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Presentazione della CCI
L’antifascismo ha la pelle dura. L’ingresso nel governo austriaco del FPÖ di Georg Haider ha scatenato una nuova campagna contro il pericolo “fascista, xenofobo e antidemocratico” Quali che siano state le ragioni particolari per cui la borghesia austriaca ha fatto entrare i “neri” nel suo governo(1), questo avvenimento ha costituito un’eccellente occasione per le sue consorelle europee ed anche per quelle dell’America del Nord per rilanciare un tipo di mistificazione di cui la storia ha dimostrato l’efficacia contro la classe operaia. Fino ad ora, nel corso di questi ultimi anni, le campagne contro il “pericolo fascista” sono scaturite da avvenimenti tipo il successo elettorale del Fronte nazionale in Francia o per i soprusi di piccoli gruppi di “skinheads” contro gli immigrati. Anche la sceneggiata Pinochet non arrivava a mobilitare le folle poiché il vecchio dittatore era ora in pensione. E’ chiaro che l’arrivo al governo di un paese europeo di un partito presentato come “fascista” è stato un ingrediente di prima scelta per alimentare questo tipo di campagne.
Quando i nostri compagni di Bilan (pubblicazione in francese della Frazione di sinistra del Partito Comunista d’Italia) hanno redatto il documento che ripubblichiamo in qui di seguito, il fascismo era una realtà in molti paesi europei, Hitler era al potere in Germania dal 1933. Ciò non li ha condotti a perdere la testa ed a lasciarsi trascinare nella frenesia de “l’antifascismo” che ha preso non solo i partiti socialisti e stalinisti, ma anche correnti che si erano opposte alla degenerazione dell’Internazionale comunista nel corso degli anni 20, a cominciare dalle correnti trotskiste. Essi sono stati in grado di produrre una messa in guardia estremamente ferma e chiara contro il pericolo dell’antifascismo e che, poco prima della guerra di Spagna, aveva un carattere incontestabilmente profetico. In effetti, in questa guerra, la borghesia “fascista” non fu capace di scatenare la repressione ed i massacri contro la classe operaia fin tanto che quest’ultima, benché si sia armata spontaneamente contro il putsch di Franco del 18 luglio 1936, si fece deviare dal suo terreno di classe, la lotta intransigente contro la repubblica borghese, in nome della priorità della lotta contro il fascismo e della necessità di costituire un fronte di tutte le forze che lo combattevano.
Oggi la situazione storica non è come quella degli anni 1930 quando la classe operaia subiva la più terribile sconfitta della sua storia. Sconfitta che non fu dovuta al fascismo, ma ai settori “democratici” della borghesia e che permise a questi di fare appello, in alcuni paesi, ai partiti fascisti per dirigere lo Stato. Per questo possiamo affermare che il fascismo non corrisponde attualmente ad una necessità politica per il capitalismo. Tra l’altro, è proprio passando totalmente al di sopra alle differenze tra il periodo attuale e gli anni 1930, che alcune correnti, che apparentemente si richiamano alla classe operaia ed alla stessa rivoluzione, come i trotskisti, possono giustificare la loro partecipazione alla battaglia sul “pericolo del fascismo”. In questo senso, Bilan aveva completamente ragione ad insistere sulla necessità per dei rivoluzionari di saper ricollocare gli avvenimenti, nel loro contesto storico considerando, in particolare, i rapporti di forza tra le classi. Negli anni 1930 Bilan sviluppa i suoi argomenti soprattutto contro quelli della corrente trotskista (i “bolscevichi leninisti”). All’epoca questa corrente apparteneva ancora alla classe operaia, ma il suo opportunismo la conduceva verso il tradimento ed al passaggio nel campo borghese al momento dello scoppio della seconda guerra mondiale. Ed è proprio nel nome dell’antifascismo che il trotskismo ha partecipato a questa guerra come forza d’appoggio degli imperialismi alleati, mettendosi sotto i piedi uno dei principi fondamentali del movimento operaio, l’internazionalismo. Gli argomenti che sono dati da Bilan per combattere le campagne antifasciste e denunciare i pericoli che esse rappresentavano per la classe operaia restano assolutamente validi oggigiorno: la situazione storica è cambiata ma le menzogne impiegate contro la classe operaia per farle abbandonare il proprio terreno di classe e porla sotto l’ala della democrazia borghese restano fondamentalmente le stesse. Il lettore potrà facilmente riconoscere negli “argomenti” combattuti da Bilan quelli che si sentono attualmente da parte degli antifascisti di tutti i poli ed in particolare quelli che si richiamano alla rivoluzione. Per dare qualche esempio citiamo due passaggi del testo di Bilan:
“…la posizione della controparte che chiede al proletariato di intervenire per scegliere, tra le forme di organizzazione dello Stato capitalista, la meno cattiva non ripropone la stessa posizione difesa da Bernstein che chiamava il proletariato a realizzare la migliore forma dello Stato capitalista?”
“…se realmente il proletariato è in condizione di imporre una soluzione di governo alla borghesia, perché dovrebbe limitarsi ad un tale obbiettivo invece di porre le proprie rivendicazioni centrali per la distruzione dello Stato capitalista? D’altra parte, se la sua forza non gli consente ancora di scatenare la sua insurrezione, orientarlo verso un governo democratico, non significa spingerlo su di una strada che permette la vittoria al nemico?”
Infine, contro coloro che affermano che l’antifascismo è un mezzo per “riunire gli operai”, Bilan risponde che il solo terreno su cui può raccogliersi il proletariato è quello della difesa dei suoi interessi di classe, ciò che è valido qualunque sia il rapporto di forza con il suo nemico: “il proletariato non potendo darsi come scopo immediato la conquista del potere, si unisce su degli obbiettivi più limitati, ma sempre di classe: le lotte parziali”.
“Invece di procedere a modifiche sostanziali delle rivendicazioni della classe operaia, il dovere imperioso dei comunisti consiste nel determinare il raggruppamento della classe operaia intorno a rivendicazioni di classe ed all’interno dei suoi organismi di classe: i sindacati”.
A quest’epoca, contrariamente alla corrente della sinistra comunista tedesco-olandese, la sinistra comunista italiana non aveva ancora chiarito la questione sindacale. I sindacati erano diventati dalla prima guerra mondiale, e senza possibilità di ritorno, organi dello Stato capitalista. Solo alla fine della seconda guerra mondiale settori della sinistra italiana acquisiscono una tale chiarezza. Ma ciò non toglie nulla alla validità della posizione difesa da Bilan e che chiama gli operai a riunirsi intorno alle loro rivendicazioni di classe, posizione che resta perfettamente valida oggi quando dappertutto la borghesia chiama la classe operaia all’interclassismo ed alla difesa della democrazia; sia contro il “fascismo”, sia contro ogni tentativo di fare una nuova rivoluzione che condurrebbe inevitabilmente ad un nuovo ritorno di “totalitarismo” come quello che è sprofondato dieci anni fa nei paesi detti “socialisti”.
C.C.I.
L’antifascismo : formula di confusione
Molto probabilmente la situazione attuale supera, per l’ampiezza della confusione, tutte le situazioni precedenti di riflusso rivoluzionario. Ciò deriva da una parte, dall’evoluzione controrivoluzionaria, nel dopo guerra, di quelle che erano state le maggiori conquiste della lotta proletaria: lo Stato russo, la III Internazionale, e, d’altra parte, dall’incapacità degli operai ad opporre a questa evoluzione un fronte di resistenza ideologico e rivoluzionario. L’intersecarsi di questo fenomeno e dell’offensiva brutale del capitalismo, che si orienta verso la formazione di blocchi in vista della guerra, determina delle reazioni di lotta da parte degli operai e talvolta anche delle battaglie grandiose (Austria) (1). Ma queste non arrivano a sconfiggere la potenza del centrismo (2), sola organizzazione politica di massa ed ormai acquisita alle forze della controrivoluzione mondiale.
La confusione, in un simile momento di sconfitte, è dunque un risultato ottenuto dal capitalismo, che incorpora lo Stato operaio, il centrismo, ai bisogni della sua conservazione orientandoli là dove agiscono, fin dal 1914, le forze insidiose della socialdemocrazia, agente principale della disgregazione della coscienza delle masse e porta parola qualificato delle parole d’ordine delle sconfitte proletarie e delle vittorie capitaliste.
In quest’articolo esamineremo una tipica formula di confusione, quella che viene anche chiamata, negli ambienti operai che si dicono di sinistra: “l’antifascismo”. (…) Per chiarezza d’esposizione ci limitiamo a trattare un solo problema: l’antifascismo ed il fronte di lotte che si pretende di poter realizzare intorno a tale formula.
E’ elementare -o piuttosto lo era fino ad ora- affermare che prima di intraprendere una battaglia è necessario stabilire gli obbiettivi che ci si dà, i mezzi da impiegare, le forze di classe che possono intervenire favorevolmente. Non c’è niente di “teorico” in queste considerazioni, e con ciò intendiamo dire che esse non si espongono alla facile critica di tutti quegli elementi disillusi di “teorie”, la cui regola consiste, al di là di ogni chiarezza teorica, a ingaggiarsi in movimenti con chiunque, sulla base di un programma qualsiasi, a condizione che sussista “l’azione”.
Noi siamo, evidentemente, quelli che pensano che l’azione non deriva da quanto si strilla o dalla buona volontà degli individui, ma dalle situazioni stesse. Inoltre, per l’azione, il lavoro teorico è indispensabile per evitare alla classe operaia nuove sconfitte. E si deve ben capire il significato del disprezzo per il lavoro teorico che ha colpito tanti militanti perché, in realtà, ciò è servito sempre ad introdurre di soppiatto, al posto di posizioni proletarie, le concezioni principali del nemico: della socialdemocrazia all’interno degli ambienti rivoluzionari, proclamando l’azione ad ogni costo in una “gara di velocità” con il fascismo.
Così, per quanto riguarda il problema dell’antifascismo, non è solo il disprezzo per il lavoro teorico che guida i suoi numerosi partigiani, ma la stupida mania di creare e divulgare la confusione indispensabile per costituire un largo fronte di resistenza. Alcun limite pregiudiziale per non perdere nessun alleato, nessuna possibilità di lotta: ecco la parola d’ordine dell’antifascismo. E si vede qui che, per quest’ultimo, la confusione è idealizzata e considerata come un elemento di vittoria. Ricordiamo che oltre mezzo secolo fa Marx diceva a Weitling che l’ignoranza non è mai servita al movimento operaio.
Attualmente, invece di stabilire gli obiettivi della lotta, i mezzi per metterla in atto, i programmi necessari, la quintessenza suprema della strategia marxista (Marx direbbe dell’ignoranza) è rappresentata così: accollarsi degli aggettivi, il più frequente dei quali sarà evidentemente “leninista”, e rievocare in ogni momento, ed a sproposito, la situazione del 1917 in Russia, l’attacco di settembre di Korlinov. C’è stato, ahinoi!, un tempo in cui i militanti proletari avevano ancora la testa sulle spalle ed analizzavano le esperienze storiche. Allora, prima di stabilire delle analogie tra le situazioni della loro epoca e queste esperienze, essi ricercavano innanzitutto se fosse possibile stabilire un parallelo politico tra il passato ed il presente; ma questo tempo sembra ormai passato, soprattutto se ci si attiene alla fraseologia corrente dei gruppi proletari.
Si sente dire che è inutile stabilire un paragone tra il quadro della lotte di classe nel 1917 in Russia, e la situazione attuale nei differenti paesi; come, è inutile vedere se il rapporto di forza tra le classi di allora presenta delle analogie con quelle di oggi. La vittoria d’Ottobre del 1917 è un fatto storico, basta quindi copiare la tattica dei bolscevichi russi e soprattutto farne una pessima copia, che cambierà a secondo degli ambienti politici che interpretano questi avvenimenti sulla base di concezioni di principio opposte.
Ma che in Russia il capitalismo era, nel 1917, alle sue prime esperienze al potere statale, quando al contrario il fascismo nasceva da un capitalismo che deteneva il potere da più decenni, che, d’altra parte, la situazione vulcanica e rivoluzionaria del 1917 in Russia era l’esatto contrario della situazione reazionaria attuale, ciò non preoccupa affatto coloro che attualmente si definiscono “leninisti”. Al contrario, la loro ammirevole serenità non sarà turbata dall’inquietudine di confrontare gli avvenimenti del 1917 con la situazione attuale, basandosi seriamente sull’esperienza italiana e tedesca. Korlinov basta per tutto. E la vittoria di Mussolini e di Hitler sarà unicamente dovuta a pretese deviazioni, effettuate dai partiti comunisti, in rapporto alla tattica classica dei bolscevichi nel 1917, mentre, attraverso un gioco di acrobazie politiche, saranno assimilate le due situazioni opposte: la rivoluzionaria e la reazionaria.
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Per quanto riguarda l’antifascismo, le considerazioni politiche non entrano in gioco. Il suo obiettivo è raggruppare tutti quelli che sono minacciati dall’attacco del fascismo costituendo un “sindacato dei minacciati”.
La socialdemocrazia dirà ai radicali socialisti di vegliare sulla propria sicurezza e di prendere immediatamente delle misure di difesa contro le minacce del fascismo: Herriot e Deladier potrebbero, essi stessi, essere vittime della vittoria di quest’ultimo. L. Blum andrà anche più lontano: avvertirà solennemente Doumergue che se non prende provvedimenti contro il fascismo, l’attende la stessa sorte di Brüning. Il centrismo, da parte sua, si rivolgerà “alla base socialista” o al contrario la S.F.I.O. si rivolgerà al centrismo, al fine di realizzare il fronte unico: socialisti e comunisti minacciati dall’attacco del fascismo. Restano ancora i bolscevichi-leninisti (3) che, dritti sui loro speroni, proclameranno con magniloquenza di essere pronti a costituire un fronte di lotta al di fuori di ogni considerazione politica, sulla base di una solidarietà permanente tra tutte le formazioni “operaie”(?) contro le minacce fasciste.
La considerazione che anima tutte queste speculazioni è certamente molto semplice -troppo semplice per essere vera-: riunire tutti “i minacciati” animati da un desiderio analogo di sfuggire alla morte, in un fronte comune antifascista. Tuttavia, la più superficiale delle analisi prova che la semplicità idilliaca di questa proposizione nasconde in realtà l'abbandono totale delle posizioni fondamentali del marxismo, la negazione delle esperienze del passato e del significato degli avvenimenti attuali. (…).
Tutte queste considerazioni su ciò che radicali, socialisti, centristi faranno per salvaguardare le loro persone e le loro istituzioni, tutti i sermoni pronunciati “ex cathedra” a tale riguardo, non possono in nessun modo cambiare il corso delle situazioni, perché il problema si riduce a questo: trasformare radicali, socialisti e centristi in dei comunisti, in quanto la lotta contro il fascismo può farsi solo sul fronte della lotta per la rivoluzione proletaria. E malgrado i sermoni la socialdemocrazia belga non rinuncerà a lanciare i suoi piani di salvataggio del capitalismo, non esiterà a silurare ogni conflitto di classe, metterà, senza esitare, i sindacati nelle mani del capitalismo. Doumergue, d’altra parte, non farà che ricalcare Brüning, Blum seguirà le tracce di Bauer e Cachin quelle di Thaelmann.
Ancora una volta, e lo ripetiamo, non vogliamo analizzare, in questo articolo, se il perno della situazione in Belgio, in Francia, può essere paragonato alle circostanze che determinarono l’avanzamento e la vittoria del fascismo in Italia ed in Germania. La nostra analogia porta soprattutto sul fatto che Doumergue ricalca Brüning, dal punto di vista della funzione che essi possono avere in due paesi capitalisti intrinsecamente differenti, funzione che consiste, come per Blum e per Cachin, ad immobilizzare il proletariato, a disgregare la sua coscienza di classe ed a permettere l’adattamento del loro apparato statale alle nuove circostanze della lotta interimperialista. Ci sono buone ragioni per credere che in Francia, in particolare, l’esperienza di Thiers, Clemenceau, Poincaré si ripete sotto la forma di Doumergue, che assisteremo alla concentrazione del capitalismo intorno a formazioni di destra, senza che ciò comporti il soffocamento di formazioni radicali-socialiste e socialiste della borghesia. D’altra parte, è profondamente sbagliato basare la tattica proletaria su posizioni politiche che si fanno derivare da una semplice prospettiva.
Il problema non è affermare: il fascismo è minaccioso, eleviamo un fronte unico di antifascismo e di antifascisti, ma è necessario, al contrario, determinare le posizioni intorno alle quali il proletariato si raggruppa per la sua lotta contro il capitalismo. Porre il problema in tal modo significa escludere dal fronte di lotta contro il capitalismo forze antifasciste ed anche arrivare a questa conclusione (che potrebbe sembrare paradossale) che se si verificasse un orientamento definitivo del capitalismo verso il fascismo, la condizione del successo risiederebbe nell’inalterabilità del programma e delle rivendicazioni di classe degli operai, nel momento in cui la condizione della sconfitta certa consisterebbe nella dissoluzione del proletariato nel marasma antifascista.
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L’azione degli individui e delle forze sociali non è diretta dalle leggi di conservazione degli individui o delle forze al di fuori delle considerazioni di classi: Brüning o Matteotti non potevano agire in considerazione dei loro interessi personali o delle idee che essi sostenevano, cioè al di fuori del cammino della rivoluzione proletaria che, sola, li avrebbe preservati dallo strangolamento fascista. Individuo e forza agiscono in funzione delle classi da cui essi dipendono. Ciò spiega perché i personaggi attuali della politica francese non fanno che seguire le tracce lasciate dai loro predecessori degli altri paesi, e ciò anche nell’ipotesi di una evoluzione del capitalismo francese verso il fascismo.
La base della formula dell’antifascismo (il sindacato di tutti i minacciati) si rivela dunque di una inconsistenza assoluta. Se, d’altra parte, esaminiamo da dove proviene -almeno nelle sue affermazioni programmatiche- l’idea dell’antifascismo, constateremo che essa deriva da una dissociazione tra fascismo e capitalismo. E’ vero che se si interroga su tale argomento un socialista, un centrista o un boscevico-leninista, tutti affermeranno che effettivamente il fascismo è capitalismo. Ma, il socialista dirà: ”noi abbiamo interesse a difendere la Costituzione e la Repubblica al fine di preparare il socialismo”; il centrismo affermerà che si realizza più facilmente l’unità della lotta della classe operaia intorno all’antifascismo piuttosto che con la lotta al capitalismo; il bolscevico-leninista affermerà che non esiste migliore base per il raggruppamento e per la lotta, della difesa delle istituzioni democratiche che il capitalismo non è più in grado di assicurare alla classe operaia. Si ha, dunque, che l’affermazione generale “il fascismo è il capitalismo” può condurre a delle conclusioni politiche che possono solo risultare dalla dissociazione tra capitalismo e fascismo.
L’esperienza dimostra, e ciò annulla la possibilità di distinzione tra fascismo e capitalismo, che la conversione del capitalismo in fascismo non dipende dalla volontà di alcuni gruppi della classe borghese, ma risponde a delle necessità che si ricollegano a tutto un periodo storico ed alla particolare situazione di certi Stati che si trovano in una condizione di minore resistenza di fronte ai fenomeni della crisi e dell’agonia del regime borghese. La socialdemocrazia, che agisce nello stesso solco delle forze liberali e democratiche, chiama ugualmente il proletariato a porre come rivendicazione centrale il ricorso allo Stato per obbligare le formazioni fasciste a rispettare la legalità per disarmarle o anche per scioglierle. Queste tre correnti politiche agiscono su una linea perfettamente solidale: la loro origine si ritrova nella necessità per il capitalismo di arrivare al trionfo del fascismo, là dove lo Stato capitalista ha per scopo elevare il fascismo fino a farne la forma nuova d’organizzazione della società capitalista.
Poiché il fascismo risponde a delle esigenze fondamentali del capitalismo, è su di un altro fronte, opposto, che noi potremmo trovare una possibilità di lotta reale contro di esso. E’ vero che oggigiorno siamo spesso esposti alla falsificazione di posizioni che i nostri critici non vogliono combattere politicamente. Basta, per esempio, opporsi alla formula dell’antifascismo (che non ha alcuna base politica), perché le esperienze provano che per la vittoria del fascismo le forze antifasciste del capitalismo sono state necessarie tanto quanto le stesse forze fasciste, per sentirsi rispondere: “poco importa analizzare la sostanza programmatica e politica dell’antifascismo, ciò che ci interessa è che Daladier è preferibile a Doumergue, che quest’ultimo è preferibile a Maurras, e quindi noi abbiamo interesse a difendere Daladier contro Doumergue o Doumergue contro Maurras”. O, secondo le circostanze, Daladier o Doumergue, poiché essi rappresentano un ostacolo alla vittoria di Maurras e che il nostro dovere è di “utilizzare la minima incrinatura allo scopo di guadagnare una posizione di vantaggio per il proletariato”. Evidentemente, gli avvenimenti in Germania, dove le “incrinature” che potevano presentare prima il governo di Prussia, poi Hindenburg-von Scleicher, non sono state in definitiva che tante tappe che hanno permesso l’ascesa del fascismo, sono delle semplici bagattelle di cui non bisogna tener conto. E’ chiaro che le nostre obiezioni saranno tacciate di antileninissmo o antimarxismo; ci si dirà che per noi è indifferente che si abbia un governo di destra, di sinistra o fascista. Ma rispetto a quest’ultimo argomento noi vorremmo una volta per tutte porre il seguente problema: tenendo conto delle modifiche sopraggiunte nelle situazioni del dopo guerra, la posizione dei nostri critici che chiedono al proletariato di intervenire per scegliere tra le forme di organizzazione dello Stato capitalista, quella meno cattiva, non produce essa stessa la stessa posizione difesa da Bernstein che chiamava il proletariato a realizzare la migliore forma di Stato capitalista? Forse ci si risponderà che non si chiede al proletariato di sposare la causa del governo che può essere considerata come la migliore forma di dominio… dal punto di vista proletario, ma che si propone semplicemente di rafforzare le posizioni proletarie, a tal punto da imporre al capitalismo una forma di governo democratico. In questo caso non si farà che modificare le frasi ed il contenuto resterebbe lo stesso. In effetti, se realmente il proletariato è nella condizione d’imporre una soluzione di governo alla borghesia, perché dovrebbe limitarsi ad un tale obbiettivo invece di porre le sue rivendicazioni centrali per la distruzione dello Stato capitalista! D’altra parte, se la sua forza non gli permette ancora di scatenare l’insurrezione, orientarlo verso un governo democratico non significa deviarlo su una via che permette la vittoria del nemico?
Il problema non è certamente come pretendono i partigiani della “scelta migliore”: il proletariato ha la sua soluzione del problema dello Stato, ed egli non ha alcun potere, alcuna iniziativa per quanto riguarda le soluzioni che darà il capitalismo al problema del suo potere. E’ evidente sarebbe vantaggioso trovare dei governi borghesi molto deboli che permettono l’evoluzione della lotta rivoluzionaria del proletariato; ma è altrettanto evidente che il capitalismo non costituirà dei governi di sinistra o di estrema sinistra, se non a condizione che questi ultimi rappresentino la migliore forma della sua difesa in una data situazione. Nel 1917-21 la socialdemocrazia che entrò nel governo realizzò la difesa del regime borghese e fu la sola forma che permise lo schiacciamento della rivoluzione proletaria. Considerando che un governo di destra avrebbe potuto direttamente orientare le masse verso l’insurrezione, i marxisti dovevano preconizzare un governo reazionario? Formuliamo una tale ipotesi per dimostrare che non esiste un concetto generale di forma migliore o peggiore di governo per il proletariato. Questi concetti esistono solo per il capitalismo e secondo le circostanze. La classe operaia ha, per contro, il dovere assoluto di raggrupparsi sulle sue posizioni di classe per combattere il capitalismo sotto la forma che riveste concretamente: fascista, democratica o socialdemocratica che sia.
La prima considerazione essenziale da fare rispetto alle attuali situazioni, è dire apertamente che per la classe operaia il problema del potere non si pone all’ordine del giorno in maniera immediata, e che una delle più crudeli manifestazioni di questa caratteristica della situazione è lo scatenamento dell’attacco fascista, o l’evoluzione della democrazia verso i pieni poteri. Si tratta quindi di determinare su quali basi potrà effettuarsi il raggruppamento della classe operaia. E qui una concezione veramente curiosa va a separare i marxisti da tutti gli agenti del nemico e dai confusionisti che agiscono in seno alla classe operaia. Per noi, il raggruppamento degli operai è un problema di quantità: il proletariato non può darsi per scopo immediato la conquista del potere, esso si riunisce per obbiettivi più limitati, ma sempre di classe: le lotte parziali. Gli altri, che ostentano un estremismo di facciata, alterano la sostanza di classe del proletariato e affermano che esso può lottare per il potere in qualsiasi epoca. Non potendo porre questo problema su delle basi di classe, cioè sulla base proletaria, essi lo evirano nella sostanza ponendo il problema del governo antifascista. Aggiungeremo ancora che i partigiani della diluizione del proletariato nel marasma antifascista, sono evidentemente quegli stessi che impediscono la costituzione di un fronte di classe del proletariato per le sue battaglie rivendicative.
Gli ultimi mesi, in Francia, hanno visto un fiorire straordinario di programmi, di piani, di organismi antifascisti, ma ciò non ha impedito affatto a Doumergue di ridurre massicciamente gli stipendi e le pensioni, segnali per le diminuzioni dei salari che il capitalismo francese ha intenzione di generalizzare. Se la centesima parte dell’attività sviluppata intorno all’antifascismo fosse stata diretta verso la costituzione di un solido fronte della classe operaia per lo scatenamento di uno sciopero generale per la difesa delle rivendicazioni immediate, avremmo avuto con assoluta certezza che, da una parte, le minacce repressive non avrebbero avuto il loro corso, dall’altra, il proletariato, una volta raggruppato per i suoi interessi di classe, avrebbe ripreso fiducia in se stesso, operando così una modificazione della situazione da dove sarebbe sorto nuovamente il problema del potere, nella sola forma in cui può essere posto per la classe operaia: la dittatura del proletariato.
Da tutte queste considerazioni elementari deriva che l’antifascismo, per essere giustificato, dovrebbe basarsi sull’esistenza di una classe antifascista: la politica antifascista dovrebbe derivare da un programma inerente a questa classe. Che non sia possibile arrivare a tali conclusioni risulta non solo dalle più semplici formulazioni del marxismo, ma anche da elementi tratti dalla situazione attuale in Francia. In effetti, il problema pone immediatamente dei limiti da assegnare all’antifascismo. A chi dovrebbe limitarsi alla sua destra? A Doumergue che è là per difendere la Repubblica, a Herriot che partecipa alla “tregua” per proteggere la Francia dal fascismo, a Marquet che pretende di rappresentare “l’occhio del socialismo” nell’Unione Nazionale, ai Giovani Turchi del partito radicale, semplicemente ai socialisti, o infine, perché no anche al diavolo, purché l’inferno sia lastricato di antifascismo? Una posizione concreta del problema prova che la formula dell’antifascismo serve solo gli interessi della confusione e prepara la disfatta certa della classe operaia.
Al posto di procedere con delle modifiche sostanziali delle rivendicazioni della classe operaia, il dovere imperioso dei comunisti consiste nel determinare il raggruppamento della classe operaia intorno alle sue rivendicazioni di classe ed all’interno dei suoi organismi di classe: i sindacati. (…) In effetti, noi non ci basiamo sulla nozione formale del sindacato, ma sulla considerazione fondamentale che -come abbiamo già detto- non ponendosi il problema del potere, bisogna scegliere degli obiettivi più limitati, ma sempre di classe per la lotta contro il capitalismo. E l’antifascismo determina delle condizioni in cui la classe operaia non solo va ad essere confusa per quanto riguarda le sue minime rivendicazioni economiche e politiche, ma vedrà compromessa ogni sua possibilità di lotta rivoluzionaria e si troverà esposta a diventare preda del precipizio dei contrasti del capitalismo, cioè della guerra, prima di ritrovare la possibilità di iniziare la battaglia rivoluzionaria per l’instaurazione della società di domani.
Bilan n° 7, maggio 1934.
1. Movimento insurrezionale del febbraio 1934.
2. Bilan designa così i partiti stalinisti. Questo termine proviene dal fatto che nel mezzo degli anni 1920 Stalin aveva adottato una posizione “centrista” tra la sinistra, rappresentata principalmente da Trotsky, e la destra il cui porta-parola era Bukarin e che preconizzava una politica favorevole ai kulaki (contadini ricchi) ed ai piccoli capitalisti.
3. Nome che si danno i trotskysti negli anni 1930.