È bastata una notte perché il tuono delle armi e l'urlo delle bombe risuonassero di nuovo in Ucraina, alle porte della culla storica del capitalismo in decomposizione. Nel giro di poche settimane, questa guerra di una portata e brutalità senza precedenti, ha devastato intere città, gettato milioni di donne, bambini e vecchi per le strade ghiacciate d’inverno, sacrificato innumerevoli vite umane sull’altare della Patria. Kharkiv, Sumy o Irpin sono ora campi di rovine. Nel porto industriale di Mariupol, che è stato completamente raso al suolo, il conflitto è costato la vita a non meno di 5.000 persone, probabilmente di più. La devastazione e gli orrori di questa guerra ricordano le immagini terrificanti delle devastazioni di Grozny, Fallujah o Aleppo. Ma, mentre sono occorsi mesi, a volte anni, per produrre tali devastazioni, in Ucraina non c'è stata nessuna “escalation omicida”: in appena un mese, i belligeranti hanno gettato tutte le loro forze nella carneficina e devastato uno dei più grandi paesi d’Europa!
La guerra è un terrificante momento di verità per il capitalismo decadente: esibendo le sue macchine di morte, la borghesia toglie improvvisamente la maschera ipocrita di civiltà, di pace e compassione che finge di indossare con l’insopportabile arroganza delle classi dominanti divenute anacronistiche. Eccola qui, che si dibatte in un torrente furioso di propaganda per meglio nascondere il suo turpe volto di assassino. Come non essere colti dall’orrore alla vista di questi poveri ragazzi russi, chiamati alle armi all’età di 19 o 20 anni, con i loro volti da adolescenti trasformati in assassini, come a Boutcha e in altre località recentemente abbandonate? Come non indignarsi quando Zelensky, il “servitore del popolo”, prende spudoratamente in ostaggio un’intera popolazione decretando la “mobilitazione generale” di tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni, con il divieto a tutti loro di lasciare il paese? Come si può non essere inorriditi dagli ospedali bombardati, dai civili terrorizzati e affamati, dalle esecuzioni sommarie, dai cadaveri sepolti negli asili e dal pianto straziante degli orfani?
La guerra in Ucraina è una manifestazione odiosa del vertiginoso precipitare del capitalismo nel caos e nella barbarie. Un quadro sinistro sta emergendo davanti ai nostri occhi: da due anni, la pandemia di Covid ha notevolmente accelerato questo processo di cui è essa stessa è il prodotto mostruoso[1]. L'IPCC prevede cataclismi e cambiamenti climatici irreversibili, minacciando ulteriormente l’umanità e la biodiversità su scala planetaria. Le grandi crisi politiche si moltiplicano, come abbiamo visto dopo la sconfitta di Trump negli Stati Uniti, lo spettro del terrorismo incombe sulla società, così come il rischio nucleare che la guerra ha riportato alla ribalta. I continui massacri e il caos bellico, gli inesorabili attacchi economici, l’esplosione della miseria sociale, le catastrofi climatiche su larga scala... la simultaneità e l’accumulazione di tutti questi fenomeni non è una sfortunata coincidenza; al contrario, testimonia la condanna del capitalismo assassino davanti al tribunale della storia.
Se l'esercito russo ha attraversato il confine, non è certo per difendere il “popolo russo” “assediato dall’Occidente”, né per “aiutare” gli ucraini di lingua russa che sarebbero vittime della “nazificazione” del governo di Kiev. Né la pioggia di bombe che si abbatte sull’Ucraina è il prodotto del “delirio” di un “autocrate pazzo”, come la stampa ripete in tutte le tonalità ogni volta che è necessario giustificare un massacro[2] e nascondere il fatto che questo conflitto, come tutti gli altri, è prima di tutto la manifestazione di una società borghese decadente e militarizzata che non ha più nulla da offrire all'umanità se non la propria distruzione!
“Aggressori” e “aggrediti”, tutti briganti imperialisti
Non ci si preoccupa della morte e della distruzione, del caos e dell’instabilità ai propri confini: per Putin e la sua cricca, era necessario difendere gli interessi del capitale russo e il suo posto nel mondo, entrambi indeboliti dal crescente slittamento dei paesi tradizionalmente sotto la propria sfera d’influenza verso l’Occidente. La borghesia russa può presentarsi come “vittima” della NATO, ma Putin non ha mai esitato, di fronte al fallimento della sua offensiva, a condurre una terribile campagna di terra bruciata e di massacri, sterminando tutto ciò che gli capitava a tiro, comprese le popolazioni russofone che era venuto a proteggere!
Né c’è nulla da aspettarsi neanche da Zelensky e dal suo entourage di politici e oligarchi corrotti. Questo ex comico gioca ora alla perfezione il ruolo di adulatore senza scrupoli degli interessi della borghesia ucraina. Attraverso un’intensa campagna nazionalista, è riuscito ad armare la popolazione, a volte con la forza, e a reclutare un intero branco di mercenari e maniaci armati elevati al rango di “eroi della nazione”. Zelensky sta facendo il giro delle capitali occidentali, rivolgendosi a tutti i parlamenti, per implorare la consegna di sempre più armi e munizioni. Quanto alla “eroica resistenza ucraina”, sta facendo quello che fanno tutti gli eserciti del mondo: spara nel mucchio, massacra, saccheggia e non risparmia di picchiare o addirittura giustiziare i prigionieri!
Tutte le potenze democratiche fingono di indignarsi per i “crimini di guerra” perpetrati dall’esercito russo. Che ipocrisia! Nel corso della storia, non hanno mai smesso di ammassare cadaveri e rovine ai quattro angoli del mondo. Mentre si piange sulla sorte della popolazione vittima dall’“orco russo”, le potenze occidentali consegnano quantità astronomiche di armi da guerra, assicurano l’addestramento e forniscono tutte le informazioni necessarie per gli attacchi e i bombardamenti dell’esercito ucraino, compreso il reggimento neonazista Azov[3]!
Soprattutto, moltiplicando le sue provocazioni, la borghesia americana ha fatto tutto il possibile per spingere Mosca in una guerra che è persa in anticipo. Per gli Stati Uniti, la cosa principale è dissanguare la Russia e avere mano libera per rompere le pretese egemoniche della Cina, il principale obiettivo del potere statunitense. Questa guerra permette anche agli Stati Uniti di contenere e contrastare il grande progetto imperialista cinese delle “Vie della Seta”. Per raggiungere i suoi fini, la “grande democrazia americana” non ha esitato a incoraggiare un’avventura militare totalmente irrazionale e barbara, aumentando la destabilizzazione globale e il caos nelle vicinanze dell’Europa occidentale.
Il proletariato non deve scegliere una parte contro l'altra! Non ha nessuna patria da difendere e deve combattere il nazionalismo e l’isteria sciovinista della borghesia ovunque! Deve combattere con le proprie armi e i propri mezzi contro la guerra!
Per lottare contro la guerra, bisogna lottare contro il capitalismo
Oggi il proletariato in Ucraina, schiacciato da più di 60 anni di stalinismo, ha subito una grande sconfitta e si è lasciato ammaliare dalle sirene del nazionalismo. In Russia, anche se il proletariato si è mostrato un po’ più reticente, la sua incapacità di frenare gli impulsi bellicosi della propria borghesia spiega perché la cricca al potere ha potuto inviare 200.000 soldati al fronte senza temere le reazioni dei lavoratori. Nelle principali potenze capitaliste, in Europa occidentale e negli Stati Uniti, il proletariato non ha oggi né la forza né la capacità politica di opporsi direttamente a questo conflitto attraverso la solidarietà internazionale e la lotta contro la borghesia in tutti i paesi. Per il momento non è in grado di fraternizzare ed entrare in lotta massicciamente per fermare il massacro.
Tuttavia, anche se i pericoli della propaganda e delle manifestazioni di ogni tipo rischiano di trascinarlo nel vicolo cieco della difesa del nazionalismo filo-ucraino o nella falsa alternativa del pacifismo, il vecchio proletariato dei paesi occidentali, con la sua esperienza di lotte di classe e dei trucchi della borghesia, rimane ancora il principale antidoto di fronte all’ingranaggio distruttivo e alla spirale di morte del sistema capitalista. D’altra parte la borghesia occidentale è stata ben attenta a non intervenire direttamente in Ucraina perché sa che la classe operaia non accetterà il sacrificio quotidiano di migliaia di soldati arruolati in scontri bellici.
Anche se disorientata e ancora indebolita da questa guerra, la classe operaia dei paesi occidentali mantiene intatte le sue potenzialità e la sua capacità di sviluppare le sue lotte sul terreno della resistenza ai nuovi sacrifici generati dalle sanzioni contro l’economia russa e dall’aumento colossale dei bilanci militari: l’inflazione galoppante, l’aumento della maggior parte dei prodotti della vita quotidiana che induce e l’accelerazione degli attacchi contro le sue condizioni di vita e di sfruttamento.
I proletari possono e devono opporsi a tutti i sacrifici che la borghesia esige. È attraverso le sue lotte che il proletariato potrà creare un rapporto di forza con la classe dominante per trattenere il suo braccio assassino! Perché la classe operaia, produttrice di tutta le ricchezze, è alla lunga l’unica forza della società capace di porre fine alla guerra impegnandosi sulla via del rovesciamento del capitalismo.
Questo è, d’altronde, ciò che la storia ci ha mostrato quando il proletariato è insorto in Russia nel 1917 e in Germania l’anno seguente, mettendo fine alla guerra con un’enorme rivolta rivoluzionaria! Mentre la guerra mondiale infuriava, i rivoluzionari tenevano la rotta difendendo intransigentemente il principio elementare dell’internazionalismo proletario. Ora è responsabilità dei rivoluzionari trasmettere l’esperienza del movimento operaio. Di fronte alla guerra, la loro prima responsabilità è di parlare con una sola voce per sventolare fermamente la bandiera dell’internazionalismo, l’unica che può far tremare di nuovo la borghesia!
CCI, 4 aprile 2022
[1] In Cina, la pandemia sta facendo un forte ritorno (riconfinamento a Shanghai, in particolare). Inoltre, è lungi dall'essere sotto controllo nel resto del mondo.
[2] Da Hitler ad Assad, passando per Hussein, Milosevic, Gheddafi o Kim Jong-un... il nemico sorprendentemente soffre sempre di gravi disturbi psicologici.
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Le organizzazioni della sinistra comunista devono difendere in modo unitario il loro patrimonio comune di adesione ai principi dell'internazionalismo proletario soprattutto in un momento di grande pericolo per la classe operaia mondiale. Il ritorno della carneficina imperialista in Europa nella guerra in Ucraina è un tale momento. Per questo pubblichiamo qui di seguito, con altri firmatari provenienti dalla tradizione della sinistra comunista (e un gruppo con una traiettoria diversa che sostiene pienamente la dichiarazione), una dichiarazione comune sulle prospettive fondamentali per la classe operaia di fronte alla guerra imperialista.
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La guerra che si svolge in Ucraina non viene combattuta negli interessi della classe operaia, che è una classe di unità internazionale, ma secondo gli interessi contrapposti di tutte le diverse potenze imperialiste, grandi e piccole. È una guerra su territori strategici, per il dominio militare ed economico, combattuta, apertamente e non, dai guerrafondai a capo delle macchine statali degli USA, della Russia e dell'Europa occidentale, con la classe dirigente ucraina che agisce come una pedina, per nulla innocente, sullo scacchiere imperialistico mondiale.
La classe operaia, non lo Stato ucraino, è la vera vittima di questa guerra, sia in quanto donne e bambini indifesi massacrati, rifugiati affamati e carne da cannone arruolata in entrambi gli eserciti, sia nella crescente indigenza che gli effetti della guerra porteranno ai lavoratori in tutti i Paesi.
La classe capitalista e il suo modo di produzione borghese non possono superare le sue conflittuali divisioni nazionali, che portano alla guerra imperialista. Il sistema capitalista non può evitare di sprofondare in una maggiore barbarie.
Da parte sua, la classe operaia mondiale non può evitare di sviluppare la sua lotta contro il deterioramento dei salari e degli standard di vita. Quest’ultima guerra, la più grande in Europa dal 1945, annuncia il futuro del capitalismo a livello mondiale se la lotta della classe operaia non porta al rovesciamento della borghesia e alla sua sostituzione con il potere politico della classe operaia, la dittatura del proletariato.
L'imperialismo russo vuole invertire l'enorme battuta d'arresto che ha ricevuto nel 1989 e diventare di nuovo una potenza mondiale. Gli Stati Uniti vogliono preservare il loro status di superpotenza e la loro leadership mondiale. Le potenze europee temono l'avanzata russa ma anche il dominio schiacciante degli USA. L'Ucraina sta cercando di allearsi con l’uomo forte, l’imperialismo più forte.
Ammettiamolo, gli Stati Uniti e le potenze occidentali usano le menzogne più convincenti e il più grande sistema mediatico della menzogna per giustificare i loro veri obiettivi in questa guerra. Si fa credere infatti che stiano reagendo all'aggressione russa contro piccoli Stati sovrani, difendendo la democrazia contro l'autocrazia del Cremlino, sostenendo i diritti umani di fronte alla brutalità di Putin.
I gangster imperialisti più forti di solito dispongono della migliore propaganda di guerra, della menzogna più grande, perché possono provocare e manovrare i loro nemici a sparare per primi. Ricordiamo i tanto pacifici interventi recenti di queste potenze in Medio Oriente, in Siria, Iraq e Afghanistan e come la potenza aerea degli Stati Uniti ha recentemente spianato la città di Mosul, come le forze della coalizione hanno messo a ferro e fuoco la popolazione irachena con il falso pretesto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa. Sono ancora da ricordare, andando più indietro nel tempo, gli innumerevoli crimini di queste democrazie contro i civili durante il secolo scorso, negli anni Sessanta in Vietnam, negli anni Cinquanta in Corea, durante la Seconda guerra mondiale a Hiroshima, Dresda o Amburgo. Gli oltraggi russi contro la popolazione ucraina sono essenzialmente tratti dallo stesso manuale imperialista.
Il capitalismo ha catapultato l'umanità nell’era della guerra imperialista permanente. È un’illusione chiedergli di 'fermare' la guerra. La 'pace' può essere solo una parentesi nel capitalismo guerriero.
Più sprofonda in una crisi insolubile, più grande sarà la distruzione militare che il capitalismo porterà insieme alle sue crescenti catastrofi di inquinamento ed epidemie. Il capitalismo è marcio e maturo per un cambiamento rivoluzionario.
Il sistema capitalistico, sempre più un sistema di guerra e di orrori, non trova nessuna opposizione di classe significativa al suo dominio, tanto che il proletariato subisce l'aggravarsi dello sfruttamento della sua forza-lavoro, e gli estremi sacrifici che l'imperialismo gli chiede di fare sul campo di battaglia.
Lo sviluppo della difesa dei suoi interessi di classe, così come la sua coscienza di classe, stimolata attraverso il ruolo indispensabile dell'avanguardia rivoluzionaria, nascondono un potenziale ancora più grande della classe operaia, la capacità di unirsi come classe per rovesciare l'intero apparato politico della borghesia, come fece in Russia nel 1917 e minacciò di fare in Germania e altrove in quel periodo. Ovvero, rovesciare il sistema che porta alla guerra. Infatti la Rivoluzione d’Ottobre e le insurrezioni che essa ha suscitato nelle altre potenze imperialiste sono un esempio luminoso non solo di opposizione alla guerra ma anche di attacco al potere della borghesia.
Oggi siamo ancora lontani da un tale periodo rivoluzionario. Allo stesso modo, le condizioni della lotta del proletariato sono diverse da quelle che esistevano all'epoca del primo massacro imperialista. D'altra parte, ciò che rimane uguale, di fronte alla guerra imperialista, sono i principi fondamentali dell'internazionalismo proletario e il dovere delle organizzazioni rivoluzionarie di difendere questi principi con le unghie e con i denti, contro corrente quando è necessario, in seno al proletariato
I villaggi di Zimmerwald e Kienthal, in Svizzera, divennero famosi come i luoghi di incontro dei socialisti di entrambi gli schieramenti nella prima guerra mondiale, per iniziare una lotta internazionale, per porre fine al macello e denunciare i leader patriottici dei partiti socialdemocratici. Fu in queste riunioni che i bolscevichi, appoggiati dalla Sinistra di Brema e dalla Sinistra olandese, portarono avanti i principi essenziali dell'internazionalismo contro la guerra imperialista, che sono validi ancora oggi: nessun appoggio a nessuno dei due campi imperialisti; rifiuto di ogni illusione pacifista; e riconoscimento che solo la classe operaia e la sua lotta rivoluzionaria possono mettere fine al sistema che si basa sullo sfruttamento della forza lavoro e genera permanentemente la guerra imperialista.
Negli anni ’30 e ’40 fu solo la corrente politica oggi chiamata Sinistra Comunista a tenere fede ai principi internazionalisti sviluppati dai bolscevichi nella Prima Guerra Mondiale. La Sinistra italiana e la Sinistra olandese si opposero attivamente a entrambi gli schieramenti nella Seconda Guerra Mondiale imperialista, rifiutando sia le giustificazioni del massacro fasciste che quelle antifasciste - a differenza delle altre correnti che si appellavano alla rivoluzione proletaria, compreso il trotskismo. Così facendo, queste Sinistre comuniste rifiutarono qualsiasi sostegno all'imperialismo della Russia stalinista nel conflitto.
Oggi, di fronte all'accelerazione del conflitto imperialista in Europa, le organizzazioni politiche basate sull'eredità della sinistra comunista continuano a tenere alta la bandiera di un coerente internazionalismo proletario, e costituiscono un punto di riferimento per chi difende i principi della classe operaia.
Ecco perché le organizzazioni e i gruppi della sinistra comunista di oggi, piccoli di numero e poco conosciuti, hanno deciso di pubblicare questa dichiarazione comune, e diffondere il più possibile i principi internazionalisti che sono stati forgiati contro la barbarie di due guerre mondiali.
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Corrente Comunista Internazionale (it.internationalism.org [4])
Istituto Onorato Damen (http://www.istitutoonoratodamen.it [5])
Internationalist Voice (en.internationalistvoice.org) [6]
International Communist Perspective (Korea - http://communistleft.jinbo.net/xe/ [7]), sostiene totalmente la dichiarazione congiunta
6 aprile 2022
La società borghese, marcia fino all’osso, malata di se stessa, sta ancora una volta vomitando il suo turpe torrente di ferro e fuoco. Ogni giorno la carneficina ucraina diffonde la sua processione di bombardamenti massicci, imboscate, assedi e colonne di rifugiati che fuggono a milioni dal fuoco continuo dei belligeranti. In mezzo al diluvio di propaganda riversata dai governi di tutti i paesi, spiccano due menzogne: la prima presenta Putin come un “folle autocrate” pronto a tutto pur di diventare il nuovo zar di un ricostituito impero e fare man bassa sulle “ricchezze” dell’Ucraina; l’altra attribuisce la responsabilità essenziale del conflitto agli “sterminatori” delle popolazioni russofone del Donbass che gli “eroici” soldati russi hanno dovuto proteggere a rischio della loro vita. La borghesia si è sempre preoccupata di nascondere le vere cause della guerra avvolgendole nel velo ideologico della “civilizzazione”, della “democrazia”, dei “diritti umani” e del “diritto internazionale”. Ma la vera causa della guerra è il capitalismo!
Da quando Putin è salito al potere nel 2000, la Russia ha fatto grandi sforzi per costruire un esercito più moderno e riguadagnare influenza in Medio Oriente, soprattutto in Siria, ma anche in Africa inviando mercenari in Libia, Africa centrale e Mali, seminando sempre più caos. Negli ultimi anni, non ha esitato a lanciare offensive dirette, in Georgia nel 2008 e poi occupando la Crimea e il Donbass nel 2014 nel tentativo di fermare il declino della sua sfera d’influenza, con il rischio di creare una grande instabilità ai suoi stessi confini. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, la Russia ha creduto di poter approfittare dell’indebolimento degli Stati Uniti per cercare di riportare l’Ucraina nella sua sfera d’influenza, un territorio essenziale per la sua posizione in Europa e nel mondo, soprattutto perché Kiev minacciava di entrare nella NATO.
Dal crollo del blocco orientale, non è certo la prima volta che la guerra infuria sul continente europeo. Le guerre nei Balcani negli anni '90 e il conflitto nel Donbass nel 2014 avevano già portato miseria e desolazione nel continente. Ma la guerra in Ucraina ha già oggi implicazioni ben più gravi rispetto ai conflitti precedenti, e mostra come il caos si stia avvicinando sempre più ai principali centri del capitalismo.
La Russia, una delle principali potenze militari, è direttamente e massicciamente coinvolta nell’invasione di un paese che occupa una posizione strategica in Europa, ai confini dell’Unione Europea. Al momento in cui scriviamo, si dice che la Russia abbia perso più di 10.000 soldati e molti altri feriti o disertori. Intere città sono state bombardate. Il numero di vittime civili è probabilmente considerevole. E tutto questo in appena un mese di guerra![1]. La regione vede già ora un’enorme concentrazione di truppe ed equipaggiamenti militari avanzati, non solo in Ucraina, con armi, soldati e mercenari che arrivano da ogni parte, ma anche in tutta l’Europa orientale con il dispiegamento di migliaia di truppe della NATO e la mobilitazione del solo alleato di Putin, la Bielorussia. Diversi Stati europei hanno anche deciso di aumentare considerevolmente i loro sforzi in termini di armamenti, in primo luogo i paesi baltici, ma anche la Germania, che ha recentemente annunciato il raddoppio del budget per la sua “difesa”.
La Russia, da parte sua, minaccia regolarmente il mondo intero di rappresaglie militari e brandisce senza vergogna il suo arsenale nucleare. Il ministro della Difesa francese è arrivato a ricordare a Putin che aveva di fronte delle “potenze nucleari”, prima di calmarsi a favore di un tono più “diplomatico”. Senza parlare di un conflitto nucleare, il rischio di un grave incidente industriale è ancora da temere. Già ci sono stati combattimenti feroci nei siti nucleari di Chernobyl e Zaporizhia, dove dei locali (fortunatamente uffici) hanno preso fuoco dopo un bombardamento.
A questo si aggiunge una grande crisi migratoria nella stessa Europa. Milioni di ucraini stanno fuggendo nei paesi vicini per scappare dalla guerra e dal reclutamento forzato nell’esercito di Zelensky. Ma dato il peso del populismo in Europa e la volontà talvolta esplicita di diversi Stati di strumentalizzare cinicamente i migranti per fini imperialistici (come abbiamo visto recentemente alla frontiera bielorussa o attraverso le regolari minacce della Turchia all’Unione Europea), a lungo termine questo esodo di massa potrebbe creare gravi tensioni e instabilità. In sintesi, la guerra in Ucraina comporta un grande rischio di caos, destabilizzazione e distruzione su scala internazionale. Se questo conflitto non porta esso stesso a una conflagrazione ancora più mortale, comunque aumenta considerevolmente tali pericoli, con tensioni e rischi di “escalation” incontrollate che potrebbero portare a conseguenze inimmaginabili.
Se la borghesia russa ha aperto le ostilità per difendere i suoi sordidi interessi imperialisti, la propaganda che presenta l’Ucraina e i paesi occidentali come vittime di un “folle dittatore” non è che una farsa ipocrita. Per mesi il governo degli Stati Uniti ha avvertito provocatoriamente di un imminente attacco russo mentre proclamava che non avrebbe messo piede sul suolo ucraino. Dalla dissoluzione dell’URSS, la Russia è stata continuamente minacciata ai suoi confini, sia nell’Europa orientale che nel Caucaso e nell’Asia centrale. Gli Stati Uniti e le potenze europee hanno metodicamente respinto la sfera d’influenza russa integrando molti paesi dell’Est nell’Unione Europea e nella NATO. Questo è anche il significato della cacciata dell’ex presidente georgiano Shevardnadze nel 2003 durante la “rivoluzione delle rose” che ha portato al potere una cricca pro-USA, così come la “rivoluzione arancione” del 2004 in Ucraina e tutti i conflitti che ne sono seguiti tra le diverse fazioni della borghesia locale. Il sostegno attivo delle potenze occidentali all’opposizione filoeuropea in Bielorussia, la guerra in Nagorno-Karabakh sotto la pressione della Turchia (un membro della NATO) e il regolamento di conti al più alto livello dello Stato kazako hanno solo accentuato il sentimento di urgenza all’interno della borghesia russa. Sia per la Russia zarista che per quella “sovietica”, l’Ucraina ha sempre rappresentato una questione centrale nella politica estera. Infatti l’Ucraina è per Mosca l’unica e ultima via d’accesso diretta al Mediterraneo. L’annessione della Crimea nel 2014 obbediva già a questo imperativo dell’imperialismo russo direttamente minacciato dall’accerchiamento da parte di regimi prevalentemente filoamericani. Il desiderio dichiarato degli Stati Uniti di legare Kiev all’Occidente è dunque vissuto da Putin e dalla sua cricca come una vera e propria provocazione. In questo senso, anche se l’offensiva dell’esercito russo sembra totalmente irrazionale e destinata a fallire fin dall’inizio, per Mosca è un disperato “colpo di forza” destinato a mantenere il suo rango di potenza mondiale. La borghesia americana, anche se divisa sulla questione, è perfettamente consapevole della situazione della Russia e non ha mancato di spingere Putin all’azione aumentando le provocazioni. Quando Biden ha esplicitamente assicurato che non sarebbe intervenuto direttamente in Ucraina, ha deliberatamente lasciato un vuoto che la Russia ha immediatamente utilizzato nella speranza di frenare il suo declino sulla scena internazionale. Non è la prima volta che gli Stati Uniti ricorrono al freddo machiavellismo per raggiungere i loro fini: già nel 1990, Bush senior spinse Saddam Hussein in una trappola fingendo di non voler intervenire per difendere il Kuwait. Sappiamo cosa è successo dopo…
È ancora troppo presto per prevedere la durata e la portata delle distruzioni, già notevoli, in Ucraina, ma dagli anni '90 abbiamo visto i massacri di Srebrenica, Grozny, Sarajevo, Fallujah e Aleppo. Chiunque inizi una guerra è spesso destinato a rimanere impantanato. Negli anni '80, la Russia ha pagato un prezzo elevato per l’invasione dell’Afghanistan che ha portato all’implosione dell’URSS. Gli Stati Uniti hanno avuto i loro fiaschi, indebolendoli sia militarmente che economicamente. Tutte queste avventure nonostante le apparenti vittorie iniziali, sono finite in amare battute d’arresto e hanno indebolito notevolmente i belligeranti. La Russia di Putin, anche nel caso in cui non dovrà direttamente ritirarsi dopo un’umiliante sconfitta, resterà comunque impantanata in una situazione di stallo, anche se riuscisse a prendere le principali città ucraine.
“Un nuovo imperialismo minaccia la pace mondiale”[2], “Gli ucraini hanno combattuto l’imperialismo russo per centinaia di anni”...[3]. “L'imperialismo russo”, la borghesia non dice altro, come se la Russia fosse la quintessenza dell’imperialismo di fronte al “pulcino indifeso” ucraino. In realtà, da quando il capitalismo è entrato nel suo periodo di decadenza, la guerra e il militarismo sono diventati caratteristiche fondamentali di questo sistema. Tutti gli Stati, grandi o piccoli, sono imperialisti; tutte le guerre, sia che pretendano di essere “umanitarie”, “liberatrici” o “democratiche”, sono guerre imperialiste. I rivoluzionari lo hanno detto chiaramente già durante la Prima Guerra mondiale: all’inizio del XX secolo, il mercato mondiale era interamente diviso in zone di caccia tra le principali nazioni capitaliste. Di fronte all’aumento della concorrenza e all’impossibilità di allentare la morsa delle contraddizioni del capitalismo attraverso nuove conquiste coloniali o commerciali, gli Stati costruirono giganteschi arsenali e sottoposero tutta la vita economica e sociale agli imperativi della guerra. Fu in questo contesto che scoppiò la Guerra mondiale nell’agosto 1914, un massacro senza pari nella storia dell’umanità, espressione eclatante di una nuova “era di guerre e rivoluzioni”.
Di fronte alla concorrenza feroce e all’onnipresenza della guerra, in ogni nazione, grande o piccola, si svilupparono due fenomeni che costituiscono le caratteristiche principali del periodo della decadenza: il capitalismo di Stato e i blocchi imperialisti. “Il capitalismo di Stato [...] risponde alla necessità per ogni paese, in vista del confronto con le altre nazioni, di ottenere al proprio interno la massima disciplina dai diversi settori della società, di ridurre al massimo gli scontri tra le classi ma anche tra le frazioni rivali della classe dominante, al fine, in particolare, di mobilitare e controllare tutto il suo potenziale economico. Allo stesso modo, la costituzione dei blocchi imperialisti corrisponde alla necessità di imporre una disciplina simile tra le diverse borghesie nazionali per limitare i loro antagonismi reciproci e riunirle per lo scontro supremo tra i due campi militari”[4]. Il mondo capitalista fu così diviso per tutto il XX secolo in blocchi rivali: Gli Alleati contro le potenze dell’Asse, il blocco occidentale contro blocco orientale. Ma con il crollo dell’URSS alla fine degli anni '80, inizia la fase finale della decadenza del capitalismo: il periodo della sua decomposizione generalizzata[5], segnato dalla scomparsa, per più di 30 anni, dei blocchi imperialisti. La retrocessione del “gendarme” russo e, de facto, la dislocazione del blocco americano, aprono la strada a tutta una serie di rivalità e conflitti locali che erano stati soffocati dalla disciplina ferrea dei blocchi. Questa tendenza all’ognuno per sé e all’aumento del caos è stata pienamente confermata in seguito.
L’America, unica “superpotenza”, tenta dal 1990 di portare un minimo di ordine nel mondo e di frenare l’inevitabile declino della propria leadership... ricorrendo alla guerra. Dal momento che il mondo non era più diviso in due campi imperialisti disciplinati, un paese come l’Iraq pensava di poter conquistare un ex alleato dello stesso blocco, il Kuwait. Gli Stati Uniti, alla testa di una coalizione di 35 paesi, hanno lanciato un’offensiva cruenta che doveva scoraggiare qualsiasi tentazione futura di emulare le azioni di Saddam Hussein.
Ma l’operazione non poteva mettere fine al ciascuno per sé sul piano imperialista, una tipica manifestazione del processo di decomposizione della società. Nelle guerre balcaniche, si mostravano già chiaramente le peggiori rivalità tra le potenze dell’ex blocco occidentale, specialmente Francia, Regno Unito e Germania che, in aggiunta ai micidiali interventi americani e russi, si facevano praticamente la guerra tra loro attraverso i vari belligeranti nell’ex-Jugoslavia. L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 segnò un ulteriore passo significativo nel caos, colpendo il cuore del capitalismo globale. Al contrario di quanto asserito dalle teorie della sinistra del capitale sui presunti appetiti petroliferi americani, smentite dal costo abissale della guerra, è stato fondamentalmente in questo contesto che gli Stati Uniti hanno dovuto abbandonare l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e quella dell’Iraq, di nuovo, nel 2003, in nome della “guerra al terrorismo”. L’America era lanciata in una vera fuga in avanti: nella seconda guerra del Golfo, la Germania, la Francia e la Russia non si sono limitati a trascinare i piedi dietro lo zio Sam, ma si sono rifiutati di impegnare i loro soldati. Soprattutto, ognuna di queste operazioni non fece che generare un tale caos e instabilità che gli Stati Uniti finirono per impantanarsi, al punto di dover abbandonare in modo umiliante l’Afghanistan 20 anni dopo, lasciandosi dietro un campo di rovine nelle mani dei talebani che erano venuti a combattere, così come avevano già dovuto abbandonare l’Iraq, in preda a un’immensa anarchia, destabilizzando l’intera regione, soprattutto la vicina Siria. Per difendere la sua posizione di prima potenza mondiale, gli Stati Uniti sono così diventati il principale propagatore del caos nel periodo di decomposizione.
Oggi gli Stati Uniti hanno innegabilmente segnato punti a loro favore sul piano imperialista, senza nemmeno dover intervenire direttamente. La Russia, un avversario di lunga data, è impegnata in una guerra impossibile da vincere che si tradurrà per lei, qualunque sia il risultato, in un grande indebolimento militare ed economico. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno già annunciato come andrà a finire: secondo il capo della diplomazia europea, si tratta di “devastare l’economia russa”... e tanto peggio per il proletariato russo che pagherà tutte queste misure di ritorsione, come per il proletariato ucraino che è la prima vittima e ostaggio dello scatenamento della barbarie bellica!
Gli americani hanno pure ripreso in mano la NATO, che il presidente francese riteneva essere “cerebralmente morta”, rafforzando notevolmente la loro presenza a est e costringendo le principali potenze europee (Germania, Francia e Regno Unito) ad assumersi maggiormente l’onere economico del militarismo per la difesa dei confini orientali dell’Europa. Una politica questa che gli Stati Uniti stanno cercando di attuare da diversi anni, soprattutto sotto la presidenza di Trump e continuata poi da Biden, per concentrare la loro forza contro il nemico principale, la Cina. Per gli europei la situazione rappresenta una sconfitta diplomatica di prim’ordine e una notevole perdita di influenza. Il conflitto alimentato dagli Stati Uniti non è stato voluto da Francia e Germania che, a causa della loro dipendenza dal gas russo e dal mercato che questo paese rappresenta per le loro merci, non hanno assolutamente nulla da guadagnare da questo conflitto. Al contrario, l’Europa subirà un’ulteriore accelerazione della crisi economica sotto l’impatto della guerra e delle sanzioni imposte. Gli europei hanno quindi dovuto ripiegare dietro lo scudo americano, mentre l’indebolimento diplomatico causato dalla disinvoltura di Trump aveva fatto sperare in un forte ritorno del vecchio continente sulla scena internazionale.
Il fatto che le principali potenze europee siano costrette a schierarsi dietro gli Stati Uniti costituisce l’inizio della formazione di un nuovo blocco imperialista? Il periodo di decomposizione non preclude di per sé la formazione di nuovi blocchi, anche se il peso del ciascuno per sé ostacola notevolmente questa possibilità. Tuttavia, in questa situazione, la volontà irrazionale di ogni Stato di difendere i propri interessi imperialisti viene ampiamente rafforzata. La Germania ha attuato le sanzioni con riluttanza e agisce con prudenza per evitare di sanzionare le esportazioni di gas russo da cui è fortemente dipendente. D’altra parte la Germania, insieme alla Francia, è intervenuta costantemente per offrire alla Russia un’uscita diplomatica, che Washington sta ovviamente cercando di ritardare. Anche la Turchia e Israele stanno cercando di offrire i loro “servizi” come intermediari. A lungo termine, con l’aumento delle spese militari, le grandi potenze europee potrebbero anche cercare di emanciparsi dalla tutela americana, un’ambizione che Macron difende regolarmente attraverso il suo progetto di “difesa europea”. Gli Stati Uniti hanno innegabilmente guadagnato punti nell’immediato, ogni paese cerca quindi di giocare le proprie carte, compromettendo la costituzione di un blocco, tanto più che la Cina, da parte sua, non è in grado di raccogliere dietro di sé nessuna grande potenza e si trova addirittura rallentata e indebolita nella difesa dei propri obiettivi.
Tuttavia, con questa manovra la borghesia statunitense non mirava solo e principalmente alla Russia. Il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina determina il rapporto imperialista globale oggi. Creando una situazione di caos in Ucraina, Washington ha cercato soprattutto di ostacolare l’avanzata della Cina verso l’Europa bloccando, per un periodo ancora indeterminato, le “vie della seta” che dovevano passare attraverso i paesi dell’Europa orientale. Dopo aver minacciato le vie marittime della Cina nella regione indopacifica con, tra l’altro, la creazione dell’alleanza AUKUS nel 2021[6], Biden sta creando un enorme fossato in Europa impedendo alla Cina il transito delle sue merci via terra. Gli Stati Uniti sono anche riusciti a mostrare l’impotenza della Cina a giocare un ruolo di partner affidabile sulla scena internazionale, dal momento che non ha altra scelta che dare alla Russia un sostegno molto morbido. In questo senso, l’offensiva americana a cui stiamo assistendo fa parte di una strategia più globale per contenere la Cina.
Dopo le guerre nell’ex-Jugoslavia, in Afghanistan e in Medio Oriente, gli Stati Uniti sono diventati, come abbiamo visto, il principale fattore di caos nel mondo. Finora questa tendenza ha riguardato soprattutto i paesi periferici del capitalismo, sebbene anche i paesi centrali ne abbiano sofferto le conseguenze (terrorismo, crisi migratorie, ecc.). Ma oggi, la prima potenza mondiale sta creando il caos alle porte di uno dei principali centri del capitalismo. Questa strategia criminale è guidata dal “democratico” e “moderato” Joe Biden. Il suo predecessore, Donald Trump, aveva una meritata reputazione di testa calda, ma è ormai chiaro che per neutralizzare la Cina cambia solo la strategia: Trump voleva negoziare accordi con la Russia, Biden e la maggioranza della borghesia americana vogliono dissanguarla. Putin e la sua cricca di assassini non sono migliori, proprio come Zelensky che non esita a prendere in ostaggio un’intera popolazione e a sacrificarla come carne da cannone in nome della difesa della patria. E che dire delle ipocrite democrazie europee che, mentre piangono lacrime di coccodrillo sulle vittime della guerra, consegnano quantità fenomenali di attrezzature militari? Di sinistra o di destra, democratici o dittatoriali, tutti i paesi, tutte le borghesie ci portano verso il caos e la barbarie a marcia forzata! Più che mai, ‘'unica alternativa offerta all’umanità è: socialismo o barbarie!
EG 21 marzo 2022
[1] A titolo di paragone, l’URSS perse 25.000 soldati durante i 9 anni della terribile guerra che devastò l’Afghanistan negli anni '80.
[2] “Contro l’imperialismo russo, per un’impennata internazionalista”, Mediapart (2 marzo 2022). Questo articolo dal titolo evocativo rasenta la farsa, soprattutto da parte del suo autore, Edwy Plenel, un guerrafondaio patentato e grande difensore dell’imperialismo francese.
[3] “Per capire il conflitto Ucraina-Russia, guardare al colonialismo”, The Washington Post (24 febbraio 2022).
[4] Militarismo e decomposizione [10], Rivista Internazionale n.15 (1990)
[5] La decomposizione, fase ultima della decadenza capitalista [11], Rivista Internazionale n.14 (1990)
[6] Alleanza militare AUKUS: l’esacerbazione caotica delle rivalità imperialiste [12], CCI online 2021
Stiamo vivendo la più intensa campagna di propaganda di guerra dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi, non solo in Russia e Ucraina, ma in tutto il mondo. È dunque essenziale che tutti coloro che cercano di difendere l’internazionalismo proletario di fronte ai tamburi di guerra colgano ogni occasione di riunirsi per discutere e chiarire, per sostenere e solidarizzare, e per definire meglio il metodo dei rivoluzionari contro la campagna militarista della borghesia. Per questo la CCI ha organizzato una serie di incontri pubblici online e fisici in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo, olandese, italiano, tedesco, portoghese e turco) e continuerà ad organizzarne altri nel prossimo futuro.
Nello spazio di questo breve articolo non possiamo riassumere tutte le discussioni che hanno avuto luogo, discussioni caratterizzate da un’atmosfera seria e fraterna, da un vero desiderio di capire cosa sta succedendo. Vorremmo invece concentrarci su alcune delle questioni e dei temi principali che sono emersi. Pubblicheremo anche sul nostro sito web i contributi dei simpatizzanti che portano la loro visione delle discussioni e della loro dinamica.
Il primo e probabilmente più vitale tema è stato un ampio accordo sul fatto che i principi fondamentali dell’internazionalismo (nessun sostegno a nessuno dei due campi imperialisti, rifiuto di tutte le illusioni pacifiste, affermazione della lotta di classe internazionale come unica forza che può davvero opporsi alla guerra) rimangono validi come sempre, nonostante l’enorme pressione ideologica, soprattutto nei paesi occidentali, per schierarsi in difesa della “piccola coraggiosa Ucraina” contro l’orso russo. Qualcuno potrebbe rispondere che queste sono solo banali generalizzazioni, ma non dovrebbero essere sempre prese per oro colato, e certamente non è facile proporle nel clima attuale dove si vedono scarsi segni di un’opposizione di classe alla guerra. Gli internazionalisti devono riconoscere che, per il momento, nuotano controcorrente. In questo senso, si trovano in una situazione simile a quella dei rivoluzionari che, nel 1914, ebbero il compito di mantenere saldi i loro principi di fronte all’isteria bellica che accompagnò i primi giorni e i primi mesi della guerra. Ma noi possiamo anche far riferimento alla successiva reazione della classe operaia alla guerra che trasformò gli slogan generali degli internazionalisti in una guida d’azione volta a rovesciare l’ordine mondiale capitalista.
Un secondo elemento chiave della discussione (e meno largamente condiviso) è stata la necessità di comprendere la gravità della guerra in corso che, dopo la pandemia Covid, fornisce un’ulteriore prova che il capitalismo nel suo periodo di decadenza è una minaccia crescente per la sopravvivenza stessa dell’umanità. Anche se la guerra in Ucraina non prepara il terreno per la formazione di nuovi blocchi imperialisti che trascinerebbero l’umanità in una terza (e probabilmente ultima) guerra mondiale, essa esprime comunque l’intensificazione e l’estensione della barbarie militare che, combinata con la distruzione della natura e altre manifestazioni di un sistema morente, avrebbe alla fine lo stesso risultato di una guerra mondiale. A nostro parere, la guerra attuale segna una tappa importante nell’accelerazione della decomposizione del capitalismo, un processo che contiene la minaccia di travolgere il proletariato prima che questo sia capace di raccogliere le sue forze per una lotta cosciente contro il capitale.
Non ci dilungheremo qui sul perché rifiutiamo l’argomento che stiamo assistendo alla ricostituzione di blocchi militari stabili. Diciamo solo che, nonostante le reali tendenze verso una “bipolarizzazione” degli antagonismi imperialisti, continuiamo a ritenere che queste sono controbilanciate dalla tendenza opposta di ogni potenza imperialista a difendere i propri interessi particolari e a resistere alla subordinazione a una particolare potenza mondiale. Ma quest’ultima tendenza significa una crescente perdita di controllo da parte della classe dominante, uno slittamento sempre più irrazionale e imprevedibile nel caos, che per molti versi porta a una situazione più pericolosa di quella in cui il pianeta era “gestito” dai blocchi imperialisti rivali durante la “guerra fredda”.
Un certo numero di compagni durante le riunioni hanno posto delle questioni su questa analisi; e alcuni, per esempio i membri della Communist Workers’ Organisation, nelle riunioni di lingua inglese, erano chiaramente contrari al nostro quadro di analisi della decomposizione. Ma non c’è dubbio che la difesa di una posizione internazionalista coerente deve basarsi centralmente sulla capacità di sviluppare una seria analisi della situazione mondiale, altrimenti c’è il pericolo di essere disorientati dalla velocità e imprevedibilità degli eventi immediati. Contrariamente all’analisi della guerra fatta dai compagni dei Cahiers du Marxisme Vivant in una delle riunioni in Francia, noi non crediamo che le semplici spiegazioni economiche, la ricerca del profitto a breve termine, possano spiegare la vera origine e dinamica del conflitto imperialista in un’epoca storica in cui le motivazioni economiche sono sempre più dominate dagli imperativi militari e strategici. I costi rovinosi di questa guerra forniranno ulteriori prove di questa affermazione.
Se è importante capire l’origine e la direzione del conflitto imperialista, lo è altrettanto fare una lucida analisi della situazione della classe operaia mondiale e delle prospettive della lotta di classe. Anche se c’era un accordo generale sul fatto che la campagna di guerra stava infliggendo gravi colpi alla coscienza di una classe operaia che aveva già sofferto una profonda perdita di fiducia e di coscienza di sé, alcuni partecipanti alla riunione tendevano a pensare che la classe operaia non fosse più un ostacolo alla guerra. Abbiamo risposto che la classe operaia non può essere considerata come una massa omogenea. È ovvio che la classe operaia in Ucraina, che è stata effettivamente soffocata dalla mobilitazione per la “difesa della nazione”, ha subito una vera sconfitta. Ma è diverso in Russia dove c’è chiaramente un’opposizione diffusa alla guerra nonostante la brutale repressione di ogni dissenso, e dove nell’esercito russo dove ci sono segni di demoralizzazione e persino di ribellione. Ma soprattutto, non si può contare sul fatto che il proletariato dell’Europa occidentale si sacrifichi, né economicamente né militarmente. E’ da molto tempo che la classe dominante di questi paesi non può che contare solo su soldati di professione per le sue avventure militari. Sulla scia degli scioperi di massa in Polonia nel 1980, la CCI ha sviluppato una critica alla teoria di Lenin secondo cui la catena del capitalismo mondiale si sarebbe rotta nel suo “anello più debole”, cioè nei paesi meno sviluppati, seguendo il modello della Russia nel 1917. Al contrario, noi abbiamo insistito sul fatto che la classe operaia dell’Europa occidentale, più sperimentata politicamente, sarà la chiave per la generalizzazione della lotta di classe. In un prossimo articolo spiegheremo perché crediamo che questo punto di vista rimanga valido oggi, nonostante i cambiamenti nella composizione del proletariato mondiale che sono avvenuti in seguito[1].
I partecipanti alle riunioni hanno condiviso la legittima preoccupazione sulla responsabilità specifica dei rivoluzionari per questa guerra. Nelle riunioni francesi e spagnole questa questione è stata al centro della discussione, ma secondo noi, alcuni compagni erano orientati verso un approccio attivista, sopravvalutando la possibilità che i nostri slogan internazionalisti avessero un impatto immediato sul corso degli eventi. Per esempio rispetto all’appello alla fraternizzazione tra proletari in uniforme: benché questo resta perfettamente valido come prospettiva generale, senza lo sviluppo di un movimento di classe più generale come quello che abbiamo visto nelle fabbriche e nelle strade della Russia e della Germania nel 1917-18, ci sono poche possibilità che i combattenti di entrambe le parti della guerra attuale si vedano come compagni di classe. E sicuramente i veri internazionalisti sono oggi una minoranza così piccola che non possono aspettarsi di avere un impatto immediato sul corso della lotta di classe in generale.
Tuttavia noi non pensiamo che questo significhi che i rivoluzionari siano condannati ad essere una voce nel deserto. Ancora una volta dobbiamo ispirarci a figure come Lenin e Luxemburg nel 1914, che capirono la necessità di piantare la bandiera dell’internazionalismo anche quando erano isolati dalla massa della loro classe, di continuare a lottare per i principi di fronte al tradimento delle vecchie organizzazioni operaie e di sviluppare un’analisi profonda delle vere cause della guerra di fronte agli alibi della classe dominante. Così come dobbiamo seguire l’esempio della Conferenza di Zimmerwald e di altre conferenze che hanno espresso la determinazione degli internazionalisti a riunirsi e pubblicare un manifesto comune contro la guerra, nonostante avessero analisi e prospettive diverse.
In questo senso salutiamo la partecipazione di altre organizzazioni rivoluzionarie a questi incontri, il loro contributo al dibattito e la loro disponibilità a considerare la nostra proposta di una dichiarazione comune della Sinistra comunista contro la guerra. Non possiamo che deplorare la successiva decisione della CWO/TCI di rifiutare la nostra proposta, un problema sul quale dovremo tornare in un prossimo articolo.
E’ stato anche importante che, in risposta alle domande dei compagni su cosa si potesse fare a livello locale o nel proprio paese, la CCI abbia sottolineato come elemento prioritario la necessità di stabilire e sviluppare contatti e attività internazionali, di integrare le specificità locali e nazionali in un quadro di analisi più globale. Lavorare su scala internazionale fornisce ai rivoluzionari uno strumento per combattere l’isolamento e la demoralizzazione che ne può derivare.
Una guerra imperialista importante, come quella attuale, sottolinea nella realtà che l’attività rivoluzionaria ha senso solo nel quadro delle organizzazioni politiche rivoluzionarie. Come abbiamo scritto nel nostro rapporto sulla struttura e il funzionamento dell’organizzazione rivoluzionaria, “La classe operaia non fa nascere i militanti rivoluzionari ma le organizzazioni rivoluzionarie: non c’è un rapporto diretto tra i militanti e la classe”[2]. Questo evidenzia la responsabilità delle organizzazioni della Sinistra comunista nel fornire un quadro, un punto di riferimento militante attorno al quale i singoli compagni possono orientarsi. A loro volta, le organizzazioni possono essere rafforzate solo dai contributi e dal sostegno attivo che ricevono da questi compagni.
Amos, 8 aprile 2022
La lotta contro la guerra può essere intrapresa dalla classe operaia solo attraverso la lotta sul proprio terreno di classe e la sua unificazione internazionale. Le organizzazioni rivoluzionarie non possono aspettare una mobilitazione di massa della classe operaia contro la guerra: devono agire come una determinata punta di lancia nella difesa dell’'internazionalismo e sottolineare la necessità del rovesciamento del sistema. Questo richiede che la classe operaia e le sue organizzazioni rivoluzionarie si riapproprino delle lezioni e dell’impostazione delle lotte precedenti contro la guerra. L’esperienza della conferenza di Zimmerwald è illuminante a questo proposito.
Zimmerwald è una piccola città della Svizzera. Nel settembre 1915 ospitò una piccola conferenza: 38 delegati di 12 paesi - tutti internazionalisti arrivati lì “in due taxi”, come diceva scherzosamente Trotsky. E tra loro, solo una piccola minoranza aveva una posizione veramente rivoluzionaria contro la guerra. Solo i bolscevichi intorno a Lenin e pochi altri gruppi tedeschi difendevano metodi e obiettivi rivoluzionari: la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, la distruzione del capitalismo come fonte di tutte le guerre. Gli altri partecipanti avevano una posizione centrista o anche fortemente orientata a destra.
Il risultato degli accesi dibattiti di Zimmerwald fu un manifesto ai proletari del mondo che era per molti versi un compromesso tra la sinistra e il centro, poiché non riprendeva gli slogan rivoluzionari dei bolscevichi. Tuttavia, la sua clamorosa denuncia della guerra e il suo appello all’azione di classe contro di essa permisero di articolare e politicizzare i sentimenti contro la guerra che si stavano sviluppando nella massa della classe operaia.
La lotta per l’internazionalismo ha bisogno di un’organizzazione politica
L’esempio di Zimmerwald mostra che, per i rivoluzionari, la lotta contro la guerra si svolge su tre livelli distinti ma interconnessi:
- Propaganda e agitazione. I rivoluzionari non hanno aspettato che la classe si muovesse: hanno iniziato l’agitazione contro la guerra sin dal primo giorno delle ostilità, molto prima che la classe fosse in grado di reagire. Il raggruppamento dei rivoluzionari in organizzazioni politiche permise loro di sviluppare la propaganda e l’agitazione attraverso una stampa regolare e volantini prodotti in massa, e di parlare nelle assemblee e nei consigli operai (che sorsero più tardi), non come individui che rappresentavano solo se stessi ma in nome di una tendenza politica ben definita all’interno del movimento di classe.
- Organizzativo. Il tradimento della maggioranza dei vecchi partiti esigeva che la minoranza degli internazionalisti lavorasse come una frazione organizzata, per lavorare sia all’espulsione dei traditori, sia, quando ciò si rivelava impossibile, come avvenne nella maggioranza dei casi, per lottare per conquistare il maggior numero possibile di elementi sani e preparare il terreno per un nuovo partito, una nuova Internazionale. Questo richiedeva una lotta feroce contro il centrismo e l’opportunismo, contro l’influenza ideologica della borghesia e della piccola borghesia. Fu questa lotta che permise alla sinistra di Zimmerwald, in particolare, di diventare la forza trainante della formazione della Terza Internazionale nel 1919. In una situazione di guerra o rivoluzione imminente, l’eroismo di singoli militanti, come la Luxemburg, Liebknecht, John Mclean o Sylvia Pankhurst, era certamente vitale, ma non poteva essere sufficiente. Poteva assumere un reale significato solo nel contesto di un’organizzazione collettiva, intorno a un chiaro programma politico.
- Teorico. La necessità di comprendere le caratteristiche della nuova epoca richiede un paziente lavoro di elaborazione teorica, una capacità di prendere del récul e rivalutare l’intera situazione alla luce delle prospettive passate e future. Il lavoro di Lenin, Bukharin, Luxemburg, Pannekoek e altri permise al rinato movimento politico di classe di capire che si era aperta una nuova epoca, un’epoca in cui la lotta di classe avrebbe assunto nuove forme e nuovi metodi per raggiungere obiettivi direttamente rivoluzionari. C’erano notevoli divergenze su un certo numero di questioni, per esempio tra Lenin e Luxemburg sull’autodeterminazione nazionale, ma questo non ha impedito loro di adottare una posizione comune contro la guerra pur continuando a discutere con la stessa passione e intensità di prima.
Non possiamo entrare nei dettagli qui, ma incoraggiamo i nostri lettori a leggere i seguenti articoli:
- “Zimmerwald (1915-1917): dalla guerra alla rivoluzione”, Zimmerwald (1915-1917): From war to revolution [16], Rivista Internazionale, n. 44 (anche in spagnolo e francese sul nostro sito)
- Prima Guerra mondiale, conferenza di Zimmerwald: le correnti centriste nelle organizzazioni politiche del proletariato [17], ICC online, 2015
ICC, 7 aprile 2022
Di fronte alla barbarie della guerra, la borghesia ha sempre cercato di nascondere la sua responsabilità omicida e quella del suo sistema dietro ciniche bugie. La guerra in Ucraina non è sfuggita al torrente di propaganda e alla turpe strumentalizzazione della sofferenza che genera. Non passa giorno senza che l’esodo di massa e l’angoscia delle famiglie ucraine in fuga dai bombardamenti siano mostrati su tutti i canali televisivi e sulle prime pagine di tutti i giornali, che di solito sono così discreti sulle disgrazie che il capitalismo infligge all’umanità. I media hanno mostrato immagini di bambini ucraini traumatizzati e vittime della guerra.
Con lo sfruttamento propagandistico del legittimo shock provocato dalla trasmissione di immagini atroci di violenze, esodi, orrore e bombardamenti, la guerra in Ucraina ha permesso alla borghesia dei paesi democratici di recuperare uno slancio spontaneo di simpatia e di compassione per orchestrare una gigantesca campagna “umanitaria” intorno alle “iniziative dei cittadini” verso i rifugiati ucraini (e anche intorno alla feroce repressione dei manifestanti russi e degli oppositori alla guerra) e di strumentalizzare cinicamente l’angoscia e la disperazione delle vittime del più grande esodo di popolazioni dalla fine della seconda guerra mondiale. Dappertutto si organizzano “corridoi umanitari” e “reti di cittadini” per aiutare i rifugiati ucraini, per giustificare la fornitura di un enorme arsenale di armi destinate a “difendere un popolo martirizzato” da “l’orco russo”. Anche nei piccoli villaggi, raccolte, donazioni e ogni sorta di “iniziative” o spettacoli sono organizzati e incoraggiati dalle autorità in solidarietà con i rifugiati ucraini. Dietro i vibranti omaggi al martirio del “popolo ucraino”, c’è la sordida realtà di uno spudorato sfruttamento di slanci di generosità, sfruttati da Stati, tutti guerrafondai, che se ne fregano del tragico destino di una popolazione tenuta in ostaggio tra i bombardamenti russi e la forzata “mobilitazione generale” del governo Zelensky. Agli occhi della borghesia il “popolo ucraino” serve soprattutto come carne da cannone in una “lotta patriottica” contro “l’invasore”. Lo stesso cinismo spiega perché la borghesia occidentale ha steso un velo di segretezza sui massacri perpetrati dal governo ucraino, dal 2014, nelle regioni russofone di Lugansk e Donetsk, che hanno tuttavia lasciato quasi 14.000 morti in 8 anni.
Il cosiddetto umanesimo degli Stati europei è un’enorme bugia e una pura mistificazione. Lo sforzo di accogliere e aiutare i rifugiati è, per la maggior parte, dovuto all’iniziativa delle popolazioni e in nessun modo agli Stati. È innegabile che, dallo scoppio della guerra e dall’inizio dell’esodo delle famiglie, c’è stato un enorme slancio spontaneo di solidarietà. Questa reazione immediata e profondamente umana di portare sollievo, assistenza e aiuto a tutti, offrendo un riparo e fornendo pasti a coloro che sono improvvisamente sprofondati nell’angoscia e nella disperazione, è confortante. Ma questa solidarietà elementare non è sufficiente. Non è il prodotto di una mobilitazione collettiva dei proletari sul loro terreno di classe. Nasce da una somma di iniziative individuali che la borghesia non manca mai di recuperare, sfruttare e strumentalizzare a proprio vantaggio, come sta facendo oggi. Per di più queste reazioni sono state immediatamente deviate nel campo della propaganda borghese per giustificare la guerra, esaltare il veleno mortale del nazionalismo e cercare di ricreare un clima di sacra unione contro “l'infame invasore russo”. Le potenze democratiche dell’Europa occidentale non avevano altra scelta che aprire le loro frontiere ai rifugiati ucraini, a meno di non bloccarne con la forza centinaia di migliaia all’interno dei confini ucraini. In questo caso sarebbe crollata tutta la loro propaganda di guerra anti-russa. In realtà, se si dichiarano pronti ad accogliere gli ucraini, è per giustificare ideologicamente una mobilitazione e soprattutto la consegna di armi all’Ucraina contro le “mostruosità di Putin” e per difendere i propri interessi imperialisti nazionali.
Allo stesso tempo, queste campagne servono a nascondere il fatto che la responsabilità di questa situazione drammatica è di tutti gli Stati, della logica della competizione e delle rivalità imperialiste del sistema stesso, che genera il moltiplicarsi di zone di guerra, la generalizzazione della miseria, l’esodo massiccio delle popolazioni, il caos e la barbarie.
Ora tutti gli Stati avvoltoi versano lacrime di coccodrillo sui rifugiati ucraini che pretendono di accogliere a braccia aperte in nome del cosiddetto “diritto d’asilo”. Queste belle promesse di accogliere i rifugiati non sono altro che fumo negli occhi. Gli Stati dell’Europa occidentale hanno introdotto dappertutto quote di accoglienza per i migranti che fuggono dalla miseria, dal caos e dalla guerra. Questi rifugiati miseri, a piedi nudi non sono come la maggioranza degli ucraini, europei biondi e con gli occhi azzurri; non sono di fede cristiana, ma spesso musulmani. Questi rifugiati vengono smistati come bestiame tra “rifugiati economici”, che sono totalmente indesiderabili, e “rifugiati di guerra” o “rifugiati politici”. Bisognerebbe quindi fare la cernita tra i rifugiati “buoni” e quelli “cattivi” ... Tutto questo con la carta bianca dell’Unione Europea e delle sue grandi democrazie. Un tale smistamento, una tale differenza di trattamento è totalmente abietta. In Francia, per esempio, meno di due anni fa, il governo Macron ha mandato i poliziotti a sloggiare le famiglie di migranti che avevano piantato le tende in Place de la République a Parigi; i poliziotti hanno picchiato questi indesiderabili e tagliato le loro tende con coltelli. Solo poco fa, quando i rifugiati iracheni bussavano alla porta dell’Europa, usati come mezzo di pressione dallo stato bielorusso, si sono schiantati contro il filo spinato del confine polacco, affrontando i robocop armati dell’Unione Europea. Le “grandi democrazie” erano molto meno “accoglienti”, nonostante la sofferenza ben evidente di persone che morivano di freddo e di fame. Qual è la realtà dietro la geometria variabile di questa falsa compassione, questa cosiddetta solidarietà degli Stati? La borghesia si è preoccupata nella maggior parte dei paesi “ospitanti” di creare uno “status speciale” per gli ucraini, totalmente distinto da quello degli altri rifugiati, al fine di creare opposizioni e divisioni nella popolazione e nella classe operaia. In Belgio, per esempio, il governo ha deciso di dare agli ucraini uno status ben distinto dagli altri rifugiati di guerra. Mentre questi ultimi di solito devono prima sottoporsi a una severa selezione e controllo per ricevere un’eventuale autorizzazione a lavorare nel paese “ospitante”, i cittadini ucraini l’ottengono subito e ricevono anche un sussidio molto più alto degli altri. Anche l’importo della loro indennità è superiore al salario minimo dei dipendenti “locali” ... Questa sporca manovra al servizio della propaganda imperialista permette non solo al governo di creare l’antagonismo tra gli ucraini e gli altri rifugiati ma anche di suscitare un ulteriore fattore di divisione e un clima di concorrenza all’interno della classe operaia.
Una minoranza dei rifugiati ucraini, altamente qualificati, sarà integrata per la gioia della borghesia in certi paesi, come la Germania, che hanno una significativa carenza di questo tipo di manodopera. Per gli altri, la stragrande maggioranza, il loro afflusso massiccio porrà grandi problemi alla borghesia europea, incapace di assorbirli. Prima o poi, nel prossimo periodo, questi saranno comunque esposti, nella loro grande maggioranza, al fiato nauseabondo dell’ideologia populista, e serviranno da capro espiatorio per i problemi sociali ed economici che tutta la borghesia in quel momento avrà interesse a mettere in evidenza.
E’ prioritario per i proletari non cedere al canto delle sirene di queste campagne umanitarie e respingere le loro trappole ideologiche rifiutando categoricamente qualsiasi unione sacra con i loro sfruttatori di fronte alla guerra. Ma allo stesso tempo devono lottare per difendere i propri interessi di classe di fronte all’intensificarsi della crisi e degli attacchi bellici. Solo attraverso lo sviluppo internazionale di questa lotta, al di là delle frontiere e dei conflitti creati dalla classe dominante, potranno esprimere pienamente la loro solidarietà di classe con i rifugiati e con tutte le vittime della crescente barbarie del capitalismo, offrendo loro una prospettiva: quella di una società liberata dalla legge del profitto e dalle dinamiche letali del sistema.
Wim, 3 aprile 2022
Dopo il suo passaggio nel campo della borghesia, il trotskismo non ha mai perso un’occasione per attaccare la coscienza della classe operaia spingendo i proletari a prendere la difesa di un campo imperialista contro un altro nei vari conflitti che si sono succeduti dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il loro posizionamento di fronte al caos guerriero che devasta l’Ucraina lo conferma ancora una volta. Questi cani da guardia del capitalismo oscillano tra prese di posizione apertamente belliciste, con l’appello a schierarsi dietro uno dei campi in lotta, e altre, apparentemente più “sottili” e “radicali”, ma che comunque giustificano il proseguimento della barbarie guerriera. Le menzogne e le mistificazioni del trotskismo sono un vero veleno per la classe operaia, destinate a disorientarla attraverso la maschera di un marxismo che non ne ha che il nome!
La posizione del Nuovo Partito Anticapitalista (NPA) in Francia appartiene alla categoria dei bellicisti dichiarati: “No alla guerra! Solidarietà con la resistenza del popolo ucraino! (…) In situazioni come quella attuale in Ucraina, finché i bombardamenti continueranno e finché le truppe russe saranno in campo, ogni posizione ‘pacifista’ astratta del tipo appello alla ‘calma’, a ‘cessare le violenze’ o al ‘cessate il fuoco’, finisce di fatto con il mettere le parti sullo stesso piano ed equivale a una negazione dei diritti degli Ucraini a difendersi, anche militarmente.” Non si può essere più chiari! Questo covo borghese chiama apertamente i proletari a servire da martiri per la difesa della Patria. In altre parole per la difesa di quel capitale nazionale che vive del loro sfruttamento.
E’ con lo stesso cinismo, ma in maniera molto più sottile e con la perfidia del suo doppio linguaggio che un altro gruppo trotskista francese, Lutte Ouvrière (LO), fa finta, in nome della “difesa dell’internazionalismo”, di condannare una guerra che “si fa sulla pelle dei popoli”, per poi chiamare i proletari a servire da carne da cannone, in nome della “resistenza all’imperialismo” e del “diritto dei popoli all’autodeterminazione”… , dietro la propria borghesia nazionale. La sua candidata alle elezioni presidenziali francesi, Nathalie Artaud, non esita a spingere “i lavoratori” alla difesa del povero piccolo Stato ucraino contro la Russia “burocratica” e l’America “imperialista”: “Putin, Biden e gli altri dirigenti dei paesi della NATO si lanciano in una guerra sulla pelle dei popoli per i quali gli uni e gli altri condividono lo stesso disprezzo”. Come se Zelensky e la sua cricca di oligarchi corrotti non fossero a loro volta responsabili dello sfruttamento della popolazione ucraina e in particolare della classe operaia i cui uomini sono costretti a partire in guerra per degli interessi che non sono i loro.
Il Movimento Socialista dei lavoratori (MTS), membro sudamericano della cosiddetta IV Internazionale, a sua volta denuncia sia l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che l’ingerenza della NATO. Ma dietro questa presa di posizione apparentemente internazionalista si ritrova questa volta il riconoscimento del “diritto all’autodeterminazione del popolo del Donbass” che è esattamente l’alibi usato da Putin per invadere l’Ucraina!
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, la Tendenza Bolscevica Internazionalista (IBT) sviluppa una posizione ancora più sottile: in un articolo intitolato “Disfattismo rivoluzionario e internazionalismo proletario” dopo aver ricordato la posizione già ambigua di Lenin secondo cui “in tutti i paesi imperialisti, il proletariato deve ora augurarsi la sconfitta del proprio governo” (quello che lui chiama “doppio disfattismo”), la IBT aggiunge: “il doppio disfattismo non si applica quando un paese imperialista attacca un paese non imperialista in quella che è effettivamente una guerra di conquista. In tali casi i marxisti non si limitano ad augurarsi la sconfitta del loro proprio governo imperialista, ma favoriscono attivamente la vittoria militare dello Stato non imperialista” (tradotto dall’inglese ed evidenziato da noi). Basta quindi definire l’Ucraina come uno Stato non imperialista e la scelta è presto fatta per spingere i proletari al massacro!
E’ vero che la IBT sfrutta fino all’assurdo una debolezza della posizione di Lenin sull’imperialismo[1]. L’errore dei bolscevichi e dell’Internazionale Comunista, che vivevano direttamente il passaggio del capitalismo dal suo periodo ascendente a quello della sua decadenza senza averne tirato tutte le implicazioni, è comprensibile. Ma dopo un secolo di guerre di aggressione di ogni paese contro un altro (l’Iraq contro il Kuwait, l’Iran contro l’Iraq, ecc.) difendere la stessa posizione è pura mistificazione!
Tutta questa mistificazione è basata sulla parola d’ordine borghese del “diritto dei popoli all’autodeterminazione”, che considera l’imperialismo una lotta fra le sole “grandi potenze”. Ma, come affermava Rosa Luxemburg nel 1916 nel suo opuscolo “La crisi della socialdemocrazia” (Juniusbroshure), “La politica imperialista non è l’opera di uno o più Stati, è il prodotto di un determinato grado di maturità dello sviluppo mondiale del capitale, un fenomeno per sua natura internazionale, un tutto indivisibile, che è intelligibile solo nell’insieme dei suoi nessi e alla quale nessuno Stato può singolarmente sottrarsi”.
Le cosiddette lotte di difesa nazionale non possono più fare parte delle rivendicazioni della classe operaia e costituiscono, al contrario, un vero veleno per la sua lotta rivoluzionaria, una mistificazione finalizzata, dietro una verbosità rivoluzionaria, a irreggimentare i proletari dietro le bandiere dell’imperialismo, quale che sia il campo che essi scelgono di sostenere!
H., 27 marzo 2922
[1] Considerando l’imperialismo come la politica delle grandi potenze imperialiste, Lenin non è sempre chiaro sulla questione dell’imperialismo, a differenza di Rosa Luxemburg.
Lo scatenarsi della barbarie guerriera in Ucraina minaccia sempre di più il mondo intero con "danni" collaterali, tra cui in particolare una maggiore miseria nel mondo, un peggioramento considerevole degli attacchi economici contro la classe operaia: intensificazione dello sfruttamento, aumento della disoccupazione, inflazione.
Oltre alle minacce di possibili attacchi nucleari annunciati dalla Russia e al rischio che nubi radioattive fuoriescano dalle centrali nucleari ucraine danneggiate dai combattimenti, le misure adottate o previste da un certo numero di paesi per mettere in ginocchio l'economia russa comportano il rischio di destabilizzare l'economia mondiale. Peraltro, tragico esempio dell'attuale escalation bellica, la forte tendenza all'aumento dei bilanci militari (illustrata in particolare dall'improvvisa decisione di raddoppiarli in Germania) costituirà un ulteriore fattore di indebolimento della situazione economica dei paesi coinvolti.
Le misure di ritorsione economiche contro la Russia comporteranno penurie di materie prime in gran parte dei paesi europei e la perdita di mercati in Russia per alcuni di essi. I prezzi delle materie prime aumenteranno stabilmente e, di conseguenza, quelli di molte altre merci. La recessione si estenderà a tutto il mondo ed è su questa scala che aumenteranno la miseria e lo sfruttamento della classe operaia.
Siamo ben lungi dall'esagerare, come dimostrano queste dichiarazioni di esperti tedeschi destinate a un "pubblico informato" preoccupato di prevedere il futuro per difendere al meglio gli interessi della borghesia: "Si tratta quindi di una grave crisi economica in Germania e quindi in Europa". "Crolli di imprese e maggiore disoccupazione” si profilerebbero allora all'orizzonte e per molto tempo: "Non parliamo di tre giorni o tre settimane", ma di "tre anni"[1]. In questo contesto, i prezzi dell'energia costantemente aumentati a livelli storici avrebbero conseguenze che si estenderebbero ben oltre la Germania e l'Europa e colpirebbero in particolare i paesi poveri. In definitiva, un tale aumento dei prezzi dell'energia potrebbe, si diceva ieri, "portare al collasso interi stati dell'Asia, dell'Africa e del Sud America"[2].
L'ampiezza e la profondità delle misure adottate contro la Russia, nonostante la loro innegabile severità, non spiegano però da sole lo tsunami economico che colpirà il mondo. Qui dobbiamo sottolineare l'attuale livello di deterioramento dell'economia mondiale, che è il prodotto di un lungo processo di aggravamento della crisi mondiale del capitalismo. Ma su questa questione gli "esperti" tacciono sempre, per non dover ammettere che la causa dello smembramento del capitalismo mondiale risiede nella sua crisi storica e insormontabile, così come sono attenti a non identificare questa guerra, come tutte quelle dalla prima guerra mondiale, come prodotto del capitalismo decadente. Né menzionano alcune conseguenze di una nuova caduta in crisi dell'economia e dell'accentuazione della guerra commerciale che da essa è inseparabile: un nuovo inasprimento delle tensioni imperialiste e una nuova corsa a capofitto nella guerra delle armi[3]. Seguendo una simile linea di difesa del capitalismo, alcuni sono preoccupati per le conseguenze molto probabili di una grave carenza di generi alimentari di base prodotti finora in Ucraina, in particolare disordini sociali in un certo numero di paesi, senza visibilmente preoccuparsi per le sofferenze delle popolazioni affamate.
La pandemia di Covid ha già dimostrato la crescente vulnerabilità dell'economia di fronte alla convergenza di una serie di fattori peculiari al periodo della vita del capitalismo dal crollo del blocco dell'Est e dalla consecutiva dissoluzione dei blocchi.
Una visione sempre più corta ha, infatti, portato il capitalismo a sacrificare, sull'altare dell'esigenze della crisi e della concorrenza economica mondiale, un certo numero di necessità imperative di qualsiasi sistema di sfruttamento, come quella di mantenere i propri sfruttati in buona salute. È così che il capitalismo non ha fatto nulla per impedire lo scoppio della pandemia di Covid-19, che è essa stessa un puro prodotto sociale, per quanto riguarda la sua trasmissione dagli animali all'uomo e la sua diffusione nel globo, dal momento che gli scienziati avevano avvertito del suo pericolo. Inoltre, il deterioramento del sistema sanitario verificatosi negli ultimi trent'anni ha contribuito a rendere la pandemia molto più letale. Allo stesso modo, l'entità del disastro e le sue ripercussioni sull'economia sono state favorite dall'esacerbarsi del ciascuno per sé a tutti i livelli della vita sociale (una caratteristica dell'attuale fase di decomposizione del capitalismo) aggravando così le classiche manifestazioni della concorrenza, e dando luogo a episodi inverosimili come la guerra delle mascherine, dei respiratori, dei vaccini... tra paesi ma anche tra servizi statali o privati all'interno di uno stesso paese. Milioni di persone sono morte in tutto il mondo, e la parziale paralisi dell'attività economica e la sua disorganizzazione hanno generato nel 2020 la peggiore depressione dalla seconda guerra mondiale.
Colpendo l'economia dappertutto nel mondo, la pandemia ha anche rivelato nuovi ostacoli per la produzione capitalista, come la maggiore vulnerabilità delle svariate catene di approvvigionamento. Basta infatti che un singolo anello della filiera sia difettoso o non funzionante a causa di malattie, instabilità politica o disastri climatici, perché il prodotto finale subisca un ritardo talvolta molto significativo, incompatibile con le esigenze della commercializzazione. Così, in alcuni paesi, non è stato possibile commercializzare un numero considerevole di auto perché immobilizzate sulle catene di montaggio in attesa di pezzi mancanti, provenienti in particolare dalla Russia. Il capitalismo si trova così di fronte all'effetto boomerang dell'eccessiva "globalizzazione" dell'economia che la borghesia aveva progressivamente sviluppato a partire dagli anni '80 per migliorare la redditività del capitale attraverso l'esternalizzazione di parte della produzione svolta da manodopera molto più a buon mercato.
Inoltre, il capitalismo è sempre più confrontato con le catastrofi derivanti dagli effetti del riscaldamento globale (incendi mostruosi, fiumi che sfondano violentemente gli argini, inondazioni diffuse, ecc.) che colpiscono in modo sempre più significativo non solo il settore agricolo ma tutta la produzione. Il capitalismo paga così il prezzo dello sfruttamento e della distruzione implacabile della natura dal 1945 (e il cui impatto è diventato più ampiamente percepibile a partire dagli anni '70) da parte dei vari capitali in competizione tra loro nella ricerca di nuove e sempre più ristrette fonti di profitto.
Il quadro che abbiamo appena abbozzato non cade dal cielo, ma è il culmine di oltre cento anni di decadenza del capitalismo, iniziata dalla prima Guerra mondiale, durante la quale questo sistema ha dovuto confrontarsi costantemente con gli effetti della crisi da sovrapproduzione, che troviamo al centro di tutte le contraddizioni del capitalismo. L’abbiamo trovata all'origine di tutte le recessioni di questo periodo: la Grande Depressione degli anni '30 e, dopo una parvenza di ripresa economica nel periodo 1950/60, che alcuni hanno chiamato i "Trent'anni gloriosi", la crisi aperta del capitalismo è riapparsa a fine degli anni 60. Ciascuna delle sue espressioni si traduce in una recessione più grave della precedente: 1967, 1970, 1975, 1982, 1991, 2001, 2009. Ogni volta la macchina economica ha dovuto essere riavviata attraverso debiti che, in proporzione sempre maggiore, non potranno che essere ripagati se non da nuovi debiti, e così via ... Sebbene che ogni nuova manifestazione aperta della crisi sia più devastante, il mezzo messo in atto per affrontarla, l'indebitamento, costituisce una minaccia crescente per la stabilità economica.
Un rallentamento della crescita a dieci anni dal crollo finanziario del 2008 ha richiesto un nuovo rilancio dell'indebitamento mentre il calo produttivo verificatosi nel 2020, inteso come abbiamo visto a sostenere l'economia di fronte a un insieme di fattori "nuovi" (pandemia, riscaldamento globale, vulnerabilità delle catene di approvvigionamento...) ha comportato un nuovo record del debito globale che tende a scollegarlo ulteriormente dall'economia reale (è balzato al 256% del valore del PIL mondiale). E questa situazione non è banale, perché costituisce un fattore di svalutazione delle valute e quindi sviluppo dell'inflazione. Un aumento duraturo dei prezzi comporta il rischio di agitazioni sociali di vario genere (movimenti interclassisti, lotte di classe) e costituisce un ulteriore ostacolo al commercio mondiale. Per questo la borghesia sarà sempre più costretta a confrontarsi in un gioco di equilibri – che, sebbene a lei familiare, sta diventando sempre più pericoloso – nel farsi carico di due necessità antagoniste:
E tutto questo in un contesto tendente alla stagnazione economica che si coniuga con un'elevata inflazione.
Inoltre, una situazione del genere favorisce lo scoppio di bolle speculative che possono contribuire a destabilizzare l'attività e il commercio mondiale (come nel settore immobiliare negli Stati Uniti nel 2008, in Cina nel 2021).
Di fronte a ciascuna delle calamità di questo mondo, che provenga dalla guerra o dalle manifestazioni della crisi economica, la borghesia ha sempre a sua disposizione una panoplia di false spiegazioni che, nella loro grande diversità, hanno tutte in comune il fatto di non mettere mai in discussione il capitalismo di fronte ai mali che travolgono l'umanità.
Nel 1973 (un anno che è stato un momento dell'aggravarsi della crisi aperta, divenuta più o meno permanente) l'andamento della disoccupazione e dell'inflazione venne spiegato con l'aumento del prezzo del petrolio.
Ora, l'aumento del prezzo del petrolio è un incidente del commercio capitalista e non colpa di un'entità che sarebbe al di fuori di questo sistema[4].
La situazione attuale è un'ulteriore dimostrazione di questa regola. La guerra in Ucraina diventa colpa della Russia totalitaria e non del capitalismo in crisi, come se questo Paese non facesse parte a pieno titolo del capitalismo mondiale.
Di fronte alle prospettive di un notevole aggravamento della crisi economica, la borghesia prepara il terreno per far accettare ai proletari i terribili sacrifici che verranno loro imposti e presentati come conseguenza delle misure di rappresaglia contro la Russia. Il suo discorso è già il seguente: "la popolazione può ben accettare di riscaldarsi o di sfamarsi un po' meno in solidarietà con il popolo ucraino, perché questo è il costo dello sforzo necessario per indebolire la Russia".
Dal 1914 la classe operaia ha vissuto un inferno: come carne da cannone nelle due guerre mondiali e in conflitti regionali incessanti e mortali; come vittima della disoccupazione di massa durante la Grande Depressione degli anni '30; altre volte costretta a rimboccarsi le maniche per la ricostruzione di paesi ed economie sconvolti da due guerre mondiali; e dal ritorno della crisi economica globale alla fine degli anni '60 gettata anche nella precarietà o nella povertà ad ogni nuova recessione
Di fronte a un nuovo tonfo della crisi economica, di fronte a minacce di guerra sempre più pesanti, la classe operaia andrebbe in rovina se ascoltasse di sottoporsi ad ulteriori sacrifici richiesti dalla borghesia. Al contrario, essa deve sfruttare le contraddizioni del capitalismo espresse dalla guerra e dagli attacchi economici per spingere più avanti e in modo più cosciente possibile la sua lotta di classe per il rovesciamento del capitalismo.
Silvio, 26 marzo 2022
[1] - "Habeck: esaminare i mezzi per moderare i prezzi dell'energia", Sueddeutsche (8 marzo 2022)
[2] - "Gli Stati Uniti mettono in agenda l'embargo petrolifero", Frankfurter Allgemeine Zeitung (8 marzo 2022).
[3] - "Risoluzione sulla situazione internazionale [19]", Revue internationale n°63 (giugno 1990). (in francese)
[4] - Leggi il nostro articolo, L'aumento dei prezzi del petrolio: una conseguenza e non la causa della crisi, [20] Revue internationale n°19 (4° trimestre 1979) (in francese)
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VOLANTINO INTERNAZIONALE
L’Europa è entrata in guerra. Non è la prima volta dopo la seconda carneficina mondiale del 1939-45. All’inizio degli anni ‘90, la guerra aveva devastato l’ex Jugoslavia, provocando 140.000 morti con massacri di massa di civili, in nome della “pulizia etnica”, come a Srebrenica, nel luglio del 1995, dove 8.000 uomini e adolescenti furono assassinati a sangue freddo. La guerra appena scoppiata con l’offensiva delle armate russe contro l’Ucraina non è per il momento tanto mortale, ma nessuno può sapere quante vittime farà alla fine. Per ora, essa ha una portata ben più grande della guerra nella ex-Jugoslavia. Oggi, non sono le milizie o dei piccoli Stati che si combattono tra loro. La guerra attuale è tra i due Stati più estesi d’Europa, con 150 milioni e 45 milioni di abitanti e con imponenti eserciti di 700.000 uomini per la Russia e oltre 250.000 per l’Ucraina.
Inoltre, se le grandi potenze si erano già implicate negli scontri nell’ex Jugoslavia, questo era avvenuto in maniera indiretta o partecipando a “forze di interposizione”, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Oggi, non è solo l’Ucraina che la Russia affronta, ma l’insieme dei paesi occidentali raggruppati nella NATO che, anche se non partecipano in maniera diretta agli scontri, hanno preso delle sanzioni economiche significative contro questo paese mentre hanno iniziato al tempo stesso a inviare armi all’Ucraina.
Così, la guerra che è cominciata costituisce un evento drammatico della massima importanza, prima di tutto per l’Europa, ma anche per il mondo intero. Questa guerra ha già provocato migliaia di morti tra i soldati di entrambe le parti e tra i civili. Ha gettato per le strade centinaia di migliaia di profughi. E causerà ulteriori aumenti del prezzo dell’energia e del pane, sinonimi di freddo e fame, mentre nella maggior parte dei paesi del mondo, gli sfruttati, i più poveri, hanno già visto crollare le loro condizioni di vita di fronte all’inflazione. Come sempre, è la classe che produce la maggior parte della ricchezza sociale, la classe operaia, che pagherà il prezzo più alto per le azioni belliche dei padroni del mondo.
Questa tragedia della guerra non può essere separata da tutto ciò che è avvenuto nel mondo negli ultimi due anni: pandemia, aggravarsi della crisi economica, moltiplicarsi di catastrofi ecologiche. Tutto questo è una chiara manifestazione dello sprofondamento del mondo nella barbarie.
Le bugie della propaganda di guerra
Ogni guerra è accompagnata da massicce campagne di menzogne. Per far accettare alle popolazioni, e in particolare agli sfruttati, i terribili sacrifici che si chiedono loro, il sacrificio delle vite di coloro che vengono inviati al fronte, il lutto delle loro madri, dei loro compagni, dei loro figli, il terrore delle popolazioni civili, le privazioni e l’aggravamento dello sfruttamento, bisogna riempire loro la testa.
Le bugie di Putin sono grossolane e rispecchiano quelle del regime sovietico in cui ha avuto inizio la sua carriera come ufficiale del KGB, l’organizzazione di polizia politica e dei servizi di spionaggio. Egli pretende di far credere che sta conducendo una “operazione militare speciale” per venire in aiuto alle popolazioni del Donbass vittime di “genocidio” e proibisce ai media, sotto pena di sanzioni, di usare la parola “guerra”. A suo dire, vorrebbe liberare l’Ucraina dal “regime nazista” che la governa. È vero che le popolazioni russofone dell’est sono perseguitate dalle milizie nazionaliste ucraine, spesso nostalgiche del regime nazista, ma non si tratta di un genocidio.
Le bugie dei governi e dei media occidentali sono di solito più sottili, anche se non sempre: gli Stati Uniti e i loro alleati, tra cui il democraticissimo Regno Unito, la Spagna, l’Italia e ... l’Ucraina (!) avevano fatto passare l’intervento in Iraq del 2003 in nome della minaccia - totalmente inventata - delle “armi di distruzione di massa” nelle mani di Saddam Hussein. Un intervento che ha provocato diverse centinaia di migliaia di morti e due milioni di profughi tra la popolazione irachena, oltre a diverse decine di migliaia di morti tra i soldati della coalizione.
Oggi, i leader “democratici” e i media occidentali ci danno in pasto la favola della lotta tra “l’orco cattivo” Putin e il “piccolo cucciolo gentile” Zelensky. Che Putin sia un cinico criminale, lo sappiamo da tempo. Sembra averne anche le sembianze. Zelensky al contrario non ha la stessa fedina penale di Putin ed è stato, prima di entrare in politica, un popolare attore comico (disponendo per questo di una grande fortuna nei paradisi fiscali). Ma il suo talento comico gli ha permesso ora di entrare con brio nel suo nuovo ruolo di signore della guerra, di colui che proibisce agli uomini tra i 18 e i 60 anni di accompagnare le loro famiglie che vorrebbero rifugiarsi all’estero, di colui che invita gli ucraini a farsi uccidere per “la Patria”, cioè per gli interessi della borghesia e degli oligarchi ucraini. Perché qualunque sia il colore dei partiti di governo, qualunque sia il tono dei loro discorsi, tutti gli Stati nazionali sono anzitutto difensori degli interessi della classe sfruttatrice, della borghesia nazionale, di fronte agli sfruttati e di fronte alla concorrenza delle altre borghesie nazionali.
In ogni propaganda di guerra, ciascuno degli Stati si presenta come l’“aggredito” che deve difendersi dall’“aggressore”. Ma poiché tutti gli Stati sono in realtà dei briganti, è inutile chiedersi quale brigante abbia sparato per primo in un regolamento di conti. Oggi, Putin e la Russia hanno sparato per primi, ma in passato la NATO, sotto la tutela degli Stati Uniti, ha integrato nelle sue file molti paesi che, prima del crollo del blocco dell’est e dell’Unione Sovietica, erano dominati dalla Russia. Iniziando la guerra, il brigante Putin mira a recuperare parte del potere passato del suo paese, in particolare impedendo all’Ucraina di entrare nella NATO.
In realtà, dall’inizio del XX secolo, la guerra permanente, con tutte le terribili sofferenze che genera, è diventata inseparabile dal sistema capitalista, un sistema basato sulla concorrenza tra imprese e tra Stati, dove la guerra commerciale porta alla guerra delle armi, dove l’aggravarsi delle contraddizioni economiche, della crisi, suscita sempre più conflitti bellici. Un sistema basato sul profitto e lo sfruttamento feroce dei produttori, dove questi ultimi sono costretti a pagare con il loro sangue dopo aver pagato con il loro sudore.
Dal 2015, le spese militari mondiali sono in forte aumento. Questa guerra ha accelerato ancora più brutalmente questo processo. Come simbolo di questa spirale mortale ricordiamo: la Germania ha iniziato a consegnare armi all’Ucraina, una primizia storica dalla seconda guerra mondiale; ancora, per la prima volta, l’Unione Europea finanzia l’acquisto e la consegna di armi all’Ucraina; per finire il presidente russo Vladimir Putin minaccia di usare le armi nucleari per dimostrare la sua determinazione e capacità distruttiva.
Come mettere fine alla guerra?
Nessuno può prevedere esattamente come evolverà la guerra attuale, anche se la Russia dispone di un esercito molto più potente dell’Ucraina. Oggi, assistiamo nel mondo intero - ed anche in Russia - a numerose manifestazioni contro l’intervento di questo paese. Ma non sono queste manifestazioni che potranno mettere fine alle ostilità. La storia ha mostrato che la sola forza capace di mettere fine alla guerra capitalista è la classe sfruttata, il proletariato, il nemico diretto della classe borghese. Questo fu il caso quando gli operai della Russia rovesciarono lo Stato borghese nell’ottobre 1917 e quando gli operai e i soldati di Germania si rivoltarono nel novembre 1918, costringendo il loro governo a firmare l'armistizio. Se Putin ha potuto inviare centinaia di migliaia di soldati a farsi uccidere contro l’Ucraina, se molti ucraini oggi sono pronti a dare la vita per la “difesa della Patria”, è in gran parte perché in questa parte del mondo la classe operaia è particolarmente debole. Il crollo nel 1989 dei regimi che pretendevano di essere “socialisti” o “proletari” aveva inferto un colpo brutale alla classe operaia mondiale. Questo episodio aveva colpito i lavoratori che avevano condotto grandi lotte a partire dal 1968 e durante gli anni '70 in paesi come Francia, Italia e Regno Unito, ma molto più quelli dei paesi cosiddetti “socialisti”, come quelli della Polonia, che avevano combattuto in massa e con grande determinazione nell’agosto 1980, costringendo il governo a rinunciare alla repressione e a soddisfare le loro rivendicazioni.
Non è manifestando “per la pace”, non è scegliendo di sostenere un paese contro un altro che si può portare una vera solidarietà alle vittime della guerra, alle popolazioni civili e ai soldati di entrambe le parti, proletari in uniforme trasformati in carne da cannone. L’unica solidarietà consiste nel denunciare TUTTI gli Stati capitalisti, TUTTI i partiti che chiamano a raccolta dietro questa o quella bandiera nazionale, TUTTI coloro che ci adescano con l’illusione della pace e delle “buone relazioni” tra i popoli. L’unica solidarietà che può avere un impatto reale è lo sviluppo di lotte operaie massicce e coscienti ovunque nel mondo. E in particolare, consapevoli del fatto che costituiscono una preparazione al rovesciamento del sistema responsabile delle guerre e di tutta la barbarie che minaccia sempre più l’umanità, la barbarie del sistema capitalista.
Oggi, i vecchi slogan del movimento operaio apparsi nel Manifesto Comunista del 1848 sono più che mai all’ordine del giorno: “I proletari non hanno patria! Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
Per lo sviluppo della lotta di classe del proletariato internazionale!
Corrente Comunista Internazionale
28 febbraio 2022
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[18] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/movimento-di-zimmerwald
[19] https://fr.internationalism.org/rinte63/reso.htm
[20] https://fr.internationalism.org/rinte19/crise.htm
[21] https://it.internationalism.org/files/it/volantino_vd_0.pdf
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