1. Introduzione
Nell'ambiente politico proletario si sa, più o meno bene, cosa presume di essere la corrente bordighista, cioè un “Partito duro e puro” con un “Programma completo e invariante”. Naturalmente ciò appartiene più alla leggenda che alla realtà. Infatti nella realtà noi conosciamo, come “Partito” per esempio, almeno 4 o 5 gruppi provenienti dallo stesso troncone, tra cui Programma Comunista, che pretendono ognuno di essere l’unico erede, il solo legittimo, di quello che fu la Sinistra Italiana, e di incarnare il “Partito-storico” dei loro sogni. Probabilmente questa è la sola “invarianza” che li accomuna. Ciò che si conosce molto male, invece, o non si conosce per niente - e ciò è vero prima di tutto per la maggioranza dei militanti di questi partiti - sono le vere posizioni di questo “Partito” alla sua origine, cioè al momento della sua fondazione, nel '43-44, dopo e in seguito alla disgregazione del regime di Mussolini. Per rimediare a questa ignoranza riteniamo molto utile pubblicare qui uno dei primi documenti di questo nuovo partito (P.C. Internazionalista) apparso sul primo numero del suo giornale Prometeo. Questo documento, che riguarda una questione cruciale: la posizione dei rivoluzionari di fronte alla guerra imperialista e alle forze politiche che vi partecipano, permetterà ad ogni militante di farsi un’idea esatta sul grado di chiarezza e maturità delle posizioni politiche presenti alla fondazione di questo Partito, e l’azione pratica che necessariamente ne derivava.
2. Ciò che il P.C. Internazionalista pretende di essere
Per meglio vedere la differenza tra quello che pretende di essere e quello che è stato e continua ad essere sarà bene cominciare col ricordare ciò che pretende essere. Per farlo ci limiteremo ad alcune citazioni estratte da un articolo che voleva essere fondamentale e che serve sempre da riferimento: “Sulla via del ‘Partito compatto e potente’ di domani”, apparso sui numeri 18,19,20,22 del 1977 di Programma Comunista:
“… la sua esistenza [del partito] non è provata dal fatto che sia bell’e costruito anziché “in costruzione”, ma dal fatto che, come l'organismo si sviluppa sulla base delle cellule e articolazioni di cellule con le quali è nato, così esso cresca e si rafforzi coi mattoni delle sue fondamenta, le sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo...” (P.C. n. 20, ottobre 1977).
Lasciando da parte lo stile sempre pomposo proprio dei bordighisti e facendo grandi riserve sull’affermazione che i “materiali teorici” siano l’unica ed esclusiva condizione per la proclamazione del Partito, indipendentemente dalla situazione di flusso o riflusso della lotta di classe, possiamo condividere l’idea che l’evoluzione ulteriore di una organizzazione dipende largamente dalle sue posizioni politiche e dalla sua coerenza iniziali. Programma Comunista ne è un’eccellente dimostrazione! Polemizzando con noi, l’autore dell'articolo è costretto ad esprimersi (per una volta non è peccato!) sulle posizioni difese dalla Frazione Italiana della Sinistra Comunista e sull’enorme contributo teorico e politico di questa sulla sua rivista Bilan e in seguito sulla rivista Octobre tra gli anni trenta e il 1945[1]:
“Rivendicare il filo che essa [la Frazione] riuscì a tenere ben saldo …, significa anche capire le ragioni materiali per cui la Frazione lasciò dietro di sé, accanto a molti valori positivi, degli elementi caduchi.” (P.C. n.19, ottobre 1977).
Questi elementi caduchi sono, tra gli altri, che:
“… la via della rinascita passa non già attraverso la scoperta di una falla nella propria corazza teorica e programmatica, ma, al contrario, attraverso la riscoperta della sua potenza in tutti i punti, e rifarsi ad essa come blocco monolitico, per riprendere il cammino. […] per capire fino in fondo, con gli strumenti originari - non trovati lungo la strada - della critica, le cause della rotta insieme ai presupposti in un futuro ritorno all’attacco.” (ibidem)
Aver commesso l’imprudenza di sottomettere a critica le posizioni dell’Internazionale Comunista
“… si tradusse per la Frazione in sbandamenti in questioni come quella nazionale e coloniale, e non tanto nel giudizio su che cos’era diventata la Russia, quanto nella ricerca di una via, diversa da quella battuta dai bolscevichi nell’esercizio della dittatura” (ibidem).
E più avanti Programma cita, come illustrazione delle eresie della Frazione, Bilan quando scrive:
“le frazioni di sinistra non potranno trasformarsi in partito che quando gli antagonismi fra la posizione del partito degenerato e la posizione del proletariato minacceranno tutto il sistema dei rapporti di classe…”[2]
aggiungendo:
“Su queste e analoghe formulazioni oggi speculano ad arte coloro che, come il gruppo Révolution internationale, teorizzano l’inevitabile degenerazione opportunistica di qualunque partito di classe pretenda di costituirsi prima dell’ondata rivoluzionaria futura, e che, nel frattempo, si dedicano ad una revisione completa delle Tesi costitutive dell'Internazionale presentata come il ‘bilancio’ preliminare alla rinascita del partito formale.” (ibidem).
Il partito bordighista non concepisce assolutamente che si possano sottoporre a critica, alla luce dell’esperienza reale, delle posizioni che si sono rivelate false o inadeguate. L’invarianza lo vuole. Notiamo comunque che, dopo aver salutato la “fermezza”, i “valori positivi”, Programma rigetta con altrettanta “fermezza” quello che costituisce giustamente l’essenziale del reale contributo dell’opera della Frazione. Quanto a noi, CCI, riconosciamo volentieri che questo apporto della Frazione ci è servito molto per il nostro proprio sviluppo e non solo nella questione del momento della costituzione del Partito, ma in tante altre questioni che l’articolo considera come “sbandamenti”. Il “blocco monolitico” di cui parla l’articolo, oltre a sembrarci una frase tronfia, non indica nient’altro che un ritorno al di qua delle posizioni della Frazione, e anche una regressione rispetto alla IC.
“È la piena consapevolezza di doversi conquistare un’influenza (che possiede solo potenzialmente) nella classe, e l'impegno messo nel lavoro diretto a questo scopo partecipando attivamente alle lotte e alle forme di vita associativa della classe, non solo propagandando il suo programma, che definisce come partito anche un piccolissimo numero di militanti, e che lo definì come tale fin da allora.” (P.C. n.20, ottobre 1977).
Ecco una nuova definizione della costituzione del Partito. Questa volta l’accento è messo sull’“attivismo”. Quell’attivismo proprio dei gauchisti, dai differenti partiti trotskisti ai maoisti. Programma c’è caduto spesso, sia ieri che oggi, dalla sua fondazione durante la guerra nel ‘43 fino al suo sostegno attivo alla guerra in Libano nel campo palestinese, passando per la partecipazione, a fianco di trotskisti e maoisti, ad ogni tipo di Comitato fantasma, quello dei soldati, di sostegno alla lotta della Sonacotra, degli immigrati, etc. In questa febbrile attività la questione era più quella di farsi portatori d’acqua al fine di “conquistare un’influenza sulla classe” che di “difendere il programma”. Ma ciò non gli impedisce di ricadere sulle zampe, come un gatto, scrivendo:
“La Frazione all’Estero, d’altronde, non si è puramente dedicata alla ‘ricerca teorica’, ma ha condotto un’aspra battaglia pratica: caso mai, è stato l’insufficiente sviluppo della prima, che ne ha fatto soltanto il preludio del Partito, non ancora il Partito.” (P.C. n.20, nota 6).
Passiamo sopra “l’insufficienza del lavoro teorico” della Frazione. Quest’ultima non ha mai avuto la pretesa di avere nella sua tasca un “programma acquisito”, sullo stile di Programma, e si contentava umilmente di voler essere un contributo allo sviluppo del programma alla luce di un esame critico dell’esperienza della prima grande ondata rivoluzionaria e della controrivoluzione che l’ha seguita. La Frazione non aveva, certo, questa megalomania propria del bordighismo all’indomani della guerra mondiale che, senza il minimo pudore e senza ridere, può scrivere:
“La storia del nostro piccolo movimento ha provato del resto che questo era il cammino da percorrere, e che il Partito sarebbe nato non perché e quando la classe avrebbe ritrovato, sotto la spinta di determinazioni materiali, la via unica e necessaria della ripresa, ma perché e quando una cerchia forzatamente ‘microscopica’ di militanti avrebbe attinto dalla comprensione delle cause della situazione oggettiva immediata e dalla coscienza dei presupposti della sua inversione futura la forza non di elaborare nuove teorie ad ‘integrazione’ del marxismo […], ma di ripresentare il marxismo nella sua intatta e immutata integralità e su questa base […] trarre il bilancio della controrivoluzione come totale conferma della nostra dottrina in tutti i campi…” (P.C. n.19).
“È per esservi giunta [al bilancio globale del passato, n.d.r.] che ha potuto (in quali condizioni e in base a quali presupposti lo si vedrà: non certo, lo diciamo subito, sull’onda di un movimento reale di classe in ascesa; anzi precedendolo di lunga mano) costituirsi in coscienza critica organizzata, in milizia operante, in Partito, venticinque anni dopo.” (P.C. n.18, ottobre 1977)
Dunque il Partito non può farsi che “nelle sue file”. Tuttavia sembra che sia capitato a questo Partito un riprovevole incidente di percorso, incidente di cui ancora si parla con qualche vergogna:
“Quando, nel 1949, allorché si era già cominciato a gettare le basi teoriche e programmatiche del Partito, si redasse l’Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento rivoluzionario marxista, non si offrì ai piccoli e sparsi nuclei di operai rivoluzionari che in tutti i paesi mostravano, sia pure su scala microscopica, di reagire al corso rovinoso dell’opportunismo un emporio di mercanzie disparate fra le quali ‘scegliere’ liberamente così come liberamente erano state allineate alla rinfusa, e costruire con esse, compensando coi pregi delle une i difetti delle altre, l’amorfo edificio della sempre rincorsa e mai raggiunta ‘unità delle forze rivoluzionarie’: si offrì loro un terreno di lotta omogeneo perché basato sulla conferma, fornita insieme dalla ‘critica dottrinale’ e da ‘una terribile esperienza storica’, dell’improponibilità delle soluzioni presentate da ‘gruppi influenzati sia pure parzialmente e indirettamente dalle suggestioni è dal conformismo filisteo delle propagande che infestano il mondo’…” (Programma Comunista n.20)
Lasciamo da parte tutti questi giri di parole, che dovrebbero chiarire il senso di un documento che già, dal suo titolo stesso è perfettamente chiaro.
È molto più importante ricordare che non era la prima volta che il Partito Comunista Internazionalista lanciava simili Appelli - e purtroppo anche a forze ben diverse dai “piccoli e sparsi nuclei di operai rivoluzionari”. Come vedremo un simile Appello fu indirizzato in piena guerra imperialista a forze certo più “serie” per la costituzione di un “Fronte Operaio” per “l’Unità di classe del proletariato”.
Andiamo dunque a vedere questo Partito al lavoro, per capire veramente come è e come è stato a partire dalla sua fondazione.
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PROMETEO
Organo del Partito Comunista Internazionalista
Riportiamo qui l’appello indirizzato dal nostro Comitato di Agitazione ai Comitati di Agitazione del Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito del lavoro, Federazione Comunista Libertaria (attraverso l’allora Lega dei Consigli rivoluzionari), Sindacalisti Rivoluzionari, Partiti d’Azione in data 10 febbraio 1945:
Appello del Comitato d’Azione del P.C.INT.[3]
Il presente appello è rivolto dal Comitato d’Agitazione del Partito Comunista lnternazionalista ai Comitati d’Agitazione dei partiti a tradizione proletaria e dei movimenti sindacali di fabbrica per dare alla lotta rivoluzionaria del proletariato unità di direttive e di organizzazione alla vigilia di avvenimenti sociali e politici che dovranno rivoluzionare la situazione italiana e europea; e a tale scopo si fa iniziatore di un convegno dei rispettivi rappresentanti per addivenire alla definizione di un piano d'intesa.
Per facilitare tale compito, il Comitato di Agitazione del P.C.Int. espone brevemente il suo punto di vista programmatico che potrebbe considerarsi come iniziale base di discussione.
Perché abbiamo creduto opportuno di rivolgerci ai Com. d’Agit. e di fabbrica piuttosto che al C.C. dei rispettivi partiti?
Uno sguardo panoramico del fronte politico quale si è venuto precisando non solo nella lotta genericamente antifascista ma in quella più specificamente proletaria, ci ha convinti, e non da oggi, dell’impossibilità di trovare un benché minimo comune denominatore ideologico e politico su cui gettare le fondamenta di un’intesa di azione rivoluzionaria. Il diverso modo di considerare la guerra nella sua natura e nelle sue finalità, il diverso modo di concepire e definire l’imperialismo e di conseguenza il contrasto esistente nei metodi di lotta o sindacale o politica o militare documentano a sufficienza ·tale impossibilità.
D’altro canto, siamo tutti d’accordo nel considerare la crisi aperta dalla guerra come la più profonda e insanabile che si sia abbattuta sul regime borghese; nel considerare il regime fascista come socialmente e politicamente finito, anche se le armi tedesche gli servono tuttavia di ossigeno, anche se si dovrà duramente e sanguinosamente combattere per sradicarlo dal suolo italiano; nel considerare infine il proletariato come il solo grande protagonista nella nuova storia del mondo che sta per sorgere da questo immane conflitto.
Ma il trionfo del proletariato è possibile alla sola condizione che esso abbia preventivamente risolto il problema della sua unità nell’organizzazione e nella lotta. E una tale unità non si è realizzata, né potrà mai realizzarsi sul piano del C.d.L.N. [Comitato di Liberazione Nazionale, ndr], il quale, sorto da ragioni contingenti scaturite dalla guerra, che si è voluto assumesse aspetto di guerra ideologica contro il fascismo e l’hitlerismo, era costituzionalmente impotente a porre problemi che superassero tale contingenza, non ha fatto proprie le rivendicazioni proletarie e gli obbiettivi storici della classe operaia, che si sarebbero del resto urtati con le ragioni e le finalità della guerra democratica di cui il C. di L.N. si è fatto assertore e animatore, e si è dimostrato così incapace a convogliare unitariamente le profonde e vere forze del lavoro.
Di fronte alla guerra è a tutt’oggi possibile, costrizioni ideologiche a parte, vedere sullo stesso piano di lotta, accanto ai rappresentanti dell’alta finanza, del capitalismo industriale e agrario, ·quelli dell’organizzazione operaia; ma chi oserebbe pensare ad un C. di L.N. centro propulsore della lotta di classe e dell’assalto rivoluzionario al potere borghese, nel quale dominassero i De Gasperi, i Gronchi, i Soleri, i Gasparotto, i Croce, gli Sforza, ecc.?
Se il C. di L.N. può essere storicamente idoneo a risolvere i problemi connessi allo stato di guerra e alla sua continuazione nei quadri dello stato borghese, non sarà in nessun caso l’organo della rivoluzione proletaria, compito proprio, questo, di quel partito di classe che meglio avrà interpretato le esigenze fondamentali del proletariato e avrà più profondamente aderito alle necessità della sua lotta. Ma questo stesso partito si sentirà impotente a concludere la sua missione storica se si troverà davanti un proletariato moralmente e fisicamente scisso, sfiduciato dalla inanità delle lotte intestine, scettico nella valutazione del suo stesso avvenire.
È questo l’angolo morto che abbiamo conosciuto in tutte le situazioni di crisi degli ultimi decenni, e contro cui sono sempre andati ad infrangersi i marosi della rivolta proletaria. Con un proletariato disunito non si va all’attacco del potere borghese, e dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che, attualmente, il proletariato italiano è disunito e scettico, come disunito e scettico è il proletariato europeo. Il comandamento dell’ora è perciò l’unità classista del proletariato che troverà nella fabbrica e in ogni altro posto di lavoro l’ambiente naturale e storicamente idoneo all’affermazione di tale unità. A questa sola condizione il proletariato sarà in grado di volgere a suo vantaggio la crisi del capitalismo che la guerra ha aperto, ma che è impotente a risolvere.
Concludiamo questo nostro Appello riassumendo in alcuni punti di sintesi il nostro pensiero:
1) Poiché le ragioni, le finalità, la prassi della guerra dividono il proletariato e le sue forze di combattimento, alla politica che mira a subordinare alla guerra la lotta di classe si dovrà contrapporre la subordinazione della guerra e di tutte le sue manifestazioni alla lotta di classe.
2) Auspichiamo alla creazione di organismi unitari del proletariato che siano emanazione della fabbrica e delle aziende commerciali e agrarie.
3) Tali organismi saranno di fatto il fronte unico di tutti i lavoratori, dai quali si origineranno democraticamente i Comitati di Agitaz.
4) Tutti i partiti legati alla lotta del proletariato avranno in esso diritto di cittadinanza per propagandare le loro idee e i loro programmi: pensiamo anzi che sarà proprio in virtù di questo sano conflittare di idee e di programmi che il proletariato perverrà alla sua maturità politica e alla libera scelta di quell’indirizzo politico che lo condurrà alla vittoria.
5) La lotta del proletariato, dalle agitazioni parziali all’insurrezione armata per trionfare dovrà svilupparsi su di un piano di classe, per culminare nella conquista violenta di tutto il potere che costituisce l’unica e seria garanzia di vittoria.
10 febbraio 1945.
Il Comitato d’Agitazione del Partito Comunista Internazionalista.
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3. Commenti del PC.Int alle risposte degli altri partiti
A quest’appello, mentre non giungeva, riteniamo per ragioni contingenti, la risposta del Comitato d’Agitazione del P.D.A., e la Comunità di Milano del Partito del Lavoro dichiarava di non poter prendere in considerazione, come avrebbe fatto in condizioni più favorevoli, la nostra proposta perché “la particolare linea politica seguita dal P.I.L., benché volta alla rivoluzione proletaria, non consente al P.I.L. di esercitare per ora alcuna influenza sulle masse dell’Italia settentrionale”, giungeva invece la piena adesione dei Sindacalisti Rivoluzionari, che esplicitamente accettavano di collaborare alla creazione di organismi unitari di base e si dichiaravano pienamente consenzienti col nostro punto di vista sulla lotta concreta contro la guerra, e dei Comunisti Libertari, i quali riconoscevano nei termini della proposta ricevuta il terreno sul quale essi stessi si trovano, “sia riguardo alla situazione generale politica, sia per l’atteggiamento nei confronti della guerra, sia per la necessità di un un’organizzazione classista dei lavoratori che punti direttamente alla rivoluzione espropriatrice mediante la costituzione dei Consigli di gestione dei lavoratori stessi ...” e si compiacevano “che tale punto di vista sia condiviso dai compagni comunisti internazionalisti”.
È per contro addirittura stupefacente che il P.C.I. si rifiutasse attraverso comunicazione verbale di risponderci, essendo già stato più volte espresso attraverso la sua stampa il suo giudizio sul nostro partito. Poco dopo, infatti, a conclusione dì una sporadica campagna di denigrazione contro di noi (accusati di essere... spie nazifasciste o dei fascisti mascherati), usciva sulla “Fabbrica”, un trafiletto a noi dedicato col significativo titolo “Provocatori”, in cui ci si riferiva direttamente ai nostri approcci per la costituzione di organismi di fronte unico operaio e, in marzo, seguiva una circolare della Federazione Milanese agli organismi di base in cui si invitavano “le Sap a intervenire energicamente per la necessaria epurazione, nei nostri confronti", splendido preludio alla tanta conclamata e sbandierata, democrazia progressiva (in verità, il gangsterismo fascista ha avuto i suoi discepoli).
Tradizionalmente incapace di rispondere sì o no, il Partito Socialista ha invece risposto: “Cari compagni, in risposta al vostro appello, vi confermiamo che il nostro Partito non ha pregiudizialmente nulla in contrario a che vostri compagni partecipino ai Comitati di Agitazione periferici in quelle fabbriche ove il vostro Partito ha realmente un seguito, e sempre che la loro collaborazione sia data nel quadro della lotta generale delle masse per cui i Comitati di Agitazione stessi sono sorti”.
A questa lettera, che lasciava adito a nuovi passi, ma girava elegantemente la questione, abbiamo risposto: “Cari compagni, avremmo preferito che la risposta vostra fosse più conforme alle questioni poste dal nostro documento e, in questo senso, più conclusiva, evitando la perdita di tempo, tanto più che la situazione politica, in conseguenza degli avvenimenti militari, si aggrava di momento in momento, e pone alla massa in genere, e ai partiti proletari in particolare, compiti sempre più gravi ed urgenti. Ciò premesso, ci permettiamo di fermare la vostra attenzione su questi due punti: a) la nostra iniziativa non poneva la questione di un’adesione a comitati di agitazione già esistenti di questo e quel partito, ma di un’intesa fra gli organismi direttivi di tali comitati al fine di concretare un piano di azione comune per risolvere unitariamente tutti i problemi scaturienti dalla crisi in atto del capitalismo; b) era implicito che la nostra iniziativa non poteva avere per obiettivo una troppo comoda e generica “lotta generale delle masse” ma la creazione di organismi a rappresentanza proporzionale nati sul terreno della classe e aventi obiettivi di classe. Va da sé che tali comitati non possono· aver nulla di comune coi Comitati sorti sul piano della politica del C.L.N. che come voi c’insegnate, non può essere considerato un organismo di classe. Vi sollecitiamo pertanto ad esserci prontamente precisi su questi punti dai quali è ovvio che dipenda la possibilità di un lavoro comune”. A questa lettera non ci è giunta a tutt’oggi risposta.
4. Conclusioni
Possiamo risparmiarci la pena di fare dei commenti. Un Appello indirizzato a P.C. e P.S., (forze vive del proletariato!), per la costruzione dell’unità proletaria parla da sé, al di là di tutte le astuzie tattiche consistenti nel fatto che non è il Partito in prima persona che lo rivolge direttamente agli altri partiti, ma per via intermedia attraverso un “Comitato di Agitazione” fantasma del Partito che lo rivolge ai “Comitati di Agitazione” degli altri partiti.
Bisogna aggiungere che da questo Appello non ne uscì niente (a buon motivo!), salvo il fatto di lasciarci una testimonianza, una indicazione su un partito che è “cresciuto... con i materiali che sono serviti a costruirlo, con le sue membrature teoriche e il suo scheletro organizzativo”. Ma in effetti è sbagliato dire che questo Appello non abbia prodotto niente. Ecco quale fu il suo risultato:
“Seguendo le direttive dei nostri organi dirigenti, sotto la pressione degli avvenimenti, i nostri compagni - dopo aver preventivamente messo in guardia le masse contro i colpi di testa prematuri e dopo aver ripetutamente indicato quali obiettivi (obiettivi di classe) bisognava raggiungere - si sono uniti senza distinguersi alle formazioni che operavano nell’opera di distruzione dell’odioso apparato fascista partecipando alla lotta armata e all’arresto dei fascisti...” (Colpo d’occhio panoramico sul movimento delle masse nelle fabbriche, in Prometeo n.2, maggio 1945, citato anche in: A. Peregalli, “L’Altra Resistenza, la dissidenza di sinistra in Italia 1943-45).
Questo per quanto riguarda il Partito nel nord del paese. Quanto al sud, possiamo citare come esempio Catanzaro dove i militanti bordighisti raggruppati intorno a Maruca, futuro dirigente del gruppo di Damen, restano nel PCI stalinista fino al 1944, data in cui passano alla “Frazione di sinistra del PCI e del PSI” formatasi nel centro-sud.
“Maruca afferma (nel 1943) che la vittoria del fronte antifascista è la condizione storica indispensabile perché il proletariato e il suo partito siano messi nella condizione di compiere la loro missione di classe”. (citato nell’opera suddetta di A. Peregalli).
In conclusione, per quello che riguarda l’attuale Programma Comunista, possiamo dire: dimmi da dove vieni e saprò dove vai.
M.C.
(tradotto dalla Révue Internationale n. 32, I trimestre 1983).
[1] L’autore parla dell’attività della Frazione dal 1930 al '40, passando completamente sotto silenzio la sua esistenza ed attività tra il '40 e il '45, anno della sua dissoluzione. È per semplice ignoranza o per evitare di dover fare un paragone tra le posizioni difese dalla Frazione durante la guerra e quelle del P.C. Internazionalista costituito nel '43-44?
[2] Vers l'Internationale deux et trois quarts...? in Bilan n°1, bollettino teorico mensile della Frazione.
[3] Riportato in Prometeo n°1, aprile 1945 [1].
Quando la nostra organizzazione ha pubblicato, all’inizio del 1983, l’articolo Il Partito Comunista Internazionale (Programma Comunista) alle sue origini. Come è e come pretende di essere [9], comparso sulla Rivista Internazionale nelle varie lingue in cui questa viene pubblicata, Battaglia Comunista, attuale componente della Tendenza Comunista Internazionalista (TCI), si è sentita toccata e ha dedicato a tale articolo, sul numero 3 del suo omonimo giornale dello stesso anno, il commento che segue, a cui noi abbiamo dato la dovuta risposta.
A proposito di provenienze (commento di Battaglia Comunista)
Capita spesso che nella polemica di parte, chi non ha argomenti troppo validi ricorra alle furbate, fra il retorico e il demagogico. È così che per esempio la CCI, argomentando sulla crisi di Programma Comunista su Revue Internationale 32, fa finta di trovare nelle origini del P.C.Int. e quindi nel periodo ‘43-‘45, i peccati originari che votavano alla dannazione il P.C.Int. (o almeno uno dei tronconi in cui nel ‘52 si scisse).
Non vogliamo qui farla lunga, facciamo solo notazioni telegrafiche.
1) Il documento “Appello del Comitato d’Agitazione del P.C.Int.”, contenuto nel n. 1 di Prometeo aprile ‘45, fu un errore? Concesso. Fu l’ultimo tentativo della Sinistra Italiana di applicare la tattica di “fronte unico dal basso” preconizzata dal P.C.d’I. in polemica con l’Internazionale negli anni ‘21-‘23. Come tale noi lo cataloghiamo fra i “peccati veniali” perché i nostri compagni seppero mondarsene definitivamente, sul piano sia politico che teorico con una chiarezza che oggi ci rende sicuri di fronte a chiunque.
2) Qua e là alcuni altri errori tattici sono stati commessi e, senza aspettare la CCI, ce li siamo già rivisti da soli da un bel pezzo e ce li rivediamo continuamente per metterci in guardia dal ripeterli. Ma erano, quelli, errori che non ci hanno impedito di andare avanti, appunto correggendoli e non ci hanno mai portato fuori dal terreno, che ci è proprio, del marxismo rivoluzionario.
3) È chi sta fermo che non sbaglia mai, o chi non c’è. E allora nel cuore della guerra imperialista, mentre le masse sfruttate e spinte al macello accennavano alcune prime reazioni e tendenze a rompere la rete delle forze interclassiste, legate ai blocchi imperialisti, “i padri” della CCI, sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva... accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di “sporcarsi le mani” nel movimento operaio.
4) Dopo di che, sentenziato che il proletariato non era più prostrato e sconfitto, sono riapparsi, hanno raccolto un po’ di studenti e di capziosi intellettuali, per “fecondare” le nuove lotte rivoluzionarie di cui saremmo in presenza o in attesa che grandiosamente ci portino diritti alla rivoluzione. Ed eccoci dunque al vero errore di fondo della CCI. Il peccato di origine della CCI sta proprio nella impostazione dei problemi: su questo come su quello del rapporto di classe-coscienza-partito. Se (e diciamo se, perché è una probabilità elevata da mettere in conto) la guerra scoppia prima che la classe operaia insorga, la CCI non potrà che... tornarsene a casa, mentre noi, ancora una volta, ci “sporcheremo le mani”, operando con tutta la concretezza che ci sarà consentita dalle nostre forze organizzative, per il disfattismo rivoluzionario durante e dopo, come prima della guerra stessa.
5) Per quanto riguarda gli errori di Programma, sono grandi come è grande il suo opportunismo di fondo. Lo abbiamo già scritto (v. numeri precedenti di BC): anche in Programma Comunista sono rimaste “aperte” (nonostante dicessero, prima, il contrario) questioni enormi: quella dell’imperialismo e delle guerre nazionali e quella - guarda caso - sindacale. Su queste sono entrati in crisi, così come è entrata in crisi la CCI.
E, ci si permetta, non è quello che scrivemmo sul n. 15-16 del dicembre ‘81? In “Crisi delle CCI o del movimento rivoluzionario?” dichiaravamo che ad essere in crisi sono «solo certe ben individuabili organizzazioni». CCI e Programma. Quelle organizzazioni, per intenderci, che non avendo le idee chiare su problemi maggiori, “saltano” quando questi, in un modo o nell’altro, andando in avanti o all’indietro, emergono con forza. Sono le organizzazioni-crisi, quelle che nel movimento non reggono: appaiono “vive” solo quando la situazione è ferma; così come un peso morto si regge finché l’equilibrio delle forze non è turbato.
La nostra risposta (CCI)
Per prima cosa, prendiamo atto che Battaglia conferma l’autenticità e fedeltà all’originale del testo da noi pubblicato. Chiarito questo, Battaglia si interroga: “fu un errore? Concesso”, ma si tratta tutt’al più di un “peccato veniale”. Non si può che restare ammirati per la delicatezza con cui ci si esprime, per l’abilità nel non ferire la propria sensibile suscettibilità. Se un’offerta di fronte unico ai macellai stalinisti e socialdemocratici è un semplice peccato veniale, per poter parlare esplicitamente di sbandate che cosa avrebbe dovuto fare il PCInt. nel ‘45? Entrare nel governo? Ma Battaglia ci rassicura: i propri errori se li è rivisti da un bel pezzo, senza aspettare la CCI, e quindi non ha mai avuto motivo di nasconderli. Può essere. Ma quando nel 1977 abbiamo per la prima volta accennato sulla nostra stampa alle sbandate collezionate dal PCInt. nell'immediato dopoguerra, Battaglia replicò con una lettera indignata in cui ammetteva le sbandate, ma sosteneva che erano responsabilità esclusiva dei compagni poi usciti nel '52 a costituire Programma Comunista. Già allora rispondemmo che ci sembrava strano che Battaglia si lavasse le mani di tutto: “In altri termini: alla costituzione del PCInt. abbiamo partecipato noi e loro; ciò che c’era di buono eravamo noi, il cattivo erano loro. Ammettendo che fosse così, rimane il fatto che questo ‘cattivo’ c’era... e che nessuno ha trovato nulla da ridire...” (Risposta a B.C.: “Ambiguità sulla natura di classe della ‘Resistenza’ nella fondazione del PCInt.”, Rivoluzione Internazionale n.7, 1977).
È troppo facile accettare in silenzio compromesso su compromesso per fare il partito con Bordiga (il cui nome in Italia richiama migliaia di aderenti) e con Vercesi (che assicura una rete di contatti all’estero), e poi, quando le cose vanno a scatafascio, mettersi a strillare che è tutta colpa dei bordighisti. Per fare un compromesso bisogna essere almeno in due... A parte questo, la pretesa di rigettare ogni colpa sui “cattivi” non regge più. L’appello del ‘45 non è stato scritto dai “gruppi del sud” che facevano riferimento a Bordiga, ma dal centro ufficiale del partito al Nord, costituito dalla tendenza Damen, oggi Battaglia Comunista. Per fare ancora un solo esempio fra mille possibili, possiamo ricordare che le peggiori sbandate localiste ed attiviste vennero dalla Federazione di Catanzaro, diretta da Francesco Maruca che era rimasto nel PCI stalinista fino alla sua espulsione nel 1944. Ora, al momento della scissione del ’52, la Federazione di Catanzaro non è confluita in Programma ma è rimasta in Battaglia, ed infatti un articolo su Prometeo n. 26/27 del 1976 ancora additava Maruca come un militante esemplare. Vero è che l’articolo (di natura apologetica) non faceva parola delle posizioni tenute allora da Maruca, anzi, per far quadrare meglio i conti, anticipava di ben quattro anni, al 1940, la sua esclusione dal PCI. Ecco come Battaglia fa continuamente i conti con i suoi errori...
All’inizio B.C. vantava pubblicamente un passato senza macchia alcuna. Poi, quando le sbandate sono venute alla luce, le ha attribuite ai programmisti. Quando non ha potuto più negare la propria partecipazione, ci ha ripensato e le ha ridotte a semplici peccati veniali. Ma le sbandate bisogna pur scaricarle su qualcuno e questa volta è toccato a noi, o meglio ai nostri “padri” che “sentenziato che il proletariato era sconfitto perché aveva accettato la guerra, se ne stavano al caldo, senza minimamente pensare di 'sporcarsi le mani' nel movimento operaio”.
L’accusa di diserzione dalle trincee di classe è un’accusa grave e la CCI tiene a rispondere immediatamente, non tanto per discolpare sé stessa o i suoi “padri” - non ce ne sarebbe bisogno - ma per difendere l’ambiente rivoluzionario da pratiche inammissibili quali quella di fare accuse gravissime senza sentire minimamente il bisogno di provare quello che si afferma. È fuori di dubbio che tutta una parte della Frazione Italiana e Frazione Belga della Sinistra Comunista Internazionale durante la guerra considerò il proletariato come socialmente non esistente ed abbandonò di conseguenza ogni attività di classe, fino a partecipare, verso la fine della guerra, al Comitato Antifascista di Bruxelles. Contro questa tendenza, guidata da Vercesi reagirono la maggioranza della Frazione Italiana raggruppatasi a Marsiglia e - a partire dal ‘42 - il nuovo nucleo francese che, alla fine del ’44, si costituì in Sinistra Comunista di Francia, iniziando la pubblicazione della rivista Internationalisme e del giornale di agitazione L’Etincelle. Lo scontro si focalizzò sulla natura di classe degli scioperi del '43 in Italia:
“Una tendenza della Frazione Italiana, la tendenza Vercesi, ed in parte anche la Frazione Belga, negavano, e questo fino alla fine della guerra, l’apparizione del proletariato italiano sulla scena politica... Il proletariato italiano, secondo questa tendenza, era e continuava ad essere assente sia politicamente che socialmente. Questa per far quadrare i conti con tutta la loro teoria sulla ‘inesistenza sociale del proletariato durante la guerra e per tutto il periodo dell’economia di guerra’. Prima e dopo il ‘43 questi elementi sostenevano la passività assoluta, fino alla dissoluzione organizzativa della Frazione. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo combattuto questa tendenza liquidazionista nella Sinistra Comunista Internazionale. Assieme alla Frazione Italiana noi abbiamo analizzato gli avvenimenti del 1943 in Italia come una manifestazione avanzata di scontro sociale e dell’apertura del corso alla Rivoluzione ed abbiamo sostenuto l’orientamento della trasformazione della Frazione in Partito” (“A proposito del I Congresso del PCInt. d’Italia”, Internationalisme n.7, gennaio 1946).
Nel 1945 si ha tutta una serie di colpi di scena. Quando si viene a sapere che in Italia si è effettivamente costituito un partito dalla fine del ‘43, la tendenza Vercesi, con un triplo salto mortale, si ritrova nella direzione di quel partito, assieme alla tendenza esclusa nel ‘36 per la sua partecipazione alla guerra di Spagna ed alla maggioranza della Frazione Italiana che le aveva escluse entrambe!
Unici estranei a questo abbraccio opportunista sono i nostri “padri” di Internationalisme. E non senza motivo. Proprio perché, al contrario di Vercesi, sono stati in prima fila nel lavoro illegale durante la guerra per la ricostituzione dell’organizzazione proletaria, non sentono il bisogno di nascondersi dietro alle grida di “viva il partito”. Al contrario, constatando che il capitalismo è riuscito a sconfiggere le reazioni operaie contro la guerra (Marzo ‘43 in Italia, Primavera ‘45 in Germania) ed a precludere ogni possibilità di apertura di situazioni prerivoluzionarie, iniziano a porsi la questione se sia ancora valida la prospettiva della trasformazione della Frazione in Partito. Inoltre la Sinistra Comunista di Francia, pur continuando a difendere la natura proletaria del PCInt., anche di fronte agli attacchi degli altri gruppi[1], non per questo accettava di stendere un velo pietoso sulla sua disomogeneità politica e le sue continue sbandate. Al contrario non cessava di esigere una rottura politica con tutte le tentazioni opportuniste:
“... o la tendenza Vercesi liquida pubblicamente di fronte al partito ad al proletariato la sua politica di Coalizione antifascista e tutte le sue teorie opportuniste che l'hanno portata a questa politica, oppure tocca al Partito, dopo una discussione politica aperta, liquidare teoricamente, politicamente ed organizzativamente la tendenza opportunista di Vercesi” (Ibidem).
Quale fu la reazione del PCInt.? Per più di un anno fece orecchie da mercante ed ignorò i ripetuti appelli di Internationalisme. Alla fine del ‘46, in occasione della ricostituzione dell’Ufficio Internazionale della Sinistra Comunista Internazionale ad opera del PCInt. e dei nuclei francesi e belga che vi facevano riferimento, Internationalisme inviò un’ennesima lettera aperta in cui chiedeva di partecipare alla Conferenza, in vista di una discussione franca sui punti lasciati sotto silenzio e di una definitiva delimitazione politica dalle sbandate opportuniste. Come tutta risposta ebbe questa lettera:
“Poiché la vostra lettera dimostra una volta di più la costante deformazione dei fatti e delle posizioni politiche prese sia dal PCInt. che dalle Frazioni francese e belga, poiché dimostra che non siete un’organizzazione politica rivoluzionaria e che la vostra attività si limita a gettare confusione e fango sui nostri compagni, noi abbiamo escluso all’unanimità la possibilità di accettare la vostra domanda di partecipare alla riunione internazionale delle organizzazioni della S.C.I.”[2]
Così i “padri” di Battaglia, pur di conservare l’alleanza opportunista con la tendenza Vercesi, liquidarono l’unica tendenza della S.C.I. che aveva avuto il coraggio politico di non adattarsi ad avere paraocchi chiusi e memoria corta. Quanto al coraggio fisico, non è nostra abitudine vantarcene, ma possiamo assicurare a Battaglia che ci voleva molto più coraggio ad attaccare manifesti disfattisti contro i partigiani durante la “liberazione” di Parigi che non a partecipare, inquadrati nelle file partigiane, alla caccia ai fascisti durante la “liberazione” del Nord-Italia.
Tornando ai nostri giorni, Battaglia dice che non è il movimento rivoluzionario ad essere in crisi, ma la CCI, Programma, tutti gli altri gruppi della Sinistra Italiana (ad eccezione di Battaglia) ed in più tutti i gruppi degli altri paesi che non hanno partecipato alla Conferenza Internazionale organizzata da B.C. e dalla C.W.O. Ma, scusate, se leviamo questi gruppi, cosa resta? Giusto Battaglia e la C.W.O.! Tanto valeva allora sostenere che il movimento rivoluzionario non esiste e per questo non può essere in crisi. Inoltre la crisi non si manifesta solo con disintegrazione di gruppi o scissioni, si manifesta anche con le sbandate politiche, come quando la CWO sosteneva che in Polonia bisognava “fare la rivoluzione, subito!” o quando Battaglia presentava forze più che dubbie come 1’U.C.M. iraniano ed il Komala curdo come organizzazioni comuniste e si spingeva fino a sostenere acriticamente “lo scambio di prigionieri” (!) fra il Komala e l’esercito iraniano. Bisogna notare che sia Battaglia che la CWO hanno corretto i loro errori dopo le fraterne critiche apparse sulla nostra stampa, specie inglese. Ma questo dimostra appunto che le esitazioni temporanee di ogni gruppo possono essere corrette anche grazie all’apporto di altri gruppi e che quindi nessuna organizzazione rivoluzionaria può considerarsi totalmente indipendente dall’insieme dell’ambiente rivoluzionario.
Battaglia ritiene che, ripubblicando i documenti del movimento rivoluzionario, la CCI voglia dimostrare che Battaglia ha una storia piena di errori e quindi si trova fuori dal campo proletario. In questo B.C. commette un grave errore. Le esitazioni di un Maruca non appartengono a Battaglia, più di quanto non le appartenga il disfattismo coerente di un Damen, così come errori e contributi di Vercesi non appartengono a Programma Comunista. Tutto questo, nel bene e nel male, costituisce un patrimonio di tutto il movimento rivoluzionario e spetta all’insieme del movimento farne un bilancio critico che permetta di trarne tutte le lezioni. Questo bilancio non può essere fatto dai singoli gruppi, rinchiusi a leccarsi ciascuno le sue ferite, ma richiede la possibilità di un dibattito aperto ed organizzato, come era possibile nel quadro delle Conferenze Internazionali della Sinistra Comunista. Battaglia ha contribuito ad affossare le Conferenze; non è dunque sorprendente che oggi non capisca come contribuire al dibattito.
Una nota finale
Molti compagni - non essendo già familiarizzati con la storia della Sinistra Comunista - potrebbero avere qualche difficoltà ad orientarsi nei riferimenti ad una fase del movimento rivoluzionario di cui si sa poco o niente. Ce ne rendiamo conto, ed è proprio per colmare questo “buco” nella comprensione del nostro passato che la CCI si è assunta il compito di ripubblicare tutta una serie di vecchi testi, la cui conoscenza può offrire una base più solida alla ripresa del dibattito rivoluzionario oggi. Dopo l’articolo di B.C. riprodotto sopra, la ripubblicazione dell’Appello del ‘45 ha stimolato anche la CWO a replicare con un articolo sul n.20 di Revolutionary Perspectives (nuova serie). In attesa di rispondere con la dovuta ampiezza alle critiche fatteci da questi compagni, ci limitiamo ad una breve osservazione di metodo. Per la CWO, la CCI mente parlando di appello agli stalinisti, “lasciando così intendere che fosse rivolto al partito stalinista e non semplicemente ai lavoratori caduti sotto la sua influenza” (R.P. n.20, pag.36). A questo punto ci sono due obiezioni da fare. In primo luogo, non è vero: l’Appello non è indirizzato ai lavoratori ingannati dai partiti controrivoluzionari, ma ai Comitati di Agitazione del partito stalinista, socialdemocratico, ecc. In secondo luogo, anche se la CCI si fosse sbagliata nel valutare l’Appello, non ha “lasciato intendere” niente, ma ha ripubblicato il testo integralmente in modo che tutti i compagni potessero giudicarlo di persona. A proposito, sul contenuto del testo, che giudizio dà la CWO? Atteggiamenti di questo tipo non sono produttivi e soprattutto sono in contraddizione con l’eccellente iniziativa di pubblicare sullo stesso numero di Revolutionary Perspectives tutta una serie di testi di discussione interna sulla Sinistra Italiana, “per portare il nostro dibattito di fronte all’insieme del movimento rivoluzionario”. Fino ad ora la CCI era praticamente la sola organizzazione a pubblicare sulla sua stampa alcune delle sue discussioni interne. Alla CCI ed alla CWO non resta che augurarsi che Battaglia Comunista segua il loro esempio.
Beyle
[1] Vedi, nell’articolo citato, il paragrafo “I rivoluzionari (in Italia, n.d.r.) debbono aderire al PCInt. d’Italia”, in risposta ai Comunisti Rivoluzionari di Francia e Germania.
[2] Tutti questi documenti furono pubblicati sul n.16 di Internationalisme, dicembre 1946. La lettera aperta della Sinistra Comunista di Francia al PCInt. è stata riprodotta con altri documenti sul Bulletin d’Etude et Discussion n.7, giugno 1974, di Revolution Internationale.
Links
[1] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiZ3OyEurryAhWahv0HHa4GBIoQFnoECAMQAQ&url=http%3A%2F%2Fwww.stampaclandestina.it%2Fwp-content%2Fuploads%2Fnumeri%2Fprometeo_1945_1.pdf&usg=AOvVaw3HLVazQpdkqK9xAt3C-UCi
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/2/32/il-fronte-unito
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/2/36/falsi-partiti-operai
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/7/110/bordighismo
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/7/112/battaglia-comunista
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/5/103/seconda-guerra-mondiale
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[9] https://it.internationalism.org/content/1615/il-partito-comunista-internazionale-programma-comunista-alle-sue-origini-come-e-e-come