Uno dei temi sviluppati dalla borghesia durante gli anni ’90 per mantenere il suo dominio ideologico sulla società è stato quello della supposta salute economica e prosperità del suo sistema. Secondo questa favola, dopo la recessione del 1990-91, l’economia americana avrebbe imboccato il più lungo periodo di recupero della storia. Per alcuni anni qualcuno ha finanche dichiarato che, grazie alle nuove tecnologie per le comunicazioni, il sistema era arrivato ad un’era di prosperità permanente.
Poi, nel 1997-98, l’esplosione di quelle che una volta erano considerate le esemplari economie dell’est asiatico, le “tigri” e i “dragoni”, diffuse il terrore in tutto il mondo capitalista. Storie di un imminente collasso del capitalismo e di una recessione aperta a livello mondiale riempirono i notiziari televisivi e i giornali. Tuttavia, i principali paesi capitalisti – con l’eccezione del Giappone – riuscirono a stare fuori dalla recessione ancora per un paio di anni dando qualche credibilità alla favola del capitalismo in fase di boom.
Ma oggi non si sente neanche più un bisbiglio sulle meraviglie della “new economy” sostenuta dalla “internet revolution”. Il capitalismo mondiale sta sperimentando una nuova caduta nell’abisso della sua crisi economica cronica. Tutte le maggiori economie del mondo sono ufficialmente in recessione aperta o stanno comunque in difficoltà e, al centro di questo crollo del capitalismo mondiale, vi è l’economia americana, di gran lunga la più grande del mondo. A niente sono valse le fesserie degli esponenti della borghesia che hanno cercato di mascherare fino all’ultimo minuto l’arrivo della recessione o di attribuirlo all’attacco alle Torri gemelle o alla guerra. Ormai la situazione si va aggravando di mese in mese, costringendo le borghesie dei vari paesi a prendere delle misure sempre più severe nei confronti dei lavoratori. Tutti i lavoratori si troveranno coinvolti da queste misure. Questo attacco che non potrà lasciare senza reazione i proletari che sono già costantemente confrontati a condizioni di vita che peggiorano in maniera drammatica, di fronte a dei problemi quotidiani affrontati più o meno isolatamente nel quadro della cellula familiare o della fabbrica: disoccupazione, piani di licenziamenti, soppressione di posti, precarietà, perdita del potere di acquisto, degradazione generale delle condizioni di lavoro, del tessuto sociale, aumento della produttività, problemi di salute, di scuola, di casa, di ambiente, riduzione dello stato sociale.
E’ stato reso noto, ad esempio, che in Italia gli aumenti dei prezzi e quelli dei salari viaggiano con un punto percentuale di differenza, il che significa, tenendo anche conto che le statistiche ufficiali sottostimano ampiamente l’aumento dei prezzi, che i lavoratori perdono fior di quattrini ogni anno. E questo è ancora niente visto che lo stesso Berlusconi parla di una finanziaria di un certo peso (si parla di una finanziaria pesante come quella del governo Amato, da 90.000 miliardi di lire). In Francia analogamente il governo sta mettendo mano alla riforma delle pensioni, cosa che ha provocato il 13 maggio scorso una manifestazione con più di un milione di manifestanti.
Malgrado il malcontento generale che susciteranno questi attacchi ed anche il pericolo di alimentare una rimonta di combattività operaia, la borghesia ha coscienza del rischio ancora modesto che corre nella misura in cui i proletari sono ancora dominati da un sentimento di impotenza e di rassegnazione.
Tuttavia, il periodo che si apre è tale che la classe operaia sarà sempre più costretta a comprendere che non ha altra scelta che lottare, per ritrovare e riaffermare il suo cammino di classe di fronte all’accelerazione degli attacchi della borghesia. Contrariamente agli anni ’90, l’aspetto manifesto della crisi costituisce un potente rivelatore del fallimento del sistema agli occhi dei proletari. Alle conseguenze della crisi economica si aggiunge per i proletari il prezzo da pagare per le spese di guerra e per gli armamenti in aumento crescente.
Non c’è alcuna illusione possibile su quello che ci aspetta: sempre più miseria e sfruttamento. Ma sotto i colpi della crisi e degli attacchi che ne risultano, i proletari sono spinti a reagire massicciamente ed insieme. Si creano così le condizioni perché il proletariato riprenda fiducia in sé stesso, ritrovi la sua vera identità di classe e si opponga in massa e unitariamente agli attacchi della borghesia come classe avente degli interessi propri e distinti da difendere contro quelli della borghesia.
L’avvenire appartiene al proletariato!
1/6/03
Berlusconi & company possono certamente restare soddisfatti per come hanno giocato le loro carte nell’avventura irachena. Senza neanche mettere in pericolo un solo soldato, Berlusconi può adesso sedere al tavolo dei vincitori e mandare finanche le proprie truppe di occupazione… pardon, gli uomini per l’ennesima missione umanitaria. Anche se le difficoltà e le divisioni interne alla borghesia nazionale hanno imposto al governo di centro-destra un atteggiamento prudente nei confronti del conflitto, alla fin fine Berlusconi ha concesso parecchio agli alleati anglo-americani. Anzitutto a livello logistico, permettendo ai mezzi e alle truppe americani di transitare per l’Italia, usando le ferrovie e i porti della penisola che, per la sua posizione geografica, costituisce un ottimo ponte tra l’Europa e il Medio Oriente. In secondo luogo a livello politico: l’adesione dell’Italia alla famosa lettera di intenti degli otto paesi europei che si sono schierati a favore della causa americana e quindi per il conflitto ha costituito, prima ancora che un atto di appoggio agli alleati anglo-americani, una rottura del fronte europeo e una grana di non poco conto per quelli che, come Francia, Germania e lo stesso presidente della Commissione Europea Prodi, puntavano a fare di questa sfida sulla questione irachena un passaggio nel processo di costruzione di una unità politica europea. Questo Berlusconi glielo doveva agli USA nella misura in cui, se oggi abbiamo in Italia questo governo, è anche per l’interferenza americana nella politica italiana.
Lo scontro interno alla borghesia
Ma naturalmente più Berlusconi spinge in questa direzione, più i rapporti interni con le altre forze politiche della borghesia italiana, orientate verso un’opzione di maggiore autonomia, diventano difficili. Ricordiamo che, dopo lo sfaldamento dei due blocchi imperialisti avvenuto dopo l’autunno ‘89, in Italia c’è stato un sotterraneo processo di liberazione nazionale dalla tutela americana che si è espresso attraverso la lotta alla mafia e i processi a esponenti dei partiti governativi DC e PSI (la famosa tangentopoli) allo scopo di tagliare ogni legame tra gli USA e i suoi referenti in Italia (appunto la mafia e gli esponenti dei governi di 40 anni di influenza americana). Quello che abbiamo oggi è la compresenza delle due opzioni imperialiste che si fronteggiano e che, in situazioni acute come questa, escono allo scoperto e si combattono ferocemente. Questo spiega la riacutizzazione dello scontro a cui stiamo assistendo in questo momento che è diventato violentissimo, con affermazioni che non hanno riscontri nel passato come quella del primo ministro che accusa i magistrati di essere golpisti e faziosi. Accanto a questo c’è un gioco di ricatti incredibile nella misura in cui Berlusconi si è permesso di dire che, se i magistrati avessero insistito con il loro atteggiamento persecutorio, egli avrebbe rivelato delle cose su Prodi. D’altra parte le forze di governo stanno cercando di blindare ulteriormente le loro posizioni con il cosiddetto lodo Meccanico, cioè con il ripristino dell’immunità per le alte cariche dello stato che, probabilmente, finirà per essere estesa a tutti i parlamentari. Come dire che, se proprio la sinistra insiste con il mettere sotto pressione Berlusconi, la destra è pronta a rompere il gioco e a spostare le carte su un altro tavolo.
Ma le sinistre che fanno, oltre a “tormentare” il governo?
Le sinistre, sia chiaro, non sono per principio contrarie alla politica del governo Berlusconi. D’altra parte non c’è nessun atto del governo attuale che sia qualitativamente dissimile da quelli precedenti di centro-sinistra: le mani in tasca ai lavoratori le hanno messe gli uni quanto gli altri, la guerra l’hanno fatta anche, e in maniera ben più esplicita, i governi di sinistra! L’aspetto più importante che divide destra da sinistra è appunto la scelta di campo internazionale, filo-atlantismo per Berlusconi, posizione blandamente europeista per il centro-sinistra.
A parte dunque questo contrasto sull’opzione internazionale, le sinistre in genere hanno come compito specifico e peculiare quello di controllare la classe operaia per deviarla dal suo terreno di lotta. E’ per questo che stiamo assistendo in questi giorni all’ennesima fregatura, quella relativa al referendum sull’estensione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ad aziende con meno di 15 lavoratori. Questo referendum, come tutti gli altri, è una tipica operazione di mistificazione della borghesia. La classe dominante ha i suoi normali strumenti per legiferare, che sono il parlamento e - oggi come oggi - sempre più lo stesso esecutivo. Il referendum si pone quindi come una prova del nove per la borghesia per dimostrare alla popolazione che, se vuole, può esprimere in prima persona il suo parere. Di qui tutto il suo carattere mistificatorio dato che, come è noto, la borghesia con i suoi mass-media è capace di controllare qualunque scelta popolare. D’altra parte, nella misura in cui una vittoria del referendum porrebbe qualche problema alla borghesia perché, almeno in prima istanza, dovrebbe accettare le limitazioni nelle condizioni di licenziamento nelle aziende di più piccola taglia, si vede pure come la stessa sinistra si sia disunita sulla scelta del referendum per disperdere i voti e preparare una sconfitta alla prossima scadenza del 15 giugno. Ma la maniera migliore perché i lavoratori non subiscano alcuna sconfitta a questo referendum è capire che il referendum, comunque vada, è una truffa, che i lavoratori non devono seguire le lusinghe dei falsi partiti operai e dei sindacati che hanno tutti tradito la causa del proletariato. Le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia non si possono modificare con un voto. Solo la lotta delle masse operaie può modificare i rapporti di forza.
Ezechiele,1/6/03
A fine marzo la CCI ha tenuto il suo XV congresso. Questo rivestiva per la nostra organizzazione un'importanza tutta particolare, per due ragioni essenziali.
Da una parte, dopo il precedente congresso tenutosi all'inizio del 2001, abbiamo assistito ad un aggravamento molto importante della situazione internazionale, sul piano della crisi economica e soprattutto sul piano delle tensioni imperialiste. Il congresso si è svolto nel momento in cui la guerra imperversava in Iraq ed era responsabilità dell’organizzazione sviluppare le sue analisi al fine di essere in grado di intervenire nella maniera più appropriata di fronte a questa situazione.
D'altra parte, questo congresso si teneva in un momento in cui la CCI aveva attraversato la crisi più pericolosa della sua storia. Anche se la crisi era stata superata, era necessario trarre il massimo di insegnamenti dalle difficoltà incontrate, sulla loro origine ed i mezzi di affrontarle. L'insieme delle discussioni e dei lavori del congresso è stato attraversato dalla coscienza dell'importanza di questi due problemi, che si iscrivevano nelle due grandi responsabilità di ogni congresso: l'analisi della situazione storica e l'esame delle attività che ne derivano per l'organizzazione. La CCI analizza il periodo storico attuale come la fase ultima della decadenza del capitalismo, la fase di decomposizione della società borghese, quella della sua putrefazione. Queste condizioni storiche, come vedremo più avanti, determinano le caratteristiche essenziali della vita della borghesia oggigiorno, ma hanno anche un peso notevolmente sul proletariato e le organizzazioni rivoluzionarie.
È
quindi in questo quadro che sono stati esaminati, non solo
l'aggravarsi delle tensioni imperialiste, ma anche gli ostacoli
che incontra il proletariato nel suo cammino verso gli scontri
decisivi contro il capitalismo e allo stesso tempo le difficoltà
alle quali è stata confrontata la nostra organizzazione.
L'analisi della situazione internazionale
Per certe organizzazioni del campo proletario, in particolare il BIPR, le difficoltà organizzative incontrate dalla CCI ultimamente, come quelle conosciute nel 1981 e all'inizio degli anni 1990, derivano dalla sua incapacità a fornire un'analisi appropriata del periodo storico attuale. Soprattutto la nostra analisi della decomposizione viene considerata come una manifestazione del nostro "idealismo".
È vero che la chiarezza teorica e politica è un'arma essenziale per un'organizzazione che pretende di essere rivoluzionaria. Se questa non è in grado di comprendere la vera posta in gioco del periodo storico in cui opera, rischia di venire sballottata dagli avvenimenti, di cadere nello smarrimento ed alla fine di essere spazzata via dalla storia. È vero anche che la chiarezza non si decreta, ma è il frutto di una volontà, di una lotta per forgiare tali armi. Una lotta che esige affrontare con metodo, il metodo marxista, le questioni nuove poste dall'evoluzione delle condizioni storiche. Questa è stata la preoccupazione esenziale che ha animato i rapporti preparati per il congresso ed tutti i suoi dibattiti. Il congresso ha inscritto questo procedimento nell'ambito della visione marxista della decadenza del capitalismo e della sua fase attuale di decomposizione. Esso ha ricordato che la visione della decadenza non solo era quella della III Internazionale, ma che essa è una base stessa della visione marxista. È questo quadro e questa chiarezza storica che hanno permesso alla CCI di misurare la gravità della situazione in cui la guerra diviene un fattore permanente.
Nello specifico, il congresso doveva esaminare in che misura il quadro d'analisi di cui si era dotata la CCI era capace di rendere conto della situazione presente. La discussione ha confermato la validità di questo quadro. La situazione attuale e la sua evoluzione costituiscono, infatti, una piena conferma delle analisi che la CCI si era dato fin dalla fine del 1989, al momento del crollo del blocco dell'Est. Gli avvenimenti attuali, come l'antagonismo crescente tra gli Stati Uniti ed i loro vecchi alleati che si è manifestato apertamente nella crisi recente, la moltiplicazione dei conflitti con l'implicazione diretta della prima potenza mondiale, che sfoggia ogni volta di più la sua forza militare, erano già previsti nelle Tesi che la CCI ha prodotto nel 1989-'90 (1). Il congresso ha riaffermato anche che l'attuale guerra in Iraq non si riduce, come alcuni settori della borghesia vorrebbero far credere, ad una "guerra per il petrolio". In questa guerra il controllo del petrolio ha una valenza strategia per la borghesia americana e non innanzitutto economica. È uno dei mezzi di ricatto e di pressione che gli Stati Uniti usano per contrastare i tentativi di altre potenze, come i grandi Stati d'Europa ed il Giappone, di giocare le proprie carte sullo scacchiere imperialista mondiale. Nei fatti, dietro l'idea che le guerre attuali avrebbero una certa "razionalità economica" c'è un rifiuto a tener conto dell'estrema gravità della situazione in cui si trova il sistema capitalista. Sottolineando questa gravità, la CCI si è deliberatamente posta nella scia del marxismo che non dà ai rivoluzionari il compito di consolare la classe operaia, ma al contrario di fargli misurare l'importanza dei pericoli che minacciano l'umanità e dunque di sottolineare l'ampiezza della propria responsabilità.
E, nella visione della CCI, mostrare al proletariato la gravità della posta in gioco è tanto più necessario oggi che questo trova delle enormi difficoltà a ritrovare il cammino delle lotte coscienti e di massa contro il capitalismo. Questo è stato un altro punto essenziale della discussione sulla situazione internazionale: su che cosa possiamo oggi fondare la fiducia, che il marxismo ha sempre affermato, sulla capacità della classe sfruttata di rovesciare il capitalismo e di liberare l'umanità dalle calamità che l'assillano in maniera crescente.
Quale fiducia nella capacità nella classe operaia a far fronte alla posta in gioco storica?
La CCI ha già, e a numerose riprese, messo in evidenza che la decomposizione della società capitalista pesa negativamente sulla coscienza del proletariato (2). Così come, fin dall'autunno 1989, ha sottolineato che il crollo dei regimi stalinisti avrebbe provocato delle "accresciute difficoltà per il proletariato" (titolo di un articolo della Révue Internazionale, n. 60). Da allora, l'evoluzione della lotta di classe non ha fatto che confermare questa previsione.
Di fronte a questa situazione, il congresso ha riaffermato che la classe conserva tutte le potenzialità per arrivare ad assumersi la sua responsabilità storica. È anche vero che essa è attualmente ancora in una situazione di riflusso importante sul piano della coscienza, dovuto alle campagne borghesi che assimilano marxismo e comunismo allo stalinismo e che stabiliscono una continuità tra Lenin e Stalin. Inoltre, la situazione presente è caratterizzata da una marcata perdita di fiducia dei proletari nella propria forza e nella propria capacità a fare anche delle lotte difensive, il che può condurli a perdere di vista la loro identità di classe. E bisogna notare che la tendenza alla perdita di fiducia nella classe si esprime anche nelle organizzazioni rivoluzionarie, principalmente sotto forma di spinte improvvise d'euforia di fronte a movimenti come quello in Argentina alla fine del 2001 (presentato come una formidabile spinta proletaria nel momento in cui la classe era diluito nell'interclassismo). Ma una visione materialistica, storica, a lungo termine, ci insegna, per parafrasare Marx, "che non si tratta di considerare ciò che questo o quel proletario, o anche il proletariato nel suo insieme, prende oggi per verità, ma di considerare ciò che é il proletariato e ciò che sarà storicamente condotto a fare, conformemente al suo essere". Una tale visione ci mostra in particolare che, di fronte ai colpi della crisi del capitalismo che si traducono in attacchi sempre più feroci, la classe reagisce e reagirà necessariamente sviluppando la sua lotta.
Questa lotta, all'inizio, sarà caratterizzata da una serie di scaramucce, che annunceranno uno sforzo per andare verso lotte sempre più massicce. È in questo processo che la classe operaia si concepirà di nuovo come la classe sfruttata e tenderà a ritrovare la sua identità, aspetto essenziale che a sua volta stimolerà la lotta. Allo stesso tempo la guerra, che tende a divenire un fenomeno permanente, che svela ogni giorno di più le tensioni estremamente forti che esistono tra le grandi potenze e soprattutto il fatto che il capitalismo è incapace di sradicare questo flagello, che non può che opprimere sempre più l'umanità, favorirà una riflessione in profondità della classe. Tutte queste potenzialità sono contenute nella situazione attuale. Esse impongono alle organizzazioni rivoluzionarie di esserne coscienti e di sviluppare un intervento per metterle a frutto. Intervento essenziale, soprattutto in direzione della minoranza in ricerca a livello internazionale.
Ma per essere all'altezza della loro responsabilità, è necessario che le organizzazioni rivoluzionarie siano in grado di far fronte, non solo agli attacchi diretti che la classe dominante tenta di portare loro, ma anche alla penetrazione al loro interno del peso ideologico che quest'ultima diffonde nell'insieme della società. In particolare, il loro dovere é combattere gli effetti più deleteri della decomposizione i quali, come colpiscono la coscienza dell'insieme del proletariato, pesano ugualmente sui loro militanti, distruggendo le loro convinzioni e la loro volontà di operare al compito rivoluzionario. È giustamente un tale attacco dell'ideologia borghese favorito dalla decomposizione che la CCI ha dovuto affrontare nel corso dell'ultimo periodo e la volontà di difendere la capacità dell'organizzazione ad assumersi le sue responsabilità è stata al centro delle discussioni del congresso sulle attività della CCI.
Le attività e la vita della CCI
Il congresso ha tirato un bilancio positivo delle attività svolta dal precedente congresso, nel 2001. Nel corso dei due ultimi anni la CCI ha mostrato di essere capace di difendersi di fronte ai più pericolosi effetti della decomposizione, principalmente le tendenze nichiliste che hanno colpito un certo numero di militanti che si sono costituiti in "frazione interna". Essa ha saputo combattere gli attacchi di questi elementi il cui obiettivo era, in tutta evidenza, la sua distruzione. Fin dall'inizio dei suoi lavori, con una totale unanimità, il congresso, dopo la conferenza straordinaria tenuta ad aprile del 2002, ha ancora una volta ratificato tutta la lotta condotta contro questa combriccola e stigmatizzato i suoi comportamenti provocatori. E' con una totale convinzione che ha denunciato la natura anti-proletaria di questo raggruppamento. Ed è in maniera unanime che ha pronunciato l'esclusione di elementi della "frazione" che avevano coronato i loro comportamenti contro la CCI pubblicando (e rivendicando questa pubblicazione) sul loro sito Internet informazioni che facevano direttamente il gioco dei servizi di polizia dello Stato borghese (3). Questi elementi, benché si erano rifiutati di venire al congresso ed in seguito di presentare la loro difesa di fronte ad una commissione speciale nominata da quest'ultimo, non hanno trovato altra cosa da fare, nel loro bollettino n.18, che proseguire la campagna di calunnie contro la nostra organizzazione, dando la prova che il loro scopo non era affatto convincere l'insieme dei militanti di quest'ultima dei pericoli di cui la minacciava una pretesa "fazione liquidatrice", ma di screditarla il più possibile, visto che non erano riusciti a distruggerla.
Come mai questi elementi hanno potuto sviluppare all'interno dell'organizzazione un'azione tale da minacciare la sua distruzione?
In rapporto a questa questione il congresso ha messo in evidenza un certo numero di debolezze che si sviluppavano a livello del proprio funzionamento, debolezze che sono essenzialmente legate ad uno spirito di circolo che ritorna in forza, favorito dal peso negativo della decomposizione della società capitalista. Un aspetto di questo peso negativo è il dubbio e la perdita della fiducia nella classe, che porta a vedere solo la sua debolezza immediata. Lungi dal favorire lo spirito di partito, ciò favorisce la tendenza per la quale i legami d'affinità e dunque la fiducia in certi individui si sostituiscono alla fiducia nei principi di funzionamento. Gli elementi che vanno a formare la "frazione interna" erano un'espressione caricaturale di queste deviazioni e di questa perdita di fiducia nella classe. La loro dinamica di degenerazione si è servita di queste debolezze che attualmente pesano su tutte le organizzazioni proletarie, il cui peso è tanto più pericoloso in quanto la maggior parte di queste non ne hanno alcuna coscienza. È con una violenza mai conosciuta fino ad ora nella storia della CCI, che questi elementi hanno sviluppato le loro azioni distruttrici. La perdita di fiducia nella classe, l'indebolimento della convinzione militante, si sono accompagnati ad una perdita di fiducia nell'organizzazione, nei suoi principi e ad un disprezzo totale per i suoi statuti. Questa cancrena poteva contaminare tutta l'organizzazione e sabotare la fiducia e la solidarietà nei suoi ranghi e dunque nelle sue stesse fondamenta.
Il congresso ha affrontato senza paura la messa in evidenza delle debolezze di tipo opportunista che avevano permesso al clan, auto-proclamatosi "frazione interna", di minacciare la vita stessa dell'organizzazione. Esso ha potuto farlo perché la CCI esce rafforzata dalla lotta che ha portato avanti.
D'altra parte, se la CCI sembra avere una vita tanto movimenta, fatta di crisi che si ripetono è proprio perché essa lotta apertamente contro ogni penetrazione opportunistica. È stata essenzialmente la difesa, senza concessioni, dei suoi statuti e dello spirito proletario che questi esprimono, a suscitare la rabbia di una minoranza presa da un opportunismo senza freni, cioè un abbandono totale dei principi in materia di organizzazione. Su questo piano, la CCI a proseguito la lotta del movimento operaio, in particolare di Lenin e del partito bolscevico i cui i detrattori ne stigmatizzavano le crisi a ripetizione e le molteplici lotte sul piano organizzativo. Nella stessa epoca la vita del partito socialdemocratico tedesco era molto meno agitata, ma la calma opportunista che lo caratterizzava (alterata solamente dai "turbamenti" di sinistra come quello di Rosa Luxemburg) annunciava il suo tradimento del 1914! Le crisi del partito bolscevico invece costruivano la forza che ha permesso la rivoluzione del 1917!
Ma la discussione sulle attività non si è limitata alla difesa diretta dell'organizzazione contro gli attacchi che subiva. Ha invece particolarmente insistito sulla necessità di proseguire lo sforzo di sviluppo della capacità teorica della CCI, constatando al contempo che la lotta contro questi attacchi ha profondamente stimolato lo sforzo in questa direzione. Il bilancio di questi due ultimi anni mostra un arricchimento teorico: su di una visione più storica della fiducia e della solidarietà nel proletariato, elementi essenziali della lotta di classe; sul pericolo d'opportunismo che aspetta al varco le organizzazioni incapaci di analizzare un cambiamento di periodo; sul pericolo del democratismo. D’altra parte, come ci è stato insegnato da Marx, Rosa Luxemburg, Lenin, dai militanti della Frazione italiana e da altri rivoluzionari ancora, questa preoccupazione della lotta sul terreno teorico è parte pregnante della lotta contro l'opportunismo, minaccia mortale per le organizzazioni comuniste.
Infine, il congresso ha fatto un primo bilancio del nostro intervento nella classe operaia a proposito della guerra in Iraq. Ha constatato la notevole capacità di mobilitazione della CCI in quest'occasione poiché, fin da prima dell'inizio delle operazioni militari, le nostre sezioni hanno realizzato una significativa diffusione della stampa in numerose manifestazioni, pubblicando, quando è stato necessario, supplementi alla stampa regolare e ingaggiando discussioni politiche con numerosi elementi che non conoscevano fin ad allora la nostra organizzazione. Appena la guerra è scoppiata, la CCI ha immediatamente pubblicato un volantino internazionale tradotto in tredici lingue (4) che è stato distribuito in 14 paesi e in più di 50 città, soprattutto davanti alle fabbriche, e che è stato poi pubblicato sul nostro sito Internet.
Possiamo senz’altro dire che questo congresso è stato un momento che ha espresso il rafforzamento della nostra organizzazione. La CCI si richiama con forza alla lotta che ha condotto e che prosegue per la sua difesa, per la costruzione delle basi del futuro partito e al fine di sviluppare la sua capacità di intervento nella lotta storica della classe. È convinta di essere, in questa lotta, un anello della catena delle organizzazioni del movimento operaio.
La CCI
1. Per tale argomento vedere principalmente le "Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'Est" (Rivista Internazionale n°13) redatto due mesi prima della caduta del muro di Berlino e "Militarismo e decomposizione" (datato dal 4 ottobre 1990 e pubblicato nella Rivista Internazionale n°15).
2. Vedere principalmente: "La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo", punti 13 e 14 (Rivista Internazionale n°14)
3. Su tale argomento vedere il nostro articolo "I metodi polizieschi della 'FICCI'", in Rivoluzione Internazionale n°130.
4. Le lingue delle nostre pubblicazioni territoriali più il portoghese, il russo, l'indiano, il bengalese, il farsi, il coreano.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/lotte-italia
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/4/85/iraq
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/imperialismo-italiano
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso