A proposito di Expectativas fallidas - Spana 1934-39. I comunisti dei consigli di fronte alla guerra di Spagna

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In quest'articolo faremo una presentazione critica del libro Expectativas fallidas - Espaòa 1934-39 (Aspettative Fallite - Spagna 1934-39), apparso in Spagna nell'autunno '99. Il libro riunisce diverse prese di posizione della corrente comunista dei consigli sulla guerra di Spagna; si tratta di testi di Mattick, Korsch e Wagner, assieme ad un'introduzione di Cajo Brendel, uno dei membri ancora viventi di quella corrente. In questa sede non analizzeremo la storia di questa corrente politica proletaria, che -in continuità con la battaglia negli anni '20 del KAPD, di Pannekoek e di altri, contro la degenerazione ed il passaggio nel campo del capitale dei partiti comunisti- ha proseguito la sua lotta negli anni '30, nel cuore della controrivoluzione, difendendo le posizioni proletarie ed arricchendole in modo considerevole (1).

Per quanto ci riguarda, in quanto militanti della Sinistra Comunista, è con grande interesse che accogliamo la pubblicazione dei documenti di questa corrente. Purtroppo Aspettative fallite presenta una scelta "molto selettiva" dei documenti del comunismo dei consigli sulla guerra del '36. Mette insieme i testi più confusi di questa corrente, quelli che fanno più concessioni alla mistificazione antifascista e più inclini ad adottare idee anarchiche. Mentre esistono dei documenti del comunismo dei consigli che denunciano l'arruolamento ed il massacro del proletariato in un conflitto imperialista che opponeva due frazioni borghesi rivali, i testi pubblicati nel libro trasformano questo massacro imperialista in un "tentativo di rivoluzione proletaria". Mentre ci sono documenti del GIK (2) che denunciano la trappola dell'antifascismo, i testi del libro sono estremamente ambigui rispetto a questa posizione. Mentre esistono prese di posizione del comunismo dei consigli che denunciano chiaramente la CNT come una forza sindacale che ha tradito gli operai, i testi del libro la presentano come un'organizzazione rivoluzionaria.

Uno dei responsabili della redazione, Sergio Rosés, sottolinea che "il consiliarismo, o meglio i consiliaristi, sono, a grandi linee, un insieme eterogeneo di individui e di organizzazioni, situati ai margini e di fronte al leninismo e che si richiamano al marxismo rivoluzionario". Tuttavia, guarda caso, di tutto quello che è stato scritto da questo "insieme eterogeneo", si è scelto di pubblicare, omogeneamente, solo il peggio.

Non ci interessa qui dare un giudizio morale sulle intenzioni dei compilatori della raccolta. Ma è chiaro che un lettore che non conosca già a fondo le posizioni del comunismo dei consigli, attraverso questa raccolta se ne farà un'idea abbastanza ridotta e deformata, immaginandole vicine a quelle della CNT e sostenitrici critiche della sua pretesa "rivoluzione sociale antifascista". Da questo punto di vista, al di là delle intenzioni individuali, questo libro obiettivamente porta il suo piccolo contributo alla campagna di propaganda anticomunista della borghesia. Questa campagna può prendere un aspetto grossolano e brutale (alla "Libro Nero del Comunismo", per intenderci); ma un simile approccio risulta controproducente verso gli elementi proletari che sono alla ricerca delle posizioni rivoluzionarie, per i quali è necessaria una versione più raffinata, un abbellimento dell'anticomunismo con un pò di  facciata rivoluzionaria, come, per esempio, l'esaltazione dell'anarchia come alternativa al "fallimento" del marxismo o la contrapposizione del "modello" della "rivoluzione spagnola del '36" al "colpo di stato di bolscevico" dell'Ottobre '17. In questo orientamento politico, le debolezze e simpatie di una parte della corrente consiliarista per l'anarchia vengono proprio a fagiolo, come puntualizza Sergio Rosés: "Infine -ed è una caratteristica che la differenzia dalle altre correnti della sinistra marxista rivoluzionaria- abbiamo una presa in considerazione del fatto che, nel corso di questa rivoluzione, l'anarchismo spagnolo ha dimostrato il suo carattere rivoluzionario, "sforzandosi di convertire le frasi rivoluzionarie in realtà", per usare le sue stesse parole".

Malgrado gli sforzi sistematici di denigrazione del marxismo, gli elementi che cercano una coerenza rivoluzionaria finiscono per trovare insufficiente e confusa l'alternativa anarchica e si sentono attirati dalle posizioni marxiste. E' per questo che uno degli aspetti più insidiosi della campagna anticomunista è quello di presentare il comunismo dei consigli come una specie di "ponte" verso l'anarchia, come "un'accettazione dei punti positivi della dottrina libertaria" e, soprattutto, come un nemico mortale del "leninismo" (3).

Il contenuto di "Aspettative fallite" porta sicuramente acqua a questo mulino. Anche se Cajo Brendel nell'introduzione al libro insiste sulla differenza netta esistente fra comunismo dei consigli ed anarchia, aggiunge tuttavia: "I comunisti dei consigli (...) segnalarono che gli anarchici spagnoli erano il gruppo sociale più radicale, e che avevano ragione nel mantenere la posizione per cui la radicalizzazione della rivoluzione era la condizione per sconfiggere il franchismo, mentre "democratici" e "comunisti" cercavano di ritardare la rivoluzione a dopo che il franchismo fosse stato sconfitto. Questa divergenza politica e sociale ha marcato la differenza fra il punto di vista democratico e quello dei comunisti dei consigli". (4)

Con quest'articolo vogliamo combattere questo tentativo di confondere anarchia e comunismo dei consigli, che costituisce una specie di aggressiva "Offerta Pubblica di Acquisto", una specie di tentativo di scalata -per riprendere il linguaggio degli speculatori di Borsa- nei confronti di una corrente proletaria: si fabbrica una versione deformata ed edulcorata della storia di questa corrente, sfruttando i suoi errori e le sue debolezze per fabbricare un surrogato di marxismo con cui seminare la confusione e l'incertezza fra gli elementi alla ricerca di una coerenza rivoluzionaria. Il nostro obiettivo è la difesa del comunismo dei consigli. Per questo, riguardo alle lezioni della Spagna '36, pur criticando le debolezze che appaiono nei testi pubblicati nel libro, ricorderemo le corrette posizioni che all'epoca i gruppi più chiari di questa corrente hanno saputo difendere.

Una rivoluzione antifeudale?

Per mantenere il proletariato legato mani e piedi alla difesa dell'ordine capitalista, i socialisti e gli stalinisti hanno messo l'accento sul fatto che la Spagna era un paese estremamente arretrato, con forti residui di  feudalesimo, e che, per questa ragione, i lavoratori dovevano lasciare da parte ogni aspirazione ad una rivoluzione socialista ed accontentarsi di una "rivoluzione democratica". Una parte della corrente del comunismo dei consigli condivideva questa posizione, anche se ne rigettava le conseguenze politiche. Bisogna dire che questa non era la posizione del GIK che affermava con chiarezza che "l'epoca in cui una rivoluzione borghese era possibile è superata. Nel 1848, si poteva ancora applicare questo schema, ma oggi la situazione è completamente cambiata (...) Noi non siamo di fronte ad una lotta fra la borghesia emergente ed il feudalesimo che predomina ovunque, ma, al contrario, ad una lotta fra il proletariato ed il capitale monopolista". (marzo 1937)

E' comunque certo che la corrente comunista dei consigli provava una grande difficoltà nel chiarire questo problema dato che, nel 1934, lo stesso GIK aveva adottato le famose "Tesi sul bolscevismo" che si erano basate sull'arretratezza della Russia e sul peso enorme del contadiname per giustificare l'identificazione della rivoluzione russa con una rivoluzione borghese e del partito bolscevico come un partito borghese giacobino. Nell'adottare una simile posizione, il comunismo dei consigli si era ispirato a quella espressa da Gorter nel 1920, quando, nella sua "Risposta al compagno Lenin", aveva differenziato due gruppi di paesi: da una parte quelli arretrati, in cui sarebbero valide le tattiche difese da Lenin del parlamentarismo rivoluzionario, della partecipazione nei sindacati, etc., dall'altra quelli a capitalismo pienamente sviluppato, in cui la sola tattica possibile era la lotta diretta per il comunismo (vedi La Sinistra Comunista Olandese). Tuttavia, di fronte agli avvenimenti del '36, il GIK fu capace di rimettere in questione quest'analisi erronea (anche se, purtroppo, solo in maniera implicita), mentre altre correnti consiliariste, e cioè quelle raggruppate nel libro Aspettative fallite, hanno continuato a difenderla.

La Spagna del 1931 aveva certamente reso più facile cadere in quest'errore: la monarchia appena rovesciata si era caratterizzata per una corruzione ed un parassitismo cronico; la situazione contadina era sconvolta; esisteva una concentrazione della proprietà terriera in poche mani, fra cui quelle dei famosi 16 Grandi di Spagna oltre che dei piccoli signori andalusi, mentre in regioni come la Galizia o l'Estremadura sopravvivevano perfino costumi feudali.

Il fatto è che l'analisi in sé della situazione di un paese può portare ad una distorsione della realtà. E' a livello storico e mondiale che è necessario considerarla. La storia ci ha insegnato che il capitalismo è perfettamente capace di allearsi con le frazioni feudali, anche in modo durevole, a seconda delle diverse fasi del suo sviluppo. In paesi simbolo della rivoluzione borghese, come l'Inghilterra, sopravvivono istituzioni feudali come la monarchia, con il suo contorno di titoli nobiliari graziosamente concessi. Lo sviluppo del capitalismo in Germania è avvenuto sotto la sferza di Bismarck, il rappresentante dei proprietari terrieri, gli junkers. In Giappone è stata la monarchia feudale che ha portato all'avvio dello sviluppo capitalistico, con "l'era Meiji", cominciata nel 1869; ancora oggi la società giapponese è condizionata dalle sopravvivenze feudali. Il capitalismo è capacissimo di svilupparsi in presenza di altri modi di produzione; anzi, come ha dimostrato Rosa Luxembourg, questa "coabitazione" gli ha fornito un terreno privilegiato di sviluppo. (6)

Ma la questione essenziale è: a che punto è lo sviluppo del capitalismo a livello mondiale? Questo è stato il criterio decisivo per i marxisti agli inizi del XX secolo, quando ci si è dovuti chiedere se all'ordine del giorno c'era ancora la rivoluzione borghese o la rivoluzione proletaria. E' la posizione che ha ispirato Lenin nelle sue Tesi di Aprile, per caratterizzare la rivoluzione in corso in Russia come proletaria e socialista, di fronte alla posizione menscevica che gli attribuiva un carattere democratico e borghese sulla base dell'arretratezza della Russia, del peso del contadiname e della sopravvivenza dell'apparato feudale zarista. Lenin, senza negare la realtà di queste specificità nazionali, metteva l'accento sulla realtà a livello mondiale, caratterizzata dalla "necessità obiettiva del capitalismo che, sviluppandosi, si è trasformato in imperialismo ed ha dato luogo alla guerra imperialista. Questa guerra ha portato tutta l'umanità ad un passo dalla fine, alla quasi rovina di ogni forma di cultura, all'abbrutimento ed alla morte di milioni e milioni di uomini. Non ci sono altre vie di uscita se non la rivoluzione del proletariato". ("I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione")

La rivoluzione del 1917 con tutta l'ondata rivoluzionaria che vi ha fatto seguito, la situazione in Cina nel 1923-27 (7), oltre che la situazione in Spagna nel 1931 mostrano chiaramente che il capitalismo ha cessato di essere un modo di produzione progressivo, che è entrato nella sua fase di decadenza, di contraddizioni irreversibili con lo sviluppo delle forze produttive. In ogni paese, quali che siano l’arretratezza e le vestigia feudali, è la rivoluzione comunista ad essere all'ordine del giorno. Su questo punto c'è un accordo netto fra Bilan ed il GIK. Per contro, la loro posizione si differenzia rispetto alle correnti consilairiste rappresentate in Aspettative fallite.

Le ambiguità di fronte alla mistificazione  antifascista

I testi contenuti in questo libro mostrano come i suoi autori si siano lasciati impressionare dall'intensa propaganda borghese dell'epoca, che presentava il fascismo come il male assoluto, il concentrato dell'autoritarismo, della repressione, del totalitarismo, dell'arroganza burocratica (8), di fronte al quale la democrazia, malgrado i suoi "innegabili difetti", costituirebbe non solo una barriera, ma anche "il male minore". Mattick ci dice che "gli operai, da pare loro, sono obbligati dall'istinto di conservazione, a dispetto di tutte le differenze organizzative ed ideologiche, ad un fronte unificato contro il fascismo, in quanto nemico più immediato e diretto (...). Gli operai, senza stare a preoccuparsi se i loro obiettivi sono democratico-borghesi, capitalisti di Stato, anarco-sindacalisti o comunisti, sono obbligati a lottare contro il fascismo se vogliono non solamente evitare l'aggravarsi della loro situazione, ma puramente e semplicemente restare in vita". E' certamente vero che gli operai sentono il bisogno di "restare in vita” ma il "nemico più immediato e diretto" non è in realtà il fascismo, ma lo Stato repubblicano ed i suoi rappresentanti più "radicali": la CNT ed il POUM. Sono loro che gli impediscono di restare in vita, inviandoli al massacro sui fronti militari contro Franco. Sono loro che "puramente e semplicemente" gli impediscono di sopravvivere, facendogli accettare il razionamento e rinunciare ai miglioramenti salariali strappati nelle giornate del Luglio '36.

L'argomento per cui le circostanze non permettono di parlare di rivoluzione né tanto meno di rivendicazioni, ma "puramente e semplicemente di restare in vita" è sviluppato da Helmuth Wagner: "I lavoratori spagnoli non possono lottare sul serio contro le direzioni sindacali perché questo provocherebbe il crollo totale dei fronti militari(!). Debbono lottare contro i fascisti per salvare la pelle, debbono accettare qualsiasi aiuto da dovunque provenga. Non si pongono la questione di sapere se il risultato di tutto questo sarà il capitalismo o il socialismo: sanno solo che debbono lottare fino alla fine". Ironicamente, lo stesso testo che denuncia che "la guerra di Spagna (va acquisendo) il carattere di un conflitto internazionale tra le grandi potenze" si oppone al fatto che i lavoratori provochino il crollo dei fronti militari! La confusione antifascista porta a dimenticare la posizione internazionalista del proletariato,  quella che fu difesa da Pannekoek ed altri precursori del comunismo dei consigli, fianco a fianco con Lenin, Rosa Luxembourg, etc. e cioè puntare, attraverso lo sviluppo della lotta di classe, al "crollo dei fronti militari".

Forse che la Repubblica non aveva costituito per i lavoratori spagnoli una minaccia altrettanto evidente di quella fascista? I suoi 5 anni di vita a partire dal 1931 sono scanditi da una serie di massacri: Alto Llobregat nel 1932, Casas Viejas nel 1933, le Asturie nel 1934. Il Fronte Popolare stesso, in seguito alla sua vittoria elettorale nel febbraio1936, si è presto incaricato di riempire le carceri di militanti operai... E' comodo dimenticare tutto questo in nome di un'astrazione intellettuale che presenta il fascismo come "la minaccia assoluta per la vita umana". In nome di questa astrazione H.Wagner critica una parte degli anarchici olandesi che denunciano "ogni azione che comporti un aiuto agli operai spagnoli, come l'invio di armi"  pur riconoscendo allo stesso tempo che "le armi moderne inviate dall'estero contribuiscono allo scontro militare e, perciò stesso, il proletariato spagnolo si sottomette agli interessi imperialisti"! Nel modo di ragionare di Wagner "sottomettersi agli interessi imperialisti" sarebbe qualcosa di "politico", "morale", che non ha niente a che vedere con la lotta "materiale", "per la sopravvivenza". Purtroppo è proprio la sottomissione del proletariato agli interessi imperialisti a farne carne di cannone nelle trincee.

Mattick si rifugia in un fatalismo più terra terra: "Non si può fare altro che spingere tutte le forze antifasciste alla lotta contro il fascismo, indipendentemente dal fatto che i loro desideri vadano in tutt'altra direzione. Questa situazione non è stata cercata, ma è inevitabile e ciò corrisponde perfettamente al fatto che la storia è determinata dalla lotta di classe e non da organizzazioni particolari, da interessi specifici, da questo dirigente o da quell'idea". Mattick dimentica solo che il proletariato è una classe storica; e questo significa concretamente che, in situazioni in cui il suo programma non può determinare l'evoluzione a breve o a medio termine degli eventi, non può far altro che mantenere le sue posizioni e continuare ad approfondirle, anche se per tutto un periodo questo si riduce all'attività di una ristretta minoranza. Di conseguenza, ciò che quella situazione rendeva "inevitabile" dal punto di vista degli interessi immediati e storici del proletariato, era la denuncia dell'antifascismo, ed è esattamente quello che fu fatto non solo da Bilan, ma anche dal GIK che denunciava: "La lotta in Spagna riveste il carattere di un conflitto internazionale fra le grandi potenze imperialiste. Le armi moderne inviate dall'estero hanno spostato il conflitto sul piano militare e, di conseguenza, il proletariato spagnolo è stato sottomesso agli interessi imperialisti". (aprile 1937)

Mattick si abbassa al livello dei lacché "operai" della borghesia che ci ripetono che bisogna sbarazzarsi delle "teorie" e degli "ideali" e che bisogna "badare al sodo". Questo "sodo" sarebbe la lotta sul terreno dell'antifascismo, che ci viene presentata come qualcosa di "pratico" e "più immediato". L'esperienza storica ha più volte dimostrato che mettendosi su questa via il proletariato finisce per prendere mazzate sia dai suoi nemici fascisti che dai suoi "amici" antifascisti.

Mattick sostiene che "la lotta contro il fascismo rimanda la lotta decisiva fra borghesia e proletariato e non permette ai due campi che delle mezze misure che consentono lo sviluppo tanto della rivoluzione che delle forze controrivoluzionarie; ed entrambe le cose sono allo stesso tempo un ostacolo per la lotta antifascista".  E' tutto, totalmente, falso. La "lotta contro il fascismo" non è una specie di tregua fra borghesia e proletariato, che permetta di concentrarsi "contro il nemico comune", mentre ciascuna classe rafforza le sue posizioni in vista della lotta decisiva. Questa non è altro che politica-spettacolo per ingannare i proletari. Gli anni '30 hanno dimostrato che la sottomissione del proletariato al "fronte antifascista" ha significato che la "lotta decisiva" era stata vinta dalla borghesia, che aveva quindi le mani libere per massacrare gli operai, portarli alla guerra ed imporgli uno sfruttamento feroce. L'orgia antifascista in Spagna, il successo del Fronte Popolare francese nell'opera di inquadramento degli operai dietro la bandiera dell'antifascismo, hanno completato le condizioni politiche ed ideologiche per lo scatenamento della II guerra mondiale.

La sola lotta possibile contro il fascismo è la lotta del proletariato contro tutte le frazioni della borghesia, sia quella fascista che quella antifascista, dato che, come ricorda Bilan"le esperienze provano che per la vittoria del fascismo le forze antifasciste del capitalismo sono altrettanto necessarie delle forze fasciste stesse" (9). Senza voler stabilire paralleli abusivi fra situazioni storicamente molto diverse, gli operai russi si mobilitarono rapidamente contro il golpe di Kornilov nel settembre 1917 e la stessa cosa si è verificata nei primi momenti del colpo di Stato franchista del '36. In entrambi i casi la prima risposta è la lotta sul terreno di classe contro una frazione della borghesia senza fare il gioco della frazione rivale. C'è tuttavia una differenza sostanziale tra la Russia 1917 e la Spagna 1936. Il primo esempio si situa in un corso storico verso la rivoluzione, di cui fu il primo episodio, mentre il secondo esempio si iscrive in un periodo di controrivoluzione trionfante a livello mondiale. Mentre nel primo caso la risposta operaia porta ad un rafforzamento del potere dei Soviet ed apre la strada all'abbattimento del potere borghese, nel secondo caso non c'è il minimo segno di organizzazione autonoma degli operai, che vengono rapidamente incanalati verso il rafforzamento del potere borghese, grazie alla trappola antifascista.

Sotto lo shock del massacro del maggio '37 effettuato dalle forze repubblicane, Mattick riconosce tardivamente che "il Fronte Popolare non è per i lavoratori il male minore, ma semplicemente un'altra forma della dittatura capitalista che si aggiunge al fascismo. La lotta deve essere rivolta contro il capitalismo". (da "Via le barricate! Il fascismo di Mosca in Spagna). E, criticando un testo dell'anarchico tedesco Rudolph Rocker, afferma che "democrazia e fascismo servono gli interessi dello stesso sistema. Per questa ragione, i lavoratori devono fare la guerra ad entrambi. Devono combattere il capitalismo dappertutto, indipendentemente dagli abiti che indossa o dal nome che si da".

Rivoluzione sociale o inquadramento del proletariato per la guerra imperialista?

Una delle confusioni che ha pesato sulla generazione di operai nel XX secolo consiste nel considerare gli avvenimenti della Spagna '36 come una "rivoluzione sociale". Con l'eccezione di Bilan, del GIK e del Gruppo Lavoratori Marxisti del Messico (10), la maggior parte dei rari gruppi proletari dell'epoca hanno contribuito a questa confusione: Trotsky ed i trotskisti, l’Union Communiste, la LCI (Ligue Communiste Internationaliste de Belgique, animata da Hainaut), una buona parte dei gruppi del comunismo dei consigli, la Frazione bolscevico-leninista di Spagna animata da Munis ed infine la minoranza che ruppe con Bilan proprio su questa posizione (11).

Il ritornello della "rivoluzione sociale spagnola" è stato cantato su tutti i toni dalla borghesia, anche dai suoi settori più conservatori, allo scopo evidente di far ingoiare agli operai le loro più grandi sconfitte come se fossero delle grandi vittorie. Il ritornello della rivoluzione spagnola "più profonda e più sociale della rivoluzione russa" è particolarmente assordante. La borghesia oppone la seducente "rivoluzione economico-sociale spagnola" alla rivoluzione russa, il cui aspetto politico è considerato "piatto" ed "impersonale". La borghesia canta con gorgheggi romantici la "partecipazione dei lavoratori alla gestione dei loro affari", opponendola all'immagine agghiacciante e tenebrosa che viene fornita delle macchinazioni politiche dei bolscevichi.

Anche nel libro è possibile trovare qualche testo (12) che denuncia dettagliatamente questa impostura, che dal canto suo la borghesia non smette di alimentare, allo scopo evidente di denigrare le autentiche esperienze rivoluzionarie del proletariato ( in Russia '17 e durante l'ondata rivoluzionaria mondiale che vi ha fatto seguito). Gli altri testi riprodotti, per contro, contribuiscono ad infiorarla. Mattick ad esempio dice che "l'iniziativa autonoma dei lavoratori ha rapidamente creato una situazione molto differente e trasformato la lotta politica difensiva contro il fascismo nell'inizio di una reale rivoluzione sociale". Questa affermazione è una lamentevole dimostrazione di miopia localista, in quanto non prende assolutamente in considerazione le condizioni obiettive dominanti a livello mondiale, che sono peraltro decisive per la lotta di classe: la successione di disfatte storiche che il proletariato aveva appena subito, conclusesi con l'ascesa al potere di Hitler in Germania, il tradimento dei partiti comunisti trasformatisi in agenti dell'Union Sacrée al servizio del capitale, in nome dei famigerati Fronti Popolari. Come chiarito all'epoca dalle analisi di Bilan e del GIK, il corso storico non era più orientato verso la rivoluzione, ma verso la guerra generalizzata.

Al modo di ragionare di Mattick si contrappone infatti il metodo utilizzato dal GIK, che affermava: "Senza la rivoluzione mondiale, siamo perduti, diceva Lenin parlando della Russia. Questo è particolarmente vero per la Spagna... Lo sviluppo della lotta di classe in Spagna dipende dal suo sviluppo nel mondo intero. Ma il contrario è ugualmente vero. La rivoluzione proletaria è internazionale, così come la reazione. Ogni azione del proletariato spagnolo troverà un’eco nel resto del mondo e, lì, ogni esplosione della lotta di classe è un sostegno ai combattenti proletari in Spagna".  Il metodo di ragionamento di Mattick si avvicina a quello degli anarchici a mano a mano che si allontana dal marxismo. Come gli anarchici, non si prende la pena di analizzare né il rapporto delle forze tra le classi a livello internazionale, né la maturazione della coscienza del proletariato, la sua capacità di dotarsi di un partito di classe o di formare dei consigli operai. Così come non prende in considerazione la sua capacità di scontrarsi con il capitale nei paesi chiave né l'evoluzione della sua autonomia politica... Tutto questo è ignorato, per inginocchiarsi di fronte al Santo Graal della "iniziativa autonoma dei lavoratori" . Un'iniziativa che, imbrigliata nei limiti dell'unità di produzione o del municipio, perde ogni sua potenziale forza e si trova recuperata negli ingranaggi del capitale ed utilizzata a suo profitto. (13)

E' giusto affermare che, nel capitalismo decadente, ogni volta che gli operai arrivano ad affermarsi sul proprio terreno di classe, si intravede quella che Lenin chiama "l'idra della rivoluzione". Questo terreno di classe può tanto rafforzarsi attraverso l'estensione e l'unificazione delle lotte, tanto essere recuperato attraverso le "occupazioni" e le "esperienze di autogestione" tanto care agli anarchici ed ai consiliaristi. Ogni volta che questo terreno di classe arriva ad affermarsi, lo fa comunque in modo molto limitato e soggetto a passi indietro. Il capitalismo di Stato contro questi sforzi spontanei della classe operaia tiene pronta tutta una batteria di apparati di mistificazione e controllo politico (sindacati, partiti di "sinistra", falsi coordinamenti di base, etc.), e per buona misura tutto il suo perfezionato apparato repressivo. In oltre, come il proletariato ha potuto imparare sulla propria pelle dalla Comune di Parigi in poi, le diverse nazioni capitaliste sono capaci, all'occorrenza, di unirsi contro di lui. Per questo, il movimento verso una prospettiva rivoluzionaria richiede uno sforzo straordinario da parte della classe operaia e non può realizzarsi che nel contesto di una dinamica internazionale che veda la costituzione del partito mondiale, quella dei consigli operai ed il loro scontro con lo Stato capitalista, e questo almeno nei principali paesi industrializzati.

Gli errori di alcuni comunisti dei consigli a proposito della "autonomia" raggiungono il culmine nei due testi di Korsch sulle collettivizzazioni: "Economia e politica nella Spagna rivoluzionaria" e "La collettivizzazione in Spagna". Per Korsch, la sostanza della "rivoluzione spagnola" si trova nelle collettivizzazioni nell'industria e nell'agricoltura. Gli operai si sarebbero creati al loro interno "uno spazio di autonomia", avrebbero deciso "liberamente" e lasciato briglia sciolta alla loro "iniziativa e creatività"; e tutte queste cose costituirebbero una "rivoluzione"...Strana rivoluzione quella che si sviluppa senza infastidire lo Stato borghese, lasciando che il suo esercito, la sua polizia, i suoi apparati di propaganda, le sue prigioni e camere di tortura continuino a funzionare a pieno ritmo!

Come abbiamo spiegato in dettaglio nel nostro testo "Il mito delle collettività anarchiche", la "libera decisione" degli operai poteva esprimersi solo nel decidere di fabbricare proiettili e cannoni, nel riorientare industrie come quelle dell'auto verso la produzione di guerra. "L'iniziativa e la creatività" degli operai e dei contadini si è concretizzata in giornate di lavoro lunghe 12 ed anche 14 ore, in un clima di repressione feroce e di sospensione del diritto di sciopero, sotto la minaccia di essere accusati di sabotaggio della lotta antifascista.

Basandosi su un opuscolo di propaganda della CNT, Korsch afferma "che una volta eliminata la resistenza dei vecchi dirigenti politici ed economici, gli operai in armi poterono direttamente assumere sia i compiti militari, quanto quelli, in positivo, della prosecuzione della produzione in nuove forme". Ed in cosa consisterebbero queste "nuove forme"? Korsch ce lo chiarisce subito: "Noi comprendiamo il processo per cui certe branche dell'industria, che sono prive delle materie prime acquistabili solo all'estero o che non rispondono alle esigenze immediate della popolazione, si adattano rapidamente per fornire il materiale bellico più urgente" (Questo opuscolo) "ci racconta la commovente storia  degli strati più poveri della classe operaia, che sacrificano i miglioramenti delle condizioni di vita appena ottenuti per collaborare alla produzione di guerra ed aiutare le vittime ed i rifugiati che arrivano dai territori occupati da Franco". "L'azione rivoluzionaria" propostaci da Korsch consiste dunque nel trasformare operai e contadini in schiavi dell'economia di guerra. Ma è proprio quello che vogliono i padroni: che i lavoratori si sacrifichino volontariamente per la produzione! Che, oltre a lavorare come dannati, dedichino ogni loro pensiero, ogni loro iniziativa, tutta la loro creatività, a migliorare la produzione! Come non ricordare a questo proposito i "rivoluzionarissimi" "circoli di qualità", di recente introdotti dalle Direzioni Aziendali in fabbriche come la FIAT?

Korsch prosegue constatando che "nella sua prima, eroica fase, il movimento spagnolo ha tralasciato la difesa politica e giuridica delle nuove condizioni economiche e sociali ottenute". Il movimento, in effetti, ha tralasciato giusto l'essenziale: la distruzione dell'apparato statale borghese, che era l'unico modo di "salvaguardare" una qualsiasi conquista sociale o economica dei lavoratori. In oltre, "le conquiste rivoluzionarie dei primi giorni furono perfino volontariamente sacrificate dai lavoratori stessi, nel vano tentativo di appoggiare l'obiettivo centrale della lotta comune contro il fascismo". Basta questa affermazione di Korsch per smentire tutte le speculazioni sulla sedicente "rivoluzione" spagnola, mettendo in evidenza quello che in realtà è successo: l'arruolamento degli operai nella guerra imperialista, sotto la maschera dell’antifascismo.

Queste elucubrazioni di Korsch vanno nella direzione opposta alle prese di posizione del GIK, che, da parte sua, affermava chiaramente che "le fabbriche collettivizzate sono messe sotto il controllo sindacale e lavorano per le esigenze militari...Non hanno niente a che vedere con una gestione autonoma da parte degli operai!... La difesa della rivoluzione è possibile solo attraverso la dittatura del proletariato, basata sui Consigli Operai e non sulla base di una coalizione di partiti antifascisti. La distruzione dello Stato e l'esercizio delle funzioni centrali del potere da parte dei lavoratori stessi sono l'asse della rivoluzione proletaria" (Ottobre 1936).

Le concessioni alla CNT ed all'anarchia

Il comunismo dei consigli si trova in difficoltà quando si tratta di abbordare correttamente la questione del partito del proletariato, la natura essenzialmente politica della rivoluzione proletaria, il bilancio della rivoluzione russa, che scambia per "borghese", etc (14). Sono queste debolezze che lo rendono permeabile dall'anarchia e dall’anarco-sindacalismo.

Così si spiega il fatto che Mattick nutra grandi speranze sulla CNT: "Guardando alla situazione interna spagnola, un capitalismo di Stato controllato dai social-stalinisti non appare probabile per il semplice motivo che il movimento operaio anarco-sindacalista prenderebbe probabilmente il potere prima di sottomettersi ad una dittatura social-democratica".

Queste speranze erano fondate in aria: la CNT era padrona della situazione, ma non utilizzò questo rapporto di forze per prendere il potere e costruire il comunismo libertario. Al contrario, assunse il ruolo di estremo bastione dello Stato capitalista, rinunciando tranquillamente a "distruggere lo Stato", inviando dei ministri anarchici a partecipare tanto al governo locale catalano, quanto al governo nazionale, ed utilizzò tutto il suo credito per mettere in riga i lavoratori nelle fabbriche ed inviarli al fronte. Una tale contraddizione totale con i principi proclamati e straproclamati per decenni non si può spiegare con il tradimento di qualche capo o dell'intero Comitato Nazionale della CNT, ma come un risultato, da una parte della natura antioperaia dei sindacati nella decadenza del capitalismo, dall'altra delle deficienze di fondo della dottrina anarchica. (15)

Mattick fa mille acrobazie verbali per ignorare la realtà: "In quest'organizzazione (si tratta della CNT) è fortemente presente l'idea che la rivoluzione si possa fare solo dal basso, attraverso l'azione spontanea e l'iniziativa autonoma dei lavoratori, anche se queste sono state spesso tradite. Il parlamentarismo e l'economia diretta dai lavoratori sono considerate come delle falsificazioni operaie ed il capitalismo di Stato è messo sullo stesso piano di qualsiasi altra classe della società sfruttatrice. Nel corso della guerra civile, l'anarco-sindacalismo è stato l'elemento rivoluzionario più audace, che si è sforzato di trasformare le frasi rivoluzionarie in realtà concreta.

In effetti la CNT non ha trasformato le sue frasi rivoluzionarie in realtà, ma le ha smentite parola per parola. Le sue sparate antiparlamentari si sono trasformate in uno sfrontato sostegno al Fronte Popolare in occasione delle elezioni del Febbraio '36. Le sue frasi antistataliste si sono trasformate nella difesa dello Stato borghese "antifascista". La sua opposizione al "dirigismo economico" si è concretizzata nella centralizzazione estrema dell'industria e nella sottomissione dell'agricoltura alle esigenze dell'economia di guerra e dell'approvvigionamento delle truppe, a discapito delle popolazioni civili. Sotto la copertura delle collettività, la CNT ha collaborato alla costruzione di un capitalismo di Stato al servizio dell'economia di guerra, come il GIK sottolineava già nel 1931: "La CNT è un sindacato che aspira a prendere il potere in tanto che CNT. Questo deve necessariamente portare ad una dittatura sul proletariato esercitata dalla direzione della CNT (capitalismo di Stato)".

Nei brani precedentemente citati, Mattick abbandona il terreno del marxismo per la fraseologia tipica dell'anarchismo, tipo "rivoluzione dal basso", "iniziativa autonoma", etc. La demagogia sulla "rivoluzione dal basso" è servita ad incastrare i lavoratori in ogni sorta di fronti interclassisti, abilmente manipolati dalla borghesia. Quest'ultima è una maestra nel dissimulare i suoi interessi sotto i discorsi su "quelli che stanno in basso", la cosiddetta "gente", questa massa interclassista che, in fin dei conti, comprende un pò tutti, ad eccezione di quel pugno di guastafeste che non ci sta e contro cui si concentrano tutti gli attacchi. La retorica sulle lotte di "quelli che stanno in basso" fu utilizzata dalla CNT, fino alla nausea, per allineare gli operai con i "compagni" padroni antifascisti, i "compagni" politici antifascisti, i "compagni" militari antifascisti, etc.

Per quanto riguarda poi "l'iniziativa autonoma" si tratta di un'espressione (corretta in sé) che gli anarchici usano per indicare che un'azione non è diretta da militanti "politici" e non ha lo scopo "di arrivare al potere". Ma né la CNT né i libertari della Federazione Anarchica Iberica si preoccuparono minimamente che gli operai fossero subordinati ai dirigenti "politici" repubblicani, tanto di destra che di sinistra, o che la loro pretesa "iniziativa autonoma" consistesse nella difesa delle Stato borghese antifascista.

Mattick sprofonda sempre più nella palude anarchica affermando che "in una simile situazione, le tradizioni federaliste sarebbero di enorme importanza, fornendo il contrappeso necessario ai pericoli del centralismo". La centralizzazione è una forza essenziale della lotta proletaria. L'idea che essa incarni il male assoluto è tipica dell'anarchismo, come espressione della paura dei piccolo-borghesi di perdere il piccolo campicello di "autonomia" in cui possono illudersi di essere i padroni assoluti. Per il proletariato, la centralizzazione è l'espressione pratica dell'unità che esiste al suo interno.  Esso ha gli stessi interessi indipendentemente dal settore della produzione o dal paese in cui è sfruttato ed ha lo stesso interesse storico: l'abolizione di questo sfruttamento e l'instaurazione di una società senza classi.

Il problema non è la centralizzazione, ma la divisione della società in classi. La borghesia ha bisogno di uno Stato centralizzato ed il proletariato vi contrappone la centralizzazione dei suoi strumenti di organizzazione e di lotta. Il "federalismo" nei ranghi proletari significa la polverizzazione delle sue forze e delle sue energie, la divisione a seconda degli interessi corporativi, regionali, dovuti alla pressione ambientale dalla società di classe, dei suoi conflitti di interesse, della sua stessa natura. Il federalismo è il veleno che divide i ranghi operai e li disarma di fronte alla centralizzazione dello Stato borghese.

Secondo i dogmi anarchici, la"federazione" è il toccasana contro la burocrazia, la gerarchia e lo Stato. Ma la realtà contraddice questi dogmi. Il dominio delle cricche "federali" ed "autonome" esprime piccoli burocrati altrettanto arroganti e manipolatori dei grandi funzionari dell'apparato di Stato. La gerarchia nazionale è semplicemente rimpiazzata da un insieme di gerarchie, che si muovono a livello di località o di categoria, ma pesano lo stesso sulle spalle dei lavoratori. La struttura statale centralizzata, conquista storica delle borghesia rispetto al feudalesimo, cede il passo a strutture altrettanto statali, ma a livello di dipartimenti o cantoni, ed oppressive come la struttura nazionale, se non più.

La pratica concreta del "federalismo" da parte della CNT-FAI, nel 1936-39, è significativa a questo riguardo. Come riconosciuto dagli stessi anarchici, i quadri dirigenti della CNT occuparono avidamente i posti chiave nelle collettività agrarie, nei comitati di fabbrica o nei reparti militari, comportandosi frequentemente come dei veri e propri tiranni. E quando la disfatta repubblicana apparve inevitabile, una parte dei capetti "libertari" non esitarono a negoziare con i franchisti la conferma delle loro prebende.

L’entusiasmo di Mattick per la CNT comincia a raffreddarsi solo quando prende in considerazione il massacro perpetrato dagli stalinisti nel Maggio '37, con l'evidente complicità della CNT: "I lavoratori debbono anche riconoscere che i capi anarchici, i funzionari dell'apparato della CNT e della FAI si oppongono agli interessi dei lavoratori e che appartengono al campo nemico";  e, più in là “Le frasi radicali degli anarchici non erano pronunciate per essere messe in pratica, ma per garantire all'apparato della CNT il controllo dei lavoratori; 'Senza la CNT, la Spagna antifascista sarebbe ingovernabile’ questa era la loro orgogliosa vanteria".

Tentando di comprendere le ragioni del tradimento, Mattick rivela la profonda penetrazione nelle sue concezioni del virus libertario: "La CNT non si era posta il problema della rivoluzione dal punto di vista della classe operaia, il suo accento si poneva sull'organizzazione stessa. Interveniva a favore dei lavoratori e contava sul loro aiuto, ma non era interessata all'iniziativa autonoma ed all'azione dei lavoratori indipendenti dagli interessi di organizzazione"; "allo scopo di dirigere, o di partecipare alla direzione, (la CNT)  finì con l'opporsi ad ogni iniziativa autonoma dei lavoratori e finì quindi per sostenere la legalità, l'ordine ed il governo".

Mattick considera le cose da un punto di vista anarchico: "l'organizzazione" in generale, "il potere" in generale; cioè l'organizzazione ed il potere in quanto categorie assolute, intrinsecamente oppressive delle tendenze naturali alla"libertà" ed alla "iniziativa" dei singoli lavoratori.

Sfortunatamente tutto ciò non ha niente a che vedere con l'esperienza storica e con il metodo marxista. Le organizzazioni sono o borghesi o proletarie. Un'organizzazione borghese è per necessità nemica dei lavoratori e deve dunque essere "burocratica" e soffocante. Un'organizzazione proletaria che fa sempre maggiori concessioni alla borghesia, si allontana sempre di più dai lavoratori, si estranea da loro e finisce per opporsi ai loro interessi; nel corso di questo stesso processo, tende a "burocratizzarsi" ed a diventare repressiva nei confronti delle iniziative della classe. Ma questo non significa affatto che la classe operaia non deve organizzarsi, sia a livello della classe nel suo insieme (assemblee generali e consigli operai), sia a livello della sua avanguardia (partiti ed organizzazioni politiche). L'organizzazione resta per la classe l'arma per eccellenza, lo strumento della sua iniziativa e della sua autonomia politica.

La questione del potere si pone negli stessi termini. Sarebbe stata la "sete di potere" a spingere la CNT ad opporsi ai lavoratori. La grande idea sarebbe che "il potere corrompe" di per sé, quando nella realtà quello che corrompe un'organizzazione, fino a trasformarla in un nemico della classe operaia, non è altro che la sua progressiva subordinazione al programma ed agli obbiettivi del capitalismo. Per quello che riguarda la CNT, una ragione di fondo supplementare si trovava nel fatto che come sindacato non poteva mantenersi come organizzazione di masse permanente nel periodo decadente del capitalismo, senza integrarsi in un modo o nell'altro nello Stato capitalista. Ma questo non impedisce a Mattick di lanciare il fuoco d’artificio finale: "La CNT parlava da anarco-sindacalista, ma agiva da bolscevica, cioè capitalista". Questa formulazione mostra fino a che punto i peggiori errori del comunismo dei consigli forniscano farina di prima qualità per i mulini ideologici anticomunisti della borghesia. Non é il caso di dimostrare l'ignominia di questo paragone, ricordiamo semplicemente che i bolscevichi lottarono con tutte le loro forze, con gli atti non meno che con le parole, contro la prima guerra mondiale, questo massacro che costò la vita a 20 milioni di persone, mentre la CNT, che faceva discorsi retorici contro la guerra in generale, si è dedicata ad inquadrare operai e contadini per inviarli sui fronti della guerra di Spagna, che servì da prova generale per la seconda guerra mondiale ed i suoi 60 milioni di morti. I bolscevichi parlavano ed agivano per la rivoluzione proletaria nell'Ottobre '17; e continuarono a parlare ed agire in favore dell'estensione mondiale della rivoluzione, senza la quale era chiaro, per loro, che la rivoluzione d'Ottobre non poteva che degenerare, che è quello che è effettivamente successo. La CNT, per contro, parlava molto di "comunismo integrale", ma nella pratica concreta si è consacrata al sostegno dello Stato e del sistema di sfruttamento capitalista.

                                                           Adalen

1. Questa corrente proletaria ha nondimeno avuto delle debolezze importanti. Per un esame più approfondito della sua traiettoria e della sua evoluzione, si può fare riferimento al nostro libro "La Sinistra Comunista Olandese", che copre il periodo dal 1920 al 1970 ed include un'importante apparato bibliografico. Il libro é apparso in francese ed in italiano e sta per essere pubblicato in inglese.

2. GIK: Groepen van Internationale Komunisten (Gruppo dei Comunisti Internazionalisti), gruppo olandese esistito negli anni '30. All'interno del comunismo dei consigli ha espresso le posizioni più chiare sulla guerra di Spagna, vicine a quelle di Bilan. Noi utilizzeremo i suoi documenti come punto di riferimento, il che non significa che non presentino confusioni importanti (cfr “La Sinistra Comunista Olandese”). Un testo del GIK sulla guerra di Spagna è stato tradotto in spagnolo nel libro “Revoluciòn y contrarevoluciòn en Espana”.

3. Quest'orientamento ad associare comunismo dei consigli ed anarchia è particolarmente presente in Belgio ed Olanda, spingendo le nostre sezioni in questi due paesi ad una lotta energica contro quest'amalgama. Vedi "Le communisme des conseils n'est pas un socialisme libertaire" in Internationalisme n.256, e, più in particolare, "Le communisme des conseils n'est pas un pont entre le marxisme et l'anarchisme. Debat public a Amsterdam", in Internationalisme n. 259.

4. Non tutti i gruppi del comunismo dei consigli condividono questa posizione di Cajo Brendel. Il GIK, che era il gruppo più importante negli anni '30, e due altri gruppi (vedi "La Sinistra Comunista Olandese") rigettano apertamente questa posizione. Non solamente condannavano la CNT come nemica degli operai, ma rifiutavano di farsi trascinare nel vicolo cieco della "radicalizzazione" del fronte antifascista, sostenendo che "se gli operai vogliono veramente difendersi dai Bianchi (i franchisti), non possono farlo che a condizione di prendere il potere politico loro stessi nelle proprie mani, invece di lasciarlo in quelle del governo di Fronte Popolare" . (Ottobre 1936)

5. Una critica dettagliata di questa posizione può essere trovata nel nostro opuscolo "Ottobre 1917, inizio della rivoluzione mondiale"

6. Vedi "L'accumulazione del capitale"

7. La situazione in Cina negli anni '20 e la scelta dell'Internazionale Comunista di allearsi con la borghesia "rivoluzionaria" locale furono oggetto di violente polemiche. La Sinistra Comunista, così come Trotsky, combatté questa posizione come un tradimento nei confronti dell'internazionalismo. Vedi il nostro articolo nella Révue Internationale n. 96.

8. Ancora oggi la borghesia lancia delle enormi campagne antifasciste, come si è visto a proposito dell'entrata nel governo austriaco di Georg Haider. Ma il loro impatto è minore, perché il fascismo non ha oggi l'impatto che aveva negli anni '30, quando dominava paesi chiave come la Germania e l'Italia.

9. Bilan n.7 "L'antifascismo, formula di confusione" ripubblicato in questo stesso numero.

10. Vedi i suoi testi nella Rivista Internazionale n.3 e nel libro stesso

11. Per meglio conoscere la reazione dei diversi gruppi dell'epoca, consultare il capitolo V del nostro libro "La Sinistra Comunista Italiana".

12. Si tratta degli articoli "Il mito delle collettività anarchiche", Nella Rivista Internazionale n. 4, "Russia 17 e Spagna '36", pubblicato nella Rèvue Internationale n. 25 e la "Critica del libro di Munis : tappe di sconfitta, promesse di vittoria".

13. A questo proposito è utile leggere l'analisi classica di Engels sulle conseguenze catastrofiche della lotta "autonoma" tanto cara agli anarchici; si tratta dell'articolo "I bakuninisti all'opera" che analizza come l'anarchismo abbia spinto gli operai combattivi spagnoli a servire da carne da cannone a vantaggio dei repubblicani e regionalisti nel 1873. Si può anche fare riferimento alla deplorevole esperienza dei consigli di fabbrica di Torino nel 1920, quando l'isolamento degli operai nelle fabbriche in nome delle "occupazioni" e della "autogestione" portò ad una severa sconfitta che segnò la fine delle immediate prospettive rivoluzionarie in Italia. Si legga a questo proposito, nel libro "Dibattito sui consigli di fabbrica", la polemica di Bordiga contro la posizione "autonomista" di Gramsci.

14. Fra gli scopi di quest'articolo non rientra l'analisi approfondita di questi problemi. Si rimanda al nostro libro sulla Sinistra Olandese ed agli articoli pubblicati nella Rèvue Internationale nn.2, 12, 13, dal 27 al 30, 40; 41 e 48.

15. Si rinvia a tale proposito ad uno dei testi pubblicati nel libro: “Le nozze dell'anarchia con lo Stato borghese”. Sulla questione sindacale, vedi il nostro opuscolo “I sindacati contro la classe operaia”.

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