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“Noi la crisi non la paghiamo!”[1]
E’ scoppiato il 2008!
A quarant’anni dai formidabili movimenti che scossero il mondo intero a partire dalla Francia – con il Maggio francese – e dall’Italia, il mondo della scuola e dell’università sono tornati in piazza nel nostro paese in contrapposizione al cosiddetto decreto Gelmini. I motivi contingenti di questa protesta sono noti e ci limitiamo pertanto solo a rievocarli rapidamente.
A livello di scuola, al di là delle questioni del tutto fuorvianti sul ritorno al grembiulino, che non è stato più inserito nella versione finale del decreto, o al voto in condotta, il decreto Gelmini viene contestato soprattutto per i tagli che questo comporta nel mondo dell’istruzione e per le conseguenze che tali tagli avranno sulla qualità del servizio erogato alla popolazione scolastica. Infatti, la necessità di fare cassa a spese della scuola, comporta in generale:
- una riduzione del tempo nella scuola d’infanzia e alle elementari;
- una drastica riduzione del personale (docente, amministrativo e tecnico) tramite blocco del turn-over, ristrutturazioni e riduzioni orari: 87.000 docenti precari e 45.000 lavoratori del personale Ata (segreterie e bidelli) non saranno più chiamati a lavorare;
- aumento degli alunni per classe;
- scomparsa degli insegnamenti di Educazione tecnica e della seconda lingua straniera nelle scuole secondarie.
- Riduzione del tempo scuola nei tecnici e nei professionali
A livello universitario, al di là di tutte le frottole che anche lì il governo racconta per distrarre l’attenzione dalle questioni di fondo, abbiamo:
- tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università, pari a oltre 500 milioni di euro per il prossimo triennio;
- turn-over del personale universitario ridotto, per gli anni 2010 e 2011, al solo 20% della spesa relativa al personale che andrà in pensione nell’anno precedente (1 sola assunzione per ogni 5 pensionati);
- prefigurazione della trasformazione delle Università pubbliche in Fondazioni di diritto privato.
Questi sono gli elementi essenziali della manovra del governo. Come si vede ce n’è abbastanza per stroncare il mondo della pubblica istruzione in Italia in quanto non si tratta tanto di leggi che si limitano, come per il passato, a riorganizzazione (in peggio) queste strutture, ma della semplice cancellazione di parte di queste strutture con l’azzeramento di risorse e personale. Ed è appunto questo che ha fatto insorgere sia il personale che vi lavora in queste strutture - soprattutto i giovani e i precari, che naturalmente sono quasi la stessa cosa – che il mondo degli studenti che vedono giustamente nella riforma Gelmini e in tutta la manovra finanziaria del governo Berlusconi un attentato al proprio futuro. Infatti, con l’ulteriore dequalificazione del mondo dell’istruzione, potrà avere un futuro solo chi se lo potrà comprare andando in scuole e università private. Ad esempio, la possibile trasformazione delle Università in Fondazioni, al di là della diatriba se sia meglio il pubblico o il privato, “costituisce un segnale inequivocabile del progressivo disimpegno dello Stato dal ruolo di finanziatore del sistema pubblico universitario che è garanzia della possibilità, data a tutti, di accedere ai più alti livelli della formazione”[2].
Questa sensazione di assenza di futuro è tanto più presente nel movimento attuale di studenti e precari nella misura in cui fa da sfondo al movimento una crisi economica che si esprime in questa fase con delle espressioni inedite e profondamente preoccupanti.
Da questo punto di vista bisogna riconoscere che questo movimento di studenti e precari ha scarse radici “studentesche” e trae la sua maggiore forza dal riconoscimento che l’attuale attacco del governo deriva dalla crisi economica in cui versa attualmente l’Italia e il mondo intero. In questo senso il movimento attuale in Italia ricorda molto il movimento degli studenti francesi che si muovevano nel 2006 contro la legge che voleva introdurre il CPE (contratto di primo impiego), legge capestro che, se approvata, avrebbe permesso di imporre ai giovani condizioni di lavoro di gran lunga peggiori di quelle normali. Entrambi i movimenti partono dunque da questioni materiali che riguardano la prospettiva di vita e di lavoro delle nuove generazioni e quindi si pongono su un terreno squisitamente proletario. Non è un caso che la parola d’ordine che unifica tutto quanto il movimento di studenti e precari che si muovono oggi in Italia è quella di “NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO”, che è l’espressione della volontà di andare avanti senza farsi irretire dai falsi discorsi di “dare una mano al paese nel momento di difficoltà”, di “addossarsi il carico del momento difficile accettando i sacrifici”, ecc. ecc.
Il carattere poco “studentesco” e più legato ad una volontà di battersi per un futuro migliore sul piano complessivo si vede anche in altre cose. Ad esempio nel fatto che, contrariamente ad altre lotte del passato, e particolarmente del 68, non c’è una contrapposizione generazionale dei giovani contro gli anziani e non c’è uno scontro tra docenti e studenti, quanto piuttosto una tendenza a lottare assieme. Inoltre, c’è un atteggiamento molto poco ideologico e molto più politico che si traduce nella tendenza a esprimere un movimento poco caratterizzato “a destra” o “a sinistra”, ed anche poco marcato e soggiogato da questa o quella sigla politica di partito o di gruppi, ma ciononostante con una consapevolezza politica precisa della necessità di battersi per vincere.
Le trappole tese al movimento
Tuttavia il movimento che si sta esprimendo in questi giorni nella piazze presenta una serie di debolezze su cui sapientemente rimesta la borghesia per farlo fallire. Uno dei problemi è una certa mancanza di definizione degli obiettivi che si dà questo movimento. Laddove la maturità del movimento degli studenti in Francia era stata favorita da un attacco frontale da parte del governo, in Italia il carattere indiretto dell’attacco ha determinato invece minore chiarezza. E’ vero, come abbiamo detto prima, che un elemento importante che sostiene il movimento è la crisi economica in cui versa l’economia nazionale e mondiale. Ma qual è la lettura che di tale crisi si fa oggi? Una crisi finanziaria dovuta a degli speculatori senza scrupoli? Una crisi legata all’eccessivo consumismo o all’eccessiva popolazione mondiale? Una crisi legata all’invasione del mercato mondiale da parte della Cina? O non piuttosto una crisi irrisolvibile del sistema in cui viviamo?
E’ chiaro che una interpretazione piuttosto che un’altra può, in un caso, fare auspicare che il governo del mondo passi agli Obama, ai Veltroni, alla sinistra in genere che vengono presentati come la parte buona della società, i governanti giusti ed equi, mentre nell’altro caso punta a mettere in discussione l’intero assetto sociale di questo sistema di sfruttamento che si perpetua da secoli, indipendentemente dal governo di turno. Su questo piano c’è tutta una propaganda mediatica sulle nefandezze della Gelmini, “degna ministra dell’odiato Berlusconi”, “responsabile di voler affossare la scuola pubblica” e di “volerla dare in mano ai privati”. Ora, non c’è dubbio che le misure del governo Berlusconi siano draconiane e che la scuola e l’Università ne restino fortemente colpite. Ma bisogna uscire dalla logica per cui il governo di destra avrebbe fatto questo per debellare un settore politicamente pericoloso, come si intende da chi fa girare sapientemente un discorso di Calamandrei del 1950 sulla trasformazione subdola della scuola pubblica in scuola di regime, mentre invece un governo di sinistra non avrebbe mai toccato questo settore[3]:
“Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. (…) Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. (…) Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. (…) Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. (…) Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. …”[4]
A parte l’illusione che emerge da questo discorso che possa realmente esistere all’interno di questa società, una scuola imparziale, con una cultura al di sopra delle parti, la realtà è che chiunque si trovi al governo di questo tipo di società non può che ricorrere in soccorso dell’economia capitalista in crisi e non può che portare i più feroci attacchi contro la popolazione, poco importa se in questo ci va di mezzo la cultura del paese. E’ vero che il governo Berlusconi, nella sua rozzezza, ha calcato la mano, ma attenzione a non credere che il tutto risponda solo ad una manovra politica e non ad una necessità dello stato borghese di tirare fortemente la cinghia.[5]
Ma le trappole non finiscono qui! Proprio perché la dinamica che si sviluppa nel movimento della scuola e dell’università comincia a impensierire la borghesia, questa ha messo in moto ulteriori meccanismi di difesa. Prima Berlusconi ha cominciato a parlare della necessità di impedire agli studenti di occupare le scuole e le università, dicendo che avrebbe dato istruzioni precise al ministro dell’interno in merito al da farsi. Poi si è apparentemente smentito, per essere corretto poi dall’ex presidente della Repubblica Cossiga che, da buon vecchio “saggio” della classe borghese, ha snocciolato con grande faccia tosta una serie di consigli per il Cavaliere che è importante riportare per capire anche quanto sta accadendo oggi nelle piazze e forse quali saranno i prossimi passi della borghesia nei confronti del movimento:
Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?
«Dipende, se ritiene d’essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché è l'Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitito Pci ma l’evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà quantomeno una figuraccia».
Quali fatti dovrebbero seguire?
«A questo punto, Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell'Interno».
Ossia?
(…)
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che...
«Nel senso che le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!»[6]
Leggendo questa intervista non si può non fare immediatamente il legame con quanto è avvenuto il 29 ottobre a piazza Navona dove un gruppo di militanti di destra neofascista ha provocato uno scontro con gli studenti che partecipavano alla manifestazione. In realtà lo Stato, attraverso i suoi vari strumenti di intervento, materiale e mediatico (polizia, CC, stampa e televisione) sta già portando avanti il disegno di Cossiga che su questo piano, bisogna confessarlo, è stato sempre un grande maestro, anche se in una forma diversa da come l’ha formulata il “grande vecchio”. Infatti la provocazione non passa solo attraverso gli infiltrati, che sicuramente ci sono, ma anche attraverso un rifiorire dell’epopea antifascista attraverso una serie di provocazioni a catena. Prima e dopo l’episodio di piazza Navona non si contano gli episodi di provocazione promossi da bande di neofascisti che tendono a spostare lo scontro sul piano fisico in modo che possa poi scadere su un livello di semplice rivendicazione di democrazia e di rispetto della legalità e dell’ordine, giusto come predice il “nostro” ex presidente. Ma per fortuna il movimento sta reggendo molto bene a queste trappole e in numerose occasioni, testimoniate anche da vari video pubblicati sui blog che sono apparsi recentemente, i partecipanti al movimento hanno preso consapevolezza del pericolo di lasciarsi incastrare in questo falso scontro con i fascisti e di rimanere ancorati alla lotta di fondo che il movimento sta portando avanti.
La prospettiva del movimento
D’altra parte un movimento che si mantiene vivo e attivo anche dopo l’approvazione definitiva al senato della legge che era stato lo spunto della loro lotta testimonia di una volontà di lotta non effimera ma proveniente da sofferenze profonde.
Anche se al momento non siamo in grado di prevedere quale sarà il futuro immediato di questo movimento, noi pensiamo che movimenti di questo tipo hanno un futuro importante davanti a sé perché la situazione economica, politica e sociale è arrivata ad un livello di degradazione importante.
- Se il movimento attuale non ha raggiunto la maturità del movimento francese contro il CPE perché non sono sorte in maniera chiara le istanze di assemblee generali regionali e di delegazioni al loro interno eleggibili e revocabili in ogni momento, se non c’è stata una chiara consapevolezza della necessità di fare riferimento ad altre componenti sociali in lotta, esso ha espresso tuttavia:
- una chiara indipendenza da partiti e sindacati, pur non cadendo nella falsa illusione dell’apoliticismo, che è una frottola palese;
- una preoccupazione esplicita a trasmettere alla popolazione i motivi della lotta attraverso non solo manifestazioni e cartelli, ma anche attraverso le “lezioni per strada” svolte da docenti con la partecipazione di folte schiere di studenti, le “notti bianche” e così via.
La partita dunque non è chiusa. Le manifestazioni che si sono avute nella giornata di approvazione del decreto Gelmini (29 ottobre) in tutta Italia, lo stesso sciopero della scuola che si è avuto il 30 ottobre con 1 milione di manifestanti e tutto il fermento e il pullulare di iniziative che si stanno sviluppando a livello di scuole e università, il prossimo appuntamento per una manifestazione nazionale dell’università il prossimo 14 novembre, esprimono una forte vivacità sul piano della lotta e delle iniziative, che può spingere il movimento a prendere coscienza della necessità di agire sempre più come un corpo unico e di fare riferimento agli altri settori sociali in lotta in questo momento.
4 novembre 2008 Ezechiele
[1] Slogan che ha conquistato l’intero movimento degli studenti in tutte le città italiane.
[2] Dalla mozione della Facoltà di Scienze M.F.N. dell’Università Federico II di Napoli del 29 Ottobre 2008.
[3] In realtà il primo piano di razionalizzazione del sistema scolastico è stato fatto dal defunto governo Prodi attraverso taglio di classi e quindi di docenti e personale ATA
[4] Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950.
[5] Su questo stesso piano è in atto un’ulteriore mistificazione politica che tende a focalizzare tutto l’attacco sui tagli alla ricerca di base e a lamentare che i nostri “cervelli” siano costretti a espatriare, come ha mostrato la trasmissione “Anno Zero” di Michele Santoro, finendo così per trasformare un movimento che riguarda l’intera generazione di giovani di oggi con qualcosa a cui è interessata solo una minima percentuale di persone.
[6] Intervista di Andrea Cangini a Cossiga di giovedì 23 ottobre 2008: “Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei” pubblicata su Quotidiano nazionale. L’intervista integrale può essere letta su rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/JMS/JMSRA.pdf.