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Pubblichiamo qui un articolo scritto a metà maggio. Dopo c'è stato l'incontro fra Trump e Kim Jong-un dove sembrava essere scoppiata la pace con l'annuncio che la Corea del Nord avrebbe sospeso il suo programma di armamento nucleare, annuncio che è stato smentito pochissime settimane dopo. Insomma, a parte qualche dettaglio che può cambiare nel tempo, il quadro delineato nell'articolo rimane quello della minaccia che il capitalismo in decomposizione costituisce per l'umanità.
Alcuni mesi fa, sembrava che il mondo stesse compiendo un passo avanti verso uno scontro nucleare intorno alla Corea del Nord, con le minacce di Trump di reagire con "fuoco e rabbia" e con le spacconerie del "capo supremo" della Corea del Nord sulle sue capacità di rappresaglia. Oggi, i leader della Corea del Nord e del Sud si danno la mano in pubblico e ci promettono un vero progresso verso la pace. Trump si incontrerà faccia a faccia con Kim Jong-un il 12 giugno a Singapore.
Solo poche settimane fa si parlava di una terza guerra mondiale che sarebbe scoppiata a partire dalla guerra in Siria e, ultimamente, Trump ha avvertito la Russia che la risposta con i suoi missili intelligenti era imminente come rappresaglia per l’attacco di Duma con armi chimiche. I missili sono stati lanciati, nessuna unità militare russa è stata colpita, ed è come se stessimo tornando al "normale" massacro nella sua forma quotidiana in Siria.
Poi Trump ha rialzato il tiro annunciando che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dal "Bad Deal" (pessimo accordo) che Obama aveva concluso con l'Iran sul suo programma di armi nucleari. Ciò ha immediatamente creato delle divisioni tra gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali che considerano l'accordo con l'Iran funzionante, e che ora, se continuano a commerciare o cooperare con l’Iran, devono affrontare la minaccia delle sanzioni statunitensi. E nello stesso Medio Oriente, l'impatto non è stato meno immediato: per la prima volta, una raffica di missili è stata lanciata contro Israele dalle forze iraniane in Siria, e non solo dal loro rappresentante locale, Hezbollah. Israele - il cui primo ministro Netanyahu precedentemente aveva lanciato la sua denuncia sulle violazioni del trattato nucleare da parte dell'Iran – ha reagito senza pietà con la sua solita prontezza, colpendo un certo numero di basi iraniane nel sud della Siria.
Nel frattempo, la recente dichiarazione di Trump a sostegno di Gerusalemme come "nuova" capitale israeliana ha infiammato l'atmosfera nella Cisgiordania occupata, in particolare a Gaza, dove Hamas ha promosso dimostrazioni “al martirio”, e in un solo giorno sanguinoso, Israele ha risposto massacrando più di 60 manifestanti (di cui otto sotto i 16 anni), ferendone più di 2.500, colpiti da tiratori scelti, da armi automatiche, da schegge di granate di fonti sconosciute o dopo aver inalato gas lacrimogeni per aver commesso il "crimine" di avvicinarsi ai recinti di confine e, in alcuni casi, per possesso di pietre, fionde e bottiglie di benzina attaccate ad aquiloni.
È facile farsi prendere dal panico in un mondo che sembra sempre più fuori controllo o rassicurare se stesso quando la causa delle nostre paure scompare o i mortali campi di battaglia spariscono dall'agenda delle notizie. Ma per capire i pericoli reali dell'attuale sistema e delle sue guerre, è necessario fare un passo indietro, considerare lo svolgersi degli eventi su scala storica e globale.
Nella Brochure di Junius, scritta in carcere nel 1915, Rosa Luxemburg affermava che la guerra mondiale significava che la società capitalista già stava affondando nella barbarie: "il trionfo dell'imperialismo porta alla distruzione della cultura, sporadicamente durante una guerra moderna e per sempre, se lasciamo che il periodo delle guerre mondiali, che sono appena iniziate, segua il suo odioso percorso fino alle sue ultime conseguenze".
La "predizione" storica della Luxemburg fu ripresa dall'Internazionale comunista fondata nel 1919: se la classe operaia non avesse rovesciato il sistema capitalista, entrato ormai in un'era di declino, la "Grande Guerra" sarebbe stata seguita da guerre ancora più vaste, distruttive e barbare, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza della civiltà. E ciò si è effettivamente avverato con esattezza: la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria mondiale scatenata in risposta alla prima guerra mondiale ha aperto la porta a un secondo conflitto ancora più da incubo. E dopo sei anni di massacri, in cui la popolazione civile è stata il primo obiettivo, l'invio di bombe atomiche da parte degli Stati Uniti contro il Giappone ha dato una forma concreta del pericolo che avrebbe corso l'umanità con le guerre future.
Per i successivi quattro decenni, abbiamo vissuto sotto l'ombra minacciosa di una terza guerra mondiale tra i blocchi che dominavano il pianeta ed in possesso di armi nucleari. Ma sebbene la minaccia fosse sul punto di diventare realtà, ad esempio durante la crisi cubana del 1962, l'esistenza stessa dei blocchi americani e russi aveva imposto una sorta di disciplina sulla naturale tendenza del capitalismo a condurre la guerra di tutti contro tutti. Questo è un fattore limitante circa la possibilità che i conflitti locali - che di solito sono state guerre per procura tra blocchi – sfuggissero ad ogni controllo. Un altro elemento è stato rappresentato dal fatto che, in seguito alla ripresa globale della lotta di classe dopo il 1968, la borghesia non era sicura di poter controllare la classe operaia e irreggimentarla per una guerra generalizzata.
Nel 1989-1991, il blocco russo crollava, confrontato con il crescente accerchiamento degli Stati Uniti e la bancarotta del suo modello di capitalismo di Stato nel tentativo di adattarsi disperatamente alle necessità della crisi economia mondiale. Gli uomini di Stato del campo americano vittorioso si sono vantati dell’oramai fuori gioco del nemico "sovietico", e del fatto che ci stavano conducendo in una nuova "era di prosperità e pace". Per quanto ci riguarda, come rivoluzionari, abbiamo insistito sul fatto che il capitalismo, anche dopo questo evento, non sarebbe stato meno imperialista, e meno militarista, e che la marcia verso la guerra iscritta nella natura stessa del sistema avrebbe assunto una forma più caotica e meno prevedibile[1]. E anche questa previsione è risultata corretta. È importante capire quanto questo processo, questo tuffo nel caos militare, sia peggiorato negli ultimi tre decenni.
L'ascesa in potenza di nuovi sfidanti
Nei primi anni di questa nuova fase, la superpotenza americana, consapevole che la scomparsa del suo nemico russo stava per provocare tendenze centrifughe nel proprio blocco, ha subito reagito riuscendo ad esercitare ancora una certa disciplina sui suoi ex alleati. Durante la Prima Guerra del Golfo, ad esempio, i suoi precedenti subordinati (Gran Bretagna, Germania, Francia, Giappone, ecc.) hanno aderito o appoggiato la coalizione a guida Usa contro Saddam, ed in più questo intervento è stato sostenuto anche da Gorbaciov in Russia e dal regime siriano. Ben presto però sono iniziate a comparire delle crepe: la guerra nella ex Jugoslavia ha visto la Gran Bretagna, la Germania e la Francia assumere posizioni che spesso si opponevano direttamente agli interessi degli Stati Uniti, e dieci anni dopo, Francia, Germania e Russia si sono opposte apertamente all'invasione americana dell'Iraq nel 2003.
La "indipendenza" degli ex alleati occidentali degli Stati Uniti non ha mai raggiunto un livello tale da poter costituire un nuovo blocco imperialista opposto a Washington. Ma negli ultimi 20 o 30 anni, abbiamo visto emergere una nuova potenza che pone una sfida più grande agli Stati Uniti: la Cina, la cui sorprendente crescita economica è stata accompagnata da un'influenza imperialista in espansione, non solo in Estremo Oriente, ma anche, attraverso le terre asiatiche fino al Medio Oriente e all'Africa. La Cina ha effettivamente dimostrato la sua capacità di attuare una strategia a lungo termine per soddisfare le sue ambizioni imperialiste - come dimostra la paziente costruzione della "nuova via della seta" a ovest e la graduale costruzione di basi militari nel Mar della Cina.
Anche se, allo stato attuale, le iniziative diplomatiche nord e sud coreane come l’annunciato vertice Usa-Corea danno l'impressione che "la pace" e il "disarmo" possano essere negoziati, e che la minaccia di distruzione nucleare possa essere contrastata da "dirigenti rinsaviti", le tensioni imperialiste tra gli Stati Uniti e la Cina continueranno a dominare le rivalità nella regione, e ogni futuro movimento intorno alla Corea sarà, in ultima analisi, determinato da questo antagonismo. Così, la borghesia cinese ha intrapreso un'offensiva globale a lungo termine, minando non solo le posizioni degli Stati Uniti ma anche quelle della Russia, di altri paesi dell'Asia centrale e dell'Estremo Oriente; ma allo stesso tempo, gli interventi russi in Europa orientale e in Medio Oriente hanno costretto gli Stati Uniti a confrontarsi col dilemma di dover competere con due rivali con diversi livelli di potere e in diverse regioni. Le tensioni tra la Russia e un certo numero di paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, sono aumentate notevolmente negli ultimi tempi. Così, insieme alla rivalità già esistente tra gli Stati Uniti e il loro sfidante globale più serio (Cina), la controffensiva russa è diventata un'ulteriore sfida diretta all'autorità degli Stati Uniti.
È importante vedere come la Russia sia effettivamente impegnata in una controffensiva, una risposta alla minaccia di strangolamento da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Il regime di Putin, con la sua fiducia nella retorica nazionalista e la forza militare ereditata dall'era "sovietica", non è stato solo il prodotto di una reazione contro la politica economica dell'occidente di spoliazione dei beni della Federazione Russa durante i primi anni della sua esistenza, ma anche, soprattutto, contro la continuazione e persino l'intensificazione dell'accerchiamento della Russia iniziato durante la Guerra Fredda. La Russia è stata privata dei suoi ex confini protettivi in Occidente con l’estensione dell’UE e della NATO alla maggioranza degli Stati dell'Europa orientale. Negli anni '90, con la sua brutale politica di terra bruciata in Cecenia, la Russia ha voluto mostrare come avrebbe reagito a qualsiasi accenno di indipendenza all'interno della stessa Federazione. Da allora, ha esteso la sua politica alla Georgia (2008) e all'Ucraina (dal 2014) – Stati che non facevano parte della Federazione, ma che potrebbero diventare focolai di influenza occidentali sui suoi confini settentrionali. In entrambi i casi, Mosca ha usato le forze separatiste locali, così come le sue forze militari a malapena camuffate, per contrastare i regimi filo-occidentali.
Queste azioni avevano già acuito le tensioni tra Russia e Stati Uniti, i quali hanno reagito imponendo sanzioni economiche alla Russia, più o meno supportate da altri Stati occidentali, nonostante le differenze che questi avevano con gli Stati Uniti riguardo alla politica russa, basata generalmente sui loro particolari interessi economici (cosa particolarmente vera per la Germania). Ma il successivo intervento della Russia in Siria ha portato questi conflitti ad un altro livello.
Il ciclone mediorientale
In realtà, la Russia ha sempre sostenuto il regime di Assad in Siria con armi e consulenti. La Siria è stata a lungo il suo ultimo avamposto in Medio Oriente in seguito al declino dell'influenza sovietica in Libia, Egitto e altrove. Il porto siriano di Tartus è assolutamente vitale per i suoi interessi strategici; è il suo principale sbocco nel Mediterraneo dove ha sempre voluto mantenere la sua flotta. Ma di fronte alla minaccia di una sconfitta del regime di Assad da parte delle forze ribelli e all'avanzamento delle forze dello Stato islamico verso Tartus, la Russia ha fatto il grande passo intervenendo apertamente con le sue truppe e la sua flotta di guerra aerea al servizio del regime di Assad, senza esitare minimamente a prendere parte alla devastazione quotidiana delle città e dei sobborghi tenuti dai ribelli, al caro prezzo del massacro di civili.
Ma anche gli Stati Uniti verosimilmente hanno disposto forze in Siria, in risposta all'ascesa dello Stato islamico. E non hanno fatto segreto del loro sostegno ai ribelli anti-Assad - inclusa l'ala jihadista che ha permesso l'ascesa dello Stato islamico. Pertanto, già da tempo in questa regione esiste il potenziale per uno scontro diretto tra le forze russe e americane. Le due risposte militari statunitensi al probabile uso di armi chimiche da parte del regime sono più o meno simboliche, non da ultimo perché l'uso da parte del regime di armi "convenzionali" ha ucciso molte più persone rispetto all'uso di derivati clorurati o altri agenti chimici. Ci sono segnali molto forti che l'esercito statunitense abbia ostacolato Trump e che si sarebbe preoccupato con molta accuratezza di colpire solo le installazioni del regime di Assad e non le truppe russe[2]. Ma questo non significa che in futuro il governo degli Stati Uniti, o il governo russo, possano evitare ulteriori confronti diretti tra di loro; le forze che lavorano per la destabilizzazione e il disordine sono semplicemente troppo radicate e si stanno dimostrando sempre più virulente.
Tra le due guerre mondiali, il Medio Oriente è stato un teatro di conflitti importanti, ma tuttavia secondario: la sua importanza strategica è aumentata con lo sviluppo delle sue enormi riserve di petrolio nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Tra il 1948 e il 1973, la principale scena dello scontro militare è stata rappresentata dal susseguirsi di guerre tra Israele e i vicini Stati arabi, ma queste guerre tendevano ad essere di breve durata e l'esito in gran parte andava a beneficio del blocco americano. Ciò era un'espressione della "disciplina" imposta alle potenze di secondo e terzo rango dal sistema del blocco imperialista. Ma anche in questo periodo, ci sono stati segnali di una tendenza centrifuga - molto significativa la lunga "guerra civile" in Libano e la "rivoluzione islamica" che hanno minato il dominio degli Stati Uniti in Iran, facendo precipitare lo scoppio della guerra Iran-Iraq negli anni '80 (in cui i paesi occidentali sostenevano principalmente Saddam come contrappeso all'Iran).
La fine definitiva del sistema dei blocchi ha notevolmente accelerato queste forze centrifughe e la guerra in Siria li ha portati a un livello culminante. Così, in Siria, o intorno ad essa, possiamo assistere al susseguirsi di una serie di battaglie contraddittorie:
- Tra Iran e Arabia Saudita: spesso sotto l'apparenza ideologica della scissione sunnita-sciita, le milizie libanesi di Hezbollah, appoggiate dall'Iran, hanno svolto un ruolo chiave nel consolidamento del regime di Assad, in particolare contro le milizie jihadiste sostenute dall'Arabia Saudita e dal Qatar (che tra loro hanno un proprio conflitto separato). L'Iran è stato il più grande beneficiario dell'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti, che ha portato alla disintegrazione virtuale di quel paese e all'imposizione di un governo filo-iraniano a Baghdad. Le sue ambizioni imperialiste si sono successivamente manifestate nella guerra in Yemen, teatro di una brutale guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita (la quale ha continuato a essere sostenuta dall'esercito britannico[3]);
- Tra Israele e Iran: i recenti attacchi aerei israeliani contro obiettivi iraniani in Siria sono la continuazione diretta di una serie di incursioni volte a indebolire le forze di Hezbollah in quel paese. Sembra che Israele continui a informare la Russia in anticipo di questi raid e, in generale, quest'ultima chiude un occhio, sebbene il regime di Putin abbia cominciato a criticarli più apertamente. Ma non vi è alcuna garanzia che il conflitto tra Israele e Iran non possa andare oltre queste risposte controllate. Gli "atti di vandalismo diplomatico" di Trump per quanto riguarda l'accordo nucleare iraniano alimenta sia la posizione aggressivamente anti-iraniana del governo Netanyahu e sia l'ostilità dell'Iran nei confronti del "regime sionista", che ha, cosa da non dimenticare, da lungo tempo mantenuto le proprie armi nucleari in barba agli accordi internazionali. Nel frattempo, la dichiarazione recente di Trump a supporto di Gerusalemme come capitale di Israele ha dato fuoco alle polveri in Cisgiordania occupata e in particolare a Gaza, dove le truppe israeliane hanno ucciso un certo numero di manifestanti nelle barriere di confine.
- Tra la Turchia e i curdi che hanno stabilito un’enclave nella Siria settentrionale: la Turchia ha segretamente sostenuto lo Stato islamico nella lotta per il Rojava, ma è intervenuta direttamente contro l'enclave Afrin. Le forze curde, tuttavia, come la più affidabile barriera dispiegata contro lo Stato islamico, sono state fortemente sostenute dagli Stati Uniti, sebbene quest'ultimi possano essere riluttanti ad usarle per contrastare direttamente i progressi militari dell'imperialismo turco. Inoltre, le ambizioni della Turchia a ricoprire un ruolo di primo piano nella regione, e non solo, l'hanno trascinata in conflitto con i paesi della NATO e dell'UE, ma hanno anche rafforzato gli sforzi della Russia, nonostante la lunga rivalità della Turchia con il regime di Assad.
- Lo scenario del caos si è ulteriormente oscurato dalla ascesa di molte bande armate che possono stringere alleanze con particolari Stati ma non sono necessariamente subordinate ad essi. Lo Stato islamico è l'espressione più ovvia di questa nuova tendenza al brigantaggio e all'esistenza di "signori della guerra", ma non è affatto l'unica.
L'impatto dell'instabilità politica
Abbiamo già visto come le dichiarazioni avventate di Trump hanno reso la situazione in Medio Oriente ancora più imprevedibile. Esse esprimono i sintomi delle profonde divisioni all'interno della borghesia americana. Il presidente è attualmente indagato dall'apparato di sicurezza che cerca prove del coinvolgimento della Russia (attraverso le sue tecniche avanzate di guerra cibernetica, irregolarità finanziarie, ricatti ecc.) nella sua campagna elettorale. Trump, fino a poco tempo fa, non ha fatto quasi mistero della sua ammirazione per Putin, riflettendo una possibile opzione per un'alleanza con la Russia per controbilanciare l'ascesa della Cina. Ma l'antipatia nei confronti della Russia all'interno della borghesia americana è profondamente radicata e, quali che siano i suoi motivi personali (come la vendetta o il desiderio di dimostrare che non è un tirapiedi dei russi) Trump è stato costretto ad alzare il tono e ad orientare il suo discorso contro la Russia. L'accesso al potere di Trump è piuttosto una prova dell'avanzamento del populismo e della crescente perdita di controllo della borghesia sul suo apparato politico, espressione politica diretta di decomposizione sociale. E tali tendenze nell'apparato politico non possono che aumentare lo sviluppo dell'instabilità a livello imperialista, dove il pericolo è molto più grave.
In un contesto così volatile, è impossibile evitare il pericolo di azioni improvvise irrazionali e aggressive. La classe dominante non è ancora sprofondata nella follia suicida: riesce ancora a comprendere che lo scatenamento del suo arsenale nucleare rischia di distruggere lo stesso sistema capitalista. Tuttavia, sarebbe insensato affidarsi al buon senso delle bande imperialiste che attualmente governano il pianeta – che stanno attualmente studiando come utilizzare le armi nucleari per vincere una guerra.
Come Rosa Luxemburg insisteva nel 1915, l'unica alternativa alla distruzione della cultura da parte dell'imperialismo è "la vittoria del socialismo, cioè della lotta cosciente del proletariato internazionale contro l'imperialismo e contro il suo modo di vivere: la guerra. Questo è un dilemma della storia del mondo, un "o - o" ancora indecisi, i cui piatti della bilancia oscillano ancora di fronte alla decisione del proletariato cosciente".
L'attuale fase della decomposizione capitalista, dello sviluppo del caos imperialista, è il prezzo pagato dall'umanità per l'incapacità della classe operaia di realizzare le speranze del 1968 e dell'ondata internazionale di lotta di classe che sono seguite: una lotta cosciente della trasformazione socialista del mondo. Oggi la classe operaia si trova di fronte all'avanzamento della barbarie, che prende la forma di una moltitudine di conflitti imperialisti, disintegrazione sociale e devastazione ecologica. E - a differenza del 1917-1918, quando la rivolta operaia pose fine alla guerra – oggi è molto più difficile opporsi a queste forme di barbarie. Esse sono certamente al loro massimo livello nelle regioni in cui la classe operaia ha poco peso sociale - la Siria è l'esempio più ovvio, ma anche in paesi come la Turchia dove la questione della guerra, posta ad una classe operaia con una lunga tradizione di lotta, non dà prove di resistenza diretta allo sforzo bellico. Per quanto riguarda la classe operaia nei paesi centrali, le sue lotte contro quella che ora è una crisi economica più o meno permanente sono attualmente ad un livello molto basso, non hanno alcun effetto diretto sulle guerre che, sebbene geograficamente situate alla periferia dell'Europa, hanno un impatto sempre maggiore - e principalmente negativo - sulla vita sociale, attraverso l'aumento del terrorismo, la repressione e la cinica manipolazione della questione dei rifugiati[4].
Ma la guerra di classe è tutt'altro che finita. Qua e là, dà segni di vita: in manifestazioni e scioperi in Iran, che hanno mostrato una reazione decisa contro le avventure militariste dello Stato; nella lotta nel settore dell'istruzione nel Regno Unito e negli Stati Uniti; attraverso il crescente malcontento contro le misure di austerità del governo in Francia e in Spagna. Ciò rimane, ovviamente, ben al di sotto del livello richiesto per rispondere alla decomposizione dell'intero ordine sociale, ma la lotta difensiva della classe operaia contro gli effetti della crisi economica rimane la base indispensabile per una rimessa in discussione più profonda del sistema capitalista.
Amos
[1] Vedi in particolare il nostro testo d’orientamento: "Militarismo e decomposizione” in Rivista Internazionale n°15, https://it.internationalism.org/content/militarismo-e-decomposizione
[2] "Il segretario alla Difesa americano James Mattis è riuscito a frenare il presidente sull'estensione degli attacchi aerei in Siria ... È stato Jim Mattis a salvare la situazione. Il segretario alla difesa degli Stati Uniti, capo del Pentagono ed Ammiraglio in pensione ha la reputazione di essere un duro, il suo soprannome è stato "Crazy Dog" (cane pazzo). Quando la scorsa settimana la pressione è salita in Siria, è stato Mattis - e non il Dipartimento di Stato o il Congresso – ad ergersi di fronte a un Donald Trump che stava chiedendo sangue col suo abbaiare. Mattis, in effetti, ha detto a Trump che la Terza Guerra Mondiale non sarebbe iniziata col suo patrocinio. Nel momento in cui gli attacchi aerei sono iniziati presto sabato, Mattis sembrava essere lui più presidente del presidente. Il regime di Assad, ha detto, "ancora una volta ha sfidato le norme dei popoli civilizzati ... usando armi chimiche per uccidere donne, bambini e altre persone innocenti, e noi ed i nostri alleati troviamo queste atrocità imperdonabili". A differenza di Trump, che ha usato un discorso televisivo per castigare la Russia e il suo presidente, Vladimir Putin, con termini molto personali ed emotivi, Mattis ha considerato la vera posta in gioco. Gli Stati Uniti attaccano le capacità degli armamenti chimici della Siria, ed è per questo, ha detto, né più né meno, che i bombardamenti aerei stanno avendo luogo. Mattis ha anche inviato un messaggio più rassicurante per Mosca: "Voglio sottolineare che questi attacchi sono diretti contro il regime siriano ... Ci siamo tenuti alla larga per evitare vittime civili e straniere". In altre parole, le truppe di terra e le installazioni russe non erano un obiettivo. Inoltre, gli attacchi avrebbero avuto luogo una volta sola. Tutto finiva lì" (Simon Tisdall, The Guardian, 15 aprile 2018).
[3] Guerra in Yemen: un conflitto decisivo per l'influenza imperialista in Medio Oriente.
[4] Per una valutazione generale dello stato della lotta di classe, vedere la risoluzione del 22° Congresso sulla lotta di classe internazionale sul nostro sito italiano: /content/1410/risoluzione-sulla-lotta-di-classe-internazionale