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Profittando della situazione difficile che esiste all’interno della classe operaia di Gran Bretagna (come in quella di tutti i paesi del mondo), i sindacati inglesi e i mass-media hanno cercato di far passare l’immagine degli scioperi che ci sono stati nel settore energetico di questo paese come degli scioperi “anti stranieri”. Gli articoli che abbiamo già pubblicato[1] dimostrano quanto sia falsa questa affermazione. Ma la borghesia è una classe che, se è competitiva a livello economico nei confronti di altre borghesie nazionali, è particolarmente collaborativa quando si tratta di combattere e boicottare la lotta di classe. Tanto che, mentre in Gran Bretagna la borghesia combatteva la lotta della mistificazione contro gli sforzi di chiarificazione che venivano dalla classe operaia, in Italia i degni rappresentanti e portavoce dei padroni hanno portato avanti il loro sporco lavoro di disinformazione in maniera del tutto parallela. Così, mentre non si riceve una sola parola sulle lotte spontanee che si sviluppano ai quattro lati del paese, da Pomigliano a Torino, siamo stati inondati per alcuni giorni di notizie dettagliatissime sulle lotte degli operai inglesi che ce l’avrebbero con gli italiani perché: “i lavoratori italiani e portoghesi (…) rubano il loro posto di lavoro (agli inglesi, ndr). Ci stanno portando via il lavoro”, Il Messaggero.it del 29/01/09. “Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno” (…)“Sporchi immigrati ci rubate lavoro”, La Repubblica.it del 30/01/09.
Su questo piano è un coro unanime da parte di tutti i giornali, di “destra” o di “sinistra”, da Il Tempo all’Unità fino a Liberazione e al Manifesto![2]
Più precisamente l’immagine che ci è stata data è che gli operai italiani e portoghesi della ditta Irem erano praticamente segregati e prigionieri della nave che li alloggiava, non potendo esporsi alle reazioni possibili degli “inferociti operai inglesi”: “Nessuna solidarietà per i circa trecento italiani venuti con la Irem e che sono alloggiati su una nave. I fotoreporter li hanno scrutati con i loro teleobiettivi per catturare immagini degli “usurpatori”: qualcuno di loro ha reagito mostrando il dito medio o con il gesto dell'ombrello. I tabloid hanno finto di scandalizzarsi di fronte alla maleducazione.” Inghilterra, lavoratori in piazza contro gli operai italiani, Corriere della Sera del 30/01/09.
Forti del muro del silenzio, la borghesia ha continuato a ricamare sulla faccenda, con la maggior parte dei politici e dei mass-media impegnati a fare i progressisti contro quegli zoticoni degli inglesi: “A maggior ragione se si prende nota della dichiarazione piuttosto diretta di Giacomo Natali, segretario della Cgil di Rovigo: «Abbiamo dimostrato nei fatti che siamo molto meno sottosviluppati degli inglesi nel gestire i rapporti con i lavoratori stranieri. Sono loro che devono imparare da noi»”.[3]
La verità adesso la sappiamo. Tenere lontano gli operai “stranieri” da quelli inglesi è servito a creare la messa in scena del conflitto laddove, come testimoniano gli articoli da noi prodotti, gli operai britannici hanno persino invitato gli operai italiani a unirsi alla lotta affermando che la loro non è una battaglia contro degli altri operai ma per un posto di lavoro per tutti.
Ma una riflessione ulteriore va fatta. Qualcuno si chiederà come sia possibile che un sindacato come quello inglese abbia potuto mai sposare una parola d’ordine così estrema come “il lavoro inglese agli operai inglesi”, oppure quella secondo cui “i lavoratori italiani e portoghesi rubano il nostro posto di lavoro”. La risposta è che non c’è proprio da meravigliarsi se il sindacato esprime simili posizioni nella misura in cui non è più, ormai da quasi un secolo, quell’organizzazione creata dalla classe operaia per condurre avanti al meglio le sue lotte, ma l’ostacolo contro cui sistematicamente si scontrano gli operai che intraprendono una loro lotta. Per essere più concreti ricordiamoci: qual è la ricetta del sindacato di fronte alla crisi economica internazionale oggi e ieri di fronte alle varie crisi locali e di settore? La ricetta è stata sempre quella di dire: diamo spazio all’impresa perché si riprenda, perché recuperi competitività sul mercato. Ma tradotto in soldoni che significa questo discorso? Che l’azienda a cui si appartiene deve riuscire a vincere la sfida di mercato, superare altre aziende del settore e riuscire a recuperare margini di profitto per poter dare delle briciole ai propri operai. Come si vede in un caso (quello degli scioperi in Gran Bretagna) come nell’altro (politica del sindacato in genere di fronte alla crisi) la filosofia è sempre la stessa: difesa degli interessi nazionali contro quelli di altre nazioni, ovvero difesa del capitalismo.
La questione che si è posta alla classe operaia inglese e che, in qualche modo, si pone alla classe operaia a livello mondiale, è dunque la necessità di confrontarsi con questa alternativa: farsi soggiogare ancora dalla borghesia, attribuendo le difficoltà economiche in cui versa il proletariato agli immigrati, ai Rom, ai Rumeni, agli inglesi, agli Italiani, ai Portoghesi, ecc. ecc. – a seconda del luogo in cui è rivolta la predica – oppure capire che è la sopravvivenza del capitalismo la causa prima di tutti i problemi e che la maniera più efficace per rispondere è recuperare un’unità d’azione la più estesa possibile. Noi pensiamo che questi ultimi anni, e particolarmente questi ultimi mesi, con le lotte che si sviluppano nei paesi “periferici” come in quelli centrali, l’entrata sulla scena sociale della gioventù studentesca a livello europeo e non solo, con questi scioperi in Gran Bretagna che sono arrivati a riportare nelle piazze lo slogan “proletari di tutti i paesi, unitevi!”, la classe sta lentamente e seriamente liberandosi dell’influenza ideologica della borghesia e sta imparando dai propri errori la strada che la porterà alla propria emancipazione.
22 febbraio 2009 Ezechiele
[2] Particolarmente indegno il reportage di Liberazione che, oltre a sposare completamente la tesi sugli scioperi anti-italiani, si avvale di citazioni di eminenti esponenti della borghesia per richiamare la classe operaia sulla “retta via”: “Sono continuati anche ieri gli scioperi dei lavoratori inglesi contro i migranti italiani e portoghesi. (…) L'altro ieri il governo socialista di Lisbona aveva denunciato quanto avviene nel Regno Unito come «un tentativo di discriminazione assolutamente inaccettabile». Il ministro degli esteri Luis Amado aveva anche sottolineato «la responsabilità assoluta dei governi» nei confronti di «una deriva protezionistica, xenofoba, nazionalista, che se non è posta molto rapidamente sotto controllo con iniziative molto forti può portarci ad una crisi ancora più grave». Ieri, il premier europeo Jean-Claude Juncker, che è anche presidente dell'Eurogruppo ha usato parole ancora più nette. «Esprimo il mio totale disaccordo su questi scioperi in Gran Bretagna - ha detto - un paese che spesso rimette in discussione le capacità dell'Europa di integrarsi. Bisogna ricordare che la storia dell'Europa è estremamente complessa.” (Liberazione del 4/02/09).
[3] La risposta alla rivolta inglese: "A Rovigo assunti cento operai britannici" su IlGiornale.it del 3/02/09.