La pretesa “Frazione Interna della CCI” (FICCI) è un piccolissimo gruppuscolo composti di ex-membri della CCI esclusi al nostro 15° Congresso internazionale per delazione. Questa non è la sola infamia di cui questi elementi si sono resi responsabili poiché, rinnegando i principi fondamentali del comportamento comunista, si sono egualmente distinti per i loro comportamenti tipici da canaglia, quali la calunnia, il ricatto e il furto. Per questi altri comportamenti, benché molto gravi, la CCI non aveva deciso la loro esclusione, ma una semplice sospensione. Cioè era ancora possibile per questi elementi ritornare nell’organizzazione evidentemente alla condizione che restituissero il materiale e il denaro che le avevano rubato e che si impegnassero a rinunciare a comportamenti che non hanno posto in una organizzazione comunista. Se la CCI ha deciso alla fine di escluderli è perché questi hanno pubblicato sul loro sito Internet (cioè sotto gli occhi di tutta la polizia del mondo) delle informazioni interne che facilitano il lavoro della polizia:
· la data in cui si doveva tenere la conferenza (interna) della nostra sezione in Messico;
· le vere iniziali di uno dei nostri compagni da loro presentato come “il capo della CCI”, con la precisazione che lui era l’autore di questo o quel testo, tenuto conto del “suo stile” (il che è una indicazione interessante per i servizi di polizia) (1).
Bisogna precisare che prima di procedere alla loro esclusione, la CCI aveva indirizzato una lettera individuale ad ognuno dei membri della FICCI in cui gli si chiedeva se lui solidarizzava individualmente con queste delazioni. Lettera alla quale la FICCI ha alla fine risposto rivendicando collettivamente questi comportamenti infami. Bisogna precisare anche che era stata data ad ognuno di questi elementi la possibilità di presentare la propria difesa davanti al Congresso della CCI o ancora davanti ad una commissione di 5 membri della nostra organizzazione di cui 3 potevano essere designati dagli stessi membri della FICCI. Questi coraggiosi individui, coscienti che i loro comportamenti erano indifendibili, hanno rigettato queste ultime proposte della CCI. La FICCI si presenta come “il vero continuatore della CCI” la quale avrebbe conosciuto una degenerazione “opportunista” e “stalinista”. Dichiara di proseguire il lavoro, abbandonato dalla CCI, di difesa nella classe operaia delle “vere posizioni di questa organizzazione”. In fatto di difesa delle posizioni comuniste nella classe operaia, la sua attività consiste essenzialmente nella pubblicazione sul suo sito Internet di un “Bullettin Comuniste” (Bollettino Comunista), che viene inviato agli abbonati della nostra pubblicazione in Francia di cui i membri della FICCI hanno rubato il dossier degli indirizzi ben prima di abbandonare la nostra organizzazione. In più, ogni dispensa di questo “Bulletin” è consacrata in buona parte a calunnie, vedi pettegolezzi da portinaia, contro la nostra organizzazione. Ogni tanto le capita di diffondere un volantino rispetto a degli avvenimenti importanti come i moti nelle periferie dell’autunno 2005 o le recenti mobilitazioni degli studenti sul CPE. In realtà anche questo tipo di intervento è considerato secondario dalla FICCI rispetto alla sua principale preoccupazione: spargere il massimo di calunnie contro la CCI sulla base del principio “Calunnia e calunnia qualcosa sempre resterà!”.
La miglior prova di questo ci è stata data dal comunicato che essa ha pubblicato l’11 marzo sul suo sito Internet, intitolato: “Comunicato della ‘Frazione Interna della CCI’ a tutti i gruppi e militanti che si rivendicano alla Sinistra comunista: questa volta ci siamo! Hanno aggredito fisicamente e picchiato dei nostri militanti!”. In materia di intervento nella lotta contro il CPE, abbiamo dovuto aspettare il 18 marzo perché la FICCI si degnasse di fare qualche cosa sotto forma di un volantino che ha diffuso alla manifestazione quel giorno. Prima di allora, neanche una minima presa di posizione, neanche sul suo sito Internet. Visibilmente su questo argomento la FICCI è stata male ispirata poiché il documento che alla fine ha pubblicato era una sorta di “montaggio” dei due volantini che noi avevamo già diffuso e messo sul nostro sito Internet. A quella data avevamo anche già tenuto una riunione pubblica a Parigi sul tema: “Mobilitazione degli studenti contro il CPE: studenti, liceali, futuri disoccupati e futuri precari, operai occupati e senza lavoro, una stessa lotta contro il capitalismo!”. Ed è giustamente in seguito a questa riunione pubblica ed a suo proposito che la FICCI si è svegliata per gratificarci della sua prosa. Cosa possiamo leggere in questo “Comunicato”?
“Perché la nostra prima responsabilità di Frazione è di combattere, con tutti i mezzi, la deriva opportunista nella quale si trova la nostra organizzazione, noi abbiamo inviato, questo sabato 11 marzo, 2 dei nostri militanti alla sua ultima riunione ‘pubblica’. (…) La compagna ed il compagno che avevano come compito di distribuire un volantino all’entrata della ‘riunione’, sono stati ricevuti da una dozzina di energumeni, che formavano una vera milizia alla stalinista. I nostri compagni sono stati agguantati violentemente, colpiti a più riprese e ricondotti manu militari fino al metrò, 150 metri più in là. Precisiamo bene che queste aggressioni hanno avuto luogo, ancora una volta, nella strada e che, da parte nostra, non abbiamo mai cercato di rispondere fisicamente alla provocazione che ci era imposta, tranne che per limitarne la brutalità. Nonostante ciò, gli energumeni (che pretendono ancora di essere dei militanti comunisti), completamente eccitati, hanno continuato a picchiare i nostri compagni (ricordiamo che uno dei due è una donna) sotto gli occhi attoniti dei passanti, numerosi a quell’ora in via Choisy a Parigi.
Questa dichiarazione non ha nulla a che vedere con la realtà. Effettivamente, e spiegheremo dopo perché, una equipe della CCI (che era ben lungi dal raggiungere la dozzina ed il cui fisico non ha niente a che vedere con la descrizione atletica che ne da la FICCI) ha ricondotto fino al metrò i due individui della FICCI che si erano presentati davanti l’entrata della nostra riunione pubblica. Ma in nessun momento i nostri compagni hanno “colpito a più riprese” e ancor meno “continuato a picchiare” questi individui. In questo senso possiamo rassicurare la persona che si firma "Bm" e che ha mandato un messaggio alla FICCI dichiarando "La prima cosa è sapere se non siete feriti e se avete bisogno di un qualsiasi aiuto” (“Bulletin Comuniste” n°35). Se gli elementi della FICCI hanno esibito delle tumefazioni o dei lividi, questi non sono stati fatti dai militanti della CCI. In realtà, la “ricacciata al metrò” dei membri della FICCI praticata da noi l’11 marzo fa seguito alla politica che noi conduciamo dall’estate 2003 e spiegata esplicitamente nel nostro articolo “Le riunioni pubbliche della CCI interdette ai delatori” (Revolution Internazionale n°338).
In questo articolo scrivevamo:
“La CCI ha preso la decisione di interdire la presenza alle sue riunioni pubbliche ed alle sue permanenze ai membri della pretesa “Frazione Interna” della CCI (FICCI). Questa decisione fa seguito all’esclusione di questi membri della FICCI operata al 15° Congresso, nella primavera del 2003, e deriva dai motivi di questa esclusione: l’adozione da parte di questi elementi di una politica di delazione contro la nostra organizzazione. (…) Perché le cose siano ben chiare: non è in sé, perché questi elementi sono stati esclusi dalla CCI, che essi non possono partecipare alle sue riunioni pubbliche . Se la CCI fosse stata portata ad escludere uno dei suoi membri a causa, per esempio, di un modo di vita incompatibile con l’appartenenza ad una organizzazione comunista (come la tossicodipendenza), ciò non gli impedirebbe in seguito di venire alle sue riunioni pubbliche. È perché questi elementi hanno deciso di comportarsi come degli spioni che noi non possiamo tollerare la loro presenza a queste. Questa decisione si applica ad ogni individuo che si consacra a rendere pubbliche delle informazioni che possono facilitare il lavoro delle forze di repressione dello stato borghese (…). A vedere i suoi bollettini, i pettegolezzi e le delazioni sulla CCI e sui suoi militanti sono le principali attività della ‘Frazione’:
· nel n°18 troviamo un rapporto dettagliato su un riunione pubblica del PCI-Le Proletarie, sono riportati in dettaglio tutti i fatti ed i movimenti di ‘Peter alias C.G.’;
· nel n°19 si ritorna alla carica su Peter ‘che diffonde solo’ in questa o quella manifestazione e si solleva una questione ‘altamente politica’: “Infine, e voi comprenderete che poniamo anche questa questione: dov’è Louise? Assente dalle manifestazioni, assente dalle riunioni pubbliche, è di nuovo malata?”
Nei fatti, la principale preoccupazione dei membri della FICCI quando partecipano alle manifestazioni e alle riunioni pubbliche della CCI è sapere CHI è assente, CHI è presente, CHI fa questo e CHI dice quello, al fine di poter in seguito riportare pubblicamente tutti i fatti ed i movimenti dei suoi militanti. Questo è un lavoro degno degli agenti dei Servizi di Informazione! (2). Non possiamo impedire ai membri della FICCI di attraversare in lungo ed in largo le manifestazioni di piazza per sorvegliarci. Per contro possiamo impedirgli di fare il loro sporco lavoro da sbirro nelle nostre riunioni pubbliche. In queste non hanno più la possibilità di esprimersi dopo che abbiamo preteso come condizione alla loro presa di parola di restituire prima il denaro rubato alla CCI. La sola ragione che motiva la loro presenza è la sorveglianza di tipo poliziesco e l’adescamento di elementi interessati alle nostre posizioni.”
Nonostante l’interdizione ai membri della FICCI alla sala delle nostre riunioni pubbliche, abbiamo permesso per più di due anni che questi individui fossero presenti davanti il portone di entrata del luogo dove si tengono, il che gli ha permesso di tentare di dissuadere i nostri contatti e simpatizzanti dal parteciparvi denigrando sistematicamente la nostra organizzazione nei volantini zeppi di calunnie e dicendo loro “diffidate, sono degli stalinisti”. Allo stesso tempo abbiamo sopportato i sarcasmi, gli insulti e le provocazioni che non mancavano di indirizzare ai nostri compagni che facevano parte del “picchetto anti-spione”.
Là dove abbiamo incominciato a reagire con più fermezza è stato quando uno dei membri della FICCI, quello che si fa chiamare “Pédoncule”, ha minacciato di morte un nostro compagno promettendogli di “tagliargli la gola” (3). Abbiamo allora deciso di vietare a questo elemento di avvicinarsi al luogo delle nostre riunioni pubbliche, spiegando che l’interdizione non riguardava gli altri membri della FICCI. Episodio che la FICCI ha riportato a modo suo nel Bollettino n°33 (Applicazione dello stato d’allerta contro la nostra frazione, La CCI ci vieta la strada e vuole importi il coprifuoco!”) facendo credere che a TUTTI i membri della FICCI fosse interdetto stazionare davanti al luogo delle riunioni, cosa che all’epoca era assolutamente falso, e la FICCI lo sapeva bene.
Se alla fine abbiamo deciso di mettere effettivamente in pratica una tale attitudine è per le seguenti ragioni:
· in seguito alla pubblicazione del nostro articolo sui comportamenti del signor Pédoncule, non c’è stata la benché minima critica nei bollettini della FICCI delle minacce di morte fatte da questo; al contrario, un testo pubblicato in risposta al nostro articolo solidarizza pienamente con questo individuo;
· è in maniera totalmente falsa che la FICCI ha riportato l’interdizione fatta a Pédoncule di avvicinarsi alle nostre riunioni pubbliche;
· ma soprattutto, in seguito al nostro intervento nel movimento degli studenti contro il CPE, ci aspettiamo la venuta di nuovi elementi alla nostra riunione pubblica dell'11 marzo dedicata proprio a questa mobilitazione (ciò che effettivamente è avvenuto a Parigi ed in altre città), e non vogliamo che la FICCI abbia l’occasione di continuare, davanti e rispetto a questi nuovi elementi, la politica che essa ha condotto per anni: calunnie, provocazioni e soprattutto comportamenti polizieschi.
In effetti, i simpatizzanti che già venivano alle nostre riunioni pubbliche erano conosciuti da tempo dai membri della FICCI. In questo senso, il lavoro parassitario e da sbirri, in cui quest’ultima si è specializzata, non poteva applicarsi a loro. Invece, non possiamo tollerare che nuovi elementi che si interessano alla politica comunista siano immediatamente “schedati” dalla FICCI. Nella misura in cui l'arrivo di questi nuovi elementi si conferma e tenderà probabilmente ad aumentare nel futuro, la CCI ha dunque deciso di interdire d’ora in poi ai membri della FICCI, non solo l'accesso nostre riunioni pubbliche, ma anche di gironzolarvi nei pressi. Questa decisione, come l’abbiamo già detto nella nostra stampa a proposito di altre misure che siamo stati portati a prendere contro la FICCI o i suoi membri, non ha niente a che vedere con un “rifiuto del dibattito politico”, come ci accusa la FICCI. Così come non è affatto in contraddizione, come lei pretende, con il principio che abbiamo sempre difeso di rigettare la violenza all’interno della classe operaia. Nel 1981, con l’accordo e la partecipazione di alcuni membri attuali della FICCI, abbiamo recupera manu militari il materiale che l’individuo Chénier ed elementi della sua “tendenza” avevano rubato alla nostra organizzazione, nella misura in cui il loro atteggiamento da ladri li aveva mesi al di fuori del campo proletario. Per molti versi i comportamenti dei membri della FICCI hanno superato in infamia quelli degli “amici di Chénier”. È la stessa politica che noi adottiamo. Quanto alle testimonianze di “solidarietà” ricevute dalla FICCI e pubblicate nel suo Bollettino n°35 nella rubrica “La sana risposta del campo proletario”, esse manifestano (se non sono dei falsi) sia l’ignoranza, sia la volontà di non voler riconoscere la realtà dei comportamenti da canaglia e da delatore della FICCI, sia l’odio che la politica comunista della CCI necessariamente provoca in degli elementi della piccola-borghesia o del sottoproletariato. In ogni caso, tra queste testimonianze di “solidarietà” verso la FICCI, ce n’è una che noi abbiamo ricevuto e che la FICCI si è ben guardata dal pubblicare: prendendone conoscenza sul nostro sito, ognuno potrà capire perché.
CCI, 18/05/06
1. Vedi in particolare a questo proposito i nostri articoli “15° Congresso della CCI: rafforzare l’organizzazione di fronte alla posta in gioco del periodo” in Rivoluzione Internazionale n°131 e “I metodi polizieschi della FICCI in Rivoluzione Internazionale n°130
2. Organismo della polizia di Stato con l’incarico di ricercare informazioni di ordine politico e sociale su scala nazionale.
3. Vedi il nostro articolo “Difesa dell’organizzazione: minacce di morte contro i militanti della CCI” in Rivoluzione Internazionale n°140 [1]
In Francia, lo sciopero massivo dei giovani studenti e dei lavoratori – della nuova generazione della classe operaia – ha forzato il governo a ritirare la nuova legge sull’“impiego”, il CPE. L’organizzazione della lotta attraverso le assemblee generali, la capacità degli studenti di discutere collettivamente e di evitare molte delle trappole messe dalla classe dominante, la loro comprensione della necessità per il movimento di allargarsi ai salariati, tutti questi sono segni del fatto che stiamo entrando in un nuovo periodo di scontro tra le classi.
Ciò viene mostrato non solo dal movimento in Francia, ma anche dal fatto che questo è stato solo uno di una lunga serie di movimenti della classe operaia contro i crescenti assalti del capitalismo ai suoi livelli di vita. In Gran Bretagna, lo sciopero convocato dai sindacati locali il 28 marzo è stato seguito da oltre un milione e mezzo di lavoratori, preoccupati a resistere ai nuovi attacchi alle loro pensioni. In Germania, decine di migliaia di impiegati statali e di operai di fabbrica sono stati coinvolti in scioperi contro tagli salariali e aumenti dell’orario lavorativo. In Spagna gli operai della SEAT sono scesi spontaneamente in sciopero contro il saccheggio concordato tra padroni e sindacati. Sempre in Spagna, a Vigo, all’inizio di maggio 23.000 lavoratori del settore metallurgico, in gran parte giovani operai, sono scesi in lotta contro la nuova riforma del lavoro che prevede l’abbassamento dell’indennità di licenziamento e l’estensione dei contratti precari. Negli USA, anche i lavoratori della rete di trasporti di New York e quelli della Boeing sono scesi in sciopero in difesa delle loro pensioni. Nell’estate del 2005 l’Argentina è stata scossa dalla più grande ondata di scioperi degli ultimi 15 anni. In India, Messico, Sud Africa, Dubai, Cina e Vietnam, la classe operaia sta mostrando con le sue azioni che, contrariamente a tutta la propaganda dei nostri sfruttatori, non è per niente scomparsa dalla scena sociale. Al contrario, essa rimane la classe che mantiene gli ingranaggi della produzione capitalista in funzione e che crea l’immensa mole di ricchezza sociale. Questi movimenti stanno diventando sempre più estesi, più simultanei e più determinati.
Un tema centrale in pressoché tutti questi movimenti è stato quel vecchio principio proletario della solidarietà. L’abbiamo visto in Francia non solo nell’esemplare maniera in cui studenti di università diverse si sono sostenuti gli uni con gli altri, ma anche nella mobilitazione attiva di un numero crescente di salariati nel movimento, e nell’unità tra diverse generazioni. Lo abbiamo visto in Spagna alla SEAT quando i lavoratori sono scesi in sciopero in difesa dei compagni licenziati ed a Vigo con la partecipazione di proletari di altri settori alle assemblee generali tenute per le strade dagli operai in sciopero. Lo abbiamo visto a Belfast quando i lavoratori delle poste, in sciopero nonostante l’avviso contrario del loro sindacato, hanno apertamente cancellato la divisione settaria marciando assieme attraverso sia le zone cattoliche che quelle protestanti della città. Lo abbiamo visto a New York dove i lavoratori della Transit hanno spiegato che loro non stavano lottando per sé stessi ma per la futura generazione di lavoratori. In India, i lavoratori in sciopero alla Honda di Delhi sono stati raggiunti da masse di lavoratori di altre fabbriche, soprattutto dopo gli scontri con le forse di repressione.
Il principio della solidarietà – e la crescente volontà di difenderla nell’azione – è un elemento centrale della vera natura della classe operaia. Questa infatti è una classe che può difendere i suoi interessi solo se agisce in maniera collettiva, estendendo le sue lotte il più possibile, superando tutte le divisioni imposte dalla società capitalista: divisioni in nazioni, razze, religioni, professioni e sindacati. La ricerca della solidarietà contiene perciò i germi dei movimenti sociali di massa che hanno la capacità di paralizzare l’attività del sistema capitalista. Abbiamo avuto un certo sentore di ciò in Francia questa primavera. Stiamo ancora all’inizio, ma l’attuale risorgere delle lotte operaie sta preparando la strada per gli scioperi di massa del futuro.
E al di là dello sciopero di massa c’è la prospettiva non solo di fermare il capitalismo, ma anche di riorganizzare da cima a fondo la produzione, di creare una società in cui la solidarietà sociale sia la norma, non un principio di opposizione all’ordine esistente, fondato sulla spietata competizione tra esseri umani.
Questa prospettiva è contenuta nelle attuali lotte della classe operaia. Non si tratta semplicemente di una speranza per un futuro migliore, ma di una necessità imposta dalla bancarotta del sistema sociale capitalista. I recenti movimenti di classe sono stati provocati da continui e sempre più forti attacchi contro le condizioni di vita dei lavoratori – sui salari, sugli orari, sulle pensioni, sulla sicurezza sul lavoro. Ma questi attacchi non sono qualcosa di cui la classe dominante e il suo Stato possono fare a meno portando avanti una politica alternativa. Essi sono infatti obbligati a peggiorare le condizioni di vita della classe operaia perché non hanno scelta, perché non possono sfuggire alla pressione della crisi economica del capitalismo e all’implacabile guerra per la sopravvivenza sul mercato mondiale. Ciò vale per qualunque partito politico sia al potere, per qualunque gruppo di burocrati gestisca lo Stato.
La borghesia non ha d’altra parte alcuna alternative di fronte al crollo dell’economia che la spinge verso il militarismo e la guerra. La generalizzazione della guerra a tutto il pianeta – che si manifesta attualmente particolarmente attraverso la “guerra al terrorismo” e la minaccia di aprire un nuovo fronte militare contro l’Iran – esprime l’inesorabile deriva del capitalismo verso la distruzione dell’umanità.
La classe degli sfruttatori e la classe dei salariati non hanno nulla in comune. Loro non hanno altra scelta che cercare di sfruttarci sempre di più. Noi non abbiamo altra scelta che resistere. Ed è resistendo che scopriremo la fiducia e la forza di avanzare la prospettiva dell’abolizione dello sfruttamento una volta per tutte.
WR
“Finalmente abbiamo cacciato Berlusconi!”, hanno gridato in tanti una volta accertatisi che il risultato delle elezioni politiche dell’aprile scorso si fosse definitivamente consolidato, esprimendo un risicato vantaggio per il centro-sinistra. Effettivamente quello di Berlusconi è stato uno dei peggiori governi della Repubblica italiana. Perseguendo una politica fortemente partigiana a favore di alcune famiglie di imprenditori, questo governo ha finito per scontentare la stessa borghesia – vedi lo scontro pre-elettorale del presidente del Consiglio al convegno di Vicenza con la Confindustria - lasciando peraltro una pesantissima eredità sul piano finanziario. Ma allora come ha fatto per andare al potere? Una spiegazione si trova sicuramente nell’appoggio che la borghesia americana ha concesso incondizionatamente a qualunque governo italiano si mostrasse obbediente e in riga, come ha saputo fare Berlusconi per tutto il suo mandato. E sappiamo bene quanto l’America abbia contato e conti sulla docile obbedienza italiana come punto di appoggio, tanto per fare un esempio, per le sue operazioni imperialistiche nel vicino e medio oriente (1). In questo senso il capo del governo si è fatto il punto di riferimento dell’insieme di forze che a vario titolo concorrono a mantenere un controllo degli interessi americani in Italia, tra cui la stessa mafia. Non è un caso infatti che proprio all’indomani del risultato elettorale sia stato arrestato il boss dei boss, Provenzano, latitante da oltre 40 anni e pescato a pochi passi da casa sua. L’altro elemento è la necessità - per la classe dei padroni - di cambiare ogni tanto le compagini politiche da mettere al governo, per far vedere che “cambiare si può”, che “la democrazia la vince sempre!” In particolare un governo di sinistra non può stare per troppo tempo al potere perché, nell’impossibilità di realizzare un benché minimo miglioramento reale delle condizioni materiali dei lavoratori in un periodo di crisi permanente del capitalismo, le forze di sinistra finirebbero per perdere ogni credibilità come forze schierate “a fianco dei lavoratori”.
Come dicevamo prima, questo governo ha fatto veramente del suo peggio scontentando tutti e rendendo indifferibile un cambio della guardia. Ma qui viene fuori un ulteriore elemento che comincia a pesare sulla politica italiana e internazionale e che si traduce nella difficoltà della borghesia a controllare il suo gioco elettorale. In una situazione in cui la crisi economica del capitalismo non trova nessuno sbocco a qualunque livello, si crea una empasse che si fa sentire nella vita stessa della borghesia che diventa sempre più disunita, con la conseguente difficoltà ad avere una presa sulla società. Ciò si è tradotto ad esempio nella creazione e nel comportamento del tutto anacronistico di un partito come la Lega Nord e ugualmente nell’intemperanza di un capo di governo del tutto anomalo come Berlusconi, senza che i poteri forti del paese potessero veramente farci qualcosa. Questa difficoltà della borghesia si è prodotta più recentemente nella sua incapacità ad orientare il voto delle politiche del 2006 in maniera netta verso una maggioranza di centro-sinistra, subendo anche qui la viscosità del berlusconismo e la sua voglia di rimanere aggrappato al potere. Ciò si è tradotto in un tragico risultato di quasi parità tra centro-destra e centro-sinistra, che ha consentito, solo grazie al premio di maggioranza alla camera e il “responsabile” voto dei senatori a vita, di formare un governo con un minimo di margini di manovra. Ma questa situazione, come tutti gli osservatori di politica nazionale e internazionale hanno fatto subito notare, taglia le gambe al governo Prodi e lo rende molto più debole nei confronti di centomila ricatti da parte della disunita e variegata compagine partitica di centro sinistra di cui ogni singola componente risulta ugualmente indispensabile alla maggioranza. Basti vedere già la pletorica composizione del governo, più gonfio di ministri e sottosegretari del necessario, come alcuni ministri hanno incautamente confessato, e le beccate che si sono cominciati a dare tra neoministri e ancora tra questi e i rispettivi sottosegretari. Imporre la propria leader-ship ad un governo simile non sarà per niente facile, tanto più che Prodi non ha dietro di sé la forza di un partito ma solo un carisma personale che, per quanto sia importante, non è abbastanza di questi tempi.
Se la borghesia ha trovato difficoltà a orientare nel verso giusto il risultato elettorale, non ne ha avuto invece nel rinnovare la mistificazione elettorale, ovvero l’illusione che la partecipazione al voto possa veramente cambiare qualcosa. Un anno di fatto di campagna elettorale in Italia e un continuo duello tra Berlusconi e la sinistra a chi disegnava più diabolicamente l’avversario sono valsi alla fine a invertire la tendenza che da anni portava ad una riduzione dei votanti, passando dal 75,1% del 2001 all’81,4 di quelle di aprile scorso. Inoltre le stesse schede bianche e nulle si sono ridotte da tre milioni a un solo milione. Insomma molta gente che in passato aveva espresso un voto di protesta o semplicemente era andato a votare solo per annullare, si è passato la fatidica mano sulla coscienza e, turandosi il naso, ha deciso di schierarsi.
Ma siamo proprio sicuri di non essere caduti dalla padella nella brace? Per capirlo, vediamo cosa si accinge a fare questo nuovo governo e cosa ci attende. Abbiamo parlato prima della pesante eredità lasciata dal governo Berlusconi, che si è mostrata anche più pesante del previsto. Secondo l’Istat il deficit ha raggiunto il 4,4% sul PIL ed è stato azzerato l’avanzo primario. (La Repubblica del 6 aprile 2006). La crescita del Prodotto Interno Lordo è esigua (1,3%). Giornali come il Financial Times affermano che l’Italia rischia di uscire dall’area dell’euro a causa di “circostanze economiche” che sono, sempre per il Ft, il fatto che l’Italia, a differenza di Francia e Germania, non soffre soltanto di scarsa crescita e alta disoccupazione, ma pure di un costo del lavoro del 20% superiore a quello tedesco e una competitività ai più bassi livelli del continente” (La Repubblica del 18 aprile 2006). Rodrigo Rato, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, dichiara ancora (La Repubblica del 21 aprile 2006) che “non possiamo nascondere che le prospettive a medio termine dell’Italia sono problematiche; se non si agisce subito peggioreranno”. Su questa ultima affermazione sono praticamente d’accordo tutti: bisogna agire e in fretta, altrimenti … Appunto. Ma che significa agire in questo caso? Che il governo Prodi deve ricorrere ad una manovra finanziaria straordinaria - si parla di 30 miliardi di euro – che non è certo roba da poco. Se poi qualcuno si lamenterà, potrà sempre essere zittito con l’accusa di fare il gioco di Berlusconi e di non capire che è quest’ultimo che ha creato questo bel casino. D’altra parte i numeri non lasciano alcun margine di ambiguità: negli ultimi anni l’impoverimento della popolazione italiana (ma non solo italiana) è un fatto che, più che dalle statistiche ufficiali, la gente ha avvertito a fior di pelle. Il che significa che certamente i lavoratori non hanno goduto né di aumenti salariali significativi né di incrementi di aiuti sociali e assistenziali, tutt’altro. Eppure a fronte di ciò le statistiche dicono che il costo dei lavoratori è aumentato significativamente e che la competitività è scesa nei confronti della comunità europea. E’ ovvio che questo significa, per la borghesia, che bisogna agire e in fretta! Ma come pensate che agirà il nuovo governo di centro-sinistra: dandoci più soldi, più serenità, più assistenza?
C’è poi la questione della scelta imperialista. Con il governo Prodi termina la tresca con il governo americano e l’Italia torna a una politica più orientata al filoeuropeismo. Ma, al contrario della politica fin troppo servile di Berlusconi, quella di Prodi non sarà una politica di stretta osservanza filo-tedesca o decisamente anti-americana perché all’Italia, potenza di minore calibro rispetto a paesi come Francia, Gran Bretagna e Germania, è tradizionalmente più congeniale una politica con cui cercare di trarre qualche profitto da un ruolo di mediazione. Così lo schieramento imperialista dell’Italia per i prossimi anni sarà, rispetto al governo Berlusconi, meno accentuato e appariscente, ma non per questo meno imperialista e guerrafondaio. Basti solo tenere presente che al ministero degli esteri del nuovo esecutivo si trova un D’Alema che ha fatto, come capo di uno scorso governo, direttamente la guerra alla Serbia mandando i propri soldati a bombardare la povera gente di Belgrado. Tutto ciò si riflette nel fatto che il famoso ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, nonostante le promesse della vigilia, si profila molto meno veloce di quanto non sia accaduto per la Spagna di Zapatero. Inoltre è probabile che la missione, da militare, si trasformi in un programma civile di ricostruzione – come d’altra parte l’Italia è abituata a fare, vedi la stessa presenza in Afghanistan – portando ad una riduzione drastica della presenza militare in Iraq, ma conservando sul posto una delegazione per difendervi gli interessi imperialisti nazionali.
Se tutto questo è vero, il governo Prodi riuscirà a portare avanti il suo programma solo grazie ad una grande mistificazione facendo credere, sul piano economico, che occorre tirarsi su le maniche per risanare la situazione disastrosa lasciata da Berlusconi e che su altri piani, come quello imperialista, non si tratta più di fare le guerre ma di andare sul posto a portare direttamente la solidarietà alla gente. Da questo punto di vista il grande battage orchestrato dai mass-media sul fatto che la comunità europea pretende subito un raddrizzamento nei conti pubblici italiani sembra in verità – benché naturalmente corrisponda ad una situazione obiettivamente disastrosa – più un favore fatto al nuovo governo Prodi per aiutarlo a promuovere la manovra finanziaria bis senza problemi sul piano sociale che una reale preoccupazione da parte della stessa UE. Tutto questo ha un solo grande difetto: nella misura in cui la borghesia ha dovuto impegnare anche Rifondazione Comunista – classico partito di opposizione – all’interno della maggioranza e del governo, significa che nel momento in cui il governo comincerà ad attaccare, non ci sarà uno straccio di forza di sinistra che possa fingere di fare l’opposizione parlamentare e cercare di convogliare lo scontento dei lavoratori su dei falsi obiettivi. Questa è una debolezza molto importante che potrà mettere in difficoltà la borghesia, cosa di cui questa sembra essere cosciente, tanto che ha anche cercato di porvi rimedio. Infatti, se vediamo come sono stati assegnati i ministeri ai vari partiti ci rendiamo conto che Rifondazione è stata alquanto penalizzata per aver avuto, con il suo 5,8 e 7,4% tra Camera e Senato, un solo ministero - e di quelli di scarso peso - come tutti i partiti minori che superano di poco, quando lo raggiungono, il 2%. Al tempo stesso può sembrare sovrastimato il peso di RC per l’occupazione di una delle cariche istituzionali più ambite dello Stato, quella di presidente della Camera. In realtà ciò risponde ad una logica precisa, quella di non impegnare RC in ministeri chiamati a prendere misure antipopolari, lasciandole tuttavia la responsabilità della presidenza di uno dei rami del parlamento che permetterà di poter dire che Bertinotti avrà saputo dare ai lavoratori tutte le occasioni di uso democratico delle istituzioni. Se poi si dovesse arrivare a una situazione di malcontento popolare estremo, Rifondazione potrebbe sempre ritirare dal governo quell’unico ministro (tanto che ci sia o no fa pochissima differenza) in modo da mantenere un appoggio esterno, critico beninteso.
I mesi che verranno saranno perciò particolarmente importanti dal punto di vista dello scontro sociale, con la borghesia impegnata a cercare nuove strategie di mistificazione contro la classe operaia, e quest’ultima sempre meno disponibile a farsi abbindolare. L’esperienza di lotte e di solidarietà che sta vivendo in questo momento il proletariato a livello internazionale costituirà l’humus appropriato in cui questo scontro di classe potrà arrivare ad un’appropriata maturazione.
Ezechiele, 31 maggio 2006
1. A parte la partecipazione italiana alla “seconda fase” della guerra in Iraq, basti ricordare la libertà data all’esercito americano di arrestare senza alcuna autorizzazione della magistratura, anzi, diciamo più propriamente, di rapire dal suolo italiano cittadini di altri paesi sospettati di terrorismo e ancora di usare gli aeroporti italiani come scalo per i famosi aerei-prigione
Il triplice attentato del 24 aprile a Dahab, stazione balneare egiziana molto frequentata dai turisti, che ha fatto circa 30 morti e 150 feriti, è venuto a ricordare alle popolazioni del mondo che non c’è niente al riparo dal furore terrorista e guerriera che infuria sul pianeta. E non saranno le “condanne unanimi” e le dichiarazioni ipocrite degli uomini di Stato, per i quali questo attentato “solleva sentimenti di orrore ed indignazione” o che rigettano questo atto di “violenza odiosa”, che cambieranno qualche cosa. Al contrario, questo attacco rivolto contro degli innocenti che erano venuti a passare qualche giorno di vacanza ha costituito per essi una nuova occasione, dietro le loro lacrime da coccodrillo, di riaffermare la loro “lotta contro il terrorismo”, cioè la prospettiva della continuazione di nuovi massacri, a scala ancora più ampia.
Eppure già oggi si può misurare l’efficacia di questa pretesa “lotta senza scampo” contro il “flagello terrorista”, per la “pace e la stabilità”, condotta dalle grandi potenze, Stati Uniti in testa, guardando la barbarie che è letteralmente esplosa in numerose regioni del mondo. Mai i focolai di tensioni guerriere, di scontri militari, di attentati a ripetizione, in cui le potenze grandi e meno grandi hanno una responsabilità diretta, sono stati così presenti, dall’Africa all’Asia, passando per il Medio Oriente, minacciando ogni giorno di più di guadagnare in ampiezza.
In Afganistan, la cui invasione da parte della truppe della coalizione americana era stata “legittimata” dalla lotta contro il terrorismo incarnato da Bin Laden, dopo gli attentati dell’11 settembre alle Twin Towers, c’è il marasma più totale. Il governo di Kabul è oggetto di attacchi incessanti e la capitale è regolarmente sotto il tiro di missili lanciati dalle differenti cricche pastun e afgane in lotta per il potere. Nel Sud e nell’Est del paese i talebani hanno riconquistato terreno a colpi di attentati e di blitz militari. Per questo gli Stati Uniti sono stati costretti ad improvvisare, nell’ultimo mese, una nuova operazione di polizia militare, denominata “Leone di montagna”, forte di 2.500 uomini sostenuti da un contingente di aviazione particolarmente impressionante. E’ stabilito che gli obiettivi di questa operazione sono quelli di fare distruzioni massicce equivalenti a quelle del 2001 e 2002. Tuttavia i mezzi di informazione vorrebbero mascherarne l'importanza sulla scia del Dipartimento di Stato americano che sottolinea il carattere soprattutto “psicologico” di questa nuova offensiva perché si tratterebbe innanzitutto di “impressionare i neo-talebani e fermare l’impressione che essi stiano avendo il sopravvento”, “sia agli occhi della popolazione afgana che si vuole “rassicurare”, che dell’opinione pubblica internazionale″ (Le Monde, del 13 aprile). Questo è quello che si chiama dissuasione psicologica di massa.
In Medio Oriente si annuncia lo sviluppo di una barbarie ancora più grave. Non solo gli Stati Uniti sono stati incapaci di imporre un accordo tra Israele e l’Autorità palestinese, ma la loro impotenza a moderare la politica aggressiva e provocatrice di Sharon ha portato alla crisi politica sia nei territori occupati che nella stessa Israele. Infatti le differenti frazioni politiche israeliane si scontrano senza tregua. Ma è soprattutto dal lato palestinese che il fallimento è più evidente con l'arrivo in forza di Hamas, frazione palestinese particolarmente retrograda e radicalmente anti-israeliana, ed in più contrapposta a Fatah. Così è a colpi di armi da fuoco che i due campi palestinesi regolano i loro conti nella striscia di Gaza, vero formicaio di 1.600.000 abitanti (la più grande concentrazione umana al mondo), di cui il 60% di rifugiati, progressivamente ridotti alla miseria dall’arresto dell’Aiuto internazionale e chiusi in gabbia dagli sbarramenti e dai controlli dell’esercito israeliano che impedisce alla popolazione di andare a lavorare in Israele.
La costruzione da parte dello Stato israeliano del “muro della segregazione” in Cisgiordania non può che attizzare nuove tensioni e spingere a una radicalizzazione verso il terrorismo una popolazione palestinese messa sotto pressione, disprezzata e sempre più irreggimentata dietro i gruppi islamici. Quando il muro sarà finito, 38 villaggi in cui vivono 49.400 palestinesi saranno isolati e 230.000 residenti palestinesi in Israele si ritroveranno dal lato israeliano della linea di separazione. Complessivamente questa costruzione significherà un ingabbiamento della popolazione in una serie di ghetti isolati gli uni dagli altri.
Ingaggiato dal giugno del 2003, il braccio di ferro tra l’Iran e le grandi potenze a proposito della costruzione di centrali nucleari da parte di Teheran si era particolarmente indurito la scorsa estate per raggiungere oggi un punto culminante. In effetti, con l’ultimatum lanciato da Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite che intima all’Iran la cessazione, prima del 28 aprile, di ogni attività di arricchimento dell’uranio e il rifiuto di questo paese di adeguarvisi, le tensioni diplomatiche si sono brutalmente esacerbate. In un contesto internazionale in cui la follia guerriera del mondo capitalista non smette di diffondersi in una regione del mondo in cui le uccisioni quotidiane impazzano, la prova di forza aperta tra lo Stato iraniano e le Nazioni Unite è piena di pericoli. Essa contiene il rischio di una nuova estensione e aggravamento della barbarie.
E’ evidente che l’Iran sta facendo il possibile per dotarsi dell’arma nucleare, e questo fin dal 2000. I discorsi dei dirigenti iraniani sull’uso esclusivamente “pacifico”e “civile” del nucleare in costruzione sono delle menzogne pure e semplici. In passato testa di ponte del blocco americano, poi relegato a rango di potenza di stampo arretrato negli anni che hanno seguito il regno di Komeini, dissanguato di vite umane e sul piano economico dalla guerra contro l’Iraq a metà degli anni ’80, questo paese ha progressivamente ripreso la veste della bestia negli anni ’90. Beneficiando dell’aiuto militare russo e dell’indebolimento dell’Iraq (il suo rivale storico per il controllo del Golfo Persico) seguito alla prima guerra del Golfo e agli attacchi ripetuti degli Stati Uniti contro Bagdad, fino all’offensiva americana definitivamente distruttrice del 2003, l’Iran vuole oggi chiaramente affermarsi come la potenza regionale con cui bisogna ora fare i conti. Le sue risorse non sono trascurabili. Ciò spiega le dichiarazioni sempre più provocatrici e sprezzanti, da parte dei governanti iraniani, contro le Nazioni Unite, e soprattutto degli Stati Uniti. Lo Stato iraniano, con il ritorno al potere della frazione più reazionaria e più islamista, si presenta come uno Stato forte e stabile, laddove intorno a lui, in Iraq come in Afganistan, è il caos che regna sovrano. Questa situazione gli permette di operare una offensiva ideologica filo-araba per accreditarsi come la punta di lancia di una identità pan-islamica “indipendente” (al contrario dell’Arabia Saudita presentata come asservita agli Stati Uniti) attraverso il suo discorso anti-israeliano e la sua opposizione aperta all’America.
L’incapacità di Washington a far regnare la pax americana in Iraq e in Afganistan non può che alimentare questa propaganda antiamericana e dare credito alle dichiarazioni iraniane che parlano di inefficacia delle minacce della Casa Bianca.
La stessa situazione in Iraq non ha potuto che rafforzare le velleità militari dell’Iran. A parte lo scacco evidente di Bush, la presenza nella popolazione e nel seno stesso del governo iracheno di una forte predominanza della confessione sciita, come nell’Iran, ha contributo a stimolare gli appetiti imperialisti iraniani eccitati dalla prospettiva di una maggiore influenza, sia in questo paese che in tutto il Golfo Persico.
Ma sono anche i dissensi patenti tra i diversi paesi partecipanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che favoriscono le velleità dello Stato iraniano. Infatti, benché la maggioranza di questi paesi si dichiari “contraria” alla prospettiva di un Iran dotato dell’arma nucleare, le divisioni aperte tra loro costituiscono una leva supplementare che permette a Teheran di poter alzare il tono di fronte alla prima potenza mondiale. Se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna reagiscono agitando la minaccia di un intervento, si vede al contrario la Francia dichiararsi contro ogni intervento militare in Iran. Dal canto loro Cina e Russia, come la Germania (che sta realizzando attualmente un riservato avvicinamento alla Russia), sono decisamente contro ogni misura di ritorsione che fosse imposta all’Iran, ancor più se di natura militare. Bisogna ricordare che questi due paesi, Mosca in testa, hanno fornito materiale all’Iran per poter sviluppare il suo arsenale nucleare.
Di fronte a questa situazione, l’amministrazione Bush è in una situazione difficile. La provocazione iraniana la costringe a reagire. Tuttavia, quale che sia l’opzione militare che gli Stati Uniti siano pronti ad utilizzare, in primo luogo quella di incursioni aeree mirate (su obiettivi mal identificati e spesso situati al centro di grandi città), un intervento che non creerebbe problemi sul piano interno, questa nuova fase di guerra in Medio Oriente è in ogni caso potenzialmente capace di rinvigorire il sentimento antiguerra che si sviluppa in seno alla popolazione americana sempre più contraria alla guerra in Iraq.
Ma dovrebbe far fronte anche ad una radicalizzazione dei paesi arabi e di tutti i gruppi islamici, senza contare la possibile ondata di attentati che l’Iran ha chiaramente minacciato a più riprese.
Quale che sia l’esito della “crisi iraniana”, non si può tuttavia dubitare del fatto che essa sboccherà in un aggravamento delle tensioni guerriere tra i paesi del Medio Oriente e gli Stati Uniti, ma anche tra la prima potenza mondiale ed i suoi rivali dei paesi sviluppati, che non aspettano altro che un nuovo passo falso per “segnare dei punti” contro di essa indicandola come fautrice di guerra. Per quanto riguarda la sorte delle popolazioni che saranno, come tante altre prima di loro, decimate dalla guerra, questa è l’ultima delle preoccupazioni per tutti questi briganti imperialisti, piccoli o grandi che siano.
Mulan, 25 aprile
Nei primi due articoli, apparsi sui numeri 142 e 143 del nostro giornale, abbiamo visto come, al di là di un richiamo formale a Lenin sulla questione del partito, l’impostazione teorica e la pratica politica di Cervetto e di Lotta Comunista (LC) corrispondono ad una concezione ed a un metodo propri della visione borghese. In questo articolo vedremo come questa visione borghese non derivi da una carente comprensione degli insegnamenti di Lenin, ma da un vero e proprio stravolgimento di questi ed in particolare del Che fare?, fino ad arrivare a posizioni, ma soprattutto ad una pratica politica che non sono mai state né di Lenin, né delle varie espressioni di quella Sinistra Comunista che LC pretende di incarnare.
Cervetto ha preteso di fondare tutta la sua dottrina sul Partito sull’idea espressa da Lenin nel Che fare? secondo la quale “la coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni scientifiche…il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi…. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente… il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione.” (citazioni di K. Kautsky riprese da Lenin nel Che fare? Editori Riuniti, pag 72). Abbiamo più volte espresso la nostra critica ad una tale concezione della coscienza portata dall’esterno, pur facendo nostra la giusta critica che Lenin sviluppa in questo testo contro gli economisti dell’epoca per i quali l’avanguardia rivoluzionaria della classe costituiva nei fatti un semplice supporto alla lotta rivendicativa dei proletari (1). Non sviluppiamo qui questo aspetto perché non è il rifarsi a questa posizione errata espressa da Lenin che determina la natura controrivoluzionaria di LC. La corrente bordighista - alla quale appartengono gruppi come Programma Comunista, Le Proletaire, Il Partito di Firenze, ecc. - basa la sua concezione del partito su questa stessa visione, ma la nostra critica alla concezione del partito rivoluzionario di Bordiga e della corrente bordighista, per quanto profonda e determinata, non ha mai messo in discussione l’appartenenza di questi al campo rivoluzionario. La questione è che Cervetto, nel suo testo di base Lotte di classe e partito rivoluzionario, stravolge completamente questa idea espressa da Lenin in polemica contro gli economisti e da lui stesso ridimensionata nei fatti dopo il 1905: “Dallo sciopero e dalle dimostrazioni alle barricate isolate, dalle barricate isolate alla costruzione in massa delle barricate e alla lotta di strada contro le truppe. Senza l’intervento delle organizzazioni, la lotta proletaria di massa era passata dallo sciopero all’insurrezione…. Il movimento sorto dallo sciopero generale politico, si era elevato ad un grado superiore…. Il proletariato aveva avvertito prima dei suoi capi il mutamento delle condizioni oggettive della lotta, la quale esigeva il passaggio dallo sciopero all’insurrezione. Come sempre, la pratica aveva preceduto la teoria” (2). Chi parla è lo stesso Lenin del Che fare? E’ un marxista che, basandosi sull’esperienza della propria classe, sa riconoscere e comprendere che i Soviet sorti durante la rivoluzione del 1905 in Russia non corrispondono ad uno qualsiasi dei modi in cui i proletari si possono organizzare per portare avanti le proprie rivendicazioni, ma la forma di organizzazione che corrisponde “ad un grado superiore” di maturazione politica avvenuta nella classe, alla consapevolezza che solo unendo le proprie forze e decidendo in prima persona come lottare, con quali obiettivi e con quali strumenti, i proletari avrebbero potuto porre fine alle condizioni insopportabili che vivevano.
La visione della classe operaia che emerge dall’insieme del testo di Cervetto è, al contrario, quella di una classe “geneticamente” incapace di andare al di là della lotta strettamente rivendicativa, di difesa della propria condizione di salariato a meno che non ci sia il partito a dirigerla. Anche quando Lenin dice “Gli elementi migliori della classe operaia marciavano in testa trascinandosi dietro a sé gli esitanti, risvegliando i dormienti, incoraggiando i deboli” parlando del legame tra scioperi economici e scioperi politici sulla base della dell’esperienza del 1905, Cervetto lascia intendere che questo legame “fu il risultato della lotta dell’avanguardia proletaria (identificata altrove col il Partito, ndr) che trascinò la classe e le stesse masse sfruttate in una lotta generale” (Lotte di classe e partito rivoluzionario, pag 62).
Ma questo non è il solo stravolgimento. In particolare nel capitolo “La superiorità naturale del proletariato”, il proletariato viene nei fatti presentato come una massa di manovra che il Partito deve prima strappare dalla presa della borghesia e poi, una volta “compattata” deve utilizzare per approfittare degli scontri tra frazioni borghesi (piccola e grande borghesia) dagli interessi divergenti per disgregare il fronte borghese e fare la rivoluzione: “Solo quando avrà indebolito le forze borghesi dell’apporto delle forze operaie che esse utilizzano, il Partito rivoluzionario, potrà contare sulla superiorità naturale (che come si spiega prima è data dalla superiorità numerica e dalla sua “compattezza”, cioè dalla concentrazione dei proletari nelle grandi fabbriche, ndr) di fronte alle forze borghesi che sguarnite dai contingenti proletari, inevitabilmente si scontrano ed aprono la strada a quella crisi di disgregazione in cui il proletariato rimane l’unica forza compatta” (idem, pag. 60).
La visione che ne viene fuori è né più né meno quella di uno stratega militare che studia come meglio piazzare il suo esercito (la sua amorfa carne da cannone) per sfruttare al meglio le falle nella difesa del nemico e sconfiggerlo. Questa visione non ha nulla a che vedere con la comprensione che hanno sempre avuto e difeso le avanguardie rivoluzionarie della natura rivoluzionaria della classe operaia e della dinamica della presa di coscienza che porta alla rivoluzione.
In realtà la presunta ortodossia leninista, sbandierata da LC in ogni numero ed in ogni articolo del suo giornale, sin dalla sua origine non è servita ad altro che a legittimare come rivoluzionaria una pratica politica che non ha nulla da invidiare a quella di un qualsiasi gruppo della sinistra del capitale. Ogni elaborazione teorica va verificata alla prova dei fatti. E, come abbiamo visto nei negli articoli precedenti, la storia dei fondatori di LC e di LC stessa è tutta un susseguirsi di grandi affermazioni teoriche messe sotto i piedi dall’azione concreta.
Ritorniamo brevemente su una questione centrale, il lavoro nei sindacati, per vedere come la politica di questo gruppo abbia alla base la visione della classe operaia come massa di manovra da parte del Partito.
Anche sui sindacati, Cervetto prima e LC fino ad oggi, pretendono di rifarsi alla posizione di Lenin e del partito bolscevico, secondo cui le avanguardie rivoluzionarie dovrebbero lavorare all’interno delle organizzazioni sindacali perché queste avrebbero da giocare ancora un ruolo positivo per lo sviluppo della lotta di classe, anche se il 1905 aveva trovato nei Soviet la forma della dittatura del proletariato. Come è noto la questione sindacale suscitò un grande dibattito già al I Congresso della III Internazionale nel 1919 tra i bolscevichi e le altre organizzazioni rivoluzionarie, in particolare quella tedesca, svizzera, inglese. I primi, provenienti da un paese dove vigeva l’arretrato regime dell’assolutismo zarista e dove i sindacati erano sorti relativamente da poco (nei fatti nel 1905 quando l’effervescenza rivoluzionaria li strascina nel movimento spesso sotto la direzione dei Soviet), sostenevano questa tesi. Gli altri, provenendo invece da paesi più maturi da un punto di vista dello sviluppo capitalistico e con una più vecchia esperienza di sindacalismo, denunciavano già all’epoca il sindacato come un organismo non più utilizzabile per lo sviluppo del movimento di classe (3). Le diversificazioni sulla questione sindacale sono continuate ad esistere all’interno della Sinistra comunista dove la posizione del Partito bolscevico sui sindacati è stata ripresa da altre formazioni politiche, in particolare della corrente bordighisti. Ma la posizione e la conseguente pratica di LC non hanno nulla a che vedere con tutto questo. A parte il fatto che Cervetto, nella sua presunta elaborazione scientifica, anche su questa questione non si cura proprio di prendere in esame, anche solo per criticarle, le posizioni espresse dalle altre forze rivoluzionarie dell’epoca e successive, né di valutare storicamente queste posizioni, qual è la pratica politica che scaturisce da questa presunta fedeltà a Lenin? Nelle sue Tesi del ’57, al punto Questione sindacale leggiamo “Fermo restando che il principio che la nostra azione deve tendere a fare una ‘attività rivoluzionaria nei sindacati’ e non del sindacalismo, la Sinistra Comunista (cioè LC secondo l’autore, ndr) deve organizzare una propria corrente sindacale nella CGIL, promuovendo tutte le iniziative e tutti gli strumenti atti a favorire questa organizzazione (censimento e convegno sindacale, nomina di responsabili del lavoro sindacale, bollettino sindacale, ecc). Data la natura dell’unica corrente sindacale a carattere rivoluzionario esistente nella CGIL, i Comitati di difesa sindacale, la Sinistra Comunista dovrà condurre trattative con i compagni anarchici che la compongono, al fine di costruire, con una eventuale alleanza, una corrente sindacale unica di minoranza rivoluzionaria in seno alla CGIL”. Così, mentre il lavoro nei sindacati nella Russia agli inizi del 1900 per Lenin significava favorire il raggruppamento dei proletari, la loro unità nella lotta comune, favorire la presa di coscienza della propria forza come classe, per LC non è altro che una politica di entrismo per crearsi un seguito, in modo da acquisire posizioni di forza all’interno della struttura sindacale, alleandosi con non importa chi pur di attestarsi come forza dirigente. Non è un caso se la scelta del campo di azione ricada sulla CGIL perché questa, essendo di “sinistra”, ha degli iscritti già schierati politicamente e quindi più facilmente reclutabili per chi si presenta come rivoluzionario. Coerentemente con questa visione il ruolo assunto da LC è stato sempre di sostegno ai sindacati ed alla loro specifica funzione all’interno dello schieramento capitalista contro la classe operaia: che è quella di contenere la reazione operaia al proprio sfruttamento nell’ambito della “contrattazione democratica” consentita dalle regole del sistema, ostacolando qualsiasi tentativo della classe di - volendo usare i termini cari a Cervetto - passare dalla “lotta economica” alla “lotta politica”, dalla lotta difensiva delle proprie condizioni di vita nella società capitalista, alla lotta offensiva per distruggere questo sistema di sfruttamento.
Così quando, nelle lotte dell’autunno caldo in Italia nel ’69, i proletari iniziarono ad individuare nei sindacati un loro nemico e questi, a loro volta, comprendendo che le commissioni interne non bastavano più a controllare la classe operaia, cominciarono a puntare su strumenti più efficaci quali i “consigli di fabbrica”, LC, oltre a farneticare paragonando questi ultimi a dei soviet, si fece in quattro per dare una patente di classe a tutta una serie di organi dirigenti del sindacato che avevano avuto il merito di difendere l’istituzione dei consigli di fabbrica. “Nei sindacati stessi si sono formati uomini su posizioni “sindacaliste”, su posizioni “trade-unioniste”, … che cercano di realizzare il grande sindacato su posizioni legate alle grandi fabbriche. … Queste posizioni … le ritroviamo espresse nei documenti elaborati in convegni e riunioni di direttivi, ecc….” (dal testo di LC “Consigli di fabbrica, commissioni interne: analisi di uno scontro politico”). I documenti a cui faceva riferimento LC erano del Comitato centrale della FIOM, della segreteria nazionale Fiom, dei direttivi provinciali FIM, FIOM, UILM di Genova e così via.
Quando i lavoratori della scuola nell’87 si organizzarono al di fuori dei sindacati per portare avanti la lotta sulla base di assemblee generali sovrane, dove erano i lavoratori a decidere come lottare, LC, dopo aver tentato di riportare all’ovile i lavoratori difendendo l’idea che non si dovesse abbandonare la CGIL, vedendo che non riusciva a ottenere seguito, disprezzò questa lotta definendola “sudista” (perché maggiormente sviluppata nel sud Italia) mentre incitava la CGIL a darsi da fare, ad indire un congresso straordinario, per cercare di recuperare credito in questo movimento.
Nel 2002 di fronte a tutta la campagna mistificatoria portata avanti in particolare dalla CGIL, con il referendum sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che mirava a trascinare in particolare i giovani sul terreno della “consultazione democratica” come forma di “lotta” contro la precarizzazione e la flessibilità (già ampiamente introdotte in Italia grazie proprio ai sindacati), qual è la denuncia che ne fa LC? Nessuna, se non la solita critica ai “vertici opportunisti”, ai Pezzotta ed ai Cofferati di turno. Quali indicazioni dà LC ai proletari? “…solo una visione controcorrente fondata su una chiara strategia marxista può fornire un senso duraturo alla difesa sindacale, una intelligenza all’orgoglio di classe, un futuro alla lotta comunista contro l’opportunismo” (LC, marzo 2002, pag 16). Cosa significava? Boh! Forse riusciamo a capirlo dal bilancio che ne fa LC dopo 4 anni quando, paragonando il movimento dei giovani proletari francesi della primavera scorsa contro la precarizzazione (4) alla sfilata organizzata dai sindacati nel 2001 a Roma sull’articolo 18, dice: “Noi scrivevamo che la CGIL di Sergio Cofferati, con l’appoggio dei partiti di opposizione, rifiutava misure di flessibilità tese a portare il sindacato alla resa senza condizioni. Il duro scontro costrinse il governo a ritirare la misura e gettò il gruppo dirigente della Confindustria in crisi”. Ma purtroppo “l’illusorio obiettivo referendario” di estendere l’articolo 18 anche a imprese con meno di 15 addetti, “ciò che mai si era tentato per via sindacale, ciò che dava da sempre la misura della debolezza del sindacato confederale”, portò a “l’inevitabile disastro” che “mise fine alla stagione dell’articolo 18: le misure sulla flessibilità vennero realizzate …” (LC marzo 2006, pag 16). In altre parole, pieno appoggio alla politica sindacale sia sul piano economico che sul piano di azione di sabotaggio rispetto alla classe, solo che il tutto è stato gestito male. Da qui la necessità di farsi eleggere come delegati, di assumere delle posizioni dirigenti, insomma di acquistare posizioni di forza all’interno della struttura sindacale. I proletari restano imprigionati al carro della borghesia? Gli si impedisce di comprendere quali sono le armi che la borghesia utilizza contro di loro, di prendere coscienza della propria natura di classe rivoluzionaria e della propria forza, di capire chi combattere e come? Qual è il problema, tanto ci penserà il Partito-scienza al momento opportuno, per ora l’importante è che questo Partito-scienza si faccia spazio nelle posizioni strategiche.
Questa è la “coscienza” che Lotta Comunista vuole portare dall’esterno alla classe operaia.
Questa “coscienza”, questo metodo sono quelli contro cui si sono sempre battuti i marxisti, Lenin in testa, denunciandoli come appartenenti alla classe dominante.
Per concludere questa breve serie di articoli vogliamo riportare l’attenzione su una questione: LC è quasi da tutti considerata come un gruppo rivoluzionario ed essa stessa si vanta di essere un gruppo della sinistra comunista. Se questo è possibile è perché LC si nasconde dietro gli errori dei gruppi storici della Sinistra comunista: condivide con il BIPR l’idea della costruzione del partito a livello nazionale prima di passare al partito internazionale; condivide con i bordighisti l’idea della coscienza esterna alla classe o la necessità di lavorare nei sindacati. D’altra parte non dimentichiamo che lo stesso Cervetto ha frequentato per un certo periodo Battaglia Comunista ed è stato finanche redattore di alcuni articoli di Prometeo. E’ perciò che noi abbiamo insistito e insistiamo sull’affermazione secondo cui per LC non si tratta di un semplice accumulo di errori, di posizioni sbagliate. Quello che fondamentalmente caratterizza LC è una politica di potenza che cerca di acquisire posizioni di forza all’interno del sindacato facendo uso della classe operaia come massa di manovra. I rapporti di forza instaurati nei confronti degli stessi propri militanti non più disposti a seguire le “direttive del centro” e l’indisponibilità più assoluta a mettere in discussione questa pratica politica di occupazione delle posizioni di forza, fanno di LC un pericoloso gruppo controrivoluzionario che non ha nessuno spazio nell’ambito dei gruppi proletari.
2 giugno 2006 Eva
1. Sulla questione della coscienza vedi il nostro opuscolo “Concience de classe et role des revolutionaires” in francese, e in italiano gli articoli “Coscienza di classe e ruolo dei rivoluzionari”, su Rivista Internazionale n. 3, e “Sul ruolo dei rivoluzionari nelle lotte proletarie: una risposta al marxismo pietrificato di Programma Comunista” in Rivoluzione Internazionale n.12, aprile 1978)
2. Lenin, Rapporto sulla rivoluzione del 1905, in Opere Scelte, Editori Riuniti (sottolineatura nostra). Sulla valutazione della rivoluzione del 1905 fatta dalle forze rivoluzionarie dell’epoca vedi il nostro articolo “Rivoluzione del 1905 in Russia: il proletariato afferma la sua natura rivoluzionaria” sui numeri 140 e 141 di Rivoluzione Internazionale
3. Vedi l’articolo “Le prese di posizione politiche della III Internazionale” (della serie “La teoria della decadenza al cuore del materialismo storico”) nella Revue Internazionale n°123, 4° trimestre 2005. Sull’analisi della questione sindacale della CCI vedi l’opuscolo “I sindacati contro la classe operaia”.
4. Sul significato e l’importanza del movimento in Francia vedi gli articoli su questo numero e su quello precedente del giornale e le Tesi sul movimento degli studenti in Francia sul nostro sito it.internationalism.org [12].
Il movimento degli studenti in Francia contro il CPE è riuscito a fare arretrare la borghesia che ha ritirato il suo CPE il 10 aprile. Ma se il governo è stato obbligato ad arretrare, è anche e soprattutto perché i lavoratori si sono mobilitati in solidarietà con i giovani della classe operaia, come si è visto nelle manifestazioni del 18 marzo, 28 marzo e 4 aprile.
Di fronte alla perdita di credito dei sindacati, si è visto infine pubblicamente l'entrata in scena delle comparse dello spettacolo di questa commedia francese: dopo le grandi centrali sindacali, gli "amici" e le "amiche" della trotskista Arlette Laguiller sono entrati in ballo alla manifestazione dell' 11 aprile per giocare, a loro volta, alle mosche cocchiere (mentre il 18 marzo, i militanti di Lutte Ouvrière gonfiavano dei palloni sui marciapiedi ed incollavano con frenesia degli autoadesivi "LO" su chiunque si avvicinasse a loro). Nel momento in cui il governo ed i suoi "partner sociali" avevano deciso di aprire i negoziati per un'uscita dalla crisi con "onorabilità" ed il 10 aprile ritiravano il CPE, si è potuta vedere LO agitarsi nella manifestazione-affossatrice dell’ 11 aprile a Parigi. In questo giorno, un elevato numero di liceali e di studenti irriducibili era stato chiamato a scendere in strada per "radicalizzare" il movimento dietro le bandiere rosse di LO (affianco agli stracci blu e bianchi di Sud o neri e rossi della CNT). Tutte le cricche gauchiste o anarcoidi si sono ritrovate a marciare in una toccante unanimità dietro la parola d’ordine: "ritiro del CPE, del CNE e della legge sulle pari opportunità!" o ancora "Villepin dimissioni"!. I lavoratori più esperti conoscono troppo bene lo scopo di un tale baccano. Ingannare gli studenti alla ricerca di prospettiva politica facendo valere un radicalismo di facciata dietro cui si nasconde fondamentalmente il carattere capitalista della loro politica. Ed è anche così, con la carta del "sindacalismo di base" o "radicale" che adesso questi falsi rivoluzionari (veri sabotatori patentati) cercano di portare avanti per tentare di completare la "strategia di deterioramento" del movimento. I gauchisti e gli anarchici più eccitati hanno provato a Rennes, Nantes, Aix o ancora a Tolosa a spingere a gruppi gli studenti irriducibili a scontri fisici con i loro compagni che cominciavano a votare in favore allo sblocco delle facoltà. La messa in avanti del sindacalismo "di base", "radicale" è solamente una buona manovra di certe frazioni dello Stato che mirano a riportare gli studenti ed i lavoratori più combattivi dietro l'ideologia riformistica.
Tutto il campo della riflessione è oggi molto sorvegliato dai sabotatori professionisti di LO, di Sud (nato da una scissione della CFDT nel settore delle Poste nel 1988) e soprattutto dalla LCR (che ha sempre considerato le università come la sua "riserva di caccia" e che ha sempre garantito i sindacati chiamando gli studenti a "fare pressione" sulle loro direzioni affinché chiamassero a loro volta i lavoratori ad entrare in lotta). Tutte le frazioni "radicali" dell'apparato d’inquadramento della classe operaia sono state continuamente appiccicate agli studenti per snaturare o ricuperare il movimento ripiegandolo verso il campo elettorale (tutto questo bel mondo presenta dei candidati alle elezioni) e cioè verso la difesa della "legalità" della "democrazia" borghese. Peraltro, proprio perché il CPE era un simbolo del fallimento storico del modo di produzione capitalista tutta la sinistra "radicale" (rosa caramella, rossa e verde) si nasconde dietro la vetrina del grande camaleonte ATTAC per farci credere che adesso si può costruire il "migliore dei mondi" all’interno dello stesso sistema basato sulle leggi aberranti del capitalismo, quelle dello sfruttamento e della ricerca del profitto.
Appena i lavoratori hanno cominciato a manifestare la loro solidarietà con gli studenti, abbiamo potuto vedere i sindacati, i partiti di sinistra ed i gauchisti di ogni pelo occupare tutto il campo per tentare di riportare gli studenti nel grembo dell'ideologia interclassista della piccola borghesia benpensante. Il grande supermercato riformistico è stato aperto nei forum di discussione: ciascuno è stato invitato a consumare la cianfrusaglia adulterata di José Bové, di Chavez (colonnello, presidente del Venezuela ed idolo di LCR) o di Bernard Kouchner ed altri "medici senza frontiere" (che regolarmente vengono a colpevolizzare e ricattare i proletari facendo loro credere che il denaro dei loro doni "umanitari" potrebbe risolvere le carestie o le epidemie in Africa!). In quanto ai lavoratori salariati che si sono mobilitati contro il CPE, ora essi sono chiamati a dare fiducia ai sindacati che sono i soli a detenere il monopolio dello sciopero (e soprattutto del negoziato segreto col governo, il padronato ed il ministero dell'interno).
Nelle AG che si sono tenuti al rientro dalle vacanze gli studenti hanno dato prova di una grande maturità votando a grande maggioranza la fine del blocco e la ripresa dei corsi, manifestando però la loro volontà di restare uniti per proseguire la riflessione sul formidabile movimento di solidarietà che hanno appena vissuto. È vero che molti di quelli che vogliono mantenere il blocco delle università provano un sentimento di frustrazione perché il governo ha fatto solo un piccolo passo indietro riformulando un articolo della sua legge sulle "pari opportunità". Ma il principale guadagno della lotta si trova sul piano politico perché gli studenti sono riusciti a trascinare i lavoratori in un vasto movimento di solidarietà tra tutte le generazioni.
Numerosi studenti favorevoli al prosieguo del blocco hanno nostalgia di questa mobilitazione dove "si era tutti insieme, uniti e solidali nell'azione". Ma l'unità e la solidarietà nella lotta si possono costruire anche nella riflessione collettiva perché in tutte le università e le imprese si sono tessuti dei legami tra studenti e lavoratori. Gli studenti ed i lavoratori più coscienti sanno molto bene che domani "se si resta soli, si va a farsi mangiare vivi", qualunque sia il colore del futuro governo (non è il ministro socialista Allègre che aveva sostenuto la necessità di "sgrassare il mammut" dell'Educazione Nazionale?).
È per ciò che gli studenti, come tutta la classe operaia, devono comprendere la necessità di trarre un bilancio chiaro dalla lotta che hanno appena condotto contro il CPE intorno ai seguenti problemi: che cosa ha fatto la forza di questo movimento? Quali sono state le trappole in cui non bisognava cadere? Perché i sindacati hanno tanto esitato e come hanno recuperato il movimento? Quale è stato il ruolo giocato dal "coordinamento"?
Per potere condurre questa riflessione e preparare le lotte future, gli studenti ed i lavoratori devono raggrupparsi per continuare a riflettere collettivamente, rifiutando di lasciarsi recuperare da quelli che vogliono andare ad appropriarsi della preda ed installarsi a Matignon o all’Éliseo nel 2007 (o semplicemente "piazzarsi" nelle elezioni del 2007). Non devono dimenticare che quelli che si presentano oggi come i loro migliori difensori prima hanno tentato di sabotare la solidarietà della classe operaia "negoziando" alle loro spalle la famosa "strategia di deterioramento" attraverso la violenza (non è stata l'intersindacale che aveva condotto a più riprese i manifestanti verso la Sorbona permettendo così alle bande di "casseurs" manipolati di attaccare gli studenti?).
Il movimento contro il CPE ha rivelato il bisogno di politicizzazione delle giovani generazioni della classe operaia di fronte al cinismo della borghesia e della sua legge sulle "pari opportunità". Non vi è alcun bisogno di studiare Il Capitale di Karl Marx per comprendere che la "uguaglianza o pari opportunità" nel capitalismo è semplicemente uno specchio per le allodole. Bisogna essere completamente idioti per credere un solo istante che i giovani di operai disoccupati che vivono nelle città ghetto possono fare degli studi superiori nelle Scuole specializzate. In quanto alla "uguaglianza delle probabilità", l'insieme della classe operaia sa per certo che esiste solamente alla tombola o al tris. È per tale motivo che questa legge scellerata è un grosso "errore" della classe dominante: non poteva essere percepita dalla gioventù studentesca che come una pura provocazione del governo.
La dinamica di politicizzazione delle nuove generazioni di proletari non potrà svilupparsi pienamente senza una visione più globale, storica ed internazionale degli attacchi della borghesia. E per farla finita con il capitalismo e costruire un'altra società, le nuove generazioni della classe operaia dovranno confrontarsi necessariamente con tutte le trappole che i cani da guardia del capitale, nelle università come nelle imprese, continuano a tendere per sabotare la loro presa di coscienza del fallimento del capitalismo.
L'ora è venuta affinché la "scatola ad azione-bidone" dei sindacati, degli anarchici e dei gauchisti si richiuda per aprire di nuovo la "scatole delle idee" affinché tutta la classe operaia possa riflettere dovunque e discutere collettivamente dell'avvenire che il capitalismo promette alle nuove generazioni. Solo questa riflessione può permettere ancora alle nuove generazioni di riprendere, domani, la strada della lotta più forte e più unita di fronte agli attacchi incessanti della borghesia.
Corrente Comunista Internazionale, 23 aprile 2006
La nostra compagna Clara è deceduta all'ospedale Tenon, a Parigi, sabato 15 aprile 2006 all'età di 88 anni.
Clara era nata l’8 ottobre 1917 a Parigi. Sua madre, Rebecca era di origine russa. Era venuta in Francia perché, nella sua città di origine, Simféropol, in Crimea, non poteva, in quanto ebraica, intraprendere studi di medicina, come era suo desiderio. Finalmente, a Parigi, ha potuto diventare infermiera. Prima ancora di venire in Francia, era una militante del movimento operaio poiché aveva partecipato alla fondazione della sezione del partito socialdemocratico di Simféropol. Il padre di Clara, Paul Geoffroy, era un operaio qualificato, specializzato nella confezione di portagioie. Prima della prima guerra mondiale, era membro del CGT nell'area anarco-sindacalista, poi si è avvicinato al Partito Comunista dopo la rivoluzione russa del 1917. Così, fin dall’infanzia, Clara è stata educata nella tradizione del movimento operaio. Ha aderito alla gioventù comunista (JC) quando aveva una quindicina di anni. Nel 1934, Clara è andata con suo padre a Mosca a fare visita alla sorella di sua madre, essendo quest’ultima deceduta quando Clara aveva solamente 12 anni. In Russia, tra l’altro rendendosi conto del fatto che i nuovi alloggi erano destinati ad una minoranza di privilegiati e non agli operai, ha cominciato a farsi delle domande sulla" patria del socialismo" e, al suo ritorno, ha rotto coi JC. A quel tempo, già aveva intavolato numerose discussioni col nostro compagno Marc Chirik, che aveva conosciuto quando aveva 9 anni perché la madre di Clara era amica della sorella della prima compagna di Marc, malgrado l'opposizione di suo padre che, restato fedele al PC, non gradiva che frequentasse i trotskisti.
Nel 1938, diventata maggiorenne, Clara con il consenso di suo padre divenne ufficialmente la compagna di Marc. In quell’epoca, Marc era membro della Frazione italiana (FI) e sebbene Clara non ne fosse membro, era simpatizzante di questo gruppo. Durante la guerra, Marc fu mobilitato nell’esercito francese(sebbene non fosse francese e che per molti anni la sua sola carta di identità fosse un’ordinanza di espulsione la cui scadenza veniva prolungata ogni due settimane).Si trovava ad Angoulême quando crollò l'esercito francese. Con un compagno della Frazione italiana in Belgio (che si nascondeva all'avanzata delle truppe tedesche perché era ebreo), Clara parti da Parigi in bicicletta per raggiungere Marc ad Angoulême. Quando arrivò, trovò che Marc (con altri soldati), era stato fatto prigioniero dall’ l'esercito tedesco che, fortunatamente, non aveva ancora constatato che era ebreo. Clara riuscì, portandogli dei vestiti civili, a fare evadere Marc, ed un altro compagno ebreo, della caserma nella quale era prigioniero. Marc e Clara passarono in zona libera e raggiunsero Marsiglia in bicicletta nel settembre 1940. È a Marsiglia che Marc ha contribuito alla riorganizzazione della Frazione italiana che si era sciolta all'inizio della guerra.
Senza esserne formalmente membro, Clara ha partecipato al lavoro ed alle discussioni che hanno permesso lo sviluppo del lavoro della Frazione italiana ricostituita: malgrado i pericoli dovuti all'occupazione dell'esercito tedesco, ha trasportato, da una città all'altra, documenti politici destinati ad altri compagni della Frazione italiana. Durante questo periodo, Clara ha partecipato anche alle attività dell’OSE (Organizzazione di Soccorso dei Bambini) che si faceva carico e nascondeva bambini ebrei per proteggerli dalla Gestapo.
È al momento della "liberazione" che Marc e Clara hanno sfiorato più da vicino la morte quando i “resistenti" stalinisti del PCF li hanno fermati a Marseille: li hanno accusati di essere dei traditori, complici dei "boches", perché avevano trovato a casa loro, durante una perquisizione, dei quaderni scritti in tedesco. In effetti, questi quaderni provenivano dai corsi di tedesco che Marc e Clara avevano ricevuto da Volin (un anarchico russo che aveva partecipato alla rivoluzione del 1917). Volin, malgrado la miseria nera nella quale si trovava, non voleva ricevere aiuto materiale. Marc e Clara gli avevano dunque chiesto di dar loro dei corsi di tedesco e, per questo, egli accettava di condividere il loro pasto. All'epoca di questa perquisizione, gli stalinisti avevano anche trovato dei volantini internazionalisti redatti in francese ed in tedesco ed inviati ai soldati dei due fronti.
Fu grazie ad un ufficiale gollista che era il responsabile della prigione (la cui donna conosceva Clara per aver lavorato con lei nell’ OSE), che Marc e Clara poterono sfuggire per un pelo agli assassini del PCF. Questo ufficiale aveva impedito agli stalinisti di assassinare Marc e Clara (i resistenti del PCF avevano difatti detto a Marc: "Stalin non ti ha avuto ma, noi, avremo la tua pelle"). Sorpreso che degli ebrei fossero dei "collaborazionisti", cercò di dare una spiegazione politica alla propaganda che Marc e Clara facevano in favore della fraternizzazione dei soldati francesi e tedeschi. Questo ufficiale si rese conto che la loro strategia non aveva niente a che vedere con un banale "tradimento" in favore del regime nazista. È per questo motivo che li fece evadere della prigione, con discrezione, nella sua automobile personale consigliando loro di lasciare al più presto Marsiglia prima che gli stalinisti potessero ritrovarli. Marc e Clara andarono a Parigi dove raggiunsero altri compagni (e simpatizzanti) della Frazione italiana e della Frazione francese della Sinistra comunista. Clara ha continuato fino al 1952 a sostenere il lavoro della Sinistra comunista Francese (GCF - il nuovo nome che si era dato la Frazione Francese della Sinistra Comunista - FFGC). Nel 1952, la GCF, di fronte alla minaccia di una nuova guerra mondiale, decise che alcuni dei suoi membri avrebbero dovuto lasciare l'Europa per preservare l'organizzazione nel caso in cui questo continente fosse di nuovo entrato in guerra. Marc partì per il Venezuela nel giugno 1952. Clara lo raggiunse nel gennaio 1953 quando era riuscito finalmente a trovare un lavoro stabile in questo paese.
In Venezuela, Clara riprese il suo mestiere di maestra. Nel 1955, con un collega, fondò a Caracas una scuola francese, il Collegio Jean-Jacques Rousseau che, aveva in principio solamente 12 alunni, principalmente ragazze che non avrebbero potuto frequentare allora la sola scuola francese presente perchè non era diretta da frati. Il Collegio di cui Clara era la direttrice(e Marc l'amministratore, il giardiniere e l'autista del trasporto scolastico) finì per contare più di un centinaio di alunni. Alcuni di loro, colpiti sia per l'efficienza che per le grandi qualità pedagogiche ed umane di Clara, sono rimasti in contatto con lei fino alla sua morte. Nel 2004 è venuto a farle visita finanche uno dei suoi vecchi alunni stabilitosi negli Stati Uniti.
Dopo la partenza di Marc e di altri compagni, il GCF si disperse. Fu solamente a partire da 1964 che Marc poté costituire un piccolo nucleo di elementi molto giovani che cominciò a pubblicare la rivista "Internacionalismo" in Venezuela. Durante questo periodo, Clara non fu impegnata direttamente nelle attività politiche di Internacionalismo ma il suo istituto scolastico forniva i mezzi materiali ed era il luogo di riunione per le attività del gruppo.
Nel maggio 1968, Marc tornò in Francia per partecipare ai movimenti sociali e ristabilire i contatti coi suoi vecchi compagni della Sinistra comunista. Fu durante il suo soggiorno in Francia che la polizia del Venezuela andò a perquisire il Collegio Jean-Jacques Rousseau scoprendo il materiale politico che vi si trovava. Il Collegio fu chiuso ed anche demolito. Clara lasciò precipitosamente il Venezuela per raggiungere Marc.
È a partire da questo periodo che Marc e Clara si sono trasferiti di nuovo a Parigi. Dal 1968, Marc partecipò al lavoro del gruppo"Révolution Internationale" (RI) che si era costituito a Tolosa. Dal 1971, Clara si è integrata attivamente nelle attività di RI che andava a diventare la sezione della CCI in Francia. Da allora, è rimasta una militante fedele della nostra organizzazione, svolgendo la sua parte nell'insieme delle attività della CCI. Dopo la morte di Marc, nel dicembre 1990, ha continuato la sua attività militante in seno all'organizzazione alla quale lei è stata sempre molto legata. Anche se è stata personalmente molto addolorata dall’allontanamento di certi vecchi compagni che erano stati tra i fondatori di RI e di Internacionalismo, queste diserzioni non hanno, mai, rimesso in discussione il suo impegno in seno alla CCI.
Fino all'ultimo momento, malgrado i suoi problemi di salute e la sua età, ha voluto continuare sempre ad essere presente in prima persona nella vita della CCI. In particolare, è con la più grande assiduità che versava le sue quote ogni mese così come teneva a seguire le discussioni, anche quando non poteva più assistere alle riunioni. Nonostante avesse seri problemi di vista, Clara continuava a leggere per quanto possibile la stampa ed i documenti interni della CCI (l'organizzazione faceva per lei proprio per questo motivo delle stampe a grossi caratteri). Parimenti, ogni volta che un compagno le rendeva visita, gli chiedeva di comunicarle lo stato delle discussioni e dell’ attività dell'organizzazione. Clara era una compagna il cui senso della fraternità e della solidarietà ha segnato molto l'insieme dei militanti del CCI, che accoglieva sempre in modo estremamente caloroso. Parimenti, ha mantenuto rapporti fraterni con i vecchi compagni della Sinistra comunista, portando loro la sua solidarietà particolarmente in caso di malattia (come fu il caso per Serge Bricianer, vecchio membro della GCF, o Jean Malaquais, simpatizzante di questa, che era andata a visitare a Ginevra poco prima della sua morte nel 1998). Dopo la morte di Marc, ha continuato a trasmettere alle nuove generazioni di militanti, questa tradizione di fraternità e di solidarietà che caratterizzava il movimento operaio del passato. È con gioia che ha potuto vedere questa solidarietà della classe portatrice del comunismo ricomparire in modo magistrale nel recente movimento degli studenti in Francia. Un movimento che Clara ha tenuto a salutare con entusiasmo prima di lasciarci.
Malgrado il suo indebolimento fisico e le notevoli difficoltà di salute che ha affrontato con un coraggio notevole, Clara ci ha lasciato nel momento in cui una nuova generazione apre le porte dell'avvenire. Clara ci dà l'esempio di una donna che, per tutta la vita, ha combattuto al fianco ed in seno alla classe operaia dando prova perciò di un coraggio fuori dal comune (in particolare rischiando la sua vita durante gli anni della controrivoluzione).Una donna che è rimasta fino alla fine fedele alle sue idee ed ai suoi impegni rivoluzionari. Quando l'insieme della CCI ha appreso la notizia della sua scomparsa, le sezioni, ed i compagni individualmente, hanno mandato all'organo centrale del CCI un gran numero di testimonianze che salutano il calore umano, la devozione alla causa del proletariato ed il grande coraggio di cui Clara ha dato prova durante tutta la sua vita. Clara è stata inumata sabato 22 aprile al cimitero parigino di Ivry (nello stesso luogo in cui era stato seppellito il marito di Clara Zetkin, Ossip, il 31 gennaio 1889). Dopo le esequie, la CCI ha organizzato una riunione in omaggio alla sua memoria dove si sono ritrovate numerose delegazioni internazionali della CCI, numerosi simpatizzanti che hanno conosciuto personalmente Clara, e membri della sua famiglia. A suo figlio Marc, ai suoi nipoti Miriam e Yann-Daniel, inviamo la nostra più grande solidarietà e simpatia.
Pubblichiamo sotto un ampio estratto della lettera che la CCI ha inviato a suo figlio ed alla sua famiglia.
La CCI al compagno Marc
Caro compagno Marc, con queste parole vogliamo subito manifestarti la nostra solidarietà e la nostra simpatia in seguito alla scomparsa di Clara, tua madre e nostra compagna. Vogliamo anche esprimerti l'emozione che prova l'insieme dei compagni della nostra organizzazione. La maggior parte di noi aveva conosciuto Clara prima come la compagna di Marc, tuo padre, che ha sostenuto un ruolo così importante nella lotta della classe operaia, nei peggiori momenti che questa ha attraversato, ed anche come principale fondatore della CCI. Questo, era già un motivo di affetto e di rispetto verso Clara: “la compagna di Marc poteva essere solamente una persona di bene”. Il coraggio e la dignità che ha manifestato al momento della scomparsa di tuo padre, malgrado l'amore immenso che gli portava, ci hanno confermato la sua grande forza di carattere, una qualità che conoscevamo già e che non ha cessato di manifestarsi fino al suo ultimo giorno. E’ proprio per questo motivo che, per i militanti della CCI, Clara non era solamente la compagna di Marc, tutt’altro. Era una compagna che è restata fino alla fine fedele alle sue convinzioni, che ha continuato a condividere tutte le nostre battaglie, e che ha voluto, malgrado le difficoltà dell'età e della malattia, restare in stretto contatto con la vita della nostra organizzazione. Tutti i compagni sono stati impressionati dalla sua voglia di vivere e dalla lucidità che ha conservato fino all'ultimo istante. È perciò che l'affetto ed il rispetto che ciascuno di noi le aveva accordato al primo colpo non hanno fatto che rinforzarsi col passare degli anni. Poco prima della sua morte, tuo padre ci aveva parlato dell'immensa soddisfazione che gli recava la scomparsa dello stalinismo, questo boia della rivoluzione e della classe operaia. Allo stesso tempo, non aveva nascosto l'inquietudine che provava di fronte alle conseguenze negative che questo avvenimento andava a provocare sulla coscienza della classe operaia e la sua lotta. Clara, avendo conservato le sue convinzioni rivoluzionarie intatte, ha visto gli ultimi giorni della sua vita illuminati dalla ripresa della lotta delle nuove generazioni. Questo è per noi tutti, malgrado la nostra pena, un motivo di consolazione.
Con Clara, sparisce una delle ultime persone che è stata testimone ed attore di questi anni terribili dove i rivoluzionari si sono ritrovati una piccola minoranza che continua a difendere i principi internazionalisti del proletariato, una lotta condotta dai militanti della Sinistra italiana in particolare, della Sinistra olandese e della Sinistra comunista francese e senza la quale la CCI non esisterebbe oggi. Clara ci parlava talvolta di questi compagni e potevamo sentire nelle sue parole tutta la stima e l'affetto che portava loro. In questo senso, dopo la scomparsa di tuo padre, Clara continuava ad essere per noi un legame vivente con questa generazione di comunisti che rivendichiamo con fierezza. È questo legame che al di là della persona della nostra compagna Clara, abbiamo perso oggi. (…) Ancora una volta, caro compagno Marc, vogliamo manifestarti la nostra solidarietà e ti chiediamo di trasmettere questa solidarietà ai tuoi bambini ed agli altri membri della tua famiglia.
La CCI, 17 aprile 2006
Nel suo numero 479, datato da novembre 2005 a febbraio 2006, Le Prolétaire dedica circa quattro pagine alle sommosse di quest’autunno. Colonna dopo colonna, quest’organizzazione porta un sostegno incondizionato alla violenza dei giovani abitanti della periferia. Arriva addirittura a farne un punto di partenza per la lotta di tutta la classe operaia, un modello da seguire. "La rivolta delle periferie annuncia la ripresa della lotta proletaria rivoluzionaria!” potevamo leggere in grassetto ed in maiuscolo nel suo volantino. Pertanto, gli studenti che sono entrati in lotta quattro mesi più tardi hanno preso tutta un'altra strada. Non automobili bruciate a centinaia. Non scuole saccheggiate. Neanche notti intere ad affrontare gli sbirri, con i sassi in mano. Alla disperazione ed all'odio, all'autodistruzione ed al "non futuro", questi giovani della classe operaia hanno preferito l'unità e la solidarietà, l'auto-organizzazione e la costruzione dell'avvenire.
Quali sono i punti comuni tra i movimenti degli studenti e le sommosse d'autunno?
Solo guardando la cronologia degli avvenimenti, è facile pensare che la lotta contro il CPE logicamente succede alle sommosse, che ne è una specie di prolungamento. Oltretutto, vi sono in realtà alcuni punti comuni. Il primo, più visibile, è il coinvolgimento della gioventù. In entrambi i casi, sono i giovani della classe operaia ad essere scesi in strada. Ciò implica il secondo punto comune. La profondità della crisi economica ed il fallimento del capitalismo rendono totalmente insopportabile l’avvenire che si prospetta. I giovani non possono provare che una profonda angoscia ed una vera collera di fronte alla disoccupazione, ai piccoli lavori sottopagati ed altre galere che li aspettano. E’ per questo motivo che le sommosse hanno anche avuto e hanno ancora un significato importante per la classe operaia. Queste esplosioni di violenze hanno rivelato lo stato di povertà e di disperazione regnante nei ghetti di cemento. Il mondo intero ha potuto scoprire che "anche in Francia" le condizioni di vita degli operai e dei loro giovani si degradano e diventano insopportabili. Ecco ciò che c'è di comune tra le sommosse di periferia ed il movimento degli studenti: l'inquietudine della gioventù per l'avvenire. L'orizzonte chiuso, la prospettiva del domani sempre più scura. Ma la somiglianza si ferma là.
La borghesia ed i suoi media hanno tentato di tutto per rompere il movimento degli studenti. I telegiornali si sono riempiti di immagini di violenze. Quando un milione di persone manifestava in strada e migliaia di studenti si organizzavano in assemblee generali discutendo nelle università, il giornale televisivo delle 20 si soffermava solo sulle scene di depredazioni e di scontri tra alcuni casseurs con i CRS (celerini). Le immagini della Sorbona occupata e della scala gettata dalla finestra sugli sbirri hanno fatto il giro del mondo, e parecchie volte! Peggio: utilizzando i metodi più schifosi della provocazione e dell'infiltrazione, le forze dell'ordine hanno provato a più riprese a fare degenerare i cortei di manifestanti. Numerosi testimoni sono stati colpiti dall'evidenza che gli sbirri lasciavano passare le bande per creare una sensazione di paura. E non ci sono quasi dubbi che questi gruppi che correvano lungo i marciapiedi per rapinare gli studenti erano eccitati, manipolati e forse anche diretti in parte dalla polizia. Così, salutando le sommosse dell'autunno, proferendo in modo magniloquente alla fine del suo volantino "Viva la rivolta dei giovani proletari delle periferie contro la miseria, il razzismo e l'oppressione! Viva la prospettiva del proletariato in lotta per i suoi soli interessi di classe! Viva la ripresa della lotta generale di classe ivi compreso sul campo della violenza che la borghesia utilizza continuamente contro i proletari”! e qualificando gli atti esasperati dei giovani insorti di "violenza proletaria delle periferie", Le Prolétaire ha partecipato involontariamente alla trappola tesa dalla borghesia.
Ma la gioventù studentesca non ha né risposto alle provocazioni statali né seguito la direzione indicata dal “Partito Comunista Internazionale”. Al contrario, ha rigettato i metodi da sommossa organizzando dei servizi d’ordine per proteggersi dai saccheggi, impedire le devastazioni e non cadere nelle provocazioni dei CRS, pure avanzando delle parole di ordine unitarie per tutta la gioventù operaia, delle periferie o del resto. Questi futuri proletari hanno dato prova di una grande forza. Hanno difeso i valori della classe operaia: quella della solidarietà, della capacità ad organizzarsi ed a lottare collettivamente, di battersi per sé e per gli altri. È dunque il loro livello di coscienza che ha permesso agli studenti di non cadere nella trappola delle sommosse. Hanno compreso che gli scontri con i CRS erano totalmente sterili, che la distruzione per la distruzione era da bandire, che dunque i metodi da sommossa costituivano un vicolo cieco. Meglio ancora, i cortei studenteschi si sono organizzati per proteggersi contro il saccheggio delle bande delle periferie. E tuttavia, malgrado o piuttosto grazie a tutto ciò, hanno espresso un sentimento profondo di solidarietà verso gli insorti. Regolarmente nelle AG, echeggiavano interventi del tipo: "rifiutando il CPE, lottiamo tanto per noi quanto per i più sprovvisti". La dimostrazione più chiara è indubbiamente la rivendicazione di amnistia per tutti i giovani condannati durante l'autunno caldo. Durante le manifestazioni, era sorprendente il contrasto tra i cartelli che rivendicavano l'amnistia e le bande di giovani che saccheggiavano senza vergogna telefonini portatili e portafogli. Abbiamo visto delle studentesse malmenate piangere ripetendo instancabilmente "è tuttavia anche per essi che ci battiamo!"
La forza del movimento contro il CPE, la capacità degli studenti a portare nella lotta un sentimento di solidarietà ha avuto un risultato immediato: quello di coinvolgere in questa lotta la stragrande maggioranza della gioventù delle periferie. Nella misura in cui la lotta si sviluppava, gli alunni dei licei delle periferie sono venuti sempre più numerosi manifestazione dopo manifestazione, lasciando al margine la minoranza dei ladruncoli. Mentre le sommosse avrebbero potuto solo trascinare una parte dei giovani in un'isteria di violenza mentre l'altra parte si nascondeva impaurita, la lotta degli studenti, i suoi metodi ed i suoi scopi, ha offerto al tempo stesso un altro modo di battersi ed una prospettiva. Non bisogna credere che la violenza sia in sé da bandire e che fu bandita dagli studenti. I blocchi delle facoltà da parte di squadre incaricate ed organizzate fu una forma embrionale di violenza di classe. La violenza proletaria sarà necessaria alle lotte rivoluzionarie. Solo che questa violenza "portatrice di un nuovo mondo" non può prendere una qualsiasi forma. Deve girare le spalle allo scatenamento del furore distruttore cieco, all'appagamento di vendette personali, agli atti di barbarie ed al caos. La violenza proletaria è organizzata, ponderata, pensata collettivamente e portatrice dell'unità e della solidarietà della classe operaia. È una delle grandi lezioni dello sciopero di massa del 1905 e dell'insurrezione di ottobre 1917.
Quale ruolo può giocare in avvenire questo Le Prolétaire che fa l'elogio della violenza autodistruttiva?
Facendo l'elogio della violenza autodistruttiva, Le Prolétaire difende delle posizioni pericolose per la classe operaia. Una tale posizione da parte di un'organizzazione autenticamente proletaria può sorprendere in quanto somiglia agli slogan pseudo-radicali degli anarchici del tipo "quando si brucia, è buon segno". E questa organizzazione non ha nemmeno la scusa di essere malinformata. Sa molto bene ciò che sono state concretamente le sommosse: "in alcuni giorni, la rabbia dei giovani senza lavoro, senza salario, senza avvenire si è estesa a tutto il paese", "scaricano oggi una parte di questa violenza distruggendo tutto ciò che capita loro sottomano", o ancora "è una collera cieca, una manifestazione di collera esasperata". E tuttavia, essa difende questa rabbia, questa distruzione, quest'accecamento e questa disperazione che voltano le spalle agli interessi della classe operaia. Perché? La prima ragione, meno onorabile, è la volontà opportunista di piacere. Gridando "Viva la rivolta dei giovani proletari delle periferie contro la miseria, il razzismo e l'oppressione!" , ha provato a dotarsi con poca spesa di una vernice radicale, di apparire rivoluzionaria, un’organizzazione “pura e dura”. La CCI che ha assunto le sue responsabilità sottolineando il vicolo cieco di queste violenze sterili è così tacciata di "social-pacifista" da parte di un Prolétaire che porta sostegno e tutta la sua solidarietà ai giovani insorti. Ma veramente è essere solidale salutare questi atti disperati? E’ veramente essere solidale chiamare gli operai a partecipare a queste sommosse? Evidentemente no. Lo ripetiamo, la lotta degli studenti contro il CPE ha portato spontaneamente una solidarietà ben più vera di questo “Partito Comunista Internazionale”.
Al di là dell'adescamento, ci sono anche delle importanti debolezze che impediscono a Le Prolétaire di comprendere una qualsiasi cosa della lotta di classe. Mancanza di fiducia nel proletariato, incomprensione di ciò che è la violenza di classe, ignoranza totale del ruolo della coscienza, ecco le ragioni profonde che spingono in effetti Le Prolétaire a sostenere delle sommosse totalmente sterili e pericolose. Per comprenderlo, bisogna andare a grattare le sue analisi apparentemente elaborate… in superficie: "Se effettivamente gli operai si fossero già trovati numerosi sul terreno di classe, lasciare questo campo per dedicarsi a saccheggi sarebbe stato una regressione ed un passo indietro nella lotta anti-capitalista. Ma […] gli operai e più generalmente i proletari non si trovano che in numero infinitesimale sul terreno di classe, al contrario sono molto numerosi sul campo della collaborazione delle classi" e dunque "il fatto che una parte di questa maggioranza comincia a disertare questo campo della collaborazione delle classi, anche se momentaneamente, senza avere una consapevolezza chiara dei loro atti, senza prospettiva né progetto, è per i comunisti un segno di grande importanza: il segno che un passo avanti verso il terreno di classe, verso la ripresa della lotta di classe, sta avverandosi".
Se si riassume tutto questo in una frase, abbiamo: "le sommosse, sono meglio di niente". Incidentalmente, si vede che questo “Partito Comunista Internazionale” è totalmente staccato dalla dinamica attuale della classe operaia, dalla ricomparsa da alcuni anni della sua combattività. Non vedendo la lotta che si sviluppa sotto i suoi occhi, Le Prolétarie si aggrappa a qualsiasi cosa. Ma c'è qualcosa di ancora più grave. Quale immagine ha del proletariato e della sua lotta Le Prolétarie? Come può un'organizzazione rivoluzionaria credere che le sommosse, violenze senza scopo di cui le prime vittime sono gli stessi operai, possono costituire "un passo avanti verso il terreno di classe, verso la ripresa della lotta di classe"? Quali sono questi atti eroici che costituiscono una tale avanzata per la lotta della classe operaia? Gli scontri sterili con gli sbirri la cui sola motivazione era l'odio? Le migliaia di automobili di operai bruciati? O, forse, gli autobus e le scuole distrutte?
La disperazione che traspira attraverso la violenza autodistruttiva di giovani disperati costituisce uno sgambetto alla classe operaia ed assolutamente non un benché minimo passo avanti. Lo ripetiamo ancora una volta: le violenze urbane istillano la paura dell'altro, dividono gli operai ed i loro figli, spingono verso la propaganda sulla sicurezza. Soprattutto, rafforzano lo Stato borghese che permette alla borghesia di fare credere che all'infuori della democrazia, ogni lotta va verso il caos e non porta nessuno avvenire. Alla fine le sommosse inquinano la coscienza della classe operaia. Ma il PCI indubbiamente sembra non dare molto importanza alla questione della coscienza. La riflessione del proletariato sul suo avvenire, la sua capacità a battersi in modo unito e solidale…, a tutto ciò, Le Prolétaire preferisce "l'esplosioni di rabbia", "gli scontri violenti", "la rivolta elementare". Dopo tutto, non è Il Partito che è il detentore della coscienza? Non basta, per la rivoluzione vittoriosa, un Partito infallibile ed una classe operaia combattiva e determinata, piena di rabbia e di violenza? Ebbene no, compagni! La forza della classe operaia, è al contrario lo sviluppo della coscienza delle masse e della loro organizzazione. Sono le sue armi politiche essenziali.
Tra le sommosse ed il movimento anti-CPE, i metodi di lotta sono stati radicalmente differenti. Il primo poteva trascinare solamente alla distruzione, alla divisione e ridurre la fiducia della classe operaia a battersi per un avvenire il migliore. Al contrario, la presa in mano della lotta da parte degli studenti, la loro capacità ad organizzarsi in AG, ad avanzare delle parole d'ordine portatrici di solidarietà e di unità permettono al proletariato di compiere un grande passo. In breve, le sommosse guardavano verso il nulla, le lotte studentesche verso l'avvenire. Questa differenza fondamentale tra i due movimenti è sfuggita finora totalmente a Le Prolétaire, a tal punto che durante una permanenza a Parigi, i suoi militanti si sono stupiti che la CCI sostenga le lotte studentesche e si sono rallegrati che la nostra organizzazione abbia… cambiato posizione sull'autunno (sic!). Davanti alla lotta di classe, Le Prolétaire è indubbiamente come una gallina davanti ad un coltello. Possiamo chiederci con serietà e gravità quale ruolo sarà portato a giocare Le Prolétaire in seguito allo sviluppo delle lotte se continua così ad esaltare la violenza cieca e distruttrice?
Pawel
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[15] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/interventi
[16] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[17] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/corrente-comunista-internazionale
[18] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[19] https://it.internationalism.org/en/tag/7/110/bordighismo