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Per i comunisti lo studio della storia del movimento operaio e delle sue organizzazioni non corrisponde affatto ad una curiosità di tipo accademico. E' al contrario un mezzo indispensabile per permettere loro di fondare su solide basi il loro programma, di orientarsi nella situazione presente e stabilire in modo chiaro le prospettive per l'avvenire. In particolare, l'esame delle esperienze passate della classe operaia deve permettere di verificare la validità delle posizioni che sono state allora difese dalle organizzazioni politiche e tirarne le lezioni. I rivoluzionari di un'epoca non si pongono come giudici dei loro antenati. Ma devono essere in grado di mettere in evidenza le posizioni giuste come gli errori delle organizzazioni del passato, e devono saper riconoscere il momento in cui una posizione corretta in un certo contesto storico diviene caduca quando le condizioni storiche cambiano. In mancanza di ciò, incontrano grandi difficoltà ad assumere le loro responsabilità, condannati a ripetere gli errori del passato oppure a mantenere una posizione anacronistica.
Un tale approccio è l'ABC per una organizzazione rivoluzionaria. Se ci rapportiamo al suo articolo, il BIPR condivide questo approccio e noi consideriamo molto positivo che questa organizzazione abbia abbordato, insieme ad altri aspetti, la questione delle proprie origini storiche (o piuttosto le origini del PCInt) come di quelle della CCI. Ci sembra che la comprensione dei disaccordi tra le nostre organizzazioni debba partire dall'esame delle nostre rispettive storie. E' perciò che la nostra risposta alla polemica del BIPR si concentra su questo aspetto. Abbiamo cominciato a farlo nella prima parte di questo articolo per ciò che concerne la Frazione italiana e la GCF. Si tratta ora di ritornare sulla storia del PCInt.
Infatti, uno dei punti importanti che qui si tratta di stabilire è il seguente: possiamo considerare, come dice il BIPR, che il «il PCInt era la creazione della classe operaia che ha avuto la miglior riuscita dalla rivoluzione russa» (1). Se tale è il caso, allora è necessario considerare l'azione del PCInt come esemplare e fonte d'ispirazione per le organizzazioni comuniste di oggi e di domani. La domanda che si pone è la seguente: come possiamo misurare il successo d'una organizzazione rivoluzionaria? La risposta s'impone da sola: se adempie correttamente ai compiti che sono suoi nel periodo storico in cui agisce. In questo senso, i criteri di «riuscita» che saranno scelti sono di per sé significativi del modo in cui si concepisce il ruolo e la responsabilità dell'organizzazione d'avanguardia del proletariato.
I criteri di "riuscita" di una organizzazione rivoluzionaria
Una organizzazione rivoluzionaria è l'espressione, e anche un fattore attivo, del processo di presa di coscienza che deve condurre il proletariato ad assumere il suo compito storico di rovesciamento del capitalismo e di instaurazione del comunismo. Una tale organizzazione è uno strumento indispensabile del proletariato nel momento del salto storico che rappresenta la sua rivoluzione comunista. Quando una organizzazione rivoluzionaria è confrontata a questa situazione particolare, come fu il caso dei partiti comunisti a partire dal 1917 e all'inizio degli anni '20, il criterio decisivo sul quale deve essere apprezzata la sua azione è la capacità di richiamare attorno a sé, e al programma comunista che difende, le grandi masse operaie che costituiscono il soggetto della rivoluzione. In questo senso, si può considerare che il partito bolscevico ha pienamente compiuto il suo compito nel 1917 (non solo, d'altronde, di fronte alla rivoluzione in Russia, ma di fronte alla rivoluzione mondiale poiché è stato ugualmente esso ad essere il principale ispiratore della costituzione e del programma rivoluzionario dell'Internazionale Comunista fondata nel 1919). Da febbraio ad ottobre 1917, la sua capacità di legarsi alle masse in piena effervescenza rivoluzionaria, a mettere davanti, in ogni momento del processo di maturazione della rivoluzione, le parole d'ordine le più adatte dando prova della più grande intransigenza di fronte alle sirene dell'opportunismo, ha costituito un fattore incontestabile del suo «successo».
Ciò detto, il ruolo delle organizzazioni comuniste non si limita ai periodi rivoluzionari. Se così fosse, allora tali organizzazioni non sarebbero esistite che nel periodo che va dal 1917 al 1923 e ci si potrebbe chiedere quale sia oggi il significato dell'esistenza del BIPR e della CCI. E' chiaro che, al di fuori di periodi direttamente rivoluzionari, le organizzazioni comuniste hanno il ruolo di preparare la rivoluzione, cioè contribuire nel miglior modo possibile allo sviluppo della condizione essenziale di questa: la presa di coscienza da parte dell'insieme del proletariato dei suoi fini storici e dei mezzi da usare per arrivarci. Ciò significa, in primo luogo, che la funzione permanente delle organizzazioni comuniste (che vale dunque anche nei periodi rivoluzionari) è di definire nel modo più chiaro e coerente possibile il programma del proletariato. Ciò significa, in secondo luogo e in diretto legame con la prima funzione, preparare politicamente e organizzativamente il partito che dovrà trovarsi alla testa del proletariato nel momento della rivoluzione. Infine, ciò passa soprattutto attraverso un intervento continuo nella classe, in funzione dei mezzi dell'organizzazione, allo scopo di guadagnare alle posizioni comuniste gli elementi che tentano di rompere con l’influenza ideologica della borghesia e dei suoi partiti.
Per ritornare a « la creazione della classe operaia che ha avuto la miglior riuscita dopo la rivoluzione russa», cioè il PCInt (secondo l'affermazione del BIPR), ci si deve porre la domanda: di quale «riuscita» si tratta?
Ha forse giocato un ruolo decisivo nell'azione del proletariato nel corso di un periodo rivoluzionario o di attività intensa del proletariato?
Ha apportato dei contributi di primo piano all'elaborazione del programma comunista, seguendo l’esempio, tra l'altro, della Frazione italiana della Sinistra comunista, organizzazione a cui si richiama?
Ha gettato delle basi organizzative significative e solide sulle quali potrà poggiare la fondazione del futuro partito comunista mondiale, avanguardia della futura rivoluzione mondiale?
Cominceremo col rispondere a quest'ultima domanda. In una lettera del 9 giugno 1980 indirizzata dalla CCI al PCInt all’indomani del fallimento della terza conferenza dei gruppi della Sinistra comunista, scrivevamo:
«Come spiegate (..) che la vostra organizzazione, che era già sviluppata nel momento della ripresa di classe nel 1968, non abbia potuto mettere a profitto questa ripresa per estendersi a livello internazionale mentre la nostra, praticamente inesistente nel 1968, a partire da questa data ha decuplicato le sue forze e si è impiantata in dieci paesi?»
La questione che ponevamo allora resta perfettamente valida ancora oggi. Da quel periodo, il PCint è riuscito ad allargare la sua estensione internazionale costituendo il BIPR assieme alla CWO (che ha ripreso, per l'essenziale, le sue posizioni e analisi politiche) (2). Ma occorre riconoscere che il bilancio del PCint, dopo più di mezzo secolo di esistenza, è piuttosto modesto. La CCI ha sempre messo in evidenza e deplorato l'estrema debolezza numerica e l'impatto molto ridotto delle organizzazioni comuniste, tra cui la nostra, nel periodo presente. Noi non siamo del genere che pratica i bluff o si attribuisce i galloni per farsi riconoscere come il «vero stato maggiore del proletariato». Lasciamo ad altri gruppi la mania di prendersi come il «vero Napoleone» e di proclamarlo. Ciò detto, appoggiandosi sul criterio di «riuscita» che si esamina qui, quello della «minuscola GCF», benché essa abbia cessato di esistere dal 1952, è incomparabilmente più soddisfacente di quello del PCInt. Con sezioni e nuclei in 13 paesi, 11 pubblicazioni territoriali regolari in 7 lingue diverse (tra cui quelle più diffuse nei paesi industrializzati: inglese, tedesco, spagnolo e francese), una rivista teorica trimestrale in tre lingue, la CCI, che si è costituita attorno alle posizioni e analisi politiche della GCF, è oggi l'organizzazione della Sinistra comunista non solo la più importante ed estesa, ma anche e soprattutto quella che ha conosciuto la dinamica di sviluppo più positiva nel corso dell'ultimo quarto di secolo. Il BIPR può sicuramente considerare che la «riuscita» attuale degli eredi della GCF, se la si paragona a quella del PCInt, è giustamente la prova della debolezza della classe operaia. Quando questa avrà sviluppato molto di più le sue lotte e la sua coscienza, essa riconoscerà la validità delle posizioni e delle parole d'ordine del BIPR e si raggrupperà più numerosa di oggi attorno ad esso. Ognuno si consola come può.
Dunque, quando il BIPR evoca con il superlativo assoluto la «riuscita» del PCInt, non può trattarsi della sua capacità di gettare le future basi organizzative del partito mondiale, a meno che non si rifugga in delle speculazioni su ciò che sarà il BIPR nel futuro. Passiamo allora ad esaminare un altro criterio: il PCInt del 1945-46 (cioè quando adotta la sua prima piattaforma) ha apportato dei contributi di primo piano all'elaborazione del programma comunista?
Noi non passeremo in rivista l'insieme delle posizioni contenute in questa piattaforma che contiene effettivamente delle cose eccellenti. Ci limiteremo ad evocare soltanto alcuni punti programmatici, estremamente importanti già in quell’epoca, sui quali non c’è nella piattaforma una grande chiarezza. Si tratta della natura dell'URSS, della natura delle lotte dette di «liberazione nazionale e coloniale» e della questione sindacale.
La piattaforma attuale del BIPR è chiara sulla natura capitalista della società che è esistita in Russia fino al 1990, sul ruolo dei sindacati come strumento della conservazione dell'ordine borghese che il proletariato non può in alcun modo «riconquistare» e sulla natura controrivoluzionaria delle lotte nazionali. Tuttavia, questa chiarezza non esisteva nella piattaforma del 1945 dove l'URSS era ancora considerata come uno «Stato proletario», dove la classe operaia era chiamata a sostenere certe lotte nazionali e coloniali e dove i sindacati erano ancora considerati come delle organizzazioni che il proletariato poteva «riconquistare», soprattutto grazie alla creazione, sotto l'egida del PCInt, di minoranze candidate alla loro direzione (3). Nella stessa epoca, la GCF aveva già rimesso in discussione la vecchia analisi della Sinistra italiana sulla natura proletaria dei sindacati e compreso che la classe operaia non poteva più, in alcun modo, riconquistare questi organi. Anche l'analisi sulla natura capitalista dell'URSS era stata già elaborata nel corso della guerra dalla Frazione italiana ricostituita attorno al nucleo di Marsiglia. Infine, la natura controrivoluzionaria delle lotte nazionali, il fatto che esse costituivano semplici momenti di scontri imperialisti tra grandi potenze, era stata già stabilita dalla Frazione nel corso degli anni '30. E' perciò che noi manteniamo oggi ciò che la GCF diceva già del PCInt nel 1946 e che irrita il BIPR quando si lamenta che «la GCF affermava che il PCInt non costituiva un avanzamento rispetto alla vecchia Frazione della Sinistra comunista che era andata in esilio in Francia durante la dittatura di Mussolini». Sul piano della chiarezza programmatica, i fatti parlano da soli (4).
Così non si può considerare che le posizioni programmatiche che erano quelle del PCInt nel 1945 facciano parte della «riuscita» poiché una buona parte di esse ha dovuto essere rivista in seguito, soprattutto nel 1952, durante il congresso che ha visto la scissione della tendenza di Bordiga e ancora dopo. Se il BIPR ci permette di fare un po’ d'ironia, potremo dire che alcune delle attuali posizioni sono più ispirate a quelle della GCF che a quelle del PCInt del 1945. Allora dove si trova il «grande successo» di questa organizzazione?
Non resta altro che la forza numerica e l'impatto che essa ha avuto in un certo momento della storia.
Effettivamente, il PCInt contava, tra il 1945 e 1947, circa 3000 membri e un numero significativo di operai si riconosceva in esso. Si può dire che questa organizzazione ha potuto giocare un ruolo significativo nel corso degli avvenimenti storici indirizzandoli nel senso della rivoluzione proletaria, anche se questa infine non ha avuto luogo? Evidentemente, sarebbe fuori luogo qualunque rimprovero fatto al PCInt di aver fallito nella sua responsabilità di fronte ad una situazione rivoluzionaria poiché una tale situazione non esisteva nel 1945. Ma è giustamente lì che si pone il problema. Come afferma l'articolo del BIPR, il PCInt puntava «sul fatto che la combattività operaia non restasse limitata al nord dell'Italia allorché la guerra si avvicinava alla fine». Infatti, il PCInt si era costituito nel 1943 sulla base della ripresa di scontri di classe nel nord dell'Italia puntando sul fatto che questi scontri fossero i primi di una nuova ondata rivoluzionaria che sarebbe sorta dalla guerra come avvenne nel corso del primo conflitto mondiale. La storia si è incaricata di smentire in seguito una tale prospettiva. Ma nel 1943, era legittimo metterla davanti (5). Dopo tutto, l'Internazionale Comunista e la maggior parte dei partiti comunisti, tra cui il partito italiano, si erano formati quando l'ondata rivoluzionaria iniziata nel 1917 era già in declino dopo il tragico massacro del proletariato tedesco del gennaio 1919. Ma i rivoluzionari dell'epoca non ne erano ancora consapevoli (ed è giustamente uno dei grandi meriti della Sinistra italiana d'esser stata una delle prime correnti a costatare questa inversione del rapporto di forza tra borghesia e proletariato). Tuttavia, quando si è tenuta la conferenza alla fine del 1945-inizio 1946, la guerra era già finita e le reazioni proletarie che aveva prodotto a partire dal '43 erano già state soffocate sul nascere grazie a una sistematica politica preventiva da parte della borghesia (6). Malgrado ciò, il PCInt non ha rimesso in causa la sua politica precedente (anche se un certo numero di voci si sono alzate nella conferenza per constatare il rafforzamento della presa borghese sulla classe operaia). Ciò che era un errore del tutto normale nel 1943, lo era già molto meno alla fine del 1945. Tuttavia, il PCInt ha continuato sullo slancio e non rimetterà più in causa la validità della formazione del partito nel 1943.
Ma la cosa più grave per il PCInt non è l'errore di valutazione del periodo storico e la difficoltà a riconoscere questo errore. Ben più catastrofico è stato il modo in cui il PCInt si è sviluppato e le posizioni che è stato portato a prendere in conseguenza di ciò, soprattutto il fatto che ha cercato di «adattarsi» alle illusioni crescenti di una classe operaia in riflusso.
La costituzione del PCInt
Alla sua nascita nel 1943, il PCInt si richiamava alle posizioni politiche elaborate dalla Frazione italiana della Sinistra comunista. D'altronde, se il suo principale animatore, Onorato Damen, uno dei dirigenti della Sinistra negli anni '20, era rimasto in Italia dal 1924 (la maggior parte del tempo nelle prigioni mussoliniane da dove i rivolgimenti del 1942-43 lo tirarono fuori) (7), esso contava nei suoi ranghi un certo numero di militanti della Frazione che erano rientrati in Italia all'inizio della guerra. Effettivamente, nei primi numeri di Prometeo clandestino (che riprende il nome tradizionale del giornale della Sinistra, quello degli anni '20 e quello della Frazione italiana negli anni '30) pubblicati a partire da novembre '43, si trovano denunce molto chiare della guerra imperialista, dell'antifascismo e dei movimenti «partigiani» (8). Tuttavia, a partire dal 1944, il PCInt si orienta verso un lavoro d'agitazione in direzione dei gruppi di partigiani e diffonde, in giugno, un manifesto che incita alla «trasformazione delle formazioni partigiane là dove esse sono composte da elementi proletari di sana coscienza di classe, in organi d'autodifesa proletaria, pronti a intervenire nella lotta rivoluzionaria per il potere". Nell'agosto 1944, Prometeo n° 15 va più lontano nei compromessi: «Gli elementi comunisti credono sinceramente alla necessità della lotta contro il nazi-fascismo e pensano che, una volta abbattuto questo ostacolo, potranno marciare verso la conquista del potere, abbattendo il capitalismo». E' la rimessa in piedi dell'idea sulla quale si sono appoggiati tutti quelli che, nel corso della guerra di Spagna, come gli anarchici e i trotzkisti, avevano chiamato i proletari a «riportare prima una vittoria sul fascismo, poi a fare la rivoluzione». E' l'argomento di quelli che tradiscono la causa del proletariato per schierarsi dietro la bandiera d'uno dei campi imperialisti. Questo non era il caso del PCInt poiché esso restava fortemente impregnato della tradizione della Sinistra del partito comunista d'Italia che si era distinto, di fronte all'ascesa del fascismo all'inizio degli anni '20, per la sua intransigenza di classe. Ciò detto, tali argomenti nella stampa del PCInt permettono di misurare l'ampiezza delle sbandate. D'altronde, seguendo l'esempio della minoranza della Frazione che nel 1936 aveva raggiunto le unità antifasciste del POUM in Spagna, un certo numero di militanti e quadri del PCInt si arruola nei gruppi partigiani. Ma se la minoranza aveva rotto la disciplina d'organizzazione, non è lo stesso per questi militanti del PCInt: essi non fanno che applicare le consegne del Partito (9).
Evidentemente, la volontà di raggruppare il maggior numero di operai nei suoi ranghi e attorno ad esso, in un momento in cui questi ultimi soccombono in gran parte alle sirene dei «partigiani», conduce il PCInt a prendere le distanze dall'intransigenza che aveva mostrato all'inizio contro l'antifascismo e le «bande partigiane». Questa non è una «calunnia» della CCI in continuità con le «calunnie» della GCF. Questa propensione a reclutare nuovi militanti senza troppo preoccuparsi della fermezza delle loro convinzioni internazionaliste è stata rilevata dal compagno Danielis, responsabile della federazione di Torino nel 1945 e anziano membro della Frazione:
«Una cosa deve essere chiara per tutti, cioè che il Partito ha subito l'esperienza grave del facile allargamento della sua influenza politica, non in profondità, perché questo non è facile, ma in superficie. Debbo citare un'esperienza personale che servirà da messa in guardia contro il pericolo di una facile influenza del Partito su certi strati, su certe masse, conseguenza automatica di una altrettanto facile formazione teorica di quadri… Si doveva dunque pensare che nessun iscritto avrebbe accettato le direttive del “Comitato di Liberazione Nazionale”. Ebbene, la mattina del 25 aprile [data della "liberazione" di Torino] tutta la tutta la federazione di Torino era in armi per partecipare al coronamento di quel massacro che durò sei anni, e alcuni compagni della provincia, inquadrati militarmente e disciplinati, entrarono in Torino per partecipare alla caccia all'uomo… Il Partito non esisteva: era sfumato». (Processo verbale del congresso di Firenze del PCInt, 6-9 maggio 1948). Evidentemente anche Danielis era un «calunniatore»!
Seriamente, se le parole hanno un senso, la politica del PCInt che gli ha permesso i suoi «grandi successi» del 1945, non era altro che una politica opportunista. Occorrono altri esempi? Si potrebbe citare questa lettera del 10 febbraio 1945 indirizzata dal «Comitato d'agitazione» del PCInt «ai comitati d'agitazione dei partiti a direzione proletaria e dei movimenti sindacali d'azienda per dare alla lotta rivoluzionaria del proletariato una unità di direttive e d'organizzazione… A questo fine, viene proposto un raggruppamento di questi diversi comitati per mettere a punto un piano unitario.» (Prometeo, aprile 1945) (10). I «partiti a direzione proletaria» di cui si tratta sono soprattutto il partito socialista e il partito stalinista. Per quanto sorprendente questo possa apparire oggi, è la stretta verità. Quando abbiamo ricordato questi fatti nella Revue Internationale n° 32, il PCInt ci rispose: «Il documento "Appello del Comitato di agitazione del PCInt" contenuto nel numero di aprile '45 fu un errore? D'accordo. Questo fu l'ultimo tentativo della Sinistra italiana d'applicare la tattica del "fronte unico alla base" raccomandata vivamente dal PC d'Italia nella sua polemica con l'IC negli anni 21-23. In quanto tale, noi lo cataloghiamo tra i "peccati veniali" perché i nostri compagni hanno saputo eliminarlo tanto sul piano politico che teorico, con una chiarezza che oggi ci rende sicuri di fronte a chiunque.» (Battaglia Comunista n°3, febbraio 1983) A cui noi replicammo: «Non si può che restare ammirati davanti la delicatezza e l'abilità con la quale BC tratta il suo amor proprio. Se una proposta di fronte unico con i macellai staliniani e socialdemocratici non è che un semplice 'peccato veniale', che cosa avrebbe dovuto fare il PCInt affinché si potesse parlare d'errore… Entrare nel governo?» (Revue Internationale n°34) (11) In ogni caso è chiaro che nel 1944, la politica del PCInt rappresentava bene un passo indietro in rapporto a quella della «vecchia frazione». E che passo! La Frazione aveva da molto tempo fatto una critica profonda della tattica del fronte unico e non si sarebbe azzardata, a partire dal 1935, a qualificare il partito stalinista di «partito a direzione proletaria»; senza parlare della socialdemocrazia la cui natura borghese era riconosciuta dagli anni '20.
Questa politica opportunista del PCInt la ritroviamo «nell'apertura» e la mancanza di rigore di cui fa prova alla fine della guerra allo scopo di allargarsi. Le ambiguità del PCInt formato nel Nord del paese non sono ancora che poca cosa di fronte a quelle dei gruppi del Sud che vengono ammessi nel Partito alla fine della guerra, come la «Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti» costituita a Napoli, attorno a Bordiga e Pistone che, fino all'inizio del 1945 pratica l'entrismo nel PCI stalinista nella speranza di raddrizzarlo e che è particolarmente vago sulla questione dell'URSS. Il PCInt apre ugualmente le sue porte a degli elementi del POC (Partito Operaio Comunista) che aveva costituito per un certo tempo la sezione italiana della 4a internazionale trotzkista.
E' anche necessario ricordare che Vercesi, che durante la guerra riteneva che non ci fosse niente da fare e che, alla fine di questa, aveva partecipato alla «Coalizione Antifascista» di Bruxelles (12), s'integrò anch’egli nel nuovo partito senza che questo gli chiedesse di condannare la sua deriva antifascista. Su questo episodio, O. Damen, per il PCInt, aveva scritto alla CCI nell'autunno 1976: «Il Comitato antifascista di Bruxelles nella persona di Vercesi, che nel momento della costituzione del PCInt pensa di dovervi aderire, mantiene le sue posizioni bastarde fino al momento in cui il partito, rendendo il necessario tributo alla chiarezza, si separa dai rami morti del bordighismo». A cui noi rispondevamo: «Che parole galanti per dire queste cose! Lui, Vercesi, pensa di dover aderire?! E il Partito, che cosa ne pensa? Oppure il Partito è una società di bridge dove chiunque può aderirvi?» (Revue Internationale n° 8). Occorre notare che in questa lettera O. Damen aveva la franchezza di riconoscere che nel 1945 il partito non aveva ancora «reso il tributo necessario alla chiarezza» poiché fu più tardi, (nel 1952) che lo fece. Si può prendere atto di questa affermazione che contraddice tutte le favole sulla pretesa «grande chiarezza» che ci sarebbe stata alla fondazione del PCInt e che avrebbe rappresentato, secondo il BIPR, «un passo avanti» rispetto a quella della Frazione (13).
Il PCInt non è stato più scrupoloso nei confronti dei membri della minoranza della Frazione che, nel 1936, si erano arruolati nelle milizie antifasciste in Spagna e che avevano raggiunto l'Union Communiste (14). Questi elementi poterono integrarsi nel Partito senza fare la minima critica dei loro errori passati. Su questa questione, O. Damen ci scriveva nella stessa lettera: «Per quanto riguarda i compagni che, durante il periodo della guerra di Spagna, decisero di abbandonare la Frazione della Sinistra italiana per lanciarsi in una avventura al di fuori di ogni posizione di classe, ricordiamo che gli avvenimenti di Spagna, che non facevano che confermare le posizioni della Sinistra, servirono loro da lezione per farli rientrare di nuovo nel solco della sinistra rivoluzionaria.» (Ibid.). A cui noi rispondevamo: «Non si è mai posto il problema del ritorno di questi militanti alla Sinistra Comunista, fino al momento della dissoluzione della Frazione e l'integrazione dei suoi militanti nel PCInt (alla fine del '45). Nei confronti di questi compagni non è mai stato posto un problema di "lezione", né di rigetto di posizioni, né di condanna della loro partecipazione alla guerra antifascista di Spagna.» Se il BIPR stima che si tratti di una nuova «calunnia» della CCI, ci indichi i documenti che la provano. E proseguivamo: «E' semplicemente l'euforia e la confusione della costituzione del Partito "con Bordiga" che hanno spinto questi compagni … a raggiungerlo.. Il Partito in Italia non ha chiesto loro di rendere conto del passato, non per ignoranza... ma perché non era il momento delle "vecchie querelle"; la ricostituzione del Partito cancellava tutto. Questo partito che non si preoccupava tanto dei maneggi dei partigiani presenti tra i suoi militanti non poteva mostrarsi rigoroso verso questa minoranza per la sua attività verso un passato già lontano e gli apriva "naturalmente" le sue porte..».
Infatti, la sola organizzazione che il PCInt non vede di buon occhio e con la quale non vuole aver rapporti è la GCF, giustamente perché questa continua ad appoggiarsi sullo stesso rigore e la stessa intransigenza che avevano caratterizzato la Frazione negli anni '30. Ed è vero che la Frazione di questo periodo non avrebbe potuto che condannare la politica da rigattieri sulla quale si costituì il PCInt, una politica del tutto simile a quella praticata allora dal trotzkismo e contro la quale la Frazione non trovava mai parole abbastanza dure.
Negli anni '20, la Sinistra comunista si era opposta all'orientazione opportunista assunta dall'Internazionale Comunista a partire dal suo terzo congresso e consistente soprattutto nel voler «andare alle masse» in un momento in cui l'ondata rivoluzionaria rifluiva, facendo entrare nei suoi ranghi le correnti centriste provenienti dai partiti socialisti (gli Indipendenti in Germania, i «Terzini» in Italia, Cachin-Frossard in Francia, ecc.) e lanciando la politica del «Fronte unico» con i PS. Al metodo del «raggruppamento largo» utilizzato dall'IC per costituire i partiti comunisti, Bordiga e la Sinistra opponevano il metodo della «selezione» basato sul rigore e l'intransigenza nella difesa dei principi. Questa politica dell'IC aveva avuto delle conseguenze tragiche con l'isolamento, e perfino l'esclusione, della Sinistra e l'invasione del partito da parte di elementi opportunisti che avrebbero costituito i migliori vettori della degenerazione dell'IC e dei suoi partiti.
All'inizio degli anni 30, la Sinistra italiana, fedele alla sua politica degli anni '20, aveva lottato all’interno dell'Opposizione di Sinistra internazionale per imporre questo stesso rigore di fronte alla politica opportunista di Trotsky per il quale l'accettazione dei primi quattro congressi dell'IC - e soprattutto della sua politica manovriera - erano dei criteri ben più importanti di raggruppamento che le lotte portate avanti nell'IC contro la sua degenerazione. Con questa politica di Trotsky, gli elementi più sani che tentavano di costruire una corrente internazionale della Sinistra comunista o venivano corrotti, o scoraggiati o ancora condannati all'isolamento. Costruita su fondamenta così fragili, la corrente trotzkista conobbe crisi su crisi prima di passare armi e bagagli nel campo borghese nel corso della seconda guerra mondiale. Al contrario la politica intransigente della Frazione le era costata l’esclusione dall'Opposizione internazionale nel 1933 allorché Trotsky colse il pretesto di una fantomatica «Nuova Opposizione Italiana» costituita da elementi che, alla testa del PCI ancora nel 1930, avevano votato a favore dell’esclusione di Bordiga da questo partito.
Nel 1945, preoccupato di radunare il massimo di effettivi, il PCInt - che si richiama alla Sinistra - riprende non la politica di quest'ultima di fronte all'IC e al trotzkismo ma la politica che la Sinistra aveva giustamente combattuto: adesione «larga» basata sulle ambiguità programmatiche, raggruppamento - senza chiedere spiegazioni- di militanti e di «personalità» (15) che avevano combattuto le posizioni della Frazione durante la guerra di Spagna o nel corso della guerra mondiale, politica opportunista che favoriva le illusioni degli operai sui partigiani e sui partiti passati al nemico, ecc. E perché il parallelo sia il più completo possibile c’è l’esclusione dalla Sinistra comunista internazionale della GCF, la corrente che rivendicava maggiormente la propria fedeltà alla lotta della Frazione, mentre si riconosceva come solo gruppo rappresentante la Sinistra comunista in Francia la FFGC-bis. Occorre ricordare che quest’ultima era costituita da tre giovani elementi che si erano scissi dalla GCF nel maggio 45, da membri dell'ex minoranza della Frazione esclusa durante la guerra di Spagna e da membri dell'ex Union Communiste che si era lasciata andare all'antifascismo nello stesso periodo (16)? Non c'è una certa similitudine con la politica di Trotsky verso la Frazione e la Nuova Opposizione Italiana?
Marx ha scritto che «se la storia si ripete, la prima volta è come tragedia e la seconda volta come farsa». C'è un po' di ciò nell'episodio poco glorioso della formazione del PCInt. Sfortunatamente, gli avvenimenti che seguirono mostrarono che la ripetizione da parte del PCInt nel 1945 della politica contro cui aveva combattuto la Sinistra negli anni '20 e '30 ha avuto conseguenze molto drammatiche.
Le conseguenze dell'approccio opportunista del PCInt
Quando si legge il processo verbale della conferenza del PCInt di fine '45-inizio '46, si è colpiti dall'eterogeneità che vi regna.
Sull'analisi del periodo storico, che costituisce una questione essenziale, i principali dirigenti si oppongono. Damen continua a difendere la «posizione ufficiale»: «Si sta per aprire il nuovo corso della storia della lotta del proletariato. Tocca al nostro partito il compito di indirizzare questa lotta in modo tale che, alla prossima e inevitabile crisi, la guerra e i suoi artefici siano distrutti in tempo e definitivamente dalla rivoluzione proletaria.» («Rapporto sulla situazione generale e le prospettive», pag. 12).
Ma alcune voci constatano, senza dirlo apertamente, che le condizioni non sono propizie alla formazione del partito:
«… quello che domina oggi è l'ideologia guerrafondaia del CNL e del movimento partigiano, ed è per ciò stesso che non esistono le condizioni per l'affermazione vittoriosa della classe proletaria. Ne consegue che non si può altrimenti qualificare il momento attuale che come un momento reazionario.» (Vercesi, «Il partito e i problemi internazionali», pag. 14)
«Concludendo questo bilancio politico, è necessario chiedersi se si debba continuare in una politica di allargamento della nostra influenza, o se la situazione ci imponga anzitutto (in una atmosfera ancora avvelenata) di salvaguardare le basi fondamentali della nostra differenziazione politica e ideologica, di rafforzare ideologicamente i quadri, di immunizzarli dai bacilli patogeni che si respirano nell'ambiente attuale e di prepararli così alle nuove posizioni politiche che si presenteranno domani. E' in questa direzione, a mio avviso, che l'attività del Partito deve essere orientata in tutti i campi.» (Maffi, «Relazione politico-organizzativa per l'Italia settentrionale», pag. 7).
In altri termini, Maffi raccomanda vivamente lo sviluppo d'un lavoro classico di frazione.
Sulla questione parlamentare, si constata la stessa eterogeneità:
«Perciò noi utilizzeremo, in regime democratico, tutte le concessioni che ci verranno fatte, sempre che questa utilizzazione non leda gli interessi della lotta rivoluzionaria. Noi restiamo irriducibilmente antiparlamentari; ma il senso del concreto che anima la nostra politica ci farà rifuggire da ogni posizione astensionista a priori.» (O. Damen, ibidem pag. 12).
«Maffi, riprendendo le conclusioni a cui è giunto il Partito, si chiede se il problema dell'astensionismo elettorale debba essere posto nella sua vecchia forma (partecipare o no alle elezioni a seconda che la situazione evolva o meno verso lo sbocco rivoluzionario) o se invece, in un ambiente corrotto dalle illusioni elettorali, non convenga assumere una posizione nettamente anti-elettorale, anche a prezzo dell’isolamento. Non abbarbicarsi alle concessioni che ci fa la borghesia (concessioni che non sono un atto di debolezza, ma di forza da parte sua), ma al processo reale della lotta di classe ed alla nostra tradizione di sinistra». (ibid. pag. 12)
Occorre ricordare qui che la Sinistra di Bordiga nel partito socialista italiano si era fatta conoscere nel corso della prima guerra mondiale come «Frazione astensionista»?
Ancora, Luciano Stefanini, relatore sulla questione sindacale, afferma contro la posizione che sarà poi adottata:
«La linea politica del partito, nei confronti del problema sindacale, non è ancora sufficientemente chiara. Da una parte si riconosce la dipendenza dei sindacati dallo stato capitalista; dall'altra s'invitano gli operai a lottare al loro interno e a conquistarli dall'interno per riportarli su una posizione di classe. Ma questa possibilità è esclusa dalla evoluzione del capitalismo che abbiamo menzionato prima… il sindacato attuale non potrà cambiare la sua fisionomia di organo dello Stato... La parola d'ordine di nuove organizzazioni di massa non è attuale, ma il Partito ha il dovere di prevedere quale sarà il corso degli avvenimenti e di indicare fin da oggi ai lavoratori quali saranno gli organismi che, scaturendo dall'evoluzione delle situazioni, si imporranno come la guida unitaria del proletariato sotto la direzione del Partito. La pretesa di conquistare delle posizioni di comando negli attuali organismi sindacali allo scopo di trasformarli deve essere definitivamente liquidata.» (pagg 18-19)
All’indomani di questa conferenza, la GCF poteva scrivere:
«Il nuovo partito non è una unità politica ma un conglomerato, una somma di correnti e di tendenze che non mancheranno di manifestarsi e di scontrarsi. L'armistizio attuale non può essere che del tutto provvisorio. L'eliminazione dell'una o dell'altra corrente è inevitabile. Presto o tardi la definizione politica e organizzativa s'imporrà.» (Internationalisme n° 7, febbraio '46).
Dopo un periodo di intenso reclutamento questa delimitazione comincia a prodursi. Dalla fine del 1946, lo smarrimento che provoca nel PCInt la sua partecipazione alle elezioni (molti militanti hanno in testa la tradizione astensionista della Sinistra) conduce la direzione del Partito a fare nella stampa una messa a punto intitolata «La nostra forza» e che chiama alla disciplina. Dopo l'euforia della conferenza di Torino, molti militanti scoraggiati lasciano il Partito in punta di piedi. Un certo numero di elementi rompe per partecipare alla formazione del POI trotzkista, il che prova che essi non avevano il loro posto in una organizzazione della Sinistra comunista. Molti militanti sono esclusi senza che le divergenze appaiano chiaramente, almeno nella stampa pubblica del Partito. Una delle principali federazioni si scinde per costituire la «Federazione autonoma di Torino». Nel 1948, durante il Congresso di Firenze, il Partito ha già perduto la metà dei suoi membri e la sua stampa la metà dei suoi lettori. Quanto «all'armistizio» del 1946, questo si è trasformato in «pace armata» che i dirigenti cercano di non turbare evitando le principali divergenze. E' così che Maffi afferma che si è «astenuto nel trattare tale problema» perché «sapevo che questa discussione avrebbe potuto avvelenare il Partito». Ciò non impedisce, tuttavia, al Congresso di mettere radicalmente in causa la posizione sui sindacati adottata due anni e mezzo prima (la posizione del 1945, che si supponeva rappresentasse la massima chiarezza!). Questa pace armata sfocia infine sullo scontro (soprattutto dopo l'entrata di Bordiga nel Partito nel 1949) che condurrà alla scissione del 1952 tra la tendenza animata da Damen e quella animata da Bordiga e Maffi che darà origine alla corrente «Programma Comunista».
Quanto alle «organizzazioni sorelle» sulle quali il PCInt contava per costituire un Bureau internazionale della Sinistra comunista, la loro sorte è ancora meno invidiabile: la Frazione belga cessa la pubblicazione de L'Internationaliste nel 1949 e scompare poco dopo; la Frazione francese-bis conosce nello stesso periodo un’eclisse di due anni, con l’uscita della maggior parte dei suoi membri, prima di riapparire come Gruppo francese della Sinistra comunista internazionale che si riunirà alla corrente «bordighista» (17)
La «migliore riuscita dopo la rivoluzione russa» è stata dunque di corta durata. E quando il BIPR, per appoggiare la sua argomentazione su questa «riuscita», ci dice che il PCInt «malgrado un mezzo secolo di dominazione capitalista in seguito, continua ad esistere e crescere», dimentica di precisare che il PCInt attuale, in termini di effettivi e audience nella classe operaia , non ha niente a che vedere con ciò che era alla fine dell'ultima guerra. Senza insistere sui paragoni, si può considerare che l'importanza attuale di questa organizzazione è sensibilmente la stessa dell'erede diretta della «minuscola GCF», la sezione in Francia della CCI. E vogliamo ben credere che il PCInt «s'accresce oggi». Anche la CCI ha constatato nel corso dell'ultimo periodo un maggiore interesse per le posizioni della Sinistra comunista che si è tradotto in un certo numero di adesioni. Ciò detto, non crediamo che la crescita attuale delle forze del PCInt gli permetterà di ritrovare così presto i suoi effettivi del 1945-46.
Così questa grande «riuscita» è finita in modo assai poco glorioso in una organizzazione che, continuando a denominarsi «partito», è costretta a giocare il ruolo d'una frazione. Ciò che è più grave, è che il BIPR oggi non tira gli insegnamenti di questa esperienza e soprattutto non rimette in causa il metodo opportunista che era una delle ragioni dei «gloriosi successi» del 1945 e che prefiguravano gli «insuccessi» che sarebbero seguiti (18).
Questo atteggiamento non critico verso gli ondeggiamenti opportunisti del PCInt alle sue origini, ci fa temere che il BIPR, quando il movimento di classe sarà più sviluppato di oggi, sia tentato di ricorrere agli stessi espedienti opportunisti che abbiamo segnalato. Fin da ora, il fatto che il BIPR ritenga come principale «criterio di riuscita» di una organizzazione proletaria il numero dei membri e l'impatto che ha potuto avere in un certo momento, lasciando da parte il suo rigore programmatico e la sua capacità di gettare le basi per un lavoro a lungo termine, mette in evidenza l'approccio immediatista che gli è proprio sulla questione dell’organizzazione. E noi sappiamo che l'immediatismo costituisce l'anticamera dell'opportunismo. Si possono segnalare altre conseguenze incresciose, più immediate ancora, dell'incapacità del PCInt di fare la critica delle sue origini.
In primo luogo, il fatto che il PCInt dopo il 1945-46 (quando è evidente che la controrivoluzione continua ad imporre la sua cappa di piombo) ha mantenuto la tesi della validità della fondazione del partito, l'ha condotto poi a rivedere radicalmente tutta la concezione della Frazione italiana sui rapporti tra Partito e Frazione. Per il PCInt, ormai, la formazione del Partito può avvenire in qualsiasi momento, indipendentemente dal rapporto di forza tra proletariato e borghesia (19). Questa è la posizione dei trotzkisti, non della Sinistra italiana che, al contrario, ha sempre considerato che il Partito può formarsi solo al momento di una ripresa storica degli scontri di classe. Ma nello stesso tempo, questa rimessa in causa si accompagna alla rimessa in causa dell’esistenza di corsi storici determinati e antagonisti: corso verso scontri di classe decisivi o corso verso la guerra mondiale. Per il BIPR questi due corsi possono essere paralleli, non escludersi a vicenda e ciò l'ha condotto ad una incapacità notoria ad analizzare il periodo storico presente, come abbiamo visto nel nostro articolo «La CWO e il corso storico, un accumulo di contraddizioni» apparso nella Revue Internationale n° 89. Per questo abbiamo scritto nella prima parte di questo articolo (in questo stesso numero ): « a guardare da vicino, l'incapacità attuale del BIPR a fornire un’analisi sul corso storico trova una buona parte delle sue origini negli errori politici che riguardano la questione organizzativa, e in particolare sulla questione dei rapporti tra frazione e partito.»
Alla domanda del perché gli eredi della «minuscola GCF» sono riusciti là dove quelli del glorioso partito del 1943-45 hanno fallito, cioè costituire una vera organizzazione internazionale, noi proponiamo alla riflessione del BIPR la seguente risposta: perché la GCF, e la CCI successivamente, sono rimaste fedeli al percorso che aveva permesso alla frazione di costituire nel momento del crollo dell'IC la principale corrente, e la più feconda, della Sinistra comunista:
- il rigore programmatico come fondamento della costituzione di un’organizzazione che rigetta ogni opportunismo, ogni precipitazione, ogni politica di «reclutamento» su deboli basi;
- una chiara visione della nozione di Frazione e dei legami di quest'ultima con il Partito;
- la capacità di identificare correttamente la natura del corso storico.
Il successo più grande dopo la morte dell'IC (e non dopo la rivoluzione russa) non è stato ottenuto dal PCInt, ma dalla Frazione. Non in termini numerici ma in termini di capacità a preparare, al di là della propria scomparsa, le basi sulle quali potrà domani costituirsi il Partito mondiale.
In linea di principio il PCInt (e di conseguenza il BIPR) si presenta come erede politico della frazione italiana. Abbiamo messo in evidenza in questo articolo come, durante la sua costituzione, questa organizzazione si fosse allontanata dalla tradizione e dalle posizioni della Frazione. Dopo, il PCInt ha chiarificato una serie di questioni programmatiche, ciò che noi consideriamo estremamente positivo. Tuttavia ci sembra che il PCInt non potrà apportare il suo pieno contributo alla costituzione del futuro partito mondiale se non mette in accordo le sue dichiarazioni e i suoi atti, cioè se non si riappropria veramente della tradizione e del percorso politico della Frazione italiana. E ciò presuppone in primo luogo che esso sia capace di fare una seria critica dell'esperienza della costituzione del PCInt nel 1943-45 al posto di farne il panegirico e di prenderla come esempio.
Fabienne
1. Noi supponiamo che l'autore dell'articolo, trasportato dal suo entusiasmo, sia stato vittima d'un errore di penna e che volesse dire «dalla fine dell'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra e dell'Internazionale Comunista». Invece, se ciò che è scritto corrisponde al suo pensiero, ci si può porre delle domande sulla sua conoscenza della storia e sul suo senso di realtà: non ha mai sentito parlare, tra l'altro, del Partito Comunista d'Italia che, all'inizio degli anni '20, aveva un impatto ben più importante di quello del PCInt nel 1945 trovandosi tra l’altro all'avanguardia dell'insieme dell'Internazionale su tutta una serie di questioni politiche? In ogni caso, per il seguito del nostro articolo, preferiamo basarci sulla prima ipotesi: fare polemica contro le assurdità non è di alcun interesse.
2. Facciamo notare che nel corso di questo periodo, la CCI si è estesa con tre nuove sezioni territoriali: in Svizzera e in due paesi della periferia del capitalismo, il Messico e l'India, che sono oggetto di un particolare interesse da parte del BIPR (vedi in particolare l'adozione da parte del 6° congresso del PCInt, nell'aprile '97, delle «Tesi sulla tattica comunista nei paesi della periferia capitalista»).
3. Ecco come era formulata la politica del PCInt verso i sindacati: «Il contenuto sostanziale del punto 12 della piattaforma del partito può essere concretizzato nei seguenti punti:
1) Il partito aspira alla ricostruzione della CGL attraverso il metodo della lotta diretta del proletariato contro il padronato nei movimenti parziali e generali di classe
2) La lotta del partito non può mirare direttamente alla scissione delle masse organizzate nel sindacato.
3) Il processo di ricostruzione del sindacato di classe, se non può che realizzarsi attraverso la conquista degli organi dirigenti del sindacato, scaturisce da un programma di inquadramento delle lotte di classe sotto la guida del partito.»
4. Il PCInt di oggi è proprio imbarazzato da questa piattaforma del 1945. Infatti quando ha ripubblicata, nel 1974, questo documento assieme allo «Schema di Programma» redatto nel 1944 dal gruppo di Damen, si è preso la cura di farne una critica a regola d’arte opponendolo allo «Schema di programma» per il quale non ha parole d'elogio. Nella presentazione si può leggere: «Nel 1945, il Comitato Centrale riceve un progetto di Piattaforma politica del compagno Bordiga che, lo sottolineiamo, non era iscritto al partito. Il documento la cui accettazione fu richiesta in termini di ultimatum, è riconosciuto come incompatibile con le ferme prese di posizione adottate ormai dal Partito sui problemi più importanti e, malgrado le modifiche apportate, il documento è stato sempre considerato come un contributo al dibattito e non come una piattaforma di fatto (..) Il CC non poteva, come lo si è visto, accettare il documento che come un contributo del tutto personale per il dibattito del congresso futuro che, riportato nel 1948, metterà in evidenza posizioni molto differenti.» Sarebbe stato necessario precisare DA PARTE DI CHI questo documento fosse considerato «un contributo al dibattito». Probabilmente dal compagno Damen e qualche altro militante. Ma essi hanno conservato per sé le loro impressioni poiché la conferenza del 1945-46 cioè la rappresentazione dell'insieme del Partito, ha preso tutt'altra posizione. Questo documento è stato adottato all'unanimità come piattaforma del PCInt, servendo come base di adesione e di costituzione di un Bureau Internazionale della Sinistra comunista. Invece, è lo «Schema di Programma» che è stato rinviato alla discussione per il congresso successivo. E se i compagni del BIPR pensano ancora una volta che noi «mentiamo» e «calunniamo» che si rapportino allora al processo verbale della Conferenza di Torino della fine del 1945. Se c'è menzogna questa è nel modo in cui il PCInt presentò nel 1974 la sua «versione» delle cose. Nei fatti, il PCInt è talmente poco fiero di certi aspetti della sua storia che prova il bisogno di abbellirla un po'. Ciò detto, ci si può domandare perché il PCInt ha accettato di sottomettersi a un «ultimatum» di chicchessia, e particolarmente di qualcuno che non era neanche membro del Partito.
5. Come si è visto nella prima parte di questo articolo, la Frazione italiana aveva considerato, nella sua conferenza dell'agosto '43, che «con il nuovo corso che si è aperto con gli avvenimenti di agosto in Italia, si è aperto il corso della trasformazione della Frazione in partito». La GCF, all’atto della sua fondazione nel 1944, aveva ripreso la stessa analisi.
6. Noi abbiamo a più riprese messo in evidenza nella nostra stampa in che cosa consisteva questa politica sistematica della borghesia, cioè come questa classe, avendo tirato le lezioni della prima guerra mondiale, aveva imparato a ripartire il lavoro, lasciando ai paesi vinti la responsabilità di fare il «lavoro sporco» (repressione antioperaia nel Nord dell'Italia, annientamento dell'insurrezione di Varsavia, ecc.) mentre i vincitori bombardavano sistematicamente le concentrazioni operaie in Germania, incaricandosi in seguito di fare da polizia nei paesi vinti occupando tutto il territorio e trattenendo per più anni i prigionieri di guerra.
7. La GCF e la CCI hanno spesso criticato le posizioni programmatiche difese da Damen così come il suo percorso politico. Ciò non cambia nulla alla stima che si può avere per la profondità delle sue convinzioni comuniste, la sua energia militante e il suo grande coraggio.
8. «Operai! Alla parola d'ordine della guerra nazionale, che arma i proletari italiani contro i proletari tedeschi e inglesi, opponete la parola d'ordine della rivoluzione comunista, che unisce al di là delle frontiere gli operai del mondo intero contro il loro nemico comune: il capitalismo.» (Prometeo, n°1, 1°novembre 1943) «All'appello del centrismo [è così che la Sinistra italiana qualificava lo stalinismo] di raggiungere le bande partigiane , si deve rispondere con la presenza nelle officine da dove uscirà la violenza di classe che distruggerà i centri vitali dello Stato capitalista» (Prometeo del 4 marzo 1944).
9. Per maggiori elementi sulla questione dell'atteggiamento del PCInt verso i partigiani vedere «Le ambiguità sui "partigiani" nella costituzione del Partito Comunista Internazionalista in Italia» su Rivoluzione Internazionale n° 8.
10. Nella Revue Internationale n° 32 abbiamo pubblicato il testo completo di questo appello con i nostri commenti.
11. Occorre precisare che nella lettera inviata dal PCInt al PS in risposta a quella di quest'ultimo in seguito all'appello, il PCInt s'indirizzava alle canaglie socialdemocratiche chiamandole «cari compagni». Questo non era il modo migliore per smascherare, agli occhi degli operai, i crimini commessi contro il proletariato da questi partiti a partire dalla prima guerra mondiale e durante l’ondata rivoluzionaria che la seguì. Era al contrario un mezzo eccellente per incoraggiare le illusioni degli operai che li seguivano ancora.
12. Vedere a questo proposito la prima parte di questo articolo.
13. Su questo argomento vale la pena di fare altre citazioni del PCInt: «Le posizioni espresse dal compagno Perrone (Vercesi) alla Conferenza di Torino (1946) (…) erano delle libere manifestazioni di una esperienza del tutto personale e con una prospettiva politica fantasiosa alla quale non è lecito riferirsi per formulare critiche alla formazione del PCInt» (Prometeo n° 18, 1972). La preoccupazione è che queste posizioni erano espresse nel rapporto su «Il Partito e i problemi internazionali» presentato alla Conferenza dal Comitato centrale, di cui Vercesi faceva parte. Il giudizio dei militanti del 1972 è veramente molto severo nei riguardi del loro Partito del 1945-46, un Partito il cui Organo centrale presenta un rapporto in cui si può dire qualunque cosa. Noi supponiamo che dopo questo articolo del 1972 il suo autore sia stato seriamente rimproverato per aver così «calunniato» il PCInt del 1945 anziché riprendere la conclusione che O. Damen aveva apportato alla discussione su questo rapporto: «Non vi sono divergenze ma sensibilità particolari che permettono una chiarificazione organica dei problemi» (Processo verbale, pag. 16). E' vero che lo stesso Damen ha scoperto più tardi che le «sensibilità particolari» erano di fatto delle «posizioni bastarde» e che la «chiarificazione organica» consisteva nel «separarsi dai rami morti». In ogni caso, viva la chiarezza del 1945!
14. Sulla minoranza del 1936 nella Frazione, vedere la prima parte di questo articolo.
15. E' chiaro che se il PCInt del 1945 accetta l'integrazione di Vercesi senza chiedergli spiegazioni e si fa «forzare la mano» da Bordiga sulla questione della piattaforma è perché conta sul prestigio di questi due dirigenti «storici» per attrarre a sé un gran numero di operai e militanti. L'ostilità di Bordiga avrebbe privato il PCInt dei gruppi ed elementi del Sud dell'Italia; quella di Vercesi l'avrebbe tagliato dalla Frazione belga e dalla FFGC-bis.
16. Su questo episodio, vedere la prima parte del nostro articolo.
17. Si può dunque costatare che la «minuscola GCF», che era stata trattata con disprezzo e tenuta con cura in disparte dagli altri gruppi, è sopravvissuta malgrado tutto più a lungo della Frazione belga e della FFGC-bis. Fino alla sua scomparsa nel 1952, pubblicherà 46 numeri di Internationalisme che costituiscono un patrimonio inestimabile sul quale è stata costruita la CCI.
18. E' vero che il metodo opportunista non è l'unico a spiegare l'impatto che ha potuto avere il PCInt nel 1945. Infatti l'impatto è determinato da due cause fondamentali:
- che l'Italia è il solo paese dove si è assistito ad un reale e potente movimento della classe operaia nel corso della guerra imperialista e contro di essa;
- che la Sinistra comunista, per il fatto di avere assunto la direzione del Partito fino al 1925 e che Bordiga sia stato il principale fondatore di questo partito, godeva presso gli operai italiani di un prestigio incomparabilmente più importante che negli altri paesi.
Al contrario, una delle cause della debolezza numerica della GCF è proprio il fatto che non c'era in Francia la tradizione della Sinistra comunista nella classe operaia e che quest’ultima era stata incapace di risorgere nel corso della guerra mondiale. C'è anche il fatto che la GCF ha evitato ogni atteggiamento opportunista nei confronti delle illusioni degli operai verso la «Liberazione» e i «partigiani». Facendo ciò essa ha seguito l'esempio della Frazione nel 1936 di fronte alla guerra di Spagna, cosa che ha condotto la Frazione all'isolamento come essa constatava in Bilan n° 36.
19. Su questa questione, vedere in particolare i nostri articoli «Il rapporto Frazione-Partito nella tradizione marxista», Rivista Internazionale nn. 14 e 15.