era di organizzare la presa del potere e di assumere un ruolo di governo nel nuovo “Stato proletario”. Il carattere proletario dello Stato, secondo questa concezione, era garantito dal fatto che esso era nelle mani di un partito del proletariato che si proponeva di condurre la classe operaia verso il socialismo. La natura fondamentalmente erronea di questa doppia e tripla sostituzione (Partito-Stato, Stato-classe, Partito-classe) doveva essere rivelata durante gli anni che seguirono la rivoluzione; ma questo fu il destino tragico dei bolscevichi; mettere in pratica gli errori teorici del movimento operaio tutto intero e di là dimostrare con la loro esperienza negativa la falsità totale di questa concezione. Tutta l’infamia e i tradimenti associati al bolscevismo, derivano dal fatto che la Rivoluzione nacque e morì in Russia e che il partito bolscevico, identificandosi con lo Stato che doveva diventare l’agente interno della controrivoluzione, si trasformò in organizzatore della morte della rivoluzione.
Se la rivoluzione fosse scoppiata e degenerata in Germania e non in Russia, i nomi della Luxemburg e di Liebknecht probabilmente provocherebbero oggi le stesse reazioni dubbie o equivoche di quelli di Lenin, Trotsky, Bucharin e Zinoviev. Non è che per la grande esperienza intrapresa dai bolscevichi che i rivoluzionari oggi possono affermare senza ambiguità: il ruolo del Partito non è di prendere il potere al posto della classe e gli interessi della classe non si identificano con quelli dello Stato rivoluzionario. Ma ai rivoluzionari sono stati necessari numerosi anni di dure riflessioni e autocritiche perché fossero in grado di enunciare queste lezioni così semplici in apparenza.
Dal momento in cui si assunse il carico dello Stato sovietico nell’ottobre ‘17, il partito bolscevico cominciò a degenerare: non in un sol colpo, non con un corso discendente assolutamente lineare e non in maniera irreversibile finché la rivoluzione mondiale fu all’ordine del giorno. E nemmeno il processo generale di degenerazione cominciò immediatamente. Mentre il partito era stato capace di agire liberamente come la frazione più risoluta della classe, indicando sempre la via verso l’approfondimento e l’estensione della lotta di classe, il fatto di assumere il potere di Stato mise un freno sempre più grande alla capacità dei bolscevichi di identificarsi e di partecipare alla lotta di classe proletaria. Su questa base i bisogni dello Stato dovevano prendere sempre più il sopravvento su quelli della classe; e benché questa dicotomia fosse stata oscurata inizialmente dall’intensità stessa della lotta rivoluzionaria, comunque essa era l’espressione di una contraddizione intrinseca e fondamentale tra la natura dello Stato e la natura del proletariato: i bisogni di uno Stato sono legati essenzialmente al fatto di conservare una coesione nella società, di contenere la lotta di classe in un quadro rispondente al mantenimento dello status quo sociale; i bisogni del proletariato, e dunque della sua avanguardia comunista, invece, non possono essere che l’estensione e l’approfondimento della sua lotta di classe fino al rovesciamento di tutte le condizioni esistenti. Così, per tutto il tempo che il movimento rivoluzionario della classe si trovò in una fase di ascesa sia in Russia che internazionalmente, lo Stato Sovietico poté essere utilizzato per difendere le conquiste della rivoluzione, poté essere uno strumento nelle mani della classe operaia. Ma da quando il movimento reale della classe rifluì, lo statu quo garantito dallo Stato non poteva essere che lo statu quo del capitale. Questa fu la tendenza generale, ma nei fatti le contraddizioni tra il proletariato e il nuovo Stato cominciarono ad apparire immediatamente a causa della immaturità della classe e dei bolscevichi nel loro atteggiamento rispetto allo Stato e soprattutto per le conseguenze dell’isolamento della rivoluzione in Russia, cosa che è pesata sul nuovo bastione proletario fin dall’inizio.
Confrontati a numerosi problemi che non potevano essere risolti se non a livello internazionale - l’organizzazione dell’economia sconvolta dalla. guerra, le relazioni con le immense masse contadine in Russia e con un mondo capitalista ostile all’esterno - i bolscevichi mancavano di esperienza per prendere delle misure che avrebbero potuto almeno attenuare le conseguenze più nefaste di questa situazione: ed infatti, le misure che furono prese finirono con l’aggravare i problemi più che risolverli. E la schiacciante maggioranza degli errori commessi derivarono dal fatto che i bolscevichi si erano assunti la carica dello Stato e credevano inoltre di essere nel giusto identificando gli interessi del proletariato con quelli dello Stato Sovietico; nei fatti, subordinando i primi a questi ultimi.
Sebbene nessuna frazione comunista in Russia in quest’epoca sia riuscita a fare una critica di fondo di questi errori sostituzionisti - il che doveva restare una carenza di tutta la sinistra russa - una opposizione rivoluzionaria alle pratiche del giovane stato bolscevico si consolidò qualche mese dopo la presa del potere. Questa opposizione prese la forma di un gruppo comunista di sinistra attorno ad Ossinsky, Bucharin, Radek, Smirnov ed altri, ed era organizzata principalmente nell’Ufficio regionale del Partito a Mosca e si esprimeva nel giornale di frazione “Kommunist”. Questa opposizione dell’inizio del ‘18 fu la prima frazione bolscevica organizzata a criticare i tentativi fatti dal partito per disciplinare la classe operaia. Ma la prima ragione di essere del gruppo della Sinistra Comunista fu l’opposizione alla firma del trattato di Brest-Litovsk con l’imperialismo tedesco. Non è questo il luogo per fare uno studio dettagliato di tutta la questione di Brest-Litovsk. In breve il contrasto principale era tra Lenin e i comunisti di sinistra (con Bucharin in testa) che erano a favore di una guerra rivoluzionaria contro la Germania e denunciavano il trattato di pace come un “tradimento” della rivoluzione mondiale. Lenin difese la firma del trattato considerandolo come un mezzo por ottenere un “margine di manovra” per riorganizzare il potenziale militare dello stato sovietico. I comunisti di sinistra sostenevano che:
“L’accettazione delle condizioni imposte dall’imperialismo tedesco sarebbe un gesto contrario a tutta la nostra politica di socialismo rivoluzionario, e rappresenterebbe l’abbandono della vera linea del socialismo internazionale, sia nella politica estera che in quella interna, conducendo a uno dei peggiori tipi di opportunismo” (Robert V. Daniels, La coscienza della rivoluzione. L’opposizione comunista nell’Unione Sovietica, pag. 120-121, Sansoni editore, 1970).
Pur ammettendo in pieno l’incapacità tecnica dello Stato sovietico a sostenere una guerra convenzionale contro l’imperialismo tedesco, essi preconizzarono una strategia di logoramento dell’esercito tedesco con degli attacchi di guerriglia da parte di distaccamenti mobili di partigiani rossi. Essi speravano che il fatto di condurre questa “guerra santa” contro l’imperialismo tedesco, sarebbe servito di esempio al proletariato mondiale e lo avrebbe incitato a ricongiungersi alla lotta.
Noi non vogliamo entrare qui in un dibattito a posteriori circa le possibilità strategiche aperte al potere sovietico nel 1918. Vogliamo solo sottolineare che sia Lenin che i comunisti di sinistra si rendevano conto che l’unica e ultima speranza del proletariato era riposta nell’estensione mondiale della rivoluzione; sia l’uno che gli altri situavano le loro preoccupazioni e le loro azioni in un quadro internazionalista e presentavano i loro argomenti apertamente davanti al proletariato russo organizzato nei consigli. Ed è per questo che noi consideriamo inammissibile considerare la firma del trattato come un “tradimento” dell’internazionalismo. Tanto più che, per quello che poi è successo, esso non ha significato il crollo della rivoluzione in Russia o in Germania, come Bucharin temeva. In ogni caso, queste considerazioni strategiche sono in una certa misura imponderabili. La questione politica più importante che è sorta dalla discussione su Brest-Litovsk è la seguente: la “guerra rivoluzionaria” è il principale modo di estendere la rivoluzione? Il proletariato al potere in una regione ha il compito di esportare la rivoluzione verso il proletariato mondiale sulla punta delle baionette? I commenti della Sinistra Italiana sulla questione di Brest-Litovsk sono significativi a questo riguardo:
“Delle due tendenze nel partito bolscevico che si sono opposte all’epoca di Brest-Litovsk, quella di Lenin e quella di Bucharin, noi pensiamo che sia la prima che rispondeva di più alle necessità della rivoluzione mondiale. La posizione della frazione capeggiata da Bucharin, secondo la quale la funzione dello stato proletario era di liberare i lavoratori degli altri paesi con una ‘guerra rivoluzionaria’, è in contraddizione con la natura stessa della rivoluzione proletaria e il ruolo storico del proletariato”. (Partito, Stato, Internazionale … Bilan[4] n°18, aprile-maggio 1935).
Contrariamente alla rivoluzione borghese che poteva ben essere esportata con le conquiste militari, la rivoluzione proletaria dipende dalla lotta cosciente del proletariato di ogni paese contro la sua propria borghesia: “La vittoria di uno Stato proletario contro uno Stato capitalistico (nel senso territoriale del termine) non significa in alcun modo la vittoria della rivoluzione mondiale” (Ibidem): il fatto che l’entrata dell’Armata Rossa in Polonia nel 1920 sia riuscita solo a gettare gli operai polacchi nelle braccia della loro propria borghesia è la prova che le vittorie militari riportate da un bastione proletario non possono sostituirsi all’azione politica cosciente del proletariato mondiale e quindi l’estensione della rivoluzione è prima e anzitutto un compito politico. La fondazione dell’IC nel 1919 era così un contributo di gran lunga più importante alla rivoluzione mondiale di quanto avrebbe potuto esserlo non importa quale “guerra rivoluzionaria”.
La firma del trattato di Brest-Litovsk, la sua ratificazione da parte del partito e dei consigli e il vivo desiderio della Sinistra di evitare una scissione nel partito sulla questione, segnarono la fine della prima fase dell’attività dei comunisti di sinistra. Una volta che lo Stato sovietico aveva acquistato “il tempo di respirare”, i problemi immediati ai quali il partito doveva far fronte erano quelli dell’organizzazione dell’economia russa devastata dalla guerra. Ed è su questa questione dei pericoli che incombevano sul bastione rivoluzionario che il gruppo dei Comunisti di sinistra ha dato il maggior contributo. Bucharin, il fervente partigiano della guerra rivoluzionaria, si interessò poco di criticare la politica della maggioranza bolscevica in materia di organizzazione interna del regime e, a partire da quel momento, la maggior parte delle critiche più pertinenti alla politica interna vennero dalla penna di Ossinsky, il quale doveva rivelarsi una figura dell’opposizione molto più coerente di Bucharin.
Nei primi mesi del ‘18, la direzione bolscevica aveva tentato di risolvere il disordine economico della Russia in una maniera superficialmente “pragmatica”.
In un discorso fatto al comitato centrale bolscevico e pubblicato con il titolo “I compiti immediati del regime sovietico”, Lenin sosteneva la formazione di trust (consorzi) di Stato nei quali dovevano continuare a rimanere gli esperti borghesi e i proprietari, ma sotto la sorveglianza dello Stato “proletario”. I lavoratori avrebbero in cambio dovuto accettare il sistema di Taylor della “direzione scientifica” (denunciato altre volte da Lenin stesso come schiavitù dell’uomo da. parte della macchina) e della “direzione unica” nelle fabbriche:
“La rivoluzione richiede precisamente nell’interesse del socialismo che le masse obbediscano incondizionatamente alla sola volontà di chi dirige il processo di produzione”.
Tutto questo significa che il movimento dei consigli di fabbrica, propagatosi come un turbine dopo il febbraio 1917, doveva essere frenato, le espropriazioni realizzate da questi consigli scoraggiate, la loro crescente autorità nelle fabbriche ristretta ad una semplice funzione di “controllo”, ed essi dovevano essere trasformati in appendici dei sindacati, istituzioni molto più malleabili già incorporate nel nuovo apparato di Stato. La direzione bolscevica presentava questa politica come il migliore modo per il regime rivoluzionario di sfuggire alla minaccia del caos economico e di razionalizzare l’economia in vista della costruzione definitiva del socialismo quando la rivoluzione mondiale si sarebbe estesa. Lenin chiamava apertamente questo sistema “Capitalismo di Stato”, termine con il quale egli intendeva il controllo da parte dello Stato proletario della economia capitalistica negli interessi della rivoluzione.
In una polemica contro i Comunisti di Sinistra (L’estremismo malattia infantile del Comunismo) Lenin sosteneva che un tale sistema di capitalismo di Stato sarebbe stato indiscutibilmente un passo in avanti in un paese arretrato come la Russia dove il principale pericolo di controrivoluzione veniva dalla piccola borghesia retrograda e l’atomizzata massa di contadini. Questa concezione rimase un “credo” dei bolscevichi ed impedì loro di capire che la controrivoluzione internazionale si esprimeva dapprima ed innanzi tutto attraverso lo Stato e non i contadini. Anche i Comunisti di sinistra temevano che la rivoluzione potesse degenerare in un sistema di “rapporti economici piccolo-borghesi” (Tesi sulla situazione attuale, Kommunist n°1, aprile 1918, disponibile in inglese in Daniels, “Una storia documentaria della rivoluzione”), e condividevano anche la convinzione dei dirigenti che le nazionalizzazioni fatte dallo Stato “proletario” fossero una misura socialista. Infatti, ne domandavano l’estensione a tutta l’economia. Chiaramente, essi non potevano essere coscienti fino in fondo di ciò che significa realmente il pericolo del “capitalismo di Stato”; ma fondandosi su un forte istinto di classe, videro ben presto i pericoli inerenti a un sistema che pretendeva di organizzare lo sfruttamento dei lavoratori nell’interesse dei “socialismo”.
L’avvertimento profetico di Ossinsky è ora ben conosciuto.
“Noi non sosteniamo il punto di vista della costituzione del socialismo sotto la direzione dei trust. Noi sosteniamo il punto di vista della costruzione della società proletaria mediante la creatività dei lavoratori stessi, non mediante i diktat dei capitani d’industria. Noi abbiamo fiducia nell’istinto di classe, nella iniziativa attiva del proletariato. Non può essere altrimenti. Se il proletariato non sa come creare le condizioni necessarie all’organizzazione socialista del lavoro, nessuno lo può fare al suo posto e nessuno può obbligarlo a farlo. Il bastone, se è alzato contro i lavoratori, si troverà nelle mani di una forza sociale che è o sotto l’influenza di un’altra classe sociale, o nelle mani del potere sovietico; il potere dei soviet sarà quindi obbligato a cercare un rinforzo contro il proletariato presso un’altra classe (per esempio i contadini) e di perciò stesso si distruggerà da solo in quanto dittatura del proletariato. Il socialismo e l’organizzazione socialista devono essere realizzate dal proletariato stesso o non lo saranno per niente, altrimenti ciò che sarà realizzato sarà il capitalismo di Stato” (“Sulla costruzione del socialismo”, Kommunist n°2, aprile 1918, in Daniels, La coscienza della rivoluzione, pag. 85).
Contro questa minaccia, i Comunisti di sinistra preconizzavano il controllo operaio dell’industria attraverso un sistema di comitati di fabbrica e di “consigli economici”. Essi definivano il loro proprio ruolo come quello di “opposizione proletaria responsabile” costituita in seno al partito per impedire che questo e il regime sovietico “deviassero” verso “la strada disastrosa della politica piccolo-borghese”. (“Tesi sulla situazione attuale”, Kommunist n°1, in Daniels, “Una storia documentaria della rivoluzione”).
Gli avvertimenti delle sinistre contro i pericoli non erano ristretti al piano economico, ma avevano delle profonde ramificazioni politiche, il che può essere dimostrato da questa messa in guardia contro il tentativo di imporre la disciplina del lavoro dall’alto:
“Alla politica di amministrare le imprese sulla base di una larga partecipazione dei capitalisti e di una centralizzazione semi-democratica, risulta naturale accoppiare una politica di lavoro che miri all’instaurazione di una disciplina tra i lavoratori presentata come “anti-disciplina”, all’introduzione del lavoro obbligato (un tale programma era stato proposto dai bolscevichi di destra), al pagamento a rate, all’allungamento della giornata lavorativa, etc. (...) La forma dell’amministrazione di governo verrà a svilupparsi nel senso della centralizzazione burocratica, verso il dominio dei “commissari”, verso la soppressione dell’indipendenza dei consigli locali e in pratica verso il rigetto dello “Stato-Comune” amministrato dalla base”. (Tesi sulla situazione attuale, ibidem).
La difesa, da parte di Kommunist, dei comitati di fabbrica, dei consigli e dell’attività autonoma della classe operaia fu importante non perché essa fornì una soluzione ai problemi economici riscontrati in Russia, o ancora meno, una ricetta “per la costruzione immediata del comunismo” in Russia; la sinistra dichiarò esplicitamente che il “socialismo non può essere realizzato in un solo paese e soprattutto non in un paese arretrato”. (L. Schapiro, “L’origine dell’autocrazia comunista”, 1955, pag. 137).
L’imposizione da parte dello Stato di una disciplina del lavoro, l’incorporazione degli organi autonomi del proletariato nell’apparato statale furono essenzialmente dei colpi contro il dominio politico della classe operaia russa. come la CCI ha spesso sottolineato[5], il potere politico della classe è la sola reale garanzia dell’esito vittorioso della rivoluzione. E questo potere politico può essere esercitato solo dagli organi di massa della classe, dai suoi comitati di fabbrica, le sue assemblee, i suoi consigli, le sue milizie. Indebolendo l’autorità di questi organi, la politica della direzione bolscevica faceva pesare una grave minaccia sulla rivoluzione stessa. I segni di questo pericolo, che i Comunisti di sinistra avevano così perspicacemente visti nei primi mesi della rivoluzione, dovevano diventare ancora più seri durante il periodo che seguì la guerra civile. Nei fatti questo periodo sotto molti aspetti doveva determinare il destino finale della rivoluzione in Russia.
b) La guerra civile
Il periodo di guerra civile in Russia, del 18-20, mostra soprattutto gli immensi pericoli a cui si trova di fronte un bastione proletario, se non é rinforzato immediatamente dall’armata della rivoluzione mondiale. Poiché la rivoluzione non prese radice al di fuori della Russia, il proletariato russo dové lottare pressappoco da solo contro gli attacchi della controrivoluzione bianca e i suoi alleati imperialisti. Sul piano militare, la resistenza eroica degli operai russi fu vittoriosa.
Ma politicamente il proletariato russo uscì decimato dalla guerra civile, spossato, atomizzato e più o meno privato di ogni controllo effettivo sullo Stato sovietico. Nel loro fervore di vincere sul piano militare, i bolscevichi avevano accelerato il declino del potere politico della classe operaia militarizzandone sempre più la vita sociale ed economica. La concentrazione di tutto il potere effettivo ai più alti livelli dell’apparato dello Stato permise di proseguire la lotta militare in maniera dura ed efficace, ma insidiò ancora di più i veri centri della rivoluzione: gli organi unitari di massa della classe. La burocratizzazione del regime sovietico, prodottasi in questo periodo, doveva diventare irreversibile con il riflusso della rivoluzione mondiale dopo il 1921.
Con l’inizio delle ostilità nel 1918, ci fu un rinserrare generale delle fila del partito bolscevico poiché ciascuno riconosceva la necessità dell’unità di azione contro il pericolo esterno. Il gruppo Kommunist, le cui pubblicazioni avevano cessato di apparire dopo essere state severamente criticate dalla direzione del partito, si dissolse ed il suo nucleo originario si disperse in due direzioni in seguito alla guerra civile.
Una tendenza, rappresentata da Radek e Bucharin, accolse con entusiasmo le misure economiche imposte dalla guerra civile. Per loro, le nazionalizzazioni su vasta scala, la soppressione del commercio, delle forme monetarie e le requisizioni presso i contadini - le cosiddette misure di “comunismo di guerra” - rappresentavano una vera rottura con la fase di “capitalismo di Stato” anteriore e costituivano un notevole passo avanti verso dei rapporti di produzione propriamente comunisti. Bucharin ha anche scritto un libro, I problemi economici durante il periodo di transizione, in cui spiega come la disintegrazione economica e lo stesso lavoro forzato erano delle tappe preliminari inevitabili nella transizione al comunismo. Egli cerca chiaramente di dimostrare “teoricamente” che la Russia sotto il comunismo di guerra, adottato semplicemente come una serie di misure d’emergenza per fronteggiare una situazione disperata, era una società di transizione verso il comunismo. Gli ex-comunisti di sinistra come Bucharin erano dunque completamente disposti ad abbandonare le loro critiche precedenti “della direzione unica” e della disciplina del lavoro perché - per loro - lo Stato sovietico non tentava più di fare un compromesso con il capitale all’interno del paese, ma agiva con risolutezza come un organo di trasformazione comunista. Nei suoi Problemi del periodo di transizione Bucharin sosteneva che il rafforzamento dello Stato sovietico e l’assorbimento crescente da parte di questo della vita sociale ed economica rappresentavano un passo decisivo verso il comunismo:
“L’integrazione al governo dei sindacati, e in pratica di tutte le organizzazioni di massa del proletariato, sono il risultato della logica interna del processo di trasformazione stesso. La più piccola cellula dell’apparato di produzione deve diventare un supporto per il processo generale di organizzazione che é diretto in modo pianificato e condotto dalla volontà collettiva della classe operaia che si concretizza nell’organizzazione più alta, quella che abbraccia tutto: il suo potere di Stato. E’ così che il sistema capitalista di Stato é trasformato dialetticamente nella sua propria antitesi, nella forma. governativa del socialismo dei lavoratori.” (Bucharin, “I problemi economici durante il periodo di transizione” citato in “Una storia documentaria del comunismo”, R. Daniels. pag. 180).
Con delle idee simili Bucharin rovesciava “dialetticamente” il ragionamento marxista secondo il quale il movimento verso la società comunista sarebbe caratterizzato da un indebolimento progressivo, un “deperimento” dell’apparato dello Stato. Bucharin era ancora un rivoluzionario quando scrisse “I problemi economici”, ma tra la sua teoria di un “comunismo” statale, interamente rinchiuso in una sola nazione e la teoria staliniana del “socialismo in un solo paese” c’è una sicura continuità.
Mentre Bucharin fece la pace con il comunismo di guerra, quelli della sinistra che erano stati più coerenti nella loro difesa della democrazia operaia continuarono a difendere questo principio di fronte alla militarizzazione crescente del regime. Nel 1919 si formò intorno ad Ossinsky, Sapronov ed altri il gruppo del Centralismo Democratico. Essi continuarono a mettere in discussione il principio della “direzione individuale” nell’industria e a difendere il principio collettivo o “collegiale” come l’“arma più efficace contro lo sviluppo del diparti mentalismo e il soffocante burocratismo dell’apparato dello Stato” (Tesi sul principio collegiale e l’autorità individuale). Pur riconoscendo l’esigenza di utilizzare degli specialisti borghesi nell’industria e nell’esercito, essi mettevano però l’accento sulla necessità di mettere questi specialisti sotto il controllo della base:
“Nessuno mette in dubbio la necessità di impiegare degli specialisti - la discussione é su come si impiegano” (Sapronov citato in Daniels, Coscienza della rivoluzione, pag. 109).
Allo stesso tempo i centralisti democratici, o “Decisti’, come venivano chiamati, protestavano contro la mancanza di iniziativa dei Soviet locali e suggerivano una serie di riforme aventi per fine di ristabilirli come organi effettivi di democrazia operaia. Fu questa condotta politica che portò i loro critici a dire che i Decisti erano interessati più alla democrazia che al centralismo. Alla fine i Decisti reclamarono il ristabilimento di pratiche democratiche nel partito. Al IX congresso del PCR nel settembre 1920, essi attaccarono la burocratizzazione del partito, la crescente concentrazione del potere nelle mani di una piccola minoranza. E’ indicativo dell’influenza che questi atteggiamenti critici potevano ancora avere nel partito il fatto che il congresso si concluse con il voto di un manifesto che richiamava energicamente a delle “critiche più generali delle istituzioni del partito sia centrali che locali”, e il rigetto di “ogni sorta di repressione contro dei compagni che la pensano diversamente”(Risoluzione del IX congresso del partito: “Sui nuovi compiti di costruzione del partito”).
In generale l’atteggiamento dei Decisti di fronte ai compiti del regime sovietico in periodo di guerra civile può essere riassunto nelle frasi di Ossinsky pronunciate a questo stesso congresso:
“La parola d’ordine fondamentale che noi dobbiamo mettere avanti nel periodo attuale é quella di unificazione di compiti militari, forme militari di organizzazione e metodi di amministrazione con l’iniziativa creativa degli operai coscienti. Se, sotto il paravento dei doveri militari, voi cominciate nei fatti ad impiantare il burocratismo, noi disperderemo le nostre forze e non riusciremo a portare a termine i nostri compiti”. (Citato in Daniels: Una storia documentaria ..., pag.186).
Qualche anno più tardi il comunista di sinistra Miasnikov doveva dire ciò a proposito del gruppo del Centralismo Democratico:
“Questo gruppo non si diede una piattaforma di un qualsiasi valore teorico reale. Il solo punto che attirava l’attenzione di tutti i gruppi e del Partito fu la sua lotta contro la centralizzazione eccessiva. E’ solo ora che si può vedere in questa lotta uno sforzo ancora confuso del proletariato per sgombrare la burocrazia dalle posizioni che essa aveva appena conquistato nell’economia. Il gruppo é morto di morte naturale senza che nessuna violenza si fosse esercitata contro di lui!” (L’operaio comunista, 1929, un giornale francese vicino al KAPD).
Le critiche dei Decisti furono inevitabilmente “imprecise” perché essi rappresentarono una tendenza nata in un’epoca in cui il Partito Bolscevico e la Rivoluzione erano ancora molto vivi, così che ogni critica del Partito era destinata a prendere la forma di appelli a più democrazia nel partito, più uguaglianza, etc., in altri termini le critiche si limitavano al livello della pratica organizzativa piuttosto che alle posizioni politiche di fondo.
Molti del gruppo del Centralismo Democratico furono così coinvolti nella Opposizione Militare, che si era formata per un breve periodo nel marzo 1919. I bisogni della guerra civile avevano spinto i bolscevichi a mettere su una forza combattente centralizzata, l’Armata Rossa, composta non solo da lavoratori ma anche da elementi reclutati tra i contadini e gli altri strati. Molto rapidamente questa armata cominciò a conformarsi allo schema gerarchico stabilitosi nel resto dell’apparato statale. L’elezione degli ufficiali fu ben presto abbandonata perché “praticamente inutile e tecnicamente inefficace” (Trotskij: Lavoro, disciplina e ordine, 1918, citato in Daniels, Coscienza della rivoluzione, pag.104); la pena di morte per disobbedienza al fronte, il saluto e le forme speciali per rivolgersi agli ufficiali furono ristabilite, e le distinzioni gerarchiche rafforzate, soprattutto con il conferimento dei posti di alto comando nell’esercito a ufficiali precedentemente zaristi.
L’Opposizione Militare, il cui portavoce principale fu Vladimir Smirnov, fu costituita per lottare contro la tendenza a modellare l’Armata Rossa sui canoni di una tipica armata borghese. Essa non si opponeva alla creazione dell’Armata Rossa come tale, né all’impiego di “specialisti” militari, ma era contro una disciplina e una gerarchia eccessive e voleva assicurare che l’Armata avesse un orientamento politico generale non in contrasto con i principi bolscevichi. La direzione del Partito accusò a torto quelli dell’Opposizione Militare di voler smantellare l’Armata a favore di un sistema di distaccamenti di partigiani più adatti alle guerre contadine; come in molte altre occasioni, la sola alternativa che la direzione bolscevica poteva vedere a ciò che essi chiamavano l’“organizzazione di Stato proletario” era la decentralizzazione piccolo-borghese, anarchica. Infatti i Bolscevichi confondevano molto spesso forme borghesi di centralizzazione gerarchica con l’autodisciplina e la centralizzazione che parte dal basso che è un marchio distintivo del proletariato. In ogni caso, le richieste dell’Opposizione Militare furono respinte e il gruppo si disperse subito. La struttura gerarchica dell’Armata Rossa - in congiunzione con lo smantellamento delle milizie di fabbrica - fece sì che essa potesse essere usata più efficacemente come forza repressiva contro il proletariato dal 1921 in poi.
A dispetto del persistere di tendenze di opposizione all’interno del Partito, lungo tutto il periodo della guerra civile la necessità dell’unione contro gli attacchi della controrivoluzione agì come forza di coesione sia nel partito che in tutta la classe e negli strati sociali che difendevano il regime sovietico contro i bianchi. Le tensioni interne in seno al regime sono messe da parte durante questo periodo per riapparire solo quando le ostilità cessarono e il regime ebbe da far fronte ai compiti di ricostruzione di un paese devastato. I dissensi a proposito della nuova tappa del regime sovietico si espressero nel 1920-21 nelle rivolte dei contadini, il malcontento dei marinai, gli scioperi operai di Mosca e Pietrogrado e culminarono nel sollevamento operaio di Kronstadt nel marzo 1921. Questi contrasti si espressero inevitabilmente all’interno stesso del Partito, e negli anni sconvolgenti del 1920-21 spetta al gruppo dell’Opposizione Operaia costituire il principale focolaio di dissenso politico in seno al Partito Bolscevico.
c) L’Opposizione Operaia
Al X congresso del Partito nel marzo 1921, scoppiò nel Partito Bolscevico una controversia che era diventata sempre più acuta dopo la fine della guerra civile: la questione sindacale. Apparentemente essa si svolse come un dibattito sul ruolo dei sindacati durante la dittatura del proletariato, ma nei fatti espresse problemi molto più profondi sull’avvenire generale del regime sovietico e delle sue relazioni con la classe operaia.
In sintesi c’erano tre posizioni nel Partito: quella di Trotskij, per l’integrazione totale dei sindacati allo “Stato operaio” nel quale essi avrebbero per compito di stimolare la produttività del lavoro; quella di Lenin, per il quale i sindacati dovrebbero sempre agire quali organi di difesa della classe anche contro “lo Stato operaio”, che - egli sottolineava - era all’epoca uno “Stato di operai e contadini” che soffriva di “deformazioni burocratiche”; ed infine la posizione del gruppo di Opposizione Operaia, per la gestione della produzione da parte dei sindacati industriali indipendenti dallo stato sovietico. Sebbene tutto il quadro di questo dibattito fosse profondamente inadeguato, l’Opposizione Operaia espresse in modo confuso ed esitante l’avversione del proletariato per i metodi burocratici e militari, diventati sempre più il marchio del regime, e la speranza della classe che le cose cominciassero a cambiare ora che i rigori della guerra civile erano finiti.
I dirigenti dell’Opposizione Operaia provenivano in gran parte dall’apparato sindacale, ma il gruppo sembra avere avuto un seguito considerevole nella classe operaia del sud-est della Russia europea e a Mosca soprattutto presso gli operai della metallurgia. Shlyapnikov e Medvedev, due dei membri dirigenti del gruppo, erano tutti e due operai metallurgici. Ma il più celebre dei suoi capi fu Alexandra Kollontai, che scrisse il testo programmatico dell’Opposizione Operaia come un progetto di “Tesi sulla questione sindacale” sottoposto dal gruppo al X congresso. Tutta la forza e la debolezza del gruppo possono essere misurati da questo testo che comincia affermando:
“L’Opposizione Operaia ha le sue radici nel più profondo del proletariato industriale della Russia sovietica. E’ un prodotto non solo delle orrende condizioni di vita e di lavoro nelle quali si trovano sette milioni di proletari industriali, ma anche di oscillazioni, contraddizioni e sicure deviazioni della nostra politica di governo dai principi di c1asse netti e conseguenti del programma comunista.” (Kollontai, L’Opposizione Operaia, Opuscolo di Solidarity n° 7, pag.1)[6].
La Kollontai continua poi a sottolineare le condizioni economiche spaventose cui ha dovuto fare fronte il regime sovietico dopo la guerra civile e attira l’attenzione sulla crescita di uno strato burocratico le cui origini si situano al di fuori della classe operaia - nella Intellighenzia, lo strato contadino, i resti della vecchi. borghesia, etc. Questo strato è andato sempre più dominando l’apparato sovietico e il Partito stesso, generando sia il carrierismo sia un cieco disprezzo per gli interessi proletari. Per l’Opposizione Operaia, lo Stato sovietico stesso non era un puro organo proletario, ma un’istituzione eterogenea obbligata a tenere un equilibrio tra le diverse classi e strati della società russa. Essa insisteva sul fatto che il modo di assicurare che la rivoluzione restasse fedele ai suoi scopi iniziali, non era di affidare la sua direzione a dei tecnocrati non proletari e agli organismi socialmente ambigui dello Stato, ma di rimettersi all’auto attività e al potere creativo delle masse operaie stesse:
“Questa verità che è semplice e chiara per un qualsiasi operaio, è persa di vista dalle cime del nostro Partito: il comunismo non può essere decretato. Deve essere creato dalla ricerca degli uomini viventi, a prezzo di errori, forse, ma dallo slancio creativo della classe operaia stessa.” (Kollontai, ibidem, pag. 80).
Questa visione generale dell’Opposizione Operaia era molto profonda, ma il gruppo fu incapace di portare un contributo che superasse questa generalità. Le proposte concrete che esso portava avanti come soluzione alla crisi che attraversava la rivoluzione si fondavano su una serie di incomprensioni fondamentali, che esprimevano tutta l’ampiezza del vicolo cieco in cui si trovava il proletariato russo a quell’epoca.
Per l’Opposizione operaia, gli organi che esprimevano i veri interessi del proletariato non erano niente altro che i sindacati o piuttosto i sindacati industriali. Il compito di creare il comunismo doveva comunque essere conferito ai sindacati:
“L’Opposizione Operaia riconosce i sindacati come i direttori dell’economia comuni sta ...” (Kollontai, ibidem, pag.74).
E’ perciò che, mentre i comunisti di Sinistra in Germania, Olanda e altrove denunciavano i sindacati come uno dei principali ostacoli alla rivoluzione proletaria, la Sinistra in Russia li esaltava come degli organi potenziali di trasformazione comunista. I rivoluzionari in Russia sembrano avere avuto grandi difficoltà a comprendere che i sindacati non potevano ormai più giocare alcun ruolo per il proletariato all’epoca della decadenza del capitalismo. Sebbene la comparsa di comitati di fabbrica e di Consigli nel ‘17 abbia significato la morte dei sindacati in quanto organi di lotta della classe operaia, nessuno dei gruppi di Sinistra in Russia l’aveva veramente capito, sia prima che dopo l’Opposizione Operaia. Nel 1921, allorquando l’Opposizione Operaia descriveva i sindacati come lo scheletro della rivoluzione, i veri organi della lotta rivoluzionaria, i comitati di fabbrica e i consigli erano stati già evirati. Nel caso dei comitati di fabbrica, era stata la loro integrazione nei sindacati dopo il 1918 che li aveva effettivamente uccisi come organi della classe. Il trasferimento del potere di decisione nelle mani dei sindacati, malgrado la buona intenzione dei loro partigiani, non avrebbe in alcun modo ridato il potere al proletariato in Russia. Anche se un tale progetto fosse stato possibile, non sarebbe stato che un semplice trasferimento di potere da una branca dello Stato a un’altra.
Il Programma dell’Opposizione Operaia per la rigenerazione del Partito era ugualmente viziato alla base. Essi non spiegavano l’opportunismo crescente del Partito che in termini di afflusso di membri non proletari. Per loro il Partito poteva essere rimesso sul cammino proletario se si fosse effettuata una purga operaista contro i membri non operai. Se il Partito fosse stato composto in maniera schiacciante di “puri” proletari dalle mani callose, tutto sarebbe andato bene. Questa risposta alla degenerazione del Partito non coglieva assolutamente il segno. L’opportunismo del Partito non era una questione di persone, ma una risposta alle pressioni e alle tensioni create dall’esercizio del potere di Stato e da una situazione sempre più sfavorevole. Ricevere le “redini” del potere in periodo di riflusso rivoluzionario farebbe diventare “opportunista” chiunque, per quanto pura possa essere la sua origine proletaria. Bordiga notava ma volta che gli ex operai diventavano i peggiori di tutti i burocrati. Ma l’Opposizione Operaia non ha mai messo in questione la nozione secondo cui il Partito doveva dirigere lo Stato per garantire che questo restasse uno strumento del proletariato.
“Il comitato centrale del nostro Partito deve diventare il centro superiore della politica di classe, l’organo del pensiero comunista e del controllo permanente della politica dei soviet e l’incarnazione morale dei principi del nostro programma”. (Kollontai, ibidem, pag. 88).
L’incapacità dell’opposizione Operaia a concepire la dittatura del proletariato come cosa diversa dalla dittatura del Partito li condusse a fare freneticamente atto di fedeltà verso il Partito, quando nel mezzo del decimo congresso scoppiò la rivolta di Kronstadt. I capi eminenti dell’Opposizione Operaia hanno anche dato delle garanzie mettendosi essi stessi sul fronte dell’assalto contro la guarnigione di Kronstadt.
Come tutte le altre frazioni di Sinistra in Russia, essi non hanno per niente compreso l’importanza del sollevamento di Kronstadt quale ultima lotta di massa degli operai russi per il ristabilimento del potere dei soviet. Ma l’aiutare la repressione della rivolta non ha salvato l’Opposizione Operaia dalla condanna quale “deviazione anarchica, piccolo borghese” e quale “elemento oggettivamente controrivoluzionario” alla fine del congresso.
L’esclusione delle “frazioni” dal Partito al decimo congresso diede un colpo pesante alla Opposizione Operaia. Di fronte alla prospettiva di un lavoro illegale, clandestino, essa si rivelerà incapace di mantenere la sua opposizione al regime. Alcuni dei suoi membri continuarono a lottare durante gli anni 20, in associazione con altre frazioni illegali, altri semplicemente si adeguarono alla situazione. La Kollontai stessa finì come servitore leale del regime stalinista. Nel 1922, il giornale comunista inglese “The Workers Dreadnought” faceva riferimento ai “dirigenti senza principio e senza spina dorsale” della sedicente “Opposizione Operaia” (The Workers Dreadnought, 29 luglio 1922) e c’era effettivamente una vera mancanza di risolutezza nel programma del gruppo. Ciò non era una questione del coraggio o della mancanza di coraggio dei membri individuali del gruppo, ma il risultato delle difficoltà enormi che dovevano affrontare i rivoluzionari russi per tentare di opporsi o di rompere con un partito che era stato l’anima della rivoluzione. Per molti comunisti sinceri, discutere le basi stesse del Partito era pura follia. Non c’era niente al di fuori del partito se non il nulla. L’attaccamento al Partito, tanto profondo che diventò un ostacolo alla difesa dei principi rivoluzionari, doveva essere ancora più pronunciato nell’Opposizione di Sinistra più tardi.
Un’altra ragione della debolezza delle critiche dell’Opposizione Operaia al regime era la loro mancanza quasi totale di prospettive internazionali. Mentre le frazioni di sinistra più decise in Russia traevano la loro forza dalla comprensione del fatto che il solo vero alleato del proletariato russo e della sua minoranza rivoluzionaria era la classe operaia mondiale, l’Opposizione Operaia aveva un programma basato sulla ricerca di soluzioni interamente contenute nell’ambito dello Stato russo.
La preoccupazione centrale dell’Opposizione Operaia era questa: “Chi svilupperà la creatività del proletariato nella sfera della costruzione economica?” (Kollontai, Ibidem, pag. 50). Il primo compito che essi fissavano alla classe operaia russa era la costruzione di una “economia comunista” in Russia. Le loro preoccupazioni riguardo al problema della gestione della produzione con la creazione di sedicenti “rapporti comunisti” di produzione in Russia, manifestavano un’incomprensione totale di un punto fondamentale : il comunismo non può esistere in un bastione isolato. Il principale problema che la classe operaia russa si ritrovava davanti era l’estensione della rivoluzione mondiale e non la ricostruzione economica della Russia.
Sebbene il testo della Kollontai critichi “le relazioni commerciali attualmente stabilite con le potenze capitaliste, relazioni che passano sopra alla testa del proletariato organizzato” (Kollontai, ibidem, pag. 56), l’Opposizione Operaia era d’accordo con una linea che andava rafforzandosi nel seno stesso della direzione bolscevica, cioè una tendenza a dare più importanza ai problemi dell’economia russa che all’estensione della rivoluzione a livello internazionale. Che questi gruppi del partito abbiamo difeso sul piano della ricostruzione economica delle posizioni divergenti é meno importante del fatto che tutti e due avevano tendenza a credere che la Russia potesse ripiegarsi su se stessa senza tradire gli interessi della rivoluzione mondiale.
La prospettiva esclusivamente “russa” dell’Opposizione Operaia si rifletteva ugualmente nella sua incapacità a sviluppare dei legami effettivi con l’opposizione comunista al di fuori della Russia. Sebbene che il testo della Kollontai sia stato fatto uscire dalla Russia da un membro del KAPD e pubblicato dal KAPD e dal Workers Dreadnought, la Kollontai cambiò idea in seguito e, rinnegando la sua decisione, tentò di recuperare il suo testo. L’Opposizione Operaia non fece nessuna critica reale della politica opportunista adottata dall’Internazionale Comunista; essa approvò le 21 condizioni e non cercò di congiungersi all’opposizione degli “altri paesi” malgrado la solidarietà che il KAPD e altri le manifestarono. Nel 1922 i membri dell’Opposizione Operaia fecero un ultimo appello al IV Congresso dell’Internazionale Comunista, ma il loro intervento si limitò a protestare contro la burocratizzazione del regime e contro l’assenza di libertà d’espressione per i gruppi comunisti dissidenti in Russia. Comunque, non ebbero che poca eco in una Internazionale che aveva già espulso i suoi migliori elementi e che andava orientandosi verso l’approvazione della politica del “fronte unico”. Poco dopo il loro ultimo appello fu formata una commissione bolscevica speciale per esaminare le attività dell’Opposizione Operaia. La commissione trasse la conclusione che il gruppo costituiva una “organizzazione frazionista illegale” e la repressione che seguì mise fine alla maggior parte dell’attività di questo gruppo[7].
L’Opposizione Operaia ebbe la sfortuna di essere spinta sulla scena in un’epoca in cui il partito subiva dei capovolgimenti profondi in seguito ai quali ogni attività di opposizione legale si rese impossibile in Russia. Volendo fare un compromesso fra i due estremi, il lavoro di frazione in seno al partito, da una parte, e un’opposizione clandestina al regime, dall’altra, l’Opposizione Operaia finì nel vuoto: d’ora in poi la fiaccola della resistenza proletaria avrebbe trovato dei portatori più risoluti ed intransigenti.
La Sinistra Comunista e la controrivoluzione, 1921-30
Dopo il 1921 il partito bolscevico venne a trovarsi in una situazione veramente da incubo. La sconfitta delle insurrezioni operaie in Ungheria, Italia, Germania e altrove tra il 1918 e il 1921 aveva portato ad un profondo riflusso della rivoluzione mondiale, riflusso che, malgrado lo scoppio di altre lotte in Germania ed in Bulgaria nel 1923, in Cina nel 1927, non fu più arginato. In Russia sia l’economia che il proletariato stesso erano prossimi alla disgregazione; le masse operaie si erano ritirate o erano state cacciate dalla vita politica. Lo Stato dei soviet, non essendo più uno strumento nelle mani del proletariato, era effettivamente degenerato in una macchina per la difesa dell’“ordine” capitalista. Prigionieri delle loro concezioni sostituzioniste, i bolscevichi credevano ancora che fosse possibile amministrare questa macchina statale e l’economia capitalista attendendo e allo stesso tempo preparando il risorgere della rivoluzione mondiale. In realtà le necessità del potere statale trasformavano i bolscevichi in agenti effettivi della controrivoluzione, sia all’interno della Russia che all’esterno.
In Russia essi erano diventati i guardiani di uno sfruttamento sempre più feroce della classe operaia. Sebbene con la NEP fosse diminuita la pressione del dominio economico dello Stato, soprattutto sui contadini, non vi fu però una diminuzione della dittatura del partito sul proletariato. Anzi, poiché per i bolscevichi i contadini rappresentavano sempre il pericolo maggiore per la rivoluzione russa, essi erano giunti alla conclusione che le concessioni economiche fatte ai contadini dovevano essere controbilanciate da una crescita del dominio politico del partito bolscevico sulla società russa; il che si traduceva in un rafforzamento delle tendenze al monolitismo all’interno dello stesso partito. Questo rafforzamento del controllo da parte del partito e dentro il partito, fu visto come il solo modo di erigere una diga proletaria contro la straripante marea di un capitalismo contadino.
A livello internazionale, la posizione di dominio occupata dal partito russo all’interno dell’Internazionale Comunista fece sì che fossero gli imperativi dello Stato russo a guidare la politica di questa, con effetti disastrosi. Il Fronte Unico, il Governo operaio, “tattiche” reazionarie come queste, erano in gran parte l’espressione della necessità dello Stato russo di trovare degli alleati borghesi nel mondo capitalista.
Benché il partito bolscevico non avesse ancora definitivamente abbandonato la rivoluzione proletaria, tutta la logica della situazione in cui esso si trovava lo spingeva sempre più ad identificarsi completamente con i bisogni del capitale nazionale russo; gli ultimi scritti di Lenin esprimono una preoccupazione quasi ossessiva riguardo ai problemi della “costruzione socialista” nella Russia arretrata. La vittoria dello stalinismo non fece altro che rendere questa logica esplicita; eliminò il dilemma tra internazionalismo e interessi dello Stato russo, abbandonando semplicemente il primo in favore di questi ultimi.
Gli avvenimenti di questi ultimi cinquanta anni hanno mostrato che un partito proletario non può sopravvivere in un periodo di riflusso o di sconfitta della lotta di classe. Perciò, dopo lo scacco dell’ondata rivoluzionaria, l’unico modo per i partiti comunisti di preservare la loro esistenza fisica era di passare, armi e bagagli, nel campo della borghesia. In più in Russia la tendenza alla degenerazione fu accelerata dal fatto che il partito si era confuso con lo Stato e doveva quindi adattarsi ancora più rapidamente alle richieste del capitale nazionale. In un periodo di sconfitta, la difesa delle posizioni rivoluzionarie non può essere assicurata che da piccole frazioni comuniste che si staccano dal partito in degenerazione o sopravvivono alla sua morte. Questo fenomeno si è verificato in Russia, soprattutto tra il 1921 ed il 1924 con la comparsa di piccoli gruppi, decisi a difendere le posizioni comuniste contro il tradimento del partito.
Come abbiamo visto, l’emergere di correnti di opposizione all’interno del partito bolscevico non era nuovo, ma le condizioni in cui dovettero agire queste frazioni sorte dopo il 1921 erano molto diverse da quelle in cui avevano lavorato quelle a loro antecedenti.
Condizione primaria per la difesa del programma comunista contro il montare della controrivoluzione era, soprattutto in Russia, la capacità di conservare un attaccamento leale a questo programma e di porre questo al di sopra di ogni legame sentimentale, personale e politico alla precedente organizzazione della classe, ora che quest’ultima si era avviata verso il tradimento. La grossa acquisizione delle frazioni di sinistra russe sta proprio in questo: nella loro determinazione a portare avanti il programma comunista contro il partito e lo Stato sovietico dal momento in cui queste istituzioni non lo difendevano più.
Per la Sinistra le posizioni comuniste erano più importanti di ogni altra cosa; se gli “eroi” della rivoluzione non difendevano più il programma comunista, questi stessi eroi dovevano essere denunciati ed abbandonati. Non c’è da stupirsi che i comunisti di sinistra russi siano stati individui relativamente poco conosciuti, soprattutto lavoratori che non avevano fatto parte della direzione bolscevica durante gli anni eroici.
Miasnikov aveva anche l’abitudine di prendere in giro l’Opposizione di Sinistra dicendo che si trattava solo di un’“opposizione di celebrità” che lottavano contro la fazione stalinista solo per i loro scopi burocratici. (L’operaio comunista, n°6, gennaio 1930).
Questi operai rivoluzionari erano capaci di capire le condizioni con cui si confrontava il proletariato russo molto più facilmente degli ufficiali bolscevichi di alto grado i quali avevano veramente perso il contatto con la classe e riuscivano a vedere il problema della rivoluzione solo in termini di amministrazione dello Stato. Nello stesso tempo, però, le origini oscure dei membri delle frazioni di sinistra erano spesso un fattore di debolezza di questi gruppi. Le loro analisi si basavano in genere più su di un puro istinto di classe che su una profonda formazione teorica. Ciò, accoppiato alle debolezze storiche del movimento operaio russo, di cui abbiamo già parlato, e all’isolamento della sinistra russa dalle frazioni comuniste degli altri paesi, limitò seriamente l’evoluzione teorica del comunismo di sinistra in Russia.
Malgrado la loro capacità di rompere con le istituzioni “ufficiali” e di identificarsi con la lotta di classe contro di esse, le frazioni di sinistra russe si trovavano di fronte ed una serie di problemi difficili e contraddittori dovuti all’immenso riflusso della classe in Russia. Il partito bolscevico, nonostante la sua rapida degenerazione dopo il 1921, restava il centro della vita politica del proletariato russo; i consigli, i comitati di fabbrica e le altre organizzazioni di massa della classe erano morti e lo stesso Stato era diventato un organo del capitale. Data l’apatia e l’indifferenza della classe, i dibattiti e le polemiche di carattere politico avevano luogo quasi esclusivamente all’interno del partito. E’ vero che la maggior parte di questi dibattiti ideologici erano sterili dall’inizio, proprio per l’indifferenza e l’inattività della classe, ma il fatto che il partito fosse una specie di oasi del pensiero rivoluzionario in un deserto di politicismo della classe operaia, non poteva essere trascurato dai rivoluzionari.
Questo stato di cose ha posto le frazioni di sinistra in un orribile dilemma. Da un lato l’apatia delle masse e la repressione statale rendevano molto difficile in generale la militanza in seno al proletariato. Dall’altro qualsiasi lavoro verso il partito era seriamente ostacolato dall’eliminazione delle frazioni nel 1921 e dall’atmosfera sempre più soffocante all’interno di esso. Era quindi quasi impossibile per un qualunque gruppo veramente di opposizione fare un lavoro legale all’interno del partito. Anche le critiche relativamente moderate espresse nel 1923 dalla Piattaforma dei 46 (il documento di fondazione dell’Opposizione di Sinistra) contenevano rammarico per il fatto che “nel partito sia di fatto scomparsa la possibilità di discutere liberamente e che sia stato soffocato il proposito sociale del partito”. Per le tendenze a sinistra dell’Opposizione di sinistra, la situazione era anche peggiore; malgrado ciò esse continuavano ad associare il lavoro di propaganda all’interno “delle grandi masse” delle fabbriche con il lavoro segreto all’interno delle cellule locali del partito. Il Gruppo Operaio nel suo Manifesto del 1923 parlava della “necessità di costituire il gruppo operaio del Partito Comunista Russo (bolscevico) sulla base del programma e degli statuti del PCR, in modo da esercitare una pressione decisiva sul gruppo dirigente del partito stesso”.
“L’Appello” del gruppo la Verità Operaia nel 1922 esprimeva l’idea: “dappertutto, nelle fabbriche, nelle officine, nelle organizzazioni sindacali, nelle università operaie, nelle scuole dei soviet e del partito, nell’Unione comunista della gioventù e nelle organizzazioni del partito, devono essere creati dei circoli di propaganda solidali con la Verità Operaia”[8]. Simili dichiarazioni di intenti dimostrano la difficoltà estrema che incontravano questi grippi nei loro tentativi di avere un’eco nel proletariato russo e nella loro impotenza a trovare soluzioni organizzative ben definite, in un periodo di smarrimento e confusione.
Dobbiamo infine tenere presente che questi gruppi erano sottoposti alla persecuzione ed alla repressione più intensa da parte dello Stato-Partito. Proprio perché la Russia era stata la “terra dei Soviet”, il paese della rivoluzione proletaria, la controrivoluzione qui doveva essere totale, spietata ed implacabile, e doveva seppellire anche gli ultimi resti di ciò che vi era stato di rivoluzionario. Anche prima della vittoria della fazione stalinista, i gruppi di sinistra avevano subito le persecuzioni della Ghepeu (GPU)[9], gli arresti e l’esilio. Privi di fondi e di materiale, sempre sul chi va là a causa della polizia segreta, era molto difficile per loro iniziare un minimo di lavoro di propaganda. Il consolidarsi della controrivoluzione dopo il 1924 rese le cose ancora più difficili. E tuttavia, durante gli oscuri anni della reazione, i comunisti di sinistra continuarono a lottare per la rivoluzione. Nel 1929 ancora il Gruppo Operaio pubblicava a Mosca un giornale illegale, la Via operaia verso il potere. Anche nei campi di lavoro stalinisti non li si poté ridurre al silenzio. Una rivoluzione proletaria non muore facilmente. I rivoluzionari che lottavano in circostanze così sfavorevoli traevano il loro coraggio e tenacia dal semplice fatto di essere il prodotto di una rivoluzione della classe operaia. Esaminiamo dunque più in dettaglio i principali gruppi che hanno continuato e tenere alta la bandiera della rivoluzione comunista a dispetto di tutto ciò che si innalzava contro di loro.
a) La Verità Operaia
La Verità Operaia si costituì nell’autunno del 1921. Pare che fosse composta soprattutto di intellettuali e che si fosse formata nell’ambiente culturale del “Proletkult”di cui il principale animatore era Bogdanov, un teorico del partito che negli anni venti aveva polemizzato con Lenin su problemi filosofici e che era stato all’epoca molto in vista nelle tendenze di “sinistra” del bolscevismo. Nel suo “Appello” del 1922, la Verità Operaia caratterizzava la NEP come “rinascita di rapporti capitalisti normali”, espressione di una profonda sconfitta del proletariato russo:
“La classe operaia in Russia è disorganizzata, le confusione regna nella mente dei lavoratori; vivono in un paese in cui c’è la “dittatura del proletariato” come ripete continuamente nei comizi o sulla stampa il partito comunista? Oppure in un paese in cui regnano l’arbitrio e lo sfruttamento come gli viene detto in ogni momento delle loro condizioni di vita? La classe operaia conduce un’esistenza miserabile mentre la nuova borghesia (cioè i funzionari responsabili, i direttori delle fabbriche, gli uomini di fiducia, i presidenti dei comitati esecutivi, ecc.) e gli uomini della NEP vivono nel lusso con uno stile di vita che ci ricorda quello della borghesia di tutti i tempi”.
Per la Verità Operaia lo Stato dei Soviet era diventato “il rappresentante degli interessi nazionali del capitale … il semplice apparato di direzione dell’amministrazione politica e della regolamentazione economica da parte dell’Intellighenzia”. Contemporaneamente la classe operaia era stata privata dei suoi organi difensivi - i sindacati - e del suo partito di classe. In un manifesto stampato in occasione del XII Congresso del partito nel 1923, la Verità Operaia accusava i sindacati di:
“trasformarsi da organizzazioni di difesa degli interessi economici dei lavoratori in organizzazioni di difesa degli interessi della produzione, cioè del capitale statale prima e innanzitutto”. (citato da E. H. Carr, “L’Interregno”).
Per quanto riguarda il partito, l’Appello afferma che:
“Il partito comunista russo è diventato il partito dell’Intellighenzia organizzatrice. Il fossato tra il partito comunista e la classe operaia si approfondisce sempre più”.
Perciò essi manifestano l’intenzione di lavorare alla formazione di un vero “partito del proletariato russo”, pur ammettendo che il loro lavoro sarà “di lungo periodo e soprattutto ideologico.”
Benché gli scopi relativamente modesti che si prefissava la Verità Operaia sembravano esprimere una certa comprensione della sconfitta subita dalla classe e dunque dei limiti dell’attività rivoluzionaria in un tale periodo, tutto il quadro è falsato da una particolare ambiguità sul periodo storico e sui compiti del proletariato nel suo complesso.
Basandosi forse sull’idea di Bogdanov, cioè che, finché il proletariato non sarà diventato una classe capace di organizzarsi, la rivoluzione socialista sarà prematura, essi pensavano che compito della rivoluzione in Russia fosse di aprire una fase di sviluppo capitalista:
“Dopo la vittoria della rivoluzione e della guerra civile, per la Russia si aprono grandi possibilità di rapida trasformazione in un paese di capitalismo progressivo. E’ questo l’enorme e indubbio risultato raggiunto dalla rivoluzione d’ottobre”. (Da l’Appello).
Questa prospettiva ha anche portato la Verità Operaia a preconizzare una strana politica estera: il riavvicinamento, cioè, all’America ed alla Germania, capitalismi “progressisti”, contro la Francia “reazionaria”. Sembra inoltre che il gruppo abbia avuto pochi o nessun contatto con i gruppi comunisti di sinistra ai di fuori della Russia.
Furono certamente posizioni come questa che indussero il Gruppo Operaio di Miasnikov ad affermare di non avere “nulla in comune con la sedicente Verità Operaia, che cerca di cancellare tutto ciò che c’è stato di comunista nella rivoluzione del 1917 e che di conseguenza è completamente menscevica” (Workers Dreadnought, 31 maggio 1924), benché nel suo Manifesto del 1923 il Gruppo Operaio avesse riconosciuto che in gruppi come la Verità Operaia, Centralismo Democratico e Opposizione Operaia vi fossero molti elementi proletari sinceri e li avesse chiamati ad unirsi sulla base del Manifesto del Gruppo Operaio.
Ai tempi della rivoluzione russa vi era la tendenza ad identificare con i menscevichi tutti quelli ch parlavano dell’ineluttabilità di un’evoluzione borghese della Russia. Ma alla luce dell’esperienza degli anni successivi noi preferiamo paragonare le posizioni della Verità Operaia con l’analisi fatta dalle sinistre tedesca ed olandese verso gli anni 30. Proprio come la Verità Operaia, queste ultime avevano iniziato a capire realmente la natura del capitalismo di Stato, ma tolsero poi ogni efficacia alla loro analisi quando arrivarono alla conclusione che la rivoluzione russa era stata portata avanti sin dall’inizio dall’Intellighenzia per costruire un capitalismo di Stato in un paese che non era ancora maturo per la rivoluzione comunista. In altri termini l’analisi fatta dalla Verità Operaia è quella di una tendenza rivoluzionaria in preda alla demoralizzazione e alla confusione a causa della sconfitta della rivoluzione e, quindi, portata a mettere in forse il carattere originariamente proletario di questa. Tali deviazioni sono inevitabili se non si ha un quadro chiaro e coerente in cui analizzare le degenerazione della rivoluzione, soprattutto considerando le difficili condizioni in cui lavoravano i rivoluzionari in Russia dopo il 1921.
Ma, malgrado un certo pessimismo ed un certo intellettualismo, la Verità Operaia non esitò ad intervenire negli scioperi selvaggi che hanno scosso la Russia nell’estate del 1923, cercando di portare avanti parole d’ordine di carattere politico all’interno del movimento generale della classe. In seguito a quest’intervento, il gruppo ebbe addosso tutte le forze della Ghepeu, che lo distrussero rapidamente.
b) Il Gruppo Operaio e il Partito Comunista Operaio
Abbiamo visto come la debolezza di gruppi quali l’Opposizione Operaia e la Verità Operaia fosse in gran parte legata alla loro mancanza di prospettive internazionali; così possiamo dire che la più importante delle frazioni comuniste di sinistra fu giustamente quella che insistette sul carattere internazionale della rivoluzione e sulla necessità che i rivoluzionari del mondo intero si raggruppassero.
Si trattava di elementi molto vicini al KAPD tedesco e ad organizzazioni ad esso legate.
Il 3 e il 17 giugno 1923, il Workers’ Dreadnought pubblicò una risoluzione di un gruppo costituitosi poco tempo prima e che si chiamava il “gruppo dei comunisti rivoluzionari di sinistra (partito comunista operaio) di Russia”.
Si definiva un gruppo che era uscito dal “partito comunista russo socialdemocratico che aveva fatto della direzione degli affari dello Stato russo la sua principale preoccupazione” (W.D. 3 giugno); e benché s’impegnasse “a sostenere tutte le tendenze rivoluzionarie di sinistra esistenti nel partito comunista russo” e ad “accogliere ed appoggiare tutte le proposte dell’Opposizione Operaia con un orientamento veramente rivoluzionario”, insisteva sul fatto “che non c’era possibilità di riformare il partito comunista russo dall’interno” (W.D. 17 giugno). Il gruppo denunciava i tentativi di accordo dei bolscevichi e del Komintern con il capitale sia in Russia che all’estero ed in particolare attaccava la politica di fronte unito del Komintern dicendo che era uno strumento “della ricostruzione dell’economia capitalista mondiale” (W.D. 17 giugno). Affermava che i bolscevichi e il Komintern avevano ormai intrapreso la strada dell’opportunismo che non poteva portare che alla loro integrazione nel capitalismo e che quindi era tempo di mettersi a lavorare per la costruzione di un partito comunista operaio russo legato al KAPD tedesco, al KAP olandese e ad altri partiti dell’Internazionale Comunista Operaia[10].
Lo sviluppo ulteriore di questo gruppo non é ben conosciuto, ma sembra che sia strettamente legato a quello del gruppo Operaio di Miasnikov, meglio conosciuto con il nome di Gruppo Operaio Comunista - sembra infatti che il PCO del 1922 sia stato un precursore di quest’ultimo. Il primo dicembre 1923 il Dreadnought annunciava di aver ricevuto il manifesto del gruppo Operaio, mandato dal PCO russo insieme con una protesta del PCO contro l’arresto in Russia di Miasnikov, Kuznetzov ed altri militanti del gruppo Operaio. Nel 1924 il KAPD pubblicava Il Manifesto in tedesco e parlava del gruppo Operaio come de “la sezione russa della quarta Internazionale”.
A partire da questo momento la difesa del comunismo di sinistra in Russia sarebbe stata assicurata dal gruppo di Miasnikov.
Gabriel Miasnikov, un operaio degli Urali, si era messo in luce nel partito bolscevico quando, improvvisamente nel 1921, dopo il cruciale X Congresso aveva reclamato “la libertà di stampa per tutti, dai monarchici agli anarchici inclusi” (citato da Carr ne L’Interregno).
Malgrado gli sforzi di Lenin per dissuaderlo dal condurre un dibattito su questo problema, si rifiutò di desistere e fu espulso dal partito agli inizi del 1922. Nel febbraio-marzo 1923 si unì con altri militanti per fondare “il gruppo Operaio del partito comunista russo (bolscevico)” che pubblicò e distribuì il proprio Manifesto al XII Congresso del PCR. Il gruppo iniziò a fare lavoro illegale tra gli operai, del partito e non, e sembra abbia partecipato in maniera significativa all’ondata di scioperi dell’estate 1923, convocando manifestazioni di massa e cercando di politicizzare un movimento di classe essenzialmente difensivo. La sua attività in questi scioperi bastò a convincere la Ghepeu della seria minaccia che esso rappresentava, per cui alcuni militanti tra i dirigenti furono arrestati, il che rappresentò un duro colpo per il gruppo.
Ma, come abbiamo visto, essi proseguirono il loro lavoro clandestino, anche se su scala ridotta, fino egli inizi degli anni ‘30[11]. Il Manifesto del Gruppo Operaio rappresenta un notevole passo avanti rispetto all’Appello della Verità Operaia, ma contiene ancora le esitazioni e le idee poco chiare della sinistra comunista dell’epoca, soprattutto di quella russa.
Il Manifesto contiene le solite denunce delle spaventose condizioni di vita degli operai russi e delle ingiustizie che portava con sé la NEP e si chiede: “E’mai possibile che la NEP (nuova politica economica) debba trasformarsi in NSP = Nuovo Sfruttamento del Proletariato?” Prosegue attaccando la soppressione della possibilità di divergenze all’interno e al di fuori del partito ed il pericolo che il partito si trasformi in “una minoranza che detiene il controllo del potere e delle risorse economiche della nazione, il che porterà alla creazione di una casta burocratica”. Denuncia il fatto che i sindacati, i soviet e i comitati di fabbrica hanno perso la loro funzione di organismi del proletariato, che la classe non controlla più né la produzione né l’apparato politico del regime. Reclama la rigenerazione di tutti questi organi attraverso una riforma radicale del sistema dei soviet che permetta alla classe di esercitare il suo dominio sulla vita economica e politica.
Questo ci porta immediatamente al problema più grosso con cui si scontrava la sinistra russa agli inizi degli anni ‘20. Qual era 1’atteggiamento da tenere verso il regime sovietico? Questo aveva ancora un carattere proletario o i rivoluzionari dovevano lottare per la sua distruzione? La difficoltà era che a quei tempi non c’erano né esperienza né criteri per decidere se il regime era divenuto o no controrivoluzionario. Questo dilemma é alla base dell’atteggiamento ambiguo adottato dal gruppo Operaio verso il regime. Nello stesso tempo in cui esso denuncia le ingiustizie della NEP ed il pericolo della “sua degenerazione burocratica”, afferma che: “la NEP é il risultato diretto della situazione delle forze produttive nel nostro paese. Deve essere utilizzata per consolidare le posizioni conquistate dal proletariato con l’Ottobre”[12]. Il Manifesto suggerisce, quindi, una serie di mezzi per “il miglioramento” della NEP - controllo operaio, indipendenza dai capitali stranieri, ecc. Allo stesso modo, pur criticando le degenerazioni del partito, il gruppo Operaio, come abbiamo vieto, aveva scelto di lavorare tra i militanti del partito e di esercitare delle pressioni sulla direzione. Mentre in altre pubblicazioni il gruppo si chiedeva se il proletariato non poteva essere “costretto ad intraprendere una nuove lotta, e forse una lotta sanguinosa per rovesciare l’oligarchia” (citato da Carr, L’Interregno), nel Manifesto si insisteva sulla rigenerazione dello Stato dei soviet e delle sue istituzioni e non sulla loro distruzione violenta.
Questa posizione di sostegno critico é messa ancora più in evidenza dal fatto che di fronte alle minacce di guerra rappresentate dall’accordo di Curzon nel 1923, i militanti del gruppo Operaio si erano impegnati a resistere a qualsiasi tentativo di rovesciamento del potere dei Soviet (Carr, op. cit.).
Non é evidentemente il caso di porsi il problema se fosse corretto o no difendere il regime russo del 1923. Non si può considerare controrivoluzionario il gruppo Operaio per le posizioni prese allora, perché l’esperienza della classe non aveva ancora deciso in maniera definitiva sulla questione russa. Le ambiguità sulla natura del regime sovietico sono soprattutto espressione delle immense difficoltà incontrate dai rivoluzionari nella risoluzione di questo problema, nella confusione e lo smarrimento di quegli anni.
Ma l’aspetto più importante del gruppo Operaio non è la sua. analisi del sistema russo, ma la sua intransigente prospettiva internazionalista. E’ significativo che il Manifesto del 1923 inizi con una efficace descrizione della crisi mondiale del capitalismo e dell’alternativa che si pone al1’umanità intera: socialismo o barbarie. Cercando di spiegare il ritardo della presa di coscienza rivoluzionaria della classe operaia di fronte a questa crisi, il Manifesto denuncia con estrema chiarezza il ruolo universalmente controrivoluzionario della Socialdemocrazia:
“in tutti i paesi, ad un certo momento, sono i socialisti gli unici in grado di salvare la borghesia dalla rivoluzione proletaria, perché le masse operaie sono abituate a diffidare di tutto ciò che viene dai loro oppressori, ma quando la stessa cosa gli viene presentata ammantata di fraseologia socialista e come se fosse quello il loro interesse, i lavoratori, ingannati da questo linguaggio, prestano fede ai traditori e sprecano le loro energie in una lotta senza speranza. La borghesia non ha e non avrà mai migliore avvocato”.
La comprensione di questo fatto permise al gruppo Operaio di denunciare le tattiche del Komintern del fronte unico e del governo operaio, come tanti mezzi per legare il proletariato al suo nemico di classe. Anche se meno cosciente del ruolo reazionario dei sindacati, il gruppo Operaio condivise la posizione del KAPD per cui nel nuovo periodo di decadenza del capitalismo tutte le vecchie tattiche riformiste dovevano essere abbandonate:
“Il tempo in cui la classe operaia poteva ottenere miglioramenti economici e legislativi per mezzo degli scioperi e della sua partecipazione al parlamento é finito per sempre. Bisogna dirlo apertamente. Oggi la lotta per gli obbiettivi più immediati coincide con la lotta per il potere. Dobbiamo spiegare per mezzo della nostra propaganda che, benché in molte occasioni noi stessi spingiamo allo sciopero, gli scioperi non possono portare ad un vero miglioramento delle condizioni di vita degli operai. Ma voi, lavoratori, non avete ancora superato le vecchie illusioni riformiste e continuate a portare avanti una lotta che non può che esaurirvi. Noi siamo solidali con i vostri scioperi, ma ricordate! Queste lotte non vi libereranno dalla schiavitù, dallo sfruttamento e dalla miseria più disperate. Il solo modo per vincere é conquistare il potere con le proprie forze”.
Ruolo del partito è allora anche quello di preparare dappertutto le messe alla guerra contro la borghesia.
La comprensione da parte del gruppo Operaio del nuovo periodo storico sembra portare in sé le debolezze e le forze della visione del KAPD sulla “crisi mortale del capitalismo”.
Per entrambi, una volta che il capitalismo è entrato definitivamente in crisi, le condizioni della rivoluzione proletaria esistono sempre. Ruolo del partito è allora quello di funzionare da detonatore dell’esplosione rivoluzionaria. In nessun punto del Manifesto c’è un accenno al riflusso della rivoluzione mondiale ed alle necessità di un’analisi precisa delle nuove prospettive che questo apre ai rivoluzionari. Per il gruppo Operaio la rivoluzione mondiale era all’ordine del giorno nel 1923 come lo era stata nel 1917.
E’ questo il motivo per cui esso poteva condividere le illusioni del KAPD sulle possibilità di costruire una IV Internazionale nel 1922; in anni come quelli dal 1928 al 1931 Miasnikov cercava ancora di organizzare un partito comunista operaio russo[13].
Sembra che solo la Sinistra Italiana sia stata capace di capire qual era il ruolo delle frazioni comuniste in periodo di riflusso, quando il partito non può più esistere. Per il KAPD, il Workers Dreadnought, Miasnikov ed altri, il partito poteva esistere in qualunque momento. Il corollario di questa visione immediatista fu una tendenza inesorabile alla disintegrazione politica: considerando anche gli effetti della repressione, per i comunisti di sinistra tedeschi e per i loro simpatizzanti russi e inglesi è stato impossibile continuare ad esistere politicamente durante il periodo di controrivoluzione.
Le proposte concrete fatte dal gruppo Operaio per il raggruppamento internazionale dei rivoluzionari sono espressione di una sana preoccupazione di tenere il più unite possibile le forze rivoluzionarie, ma sono anche il riflesso delle contraddizioni, di cui abbiamo già parlato, a proposito dei rapporti tra la sinistra comunista e le istituzioni “ufficiali” in degenerazione. Per cui, pur opponendosi violentemente ad ogni tipo di frontismo con i socialdemocratici, il Manifesto del gruppo Operaio lancia un appello per la formazione di una specie di Fronte unico tra tutti gli elementi veramente rivoluzionari, in cui includeva i partiti della III Internazionale, considerandoli alla stessa stregua dei partiti comunisti operai. Pare che in un’altra occasione il gruppo Operaio abbia iniziato delle trattative con la sinistra del KPD, raggruppata attorno a Maslow, allo scopo di attirare Maslow nel suo “ufficio estero”, privo di vita fin dalla sua nascita. Il KAPD, commentando il Manifesto, era estremamente critico su ciò che esso chiamava “le illusioni del gruppo Operaio sulla possibilità di rivoluzionare l’Internazionale Comunista... la III Internazionale non è più uno strumento di lotta della classe proletaria. E’ per questo che i partiti comunisti hanno fondato l’Internazionale Comunista Operaia”. Tuttavia l’incertezza del gruppo Operaio sulla natura del regime russo o del Komintern fu risolta alla luce dell’esperienza concreta: la vittoria dello stalinismo in Russia lo indusse a prendere una linea di condotta più intransigente contro la burocrazia ed il suo stato, mentre la rapida decomposizione del Komintern dopo il 1923 rese più che evidente il fatto che i futuri “partner” internazionali del gruppo Operaio sarebbero stati i veri comunisti di sinistra dei vari paesi.
Fu soprattutto questo “legame internazionale” con i sopravvissuti dell’ondata rivoluzionaria che permise ai compagni come Miasnikov di raggiungere un grado di chiarezza relativamente elevato nell’oceano di confusione, demoralizzazione e menzogne da cui era stato inghiottito il movimento operaio russo.
c) Gli “Inconciliabili” dell’Opposizione di Sinistra
Non é possibile esaminare a fondo in quest’articolo il problema dell’Opposizione di sinistra; la sua confusa difesa della democrazia all’interno del partito, della rivoluzione cinese e dell’internazionalismo contro la teoria stalinista del “socialismo in un paese solo”, ne fa una corrente proletaria, l’ultima scintilla di resistenza all’interno del partito bolscevico e del Komintern. L’insufficienza della sua critica alla controrivoluzione in atto rende però impossibile considerarla parte integrante della tradizione rivoluzionaria della sinistra comunista.
A livello internazionale, il suo rifiuto di rimettere in questione le tesi dei primi quattro congressi del Komintern le impediva di capire le cause della degenerazione dell’Internazionale e di evitare di ripetere drammaticamente gli errori di questa. Anche in Russia, l’Opposizione di sinistra non é riuscita a rompere con l’apparato dello Stato-partito, cosa che le avrebbe permesso di impiantarsi saldamente sul terreno delle lotte proletarie contro il regime, a fianco delle vere frazioni comuniste di sinistra. Benché i suoi nemici abbiano tentato di accusare Trotskij di essersi messo in contatto con gruppi illegali come Verità operaia, Trotskij stesso si dissociò esplicitamente da questi gruppi, definendo il gruppo di Bogdanov come quello della “non-Verità operaia” (Carr, L’interregno) e partecipando in prima persona alla repressione dell’ultra-sinistra all’interno, ad esempio, della commissione incaricata di fare ricerche sull’attività dell’Opposizione operaia nel 1922. Tutto ciò che Trotskij ammetteva era che questi gruppi erano sintomo di una vera e propria degenerazione del regime dei soviet.
Ma l’Opposizione di sinistra all’inizio non era rappresentata solo da Trotskij. Molti dei firmatari della piattaforma dei 46 erano dei vecchi comunisti di sinistra e centralisti democratici Ossinskj, Smirnov, Piatakov ed altri. Scriveva Miasnikov:
“Non ci sono solo grandi uomini famosi nella opposizione trotzkista, ci sono anche molti operai. E questi non vogliono seguire i loro leader; dopo qualche esitazione essi rientreranno nelle file del gruppo Operaio. (L’operaio comunista, n.6, gennaio 1930).
Proprio perché l’opposizione di sinistra era una corrente proletaria, essa ha dato vita naturalmente ad un’ala sinistra che é andata ben oltre le critiche timide dello stalinismo fatte da Trotskij e dai suoi discepoli “ortodossi”. Verso la fino degli anni ‘20, crebbe all’interno dell’Opposizione di sinistra una corrente conosciuta sotto il nome de “gli inconciliabili”, composta in gran parte da giovani operai che si opponevano alle tendenze dei trotzkisti “moderati” ad andare verso una riconciliazione con la fazione stalinista, tendenza che si accelerò nel 1928, quando sembrò che Stalin stesse realizzando rapidamente il programma di industrializzazione dell’Opposizione di sinistra. Isaac Deutscher scrive che tra gli “Inconciliabili”:
“Era già evidente che l’Unione Sovietica non era più uno Stato operaio; che il partito aveva tradito la rivoluzione e che la speranza di riformarlo era diventata priva di senso, l’opposizione doveva formare un nuovo partito, propagandare e preparare una nuova rivoluzione. Alcuni vedevano in Stalin il promotore del capitalismo agrario e anche il leader di una “democrazia kulak”, mentre per altri il suo potere era l’incarnazione del dominio di un capitalismo di Stato implacabilmente ostile al socialismo”.
Nel suo libro “Nel paese della grande menzogna”, Ante Ciliga fornisce una testimonianza delle discussioni che ebbero luogo all’interno dell’Opposizione di sinistra nei campi di lavoro stalinisti; egli dimostra che alcuni membri dell’Opposizione di sinistra erano per la capitolazione al regime stalinista, altri sostenevano che bisognava riformarlo, altri ancora erano per una rivoluzione politica per eliminare la burocrazia (la posizione che avrebbe adottato Trotskij). Ma gli inconciliabili o, come li chiama Ciliga (che ne faceva parte) i “negatori”:
“credevano che non solo l’ordine politico, ma anche l’ordine sociale ed economico erano estranei ed ostili al proletariato. Auspicavano per conseguenza una rivoluzione non soltanto politica, ma anche sociale, che aprisse la strada allo sviluppo del socialismo. A nostro avviso la burocrazia costituiva una vera e propria classe e una classe ostile al proletariato”. (Ante Ciliga, Nel paese della grande menzogna URSS 1926-1935, Jaca Book, pag. 207[14]).
Nel gennaio 1930, in un articolo del n°6 de “L’operaio comunista”, Miasnikov diceva dell’Opposizione di sinistra che:
“Non ci sono che due possibilità, o i trotzkisti adottano la parola d’ordine “guerra ai palazzi, pace alle baracche” e si uniscono sotto lo stendardo della rivoluzione proletaria, primo passo che deve fare il proletariato per diventare la classe dominante, o essi si spegneranno lentamente e passeranno individualmente o collettivamente alla borghesia. Queste sono le due alternative, non c’è una terza via”.
Gli avvenimenti degli anni ‘30, che hanno visto i trotzkisti passare definitivamente negli eserciti del capitale, avrebbero confermato ciò che Miasnikov aveva predetto. Ma gli elementi migliori dell’Opposizione di sinistra furono capaci di seguire l’altra via, quella della rivoluzione. Disgustati dall’incapacità di Trotskij di confermare le loro analisi nei suoi scritti dell’esilio, essi ruppero con l’Opposizione di sinistra negli anni 30-32 e cominciarono a lavorare in prigione con i sopravvissuti del gruppo Operaio e del gruppo del centralismo democratico, elaborando un’analisi della sconfitta della rivoluzione russa e del significato del capitalismo di stato. Come viene sottolineato da Ciliga nel suo libro, essi non avevano paura di andare dritto al cuore del problema e di accettare il fatto che la degenerazione della rivoluzione russa non era iniziata con Stalin, ma già sotto l’egida di Lenin e Trotskij. Come diceva spesso Marx, essere radicale vuol dire andare fino in fondo alle cose. Negli anni neri della reazione, quale miglior contributo avrebbe potuto dare la sinistra comunista di quello di aver scavato senza timore fino alle radici della sconfitta del proletariato?
Per qualcuno le discussioni portate avanti dai comunisti di sinistra in prigione non sono altro che il simbolo dell’impotenza delle idee rivoluzionario di fronte al mostro capitalista. Ma anche se la loro situazione era l’espressione della profonda sconfitta subita dal proletariato, il semplice fatto di avere continuato, in condizioni così sfavorevoli, a chiarire quali erano le lezioni che si potevano trarre dalla rivoluzione é un segno che la missione storica del proletariato non può mai essere liquidata da una vittoria temporanea della controrivoluzione. Come scriveva Miasnikov a proposito dell’arresto di Sapronov:
“Ora Sapronov è stato arrestato. Neanche l’esilio ed il soffocamento della sua voce sono riusciti a diminuire le sue energie e la burocrazia non poteva sentirsi al sicuro finché gli non fosse stato circondato dalle spesse mura di una prigione. Ma un soffio potente, il soffio della rivoluzione d’Ottobre non può essere imprigionato; neanche la tomba può farlo sparire. I principi della rivoluzione sono sempre vivi nella classe operaia russa e, finché vivrà la classe operaia, quest’idea non potrà morire. Voi potete arrestare Sapronov, non l’idea della rivoluzione”. (L’operaio comunista, 1929).
E’ vero che la burocrazia stalinista è riuscita da molto tempo a schiacciare le ultime minoranze comuniste in Russia. Ma oggi che una nuova ondata di lotte proletarie internazionali trova una piccola eco anche nel proletariato russo, il “soffio potente” di un secondo Ottobre ritorna a spaventare gli animi degli aguzzini stalinisti a Mosca e dei loro discendenti a Varsavia, Praga e Pechino.
Quando gli operai della “patria del socialismo” si solleveranno per distruggere una volta per tutte l’immensa prigione dello stato stalinista, saranno finalmente capaci, insieme ai loro fratelli di classe di tutto il mondo, di risolvere i problemi posti e dalla rivoluzione del 1917 e dai suoi più leali difensori, i rivoluzionari della sinistra comunista russa.
C.D. WARD
[1] Con questo nome é conosciuta la più risoluta delle correnti di sinistra del PSI, che si consolidò intorno a Bordiga, fino alla fondazione del PCd’I nel 1921.
[2] I bolscevichi stessi hanno prodotto delle tendenze di estrema sinistra durante il periodo precedente alla I guerra, specialmente i massimalisti che criticavano la tattica parlamentare dei bolscevichi dopo la rivoluzione del 1905. Ma poiché questo dibattito ebbe luogo nell’epoca che segnava la fine della fase ascendente del capitalismo, noi non entreremo qui in una discussione approfondita di queste posizioni. La sinistra comunista invece è un prodotto specifico del movimento operaio nell’epoca di decadenza: essa ha la sua origine nella critica della strategia comunista “ufficiale” dell’I.C. ai suoi esordi, critica che cercava di definire i compiti rivoluzionari del proletariato nel nuovo periodo.
[3] Cfr. “Lezioni della Rivoluzione Tedesca” in Rivoluzione Internazionale n°2, maggio 1975.
[4] Organo della Frazione di Sinistra del PCd’I, poi Frazione Italiana della Sinistra Comunista, pubblicato in Francia negli anni ’33-38; nella Rivista Internazionale n°1 ne abbiamo riportato i testi sulla guerra di Spagna.
[5] Vedi “La degenerazione della Rivoluzione Russa” su Rivista Internazionale n°2 e “Le lezioni di Kronstadt” su Rivoluzione Internazionale n°6.
[6] Solidarity è un gruppo inglese che tiene al suo interno notevoli confusioni accanto ad alcune posizioni rivoluzionarie. Vedi nota sul n°10 di Rivoluzione Internazionale a pag. 21.
[7] Sebbene l’Opposizione Operaia abbia cessato di esistere dopo il 1922, il suo nome come quello del Centralismo Democratico ritornano continuamente in rapporto all’attività clandestina fino agli inizi degli anni ’30, il che sembra dimostrare che elementi di questi due gruppi hanno combattuto fino all’ultimo respiro.
[8] Il Manifesto del Gruppo Operaio e le note del KAPD sono disponibili in francese in “Invariance II serie n°6”. Una versione incompleta è apparsa sui seguenti numeri di Workers Dreadnouht: 1 dicembre 1923, 5 gennaio 1924, 2 febbraio 1924, 9 febbraio 1924. L’Appello della Verità Operaia è stato pubblicato nel Socia1ist Herald, Berlino, 31 gennaio 1922; degli estratti sono apparsi in inglese in Daniels, Una storia documentaria del comunismo, pagg. 219-223.
[9] Organismo politico incaricato di vigilare sulla sicurezza dell’Unione Sovietica (1922-1934).
[10] Il testo del 17 giugno ed un altro testo sul Fronte Unito di questo stesso gruppo è stato riprodotto su Workers’ Voice.
[11] La storia successiva di Miasnikov è questa: dal 1923 al 1927 ha trascorso la maggior parte del tempo in esilio o in prigione a causa delle sue attività clandestine. Evaso dalla Russia nel 1927, fuggì in Persia e in Turchia per fermarsi definitivamente in Francia nel 1930. Durante tutti questi anni cercò continuamente di organizzare il suo gruppo in Russia. Nel 1943 per ragioni ignote (forse perché si aspettava che dopo la guerra scoppiasse una. rivoluzione?), Miasnikov ritornò in Russia e non se ne è saputo più nulla.
[12] Il KAPD pubblicò il Manifesto del gruppo Operaio con delle note critiche; esso non accettava l’analisi del gruppo Operaio sulla NEP. Per esso la Russia nel 1925 era un paese capitalista dominato dai contadini. Il KAPD sosteneva dunque “non il superamento della NEP, ma la sua abolizione violenta.”
[13] In un articolo apparso su “L’operaio comunista” nel 1929, Miasnikov fece un resoconto di una conferenza tenuta nell’agosto 1928 dal gruppo Operaio, “il gruppo dei 15” di Sapronov e i superstiti dell’Opposizione Operaia. Essendo giunta ad un alto livello di accordo programmatico, la conferenza decise che “l’Ufficio centrale del gruppo Operaio costituirà l’Ufficio centrale organizzativo dei Partiti comunisti operai dell’URSS”.
La decisione di costituire più partiti comunisti operai dell’URSS rispondeva probabilmente alla preoccupazione di assicurare l’autonomia delle varie repubbliche dei soviet e dei loro Partiti comunisti, idea questa espressa nel Manifesto del 1923 che mostra una tendenza “decentralizzatrice” criticata dal KAPD nelle sue note critiche al Manifesto.
Sul centralista democratico Sapronov e sulla sua lucidità rivoluzionaria, Miasnikov scrisse:
“il compagno Sapronov non era fatto dello stesso materiale degli altri leader dell’Opposizione delle celebrità. Gli abbracci e le pacche amichevoli di Lenin non lo impressionavano e non smorzavano il suo spirito critico proletario. Nel 1926-27 Sapronov riapparve come leader del “gruppo dei 15”. La piattaforma del “gruppo dei 15” non aveva alcun legame né ideologico né teorico con la piattaforma del centralismo democratico. Unico legame la presenza di Sapronov, che l’aveva firmata con altri 14 compagni. C’é un notevole accordo tra gruppo dei 15 e gruppo Operaio su natura dell’URSS e dello Stato Operaio”.
[14] Il libro è consultabile anche on-line: Nel paese della grande menzogna