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Nel numero 89 del nostro organo internazionale Revue Internationale (di cui pubblichiamo in lingua italiana periodicamente solo una selezione di articoli) abbiamo pubblicato un articolo in risposta a quello di Revolutionary Perspectives N°5 (pubblicazione della Communist Workers’ Organisation – CWO) dal titolo «Sette, menzogne e la prospettiva perduta della CCI». Non potendo, per mancanza di spazio, trattare tutti gli aspetti affrontati dalla CWO, ci siamo limitati a rispondere ad uno solo dei problemi posti: l’idea secondo la quale la prospettiva delineata dalla CCI per l'attuale periodo storico sarebbe completamente fallita. Noi abbiamo messo in evidenza come le affermazioni della CWO si basavano essenzialmente su di una profonda incomprensione delle nostre posizioni e soprattutto su di una totale assenza di un quadro di analisi del periodo attuale. Assenza di quadro che è, d’altra parte, rivendicata con fierezza dalla CWO e dal BIPR (Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario, a cui questo gruppo è affiliato), nella misura in cui si considera che è impossibile per un'organizzazione rivoluzionaria identificare la tendenza dominante nel rapporto di forza tra proletariato e borghesia, ovvero se ci sia un corso verso scontri di classe crescenti o verso la guerra imperialista. In realtà, il rifiuto del BIPR di prendere in considerazione il fatto che per i rivoluzionari sia possibile -e necessario- identificare la natura del corso storico, trae le sue origini dalle condizioni stesse in cui si è costituita, alla fine della 2a guerra mondiale, l’altra organizzazione del BIPR ed ispiratrice delle sue posizioni politiche: il Partito Comunista Internazionalista (PCInt ). In un altro articolo «Le radici politiche della debolezza organizzativa della CCI», pubblicato sul n. 15 della rivista teorica in lingua inglese del BIPR, Internationalist Communist (IC), questa organizzazione ritorna sul problema delle origini del PCInt e di quelle della CCI. Nel presente articolo parleremo essenzialmente di questo argomento.
La grande debolezza dei due testi (della CWO e del BIPR) sta nel fatto che non si menziona mai l’analisi sviluppata dalla CCI sulle difficoltà organizzative da essa affrontate in quest'ultimo periodo (1): agli occhi del BIPR queste non possono che sorgere da debolezze di ordine programmatico o da una errata valutazione della situazione mondiale attuale. Incontestabilmente, tali questioni possono essere fonti di difficoltà per una organizzazione comunista. Ma tutta la storia del movimento operaio ci dimostra che i problemi legati alla struttura ed al funzionamento dell’organizzazione sono questioni politiche in senso stretto e che debolezze in questo campo, più ancora che su punti programmatici o di analisi, hanno delle conseguenze di primo piano, spesso drammatiche, sulla vita delle formazioni rivoluzionarie. Bisogna forse ricordare ai compagni del BIPR, che peraltro si richiamano alle posizioni di Lenin, l’esempio del 2° congresso del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia , nel 1903, dove è proprio sul problema dell’organizzazione (e non su punti programmatici o di analisi del periodo) che si è determinata la scissione tra bolscevichi e menscevichi? Di fatto, l’incapacità attuale del BIPR di fornire un'analisi sulla natura del corso storico trae le sue origini in larga misura dagli errori politici che riguardano la questione dell’organizzazione, e più particolarmente la questione del rapporto tra frazione e partito. E’ quanto risulta ancora una volta dall’articolo di I.C. Per evitare di essere accusati dai compagni del BIPR di falsificare le loro posizioni, riportiamo una lunga citazione del loro articolo:
«La CCI è stata costituita nel 1975 ma la sua storia risale alla Sinistra Comunista di Francia (GCF), un minuscolo gruppo che si era formato nel corso della 2a guerra mondiale ad opera dello stesso elemento ("Marc") che negli anni '70 avrebbe poi fondato la CCI. La GCF si basava essenzialmente sul rigetto della formazione del Partito Comunista Internazionalista in Italia dopo il 1942 da parte degli antenati del BIPR.
La GCF affermava che il Partito Comunista Internazionalista non costituiva un avanzamento in rapporto alla vecchia Frazione della Sinistra Comunista che era andata in esilio in Francia durante la dittatura di Mussolini. La GCF si era appellata ai membri della Frazione affinché non raggiungessero il nuovo Partito che era stato costituito da rivoluzionari come Onorato Damen , scarcerato con il crollo del regime di Mussolini. Si argomentava ciò con il fatto che la controrivoluzione che si era abbattuta sugli operai dopo la loro sconfitta negli anni '20 continuava ancora e che, perciò, non vi era la possibilità di creare un partito rivoluzionario negli anni '40. Con il crollo del fascismo in Italia e la trasformazione dello Stato italiano in un campo di battaglia tra i due fronti imperialisti, la grande maggioranza della Frazione italiana in esilio raggiunse il Partito Comunista Internazionalista (PCInt) puntando sul fatto che la combattività operaia non sarebbe rimasta limitata al Nord Italia via via che la guerra si avvicinava alla sua fine. L’opposizione della GCF non ebbe alcun impatto in questa epoca ma costituì il primo esempio delle conseguenze dei ragionamenti astratti che costituiscono oggi uno dei tratti metodologici della CCI. Oggi la CCI afferma che dalla 2a guerra mondiale non scaturì alcuna rivoluzione e che ciò costituisce la prova che la GCF aveva ragione. Ma questa ignora il fatto che il PCInt era la creazione più riuscita della classe operaia rivoluzionaria dopo la Rivoluzione russa e che, malgrado un mezzo secolo di dominazione capitalista che ne è seguito, essa continua ad esistere e ad accrescersi oggi.
La GCF, d’altra parte, ha spinto le sue astrazioni "logiche" un poco più avanti. Essa ha considerato che, poiché la controrivoluzione era sempre dominante, la rivoluzione proletaria non era all’ordine del giorno. E se ciò era vero doveva scoppiare una nuova guerra imperialista! Il risultato fu che la direzione si trasferì in America del Sud e la GCF scomparve durante la guerra di Corea. La CCI è sempre stata un pò imbarazzata dalla rivelazione delle capacità di comprensione del "corso storico" dei suoi antesignani. Tuttavia la sua risposta è stata sempre quella di prendere la questione alla larga. Quando la vecchia GCF, durante gli anni '60, è ritornata in una Europa notevolmente preservata, invece di riconoscere che il PCInt. aveva sempre avuto ragione in rapporto alle sue prospettive e alla sua concezione dell’organizzazione, ha cercato di denigrare il PCInt. affermando che esso era "sclerotico" ed "opportunista" ed affermando pubblicamente che esso era "bordighista" (…Un’accusa che è stata poi costretta a ritirare). Tuttavia, anche dopo essere stata costretta a questa ritrattazione, la sua politica di denigrazione dei possibili "rivali" (per riprendere i termini della stessa CCI) non è finita e adesso la CCI tenta di sostenere che il PCInt. ha "lavorato tra i partigiani" (ovvero che aveva appoggiato le forze borghesi che tentavano di ristabilire uno Stato democratico italiano). Questa è una calunnia vile e nauseante. In realtà dei militanti del PCInt. erano stati assassinati per ordine diretto di Palmiro Togliatti (Segretario generale del Partito Comunista Italiano) per aver tentato di combattere il controllo degli stalinisti sulla classe operaia guadagnandosi un credito presso dei partigiani».
Questo passaggio, che affronta le storie rispettive della CCI e del BIPR, merita una risposta di fondo, apportando anche degli elementi storici. Tuttavia, per la chiarezza del dibattito, è opportuno cominciare a rettificare alcuni argomenti che denotano o malafede o una ignoranza penosa da parte del redattore dell’articolo.
Qualche rettifica e qualche precisazione
Cominciamo dalla questione dei partigiani, che provoca una così forte indignazione nei compagni del BIPR da spingerli a considerarci dei "calunniatori" e dei "vigliacchi". Effettivamente noi abbiamo detto che il PCInt. aveva "lavorato tra i partigiani". Ma ciò non è affatto una calunnia, è la pura verità. E’ vero o non è vero che il PCInt. ha inviato alcuni dei suoi militanti e dei suoi quadri nei ranghi dei partigiani? Questo è un fatto che non si può nascondere. Inoltre, il PCInt. rivendica questa politica, a meno che esso non abbia cambiato posizione dopo che il compagno Damen scriveva, a nome dell’Esecutivo del PCInt. nell’autunno del 1976, che il suo partito poteva "presentarsi con tutte le carte in regola" evocando "questi militanti rivoluzionari che facevano un lavoro di penetrazione nei ranghi partigiani per diffondervi i principi e le tattiche del movimento rivoluzionario e che, per questo impegno, sono anche andati a pagare con la propria vita" (2). Al contrario, noi non abbiamo mai affermato che questa politica consisteva "nell’appoggiare le forze che cercavano di ristabilire uno Stato democratico italiano". Noi abbiamo trattato più volte questa questione sulla nostra stampa (3) - e ci ritorneremo ancora nella seconda parte di questo articolo - ma se abbiamo criticato impietosamente gli errori commessi dal PCInt. in occasione della sua costituzione, non lo abbiamo però mai confuso con le organizzazioni trotzkiste, ed ancor meno con quelle staliniste. Piuttosto che protestare, i compagni del BIPR avrebbero fatto meglio a fornire le citazioni che provocano la loro collera. In attesa che lo facciano, noi pensiamo che sia preferibile che essi lascino perdere la loro indignazione e con essa i loro insulti.
Un altro punto su cui è necessario apportare una rettifica ed una precisione riguarda l’analisi del periodo storico fatta dalla GCF all’inizio degli anni '50 e che ha motivato la partenza dall’Europa di un certo numero dei suoi membri. Il BIPR si sbaglia quando pretende che la CCI sia imbarazzata da questa questione e che risponda "prendendola alla larga". Così, nell’articolo dedicato alla memoria del nostro compagno Marc (Revue Internationale n° 66) scriviamo:
«Questa analisi, la si trova principalmente nell’articolo "L’evoluzione del capitalismo e la nuova prospettiva" pubblicato da Internationalisme n° 46 (…). Questo testo, redatto nel maggio del 1952 da Marc, costituisce in qualche modo il testamento politico della GCF. In effetti, Marc lascia la Francia per il Venezuela nel giugno del 1952. Questa partenza corrisponde ad una decisione collettiva della GCF che, di fronte alla guerra di Corea, reputa che una 3a guerra mondiale tra il blocco americano ed il blocco russo sia ormai inevitabile a breve scadenza (come viene detto nel testo in questione). Una tale guerra, che devasterebbe principalmente l’Europa, rischierebbe di distruggere completamente i pochi gruppi comunisti esistenti -e principalmente la GCF- che sono sopravvissuti alla precedente guerra mondiale. La "messa al riparo" fuori dall’Europa di un certo numero di militanti non corrisponde dunque alla preoccupazione della loro sicurezza personale (…) ma alla preoccupazione di preservare la sopravvivenza della stessa organizzazione. Tuttavia, la partenza per un altro continente dell'elemento più esperto e maturo infliggerà alla GCF un colpo fatale i cui elementi rimasti in Francia, malgrado la corrispondenza che Marc intrattiene con loro, non riescono, in un periodo di profonda controrivoluzione, a mantenere in vita l’organiz-zazione. Per delle ragioni che non possiamo qui riportare, la 3a guerra mondiale non è scoppiata. E’ chiaro che questo errore di analisi è costato la vita della GCF (e questo è probabilmente l’errore, tra quelli commessi dal nostro compagno durante il corso della sua vita di militante, che ha avuto le più gravi conseguenze)».
D’altronde, quando abbiamo ripubblicato il testo su citato (fin dal 1974 nel n° 8 del Bollettino di studio e di discussione di RI, antesignano della Revue Internationale), noi abbiamo ben precisato:
«Internationalisme aveva ragione ad analizzare il periodo che è seguito alla 2a guerra mondiale come una continuazione del periodo di reazione e di riflusso della lotta di classe del proletariato (…). Aveva ancora ragione ad affermare che, con la fine della guerra, il capitalismo non sarebbe uscito dal suo periodo di decadenza, che tutte le contraddizioni che hanno condotto il capitalismo alla guerra sarebbero rimaste ed avrebbero inesorabilmente spinto il mondo verso nuove guerre. Ma Internationalisme non ha colto o non ha messo sufficientemente in evidenza la fase di "ricostruzione" possibile nel ciclo: crisi-guerra-ricostruzione-crisi. E’ per questa ragione e nel contesto della pesante atmosfera della guerra fredda USA-URSS dell’epoca che Internationalisme non vedeva la possibilità di rinascita del proletariato che all'interno ed in seguito ad una 3a guerra».
Come si può vedere, la CCI non ha mai "preso alla larga" questi problemi e non si è mai "imbarazzata" nell’evocare gli errori della GCF (anche in un periodo in cui il BIPR non stava ancora là a ricordarglieli). Detto ciò, il BIPR ancora una volta ci da prova di non aver capito la nostra analisi sul corso storico. L’errore della GCF non consiste in una valutazione sbagliata del rapporto di forza tra le classi, ma nel fatto di aver sottovalutato la tregua che la ricostruzione aveva dato all’economia capitalista, permettendole di sfuggire alla crisi aperta per più di venti anni e dunque d’attenuare alquanto l’ampiezza delle contraddizioni imperialiste tra i blocchi. Queste ultime potevano allora restare contenute nel quadro di guerre locali (Corea, Medio Oriente, Vietnam, ecc.). Se in questa epoca la guerra mondiale non ha potuto avere luogo non è stato grazie al proletariato (il quale rimaneva paralizzato ed imbrigliato dalle forze di sinistra del capitale) ma solo perché essa non si imponeva ancora al capitalismo.
Dopo aver fatto queste precisazioni, è necessario ritornare su di un "argomento" che sembra stare a cuore al BIPR (poiché lo impiega già nell’articolo di polemica di RP n°5): quello che riguarda la taglia "minuscola" della GCF. In realtà, il riferimento al carattere "minuscolo" della GCF viene posto in contrapposizione alla "creazione della classe operaia rivoluzionaria più riuscita dopo la rivoluzione russa", e cioè al PCInt, che all’epoca contava parecchie migliaia di membri. Il BIPR vuole così forse dimostrare che la ragione della "più grande riuscita" del PCInt stava nel fatto che le sue posizioni erano più corrette di quelle della GCF?
Se questa è la prova, è piuttosto inconsistente. Tuttavia, al di là della povertà di tale argomento, l'analisi del BIPR tocca delle questioni di fondo dove si situano alcune delle divergenze fondamentali tra le nostre due organizzazioni. Per affrontare queste questioni di fondo, bisogna ritornare sulla storia della Sinistra Comunista d’Italia. Perché se era vero che la GCF era un gruppo "minuscolo", era altrettanto vero che essa era la vera continuatrice di questa corrente storica a cui si rifanno il PCInt. ed il BIPR.
Qualche elemento di storia della Sinistra italiana
La CCI ha pubblicato un libro, La Sinistra comunista d’Italia, che presenta la storia di questa corrente. Ci soffermiamo qui solo per sottolineare qualche aspetto importante di questa storia.
La corrente della Sinistra italiana, che si era costituita attorno ad Amadeo Bordiga ed alla Federazione di Napoli come Frazione «astensionista» all’interno del PSI, è stata all’origine della fondazione del Partito Comunista d’Italia nel 1921 al Congresso di Livorno ed ha assunto la direzione di questo partito fino al 1925. Come altre correnti di sinistra all'interno dell’Internazionale Comunista (come la Sinistra tedesca o la Sinistra olandese), essa ha reagito, molto prima dell’Opposizione di sinistra di Trotsky, contro la deriva opportunista dell’Internazionale. In particolare, contrariamente al trotzkismo che si richiamava integralmente ai primi 4 congressi dell’Internazionale, la Sinistra italiana rigettava alcune posizioni adottate dal 3°e dal 4° Congresso, ed in particolare la tattica del «Fronte Unito». Su molti aspetti, ed in particolare sulla natura capitalista dell’URSS o sulla natura definitivamente borghese dei sindacati, le posizioni della Sinistra tedesco-olandese erano all’inizio molto più giuste di quelle della Sinistra italiana. Tuttavia, il contributo al movimento operaio della Sinistra comunista d’Italia si è rivelato più fecondo di quello di altre correnti della Sinistra Comunista nella misura in cui questa era stata capace di comprendere meglio due questioni essenziali:
· il riflusso e la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria;
· la natura dei compiti delle organizzazioni rivoluzionarie in una tale situazione.
In particolare, essendo cosciente della necessità di una rimessa in discussione delle posizioni politiche che erano state invalidate dall’esperienza storica, la Sinistra italiana aveva la preoccupazione di avanzare con molta prudenza, cosa che le ha evitato di «gettare il bambino con l’acqua sporca» contrariamente a quanto fatto dalla Sinistra olandese che ha finito per considerare «l’ottobre del 1917» come una rivoluzione borghese ed a rigettare la necessità di un partito rivoluzionario. Ciò non ha impedito alla Sinistra italiana di far proprie alcune posizioni che erano state elaborate precedentemente dalla Sinistra tedesco-olandese.
La repressione crescente del regime mussoliniano, soprattutto a partire dalle leggi speciali del 1926, costrinse la maggior parte dei militanti della Sinistra comunista d’Italia all’esilio. E’ dunque all’estero, principalmente in Francia ed in Belgio, che questa corrente ha proseguito una attività organizzata. Nel febbraio del 1928 è stata fondata a Pantin, nelle vicinanze di Parigi, la Frazione di Sinistra del Partito comunista d’Italia. Quest’ultima ha tentato di partecipare allo sforzo di discussione e di raggruppamento delle differenti correnti di Sinistra che erano state espulse dalla Internazionale in degenerazione, tra cui la figura più conosciuta era quella di Trotsky. In particolare, la Frazione aveva come obiettivo la pubblicazione di una rivista di discussione comune a queste differenti correnti. Tuttavia, essendo stata esclusa dall’Opposizione della Sinistra internazionale, nel 1933 essa decise di pubblicare una propria rivista, Bilan, in lingua francese, pur continuando a pubblicare Prometeo in lingua italiana.
Non passeremo in rivista le posizioni della Frazione né l'evoluzione di questa. Ci limiteremo a ricordare una delle sue posizioni essenziali su cui fondava la sua esistenza: quella sul rapporto tra partito e frazione.
Questa posizione è stata progressivamente elaborata dalla Frazione alla fine degli anni '20 ed all’inizio degli anni '30 quando si trattava di definire quale politica conveniva portare avanti nei confronti dei partiti comunisti in via di degenerazione.
A grandi tratti, si può così riassumere tale posizione. La Frazione di Sinistra si forma in un momento in cui il partito del proletariato tende a degenerare, vittima dell’opportunismo, cioè della penetrazione dell’ideologia borghese al suo interno. E’ responsabilità della minoranza che mantiene il programma rivoluzionario di lottare in maniera organizzata per far trionfare tale programma all’interno del partito. O la Frazione riesce a far trionfare i suoi principi ed a salvare il partito, o quest’ultimo prosegue il suo corso degenerativo e finisce per passare, armi e bagagli, nel campo della borghesia. Il momento del passaggio del partito proletario nel campo borghese non è facile da determinare. Tuttavia, uno degli indici più significativi di tale passaggio è il fatto che non possa più apparire vita politica proletaria al suo interno. La Frazione di Sinistra ha la responsabilità di condurre la lotta all’interno del partito finché esiste una speranza che questo possa essere raddrizzato: e perciò che negli anni 1920 e all'inizio degli anni 1930, non sono le correnti di sinistra che si sono separate dai partiti dell’Internazionale Comunista ma sono stati questi ultimi ad espellerle, spesso con manovre sordide. Detto ciò, una volta che un partito del proletariato è passato nel campo della borghesia, non c’è possibilità che esso possa tornare indietro. Necessariamente, il proletariato dovrà far sorgere un nuovo partito per riprendere il suo cammino verso la rivoluzione e il ruolo della Frazione è proprio quello di costituire un «ponte» tra il vecchio partito passato al nemico ed il futuro partito del quale essa dovrà elaborare le basi programmatiche e costituire l’ossatura. Il fatto che, dopo il passaggio del partito nel campo borghese, non possa esistere vita proletaria al suo interno significa anche che è completamente inutile, e pericoloso, per i rivoluzionari praticare «l’entrismo» che costituiva una delle «tattiche» del trotzkismo e che la Frazione ha sempre rigettato. Voler mantenere una vita proletaria in un partito borghese - dunque sterile per le posizioni di classe - non ha mai avuto altro risultato che quello di accelerare la degenerazione opportunista delle organizzazioni che vi hanno provato e non di raddrizzare in nessun modo tale partito. Quanto al "reclutamento" che questi metodi hanno prodotto, esso è stato sempre particolarmente confuso, corrotto dall’opportunismo e non ha mai potuto condurre ad una avanguardia per la classe operaia.
Di fatto, una delle differenze fondamentali tra la Frazione italiana ed il trotzkismo sta nel fatto che la Frazione, nella politica di raggruppamento delle forze rivoluzionarie, anteponeva sempre la necessità della più grande chiarezza, del più grande rigore programmatico, anche se essa rimaneva aperta alla discussione con tutte le altre correnti che avevano ingaggiato la lotta contro la degenerazione della Internazionale Comunista. Al contrario la corrente trotzkista ha cercato di costituire delle organizzazioni in maniera precipitosa, senza una discussione seria ed una decantazione preliminare delle posizioni politiche, puntando essenzialmente su accordi tra "personalità" e sull’autorità acquisita da Trotsky come uno dei principali dirigenti della rivoluzione del 1917 e dell’IC alla sua origine.
Un’altra questione che ha contrapposto il trotzkismo alla Frazione italiana era quella del momento in cui bisognava formare un nuovo partito. Per Trotsky ed i suoi compagni, la questione della fondazione del nuovo partito era posta immediatamente all’ordine del giorno da quando il vecchio partito era perso per il proletariato. Per la Frazione, la questione era molto chiara:
“La trasformazione della Frazione in partito è condizionata da due elementi intimamente legati (4):
1. L’elaborazione, da parte della frazione, di nuove posizioni politiche capaci di dare un quadro solido alle lotte del proletariato per la Rivoluzione in una nuova fase più avanzata (…).
2. Il rovesciamento dei rapporti di classe del sistema attuale (…) con lo scoppio di movimenti rivoluzionari che potranno permettere alla Frazione di riprendere la direzione delle lotte nella prospettiva dell'insurrezione” (“Verso l’Internazionale 2 e ¾?”, Bilan n°1, 1933).
Perché i rivoluzionari siano capaci di stabilire in maniera corretta quale è la loro responsabilità in un certo momento, è necessario che essi identifichino in maniera chiara il rapporto di forze tra le classi e il senso dell’evoluzione di tale rapporto. Uno dei grandi meriti della Frazione è giustamente quello di aver saputo identificare la natura del corso storico durante gli anni '30: dalla crisi generale del capitalismo, con il peso della controrivoluzione operante sulla classe operaia, non poteva venire fuori che una nuova guerra mondiale.
Questa analisi ha dimostrato tutta la sua importanza al momento della guerra di Spagna. Mentre la maggior parte delle organizzazioni che si richiamavano alla sinistra dei partiti comunisti vedono negli avvenimenti di Spagna una ripresa rivoluzionaria del proletariato mondiale, la Frazione capisce che, malgrado il coraggio e l’alta combattività espressa dal proletariato spagnolo, questo era caduto nella trappola dell’ideologia antifascista portata avanti da tutte le organizzazioni che avevano una certa influenza su di esso (la CNT anarchica, l’UGT socialista, come i partiti comunisti, socialisti ed il POUM, un partito socialista di sinistra che partecipava al governo borghese della «Generalitat»). La Frazione comprende che i proletari sono destinati a servire da carne da cannone in uno scontro tra settori della borghesia (quello «democratico» contro quello «fascista»), che rappresenta il preludio della guerra mondiale che di lì a poco sarebbe inevitabilmente scoppiata. In questa occasione, nella Frazione si forma una minoranza che pensa che in Spagna la situazione restava «obiettivamente rivoluzionaria» e che, a disprezzo di ogni disciplina organizzativa e rifiutando il dibattito che gli proponeva la maggioranza, si arruola nelle brigate antifasciste del POUM (5) e si esprime anche nelle colonne del giornale dell’organizzazione. La Frazione è obbligata a prendere atto della scissione della minoranza che alla fine del 1936, al suo ritorno dalla Spagna (6), va ad integrare i ranghi dell’Union Communiste, un gruppo che aveva rotto a sinistra, all’inizio degli anni 1930, con il trotzkismo ma che raggiunse questa corrente qualificando come «rivoluzionari» gli avvenimenti di Spagna e promuovendo un «antifascismo critico».
Così, in compagnia di un certo numero di comunisti di sinistra olandesi, la Frazione italiana è la sola organizzazione che abbia mantenuto una posizione di classe intransigente di fronte alla guerra imperialista che si sviluppava in Spagna (7). Malauguratamente, alla del 1937, Vercesi che è il principale teorico ed animatore della Frazione comincia ad elaborare una teoria secondo la quale i diversi scontri militari che si erano prodotti nella seconda metà degli anni ‘30 non costituivano i preparativi di un nuovo macello imperialista generalizzato ma delle «guerre locali» destinate a prevenire, attraverso i massacri operai, la minaccia proletaria impellente. Secondo questa «teoria» il mondo si trovava dunque alla vigilia di una nuova ondata rivoluzionaria e la guerra mondiale non era più all’ordine del giorno nella misura in cui l’economia di guerra era in grado, da sola, di superare la crisi capitalista. Solo una minoranza della Frazione, a cui apparteneva il nostro compagno Marc, fu allora capace di non lasciarsi trascinare in questa deriva che rappresentava una sorte di rivalsa postuma della minoranza del 1936. La maggioranza decide di interrompere la pubblicazione della rivista Bilan e di sostituirla con Octobre (il cui nome è conforme alla «nuova prospettiva»), organo del Bureau Internazionale delle Frazioni di Sinistra (italiana e belga), che intende pubblicare in tre lingue. In effetti, anziché «fare di più» come la supposta «nuova prospettiva» lo esigeva, la Frazione è incapace di mantenere il suo lavoro dall’inizio: Octobre, contrariamente a Bilan, apparve in maniera irregolare ed unicamente in francese; numerosi militanti, disorientati da questa rimessa in causa delle posizioni della Frazione, cadono nella demoralizzazione o dimissionano.
La Sinistra italiana durante la seconda guerra mondiale e la formazione della GCF
Quando scoppia la seconda guerra mondiale, la Frazione è disarticolata. Più ancora che la repressione da parte della polizia «democratica» prima e della Gestapo poi (parecchi militanti, tra i quali Mitchell - principale animatore della Frazione belga - vengono deportati ed uccisi), è il disorientamento politico e l’impreparazione di fronte ad una guerra mondiale non prevista che stanno alla base di tale sbandata. Da parte sua, Vercesi proclama che con la guerra il proletariato è diventato «socialmente inesistente», che ogni lavoro di frazione è divenuto inutile e che conviene quindi sciogliere le frazioni (decisione che è presa dal Bureau Internazionale delle frazioni), cosa che contribuisce ulteriormente a paralizzare la Frazione. Tuttavia, il nucleo di Marsiglia, costituito da militanti che si erano opposti alle concezioni revisioniste di Vercesi prima della guerra, prosegue un lavoro paziente per ricostituire la frazione, un lavoro particolarmente difficile per la repressione e per la mancanza di mezzi materiali. Delle sezioni sono ricostituite a Lione, Tolone ed a Parigi. Dei contatti sono presi in Belgio. A partire dal 1941 la Frazione italiana «ricostituita» tiene delle conferenze annuali, nomina una Commissione Esecutiva e pubblica un Bollettino internazionale di discussione. Parallelamente si costituisce nel 1942, sulle posizioni della Frazione italiana, il Nucleo francese della Sinistra Comunista , a cui partecipa Marc, membro della CE della FI e che si dà come prospettiva la costituzione della Frazione francese.
Quando nel 1942-43 si sviluppano, nel Nord dell’Italia, grandi scioperi operai che determinano la caduta di Mussolini ed il rimpiazzo di quest’ultimo con l’ammiraglio filo-alleati Badoglio (scioperi che si ripercuotono in Germania tra gli operai italiani sostenuti da scioperi di operai tedeschi), la Frazione reputa che, coerentemente con la sua posizione di sempre, «il corso della trasformazione della frazione in partito in Italia è aperto». La sua conferenza dell’agosto 1943 decide di riprendere il contatto con l’Italia e chiede ai militanti di prepararsi a farvi ritorno appena possibile. Tuttavia questo ritorno non fu possibile, in parte per delle ragioni materiali e in parte per ragioni politiche dovute al fatto che Vercesi e una parte della Frazione belga erano contrari considerando che gli avvenimenti italiani non avrebbero rimesso in causa «l’inesistenza sociale del proletariato». Alla conferenza di maggio del 1944, la Frazione condanna le teorie di Vercesi (8). Tuttavia quest’ultimo non termina qui la sua deriva. Nel settembre del 1944 egli partecipa, a nome della Frazione (ed in compagnia di un altro membro di quest’ultima, Pieri) alla costituzione della «Coalizione antifascista» di Bruxelles a fianco dei partiti democratico cristiano, «comunista», repubblicano, socialista e liberale e che pubblica il giornale L’Italia di Domani sulle cui colonne si trovano appelli alla sottoscrizione finanziaria per sostenere lo sforzo di guerra degli alleati. Presa conoscenza di questi fatti, la Frazione escluse Vercesi il 20 gennaio del 1945. Ciò non ha impedito a quest’ultimo di proseguire ancora per parecchi mesi la sua attività nella «Coalizione» e come presidente della «Croce Rossa» (9).
Da parte sua, la Frazione proseguiva un difficile lavoro di propaganda contro l’isteria antifascista e di denuncia della guerra imperialista. Essa aveva adesso al suo fianco il Nucleo francese della Sinistra Comunista che si era costituito in Frazione francese della Sinistra Comunista e che aveva tenuto il suo primo congresso nel dicembre del 1944. Le due Frazioni distribuiscono dei volantini e attaccano dei manifesti che chiamano alla «fraternizzazione» i proletari in divisa dei due campi imperialisti. Tuttavia, alla conferenza di maggio del 1945, avendo preso notizia della costituzione in Italia del Partito comunista internazionalista con le figure prestigiose di Onorato Damen e di Amadeo Bordiga, la maggioranza della Frazione decide lo scioglimento di quest’ultima e l’entrata individuale dei suoi membri nel PCInt. Era questa una rimessa in discussione radicale di tutto il cammino politico della Frazione a partire dalla sua costituzione nel 1928. Marc, membro della CE della Frazione e principale animatore del suo lavoro durante la guerra, si oppose a questa decisione. Non si trattava di un presa di posizione formale ma politica: egli riteneva che la Frazione doveva continuare ad esistere finché questa non si fosse assicurata delle posizioni del nuovo partito, che non erano ben conosciute, e verificare se esse erano conformi a quelle della frazione (10). Per non essere complice del suicidio della Frazione, egli dimissionò dalla sua CE e lasciò la conferenza dopo aver fatto una dichiarazione con la quale spiegava il suo atteggiamento. La Frazione, che peraltro non aveva più motivo di esistere, lo escluse per «indegnità politica» e rifiutò di riconoscere la FFGC della quale egli era il principale animatore. Qualche mese dopo, due membri della FFGC che avevano incontrato Vercesi, il quale si era espresso per la costituzione del PCInt, dettero luogo ad una scissione e costituirono una FFGC-bis con il sostegno del PCInt. Per evitare ogni confusione, la FFGC prende allora il nome di Sinistra Comunista di Francia (Gauche Communiste de France, GCF) che si richiama completamente alla continuità politica della Frazione. Da parte sua ,la FFGC-bis si trova «rafforzata» dall’entrata nelle sue fila dei membri della minoranza espulsa dalla Frazione nel 1936 e del principale animatore dell’Union Communiste, Chazé. Ciò non impedisce al PCInt e alla Frazione belga di riconoscerla come «la sola rappresentante in Francia della Sinistra comunista».
La «minuscola» GCF terminò nel 1946 la pubblicazione del suo giornale d’agitazione, l’Etincelle, (la Scintilla), ritenendo che la prospettiva di una ripresa storica della lotta di classe, come essa era stata prevista nel 1943, non si era verificata. Al contrario, essa pubblicò tra il 1945 ed il 1952 46 numeri della sua rivista teorica Internationalisme, che affrontava l’insieme dei problemi che si ponevano al movimento operaio all’indomani della seconda guerra mondiale e precisando le basi programmatiche sulle quali andava a costituirsi Internacionalismo nel 1964 in Venezuela, Révolution Internationale nel 1968 in Francia e la Corrente Comunista Internazionale nel 1975.
Fabienne.
1.Vedere l’articolo sul 12° Congresso della CCI sulla Revue Internationale n° 90.
2. Lettera pubblicata su Rivoluzione Internazionale n°7 con la nostra risposta: «Le ambiguità sui "partigiani" nella costituzione del Partito Comunista Internazionalista in Italia».
3. Vedere articolo della Rivoluzione Internazionale n°7.
4. Noi abbiamo spesso affrontato nella nostra stampa ciò che, conformemente alla concezione elaborata dalla Sinistra italiana, distingue la forma partito dalla forma frazione (vedere in particolare il nostro studio «Il rapporto Frazione-Partito nella tradizione marxista» nella Revue Internationale n° 59, 61, 64 e 64. Possiamo ricordare i seguenti elementi per chiarire il problema. La minoranza comunista esiste in permanenza come espressione del divenire rivoluzionario del proletariato. Tuttavia l’impatto che essa può avere sulle lotte immediate della classe è fortemente condizionato dal livello di queste ultime e dal grado di coscienza delle masse operaie. Non è che nei periodi di lotte aperte e sempre più coscienti del proletariato che questa minoranza può sperare di avere un impatto su queste lotte. Solo in queste circostanze si può parlare di questa minoranza come di un partito. Al contrario, nei periodi di riflusso storico del proletariato, di trionfo della controrivoluzione, è vano sperare che le posizioni rivoluzionarie possano avere un impatto significativo e determinante sull’insieme della classe. In tali periodi, il solo lavoro possibile - ed indispensabile - è quello di frazione: preparare le condizioni politiche della formazione del futuro partito quando i rapporti di forza tra le classi permetterà nuovamente che le posizioni comuniste abbiano un impatto sull’insieme del proletariato.
5. Un membro della minoranza, Candiani, prende anche il comando della colonna «Lenin» del POUM sul fronte aragonese.
6. La maggioranza della Frazione, contrariamente alla legenda alimentata dalla minoranza come da altri gruppi, non si è limitata ad osservare da lontano gli avvenimenti di Spagna. I suoi rappresentanti sono rimasti in Spagna fino a maggio del 1937, non per arruolarsi sul fronte antifascista ma per proseguire, nella clandestinità di fronte ai sicari stalinisti, il cui compito era proprio quello di assassinarli, un lavoro di propaganda per tentare di sottrarre qualche militante dalla spirale della guerra imperialista.
7. Bisogna notare che gli avvenimenti di Spagna hanno provocato delle scissioni in altre organizzazioni (l’Union Communiste in Francia, la Ligue des Communistes in Belgio, la Revolutionary Workers’ League negli Stati Uniti, la Liga Comunista in Messico) che si ritrovano sulle posizioni della Frazione italiana raggiungendo le sue fila o costituendo, come in Belgio, una nuova frazione della Sinistra Comunista Internazionale. E’ in quest’epoca che il compagno Marc lascia l’Union Communiste e raggiunge la Frazione con la quale egli era in contatto da parecchi anni.
8. Durante questo periodo, la Frazione ha pubblicato parecchi numeri del suo bollettino di discussione, cosa che le ha permesso di sviluppare tutta una serie di analisi, principalmente sulla natura dell’URSS, sulla degenerazione della rivoluzione russa e sulla questione dello Stato nel periodo di transizione, sulla teoria dell’economia di guerra sviluppata da Vercesi e sulle basi economiche della guerra imperialista.
9. A questo titolo, Vercesi ha ricevuto i ringraziamenti di “sua eccellenza il nunzio apostolico” per il suo “appoggio a questa opera di solidarietà e di umanità” dichiarandosi certo “che nessuno italiano si coprirebbe dell’onta di restare sordo al nostro pressante appello” (L’Italia di Domani n°11, marzo 1945).
10. In questo senso, la ragione per la quale Marc si oppose alla decisione della Frazione, nel marzo del 1945, non è quella data da IC: «che la controrivoluzione che si era abbattuta sugli operai dopo la sconfitta degli anni ‘20 continuava ancora e che, per questo, non vi era la possibilità di creare un partito rivoluzionario durante gli anni ‘40» poiché in quel momento, pur sottolineando tutte le difficoltà crescenti incontrate dal proletariato per la politica sistematica degli Alleati che mirava a deviare la sua combattività su di un terreno borghese, Marc non aveva ancora messo in discussione esplicitamente la posizione adottata nel 1943 sulla possibilità di formare il Partito.
RETTIFICA
Il BIPR ci ha chiesto di rettificare la frase seguente del nostro articolo «Una politica di raggruppamento senza bussola» (Revue Internationale n° 87, p. 22): «Alla quarta conferenza (dei gruppi della Sinistra Comunista), la CWO e BC hanno allentato i criteri allo scopo di permettere che il posto della CCI fosse preso dal SUCM.» Il BIPR ci ha detto che in realtà la quarta conferenza si è svolta secondo i criteri che erano stati adottati alla fine della terza, e che il SUCM aveva affermato di essere d’accordo con tali criteri. Noi prendiamo atto di questo fatto. Siamo interessati al fatto che le polemiche tra la CCI e il BIPR, come ogni dibattito tra rivoluzionari, si basino su questioni di fondo e non su dei malintesi o su dettagli erronei.