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Migliaia di operai delle costruzioni di altre raffinerie e delle centrali elettriche sono scesi in sciopero per solidarietà. Sono state organizzate regolarmente riunioni di massa. Disoccupati dei settori delle costruzioni, dell’acciaio, dei cantieri navali ed altri lavoratori hanno raggiunto i picchetti e le manifestazioni fuori diverse centrali elettriche e raffinerie. Gli operai non erano per niente preoccupati per il carattere non legale della loro azione ed hanno espresso solidarietà con i compagni in sciopero, rabbia per la marea di disoccupazione in aumento e per l’incapacità del governo di fare qualunque cosa. Quando 200 operai polacchi delle costruzioni si sono uniti alla lotta, questa ha raggiunto il suo momento più elevato ponendo una sfida diretta al nazionalismo che ha pesato all’inizio sul movimento.
Il licenziamento di 300 operai in subappalto della raffineria di petrolio di Lindsey, il progetto di creare un subappalto utilizzando 300 lavoratori italiani e portoghesi (il cui salari risultavano più bassi perché indicizzati sul salario dei loro paesi di origine) e l’annuncio che nessun operaio inglese sarebbe stato utilizzato in questo contratto hanno fatto esplodere il malcontento fra gli operai delle costruzioni. Da anni si assiste ad un uso crescente di operai stranieri a contratto nel settore delle costruzioni, di solito pagati meno e trattati ancor peggio, col risultato di accentuare la concorrenza fra gli operai per il posto di lavoro, cosa che ha prodotto una riduzione dei salari ed un peggioramento delle condizioni di lavoro per tutti. Questo, insieme all’ondata di licenziamenti nell’edilizia ed altrove dovuta alla recessione, ha generato la profonda determinazione che si è manifestata in queste lotte.
Dall’inizio questo movimento si è trovato confrontato con una questione fondamentale, non solo per gli scioperanti coinvolti nello specifico ma per l’intera classe operaia di oggi e di domani: è possibile combattere contro la disoccupazione ed altri attacchi identificandosi come “lavoratori inglesi” e ponendosi contro i “lavoratori stranieri”? O, al contrario dobbiamo vederci come lavoratori che hanno gli stessi interessi di tutti gli altri operai, indipendentemente da dove provengono? Questa è una questione profondamente politica che il movimento ha dovuto porsi.
All’inizio la lotta è sembrata essere dominata dal nazionalismo. Abbiamo visto per televisione operai con striscioni fatti a mano con la scritta “Il lavoro inglese ai lavoratori inglesi” ed altri striscioni più professionali del sindacato con lo stesso slogan. I funzionari del sindacato hanno più o meno apertamente difeso questo slogan; i mezzi di comunicazione hanno parlato di una lotta contro i lavoratori stranieri ed hanno intervistato operai che condividevano questa opinione. Questo movimento di scioperi spontanei poteva potenzialmente essere inondato di nazionalismo ed essere trasformato in una sconfitta per la classe lavoratrice, con i lavoratori uno contro l’altro, con gli operai in blocco a difendere grida di guerra nazionalisti e chiedere che i posti di lavoro fossero dati agli operai britannici e tolti a quelli italiani e portoghesi. La capacità dell’intera classe lavoratrice di lottare sarebbe stata indebolita e la capacità della classe dominante di attaccare e dividere i lavoratori rafforzata.
La copertura mediatica (più qualcosa detta da alcuni operai) ha reso facile far credere che le rivendicazioni degli operai di Lindsey fossero “lavoro inglese agli operai inglesi”. Ma non erano queste! Così ad esempio la BBC ha manipolato e troncato senza vergogna l’intervista di uno scioperante, successivamente largamente diffusa in appoggio alla tesi sulla “xenofobia del movimento” facendogli dire: “Non si può lavorare con dei Portoghesi e degli Italiani” mentre su un altro canale con minore audience l’intervista reale assumeva tutt’altro senso: “Non si può lavorare con dei Portoghesi e degli Italiani; siamo completamente separati da loro, loro vengono con la loro compagnia”, cosa che significa che era impossibile frequentarli perché erano tenuti volontariamente a distanza dagli operai del posto. All’occorrenza, la BBC è servita da porta parola servile a un governo e a una borghesia in difficoltà di fronte alla ripresa della combattività e della solidarietà della classe operaia e di fronte al pericolo dell’estensione della lotta. Le rivendicazioni discusse e votate nelle assemblee di massa non hanno ripreso questo slogan e né manifestato ostilità verso i lavoratori stranieri, contrariamente alle immagini di propaganda largamente diffuse e ritrasmesse dai mezzi di comunicazione a livello internazionale. Queste rivendicazioni hanno piuttosto espresso delle illusioni nella capacità dei sindacati di impedire ai padroni di mettere gli operai gli uni contro gli altri, ma senza un aperto nazionalismo.
Il nazionalismo fa parte integrante dell’ideologia capitalista. Ogni borghesia nazionale non può sopravvivere senza fare concorrenza ai suoi rivali, economicamente e militarmente. La sua cultura, i mezzi di comunicazione, la scuola, l’industria dello spettacolo e dello sport, hanno da sempre diffuso questo veleno per legare i lavoratori alla nazione. La classe lavoratrice non può sfuggire all’influenza di questa ideologia. Ma quello che è importante in questo movimento è che questo peso del nazionalismo è stato messo in questione quando gli operai si sono posti, durante la lotta, la questione della difesa elementare delle loro condizioni di vita e di lavoro, dei loro interessi materiali di classe.
Lo slogan nazionalista “il lavoro inglese ai lavoratori inglesi”, rubato al Partito Nazionale Britannico (BNP, di estrema destra) dal leader “laburista” Gordon Brown, ha generato al contrario un grande disagio e una riflessione fra gli scioperanti e nella classe operaia. Molti scioperanti hanno detto chiaramente di non essere razzisti, che la loro lotta non aveva niente a che fare con la questione dell’immigrazione e di non sostenere il BNP, i cui tentativi di inserirsi nella lotta si sono risolti in generale nel fatto che è stato cacciato via dagli operai.
Oltre a rigettare il BNP, molti operai intervistati dalla televisione hanno cercato in maniera evidente di riflettere sul significato della loro lotta. Loro non erano contro i lavoratori stranieri, loro stessi avevano lavorato all’estero, ma si ritrovavano disoccupati o volevano che i loro figli avessero un lavoro. Per questo pensavano che i posti di lavoro dovessero essere dati prima agli operai britannici. Un tale approccio vede ancora operai “inglesi” e operai “stranieri” come se non avessero degli interessi comuni e resta quindi prigioniero del nazionalismo, tuttavia è un chiaro segno del fatto che c’è un processo di riflessione in atto.
D’altra parte degli operai hanno chiaramente sottolineato gli interessi comuni che esistono tra i lavoratori - segno che un processo di riflessione si sviluppa - ed hanno detto che tutti loro volevano che ogni lavoratore potesse avere la possibilità di trovare un lavoro: “Sono stato licenziato come stivatore due settimane fa. Ho lavorato nei bacini del Barry e di Cardiff per 11 anni e sono venuto qui oggi sperando che possiamo scuotere il governo. Io penso che tutto il paese dovrebbe mettersi in sciopero poiché stiamo perdendo tutta l’industria britannica. Ma non ce l’ho con i lavoratori stranieri. Non li posso biasimare per il fatto che vanno dove c’è il lavoro”. (Guardian on-line 20/1/2009). Ci sono stati anche operai che hanno sostenuto che il nazionalismo era un pericolo reale. Un operaio che lavora all’estero è intervenuto su un forum internet degli operai dell’edilizia per mettere in guardia contro l’uso delle divisioni nazionali da parte dei padroni: “I mezzi di comunicazione che hanno fomentato gli elementi nazionalisti si rivolgeranno adesso su di voi, mostrando i dimostranti nella peggiore luce possibile. Il gioco è finito. L’ultima cosa che i padroni e il governo britannico vogliono è l’unione dei lavoratori britannici con quelli d’oltremare. Pensano di poter continuare ad ingannarci mettendoci gli uni contro gli altri nella lotta per il posto di lavoro. Sentiranno un brivido nel fondo schiena quando noi non lo faremo”. E, in un altro post, lo stesso ha collegato questa lotta a quelle combattute in Francia ed in Grecia e alla necessità di collegamenti internazionali: “Le ampie proteste in Francia ed in Grecia sono solo un’anticipazione di quello che sta per venire. Abbiamo mai pensato di contattare e costruire legami con questi operai e di dare forza ad un ampio movimento di protesta a livello europeo contro il maltrattamento degli operai? Sembra essere la migliore opzione per avere la meglio sulla congiura tra i padroni, direzioni sindacali vendute ed il New Labour che continuano ad approfittare della classe operaia” (Thebearfacts.org). Altri lavoratori di altri settori sono ugualmente intervenuti su questo forum per opporsi agli slogan nazionalisti.
La discussione tra gli scioperanti e all’interno della classe in generale sulla questione degli slogan nazionalisti ha raggiunto una nuova fase il 3 febbraio, quando 200 lavoratori polacchi si sono uniti ad altri 400 lavoratori in sciopero selvaggio a sostegno dei lavoratori di Lindsey, nel sito di costruzione della centrale elettrica di Langage a Plymouth. I mass media hanno fatto di tutto per nascondere questo atto di solidarietà internazionale: il canale locale della BBC non ne ha fatto il minimo cenno e a livello nazionale il silenzio totale. Il black-out è stato totale.
La solidarietà di questi operai polacchi è stata particolarmente importante perché l’anno precedente c’era stata una lotta simile: 18 operai erano stati licenziati ed altri operai avevano sospeso il lavoro in solidarietà, compresi gli operai polacchi. Il sindacato aveva provato a farne una lotta contro la presenza di lavoratori stranieri, ma la partecipazione attiva degli operai polacchi mandò completamente all’aria la manovra.
Gli operai di Langage sono quindi scesi di nuovo in lotta con una certa consapevolezza di come i sindacati avevano usato il nazionalismo per tentare di dividere gli operai. Per questo il giorno dopo, all’assemblea di massa di Lindsey, è stato tirato fuori uno striscione scritto a mano che affermava: “Centrale elettrica di Langage – I lavoratori polacchi aderiscono allo sciopero: Solidarietà!”, che potrebbe significare o che degli operai polacchi hanno fatto sette ore di viaggio per essere presenti all’assemblea o che un lavoratore della Lindsey ha voluto sottolineare la loro azione.
Allo stesso tempo, nel picchetto di Lindsey, è apparso uno striscione - scritto in inglese ed in italiano - che invitava gli operai italiani ad unirsi allo sciopero ed è stato riportato dalla stampa che alcuni operai portavano dei cartelli con su scritto “Operai di tutto il mondo, unitevi!” (Guardian del 5/02/09). In breve noi assistiamo ai primi passi di uno sforzo cosciente da parte di alcuni operai di andare verso un genuino internazionalismo proletario, un passaggio che può solo portare ad una maggiore riflessione e discussione all’interno della classe.
Tutto questo ha posto la necessità di portare la lotta ad un nuovo livello, che si contrapponesse direttamente alla campagna che la presentava come un’opposizione nazionalista. L’esempio degli operai polacchi ha evocato la prospettiva che migliaia di altri operai stranieri si unissero alla lotta nei più grandi cantieri di Gran Bretagna, come quelli dei quartieri olimpici nella Londra orientale. Vi era anche il pericolo – per la borghesia - che i mezzi di comunicazione non riuscissero a nascondere gli slogan internazionalisti. Ciò avrebbe infranto la barriera che la borghesia aveva cercato di porre tra gli operai in lotta ed il resto della classe. Non c’è dunque da stupirsi se la lotta si sia risolta così rapidamente. Nel corso di sole 24 ore i sindacati, i padroni ed il governo sono passati dal dire che occorrevano diversi giorni se non settimane per risolvere lo sciopero all’accordo con la promessa di 102 posti di lavoro ulteriori ai quali gli operai inglesi avrebbero potuto aspirare. Questo è stato un accordo di cui molti degli scioperanti sono stati felici perché non comportava nessuna perdita di posti di lavoro per gli operai italiani o portoghesi ma, come aveva detto uno scioperante: “perché dobbiamo scioperare solo per ottenere un lavoro?”.
Nel corso di una settimana abbiamo visto gli scioperi spontanei più importanti da decenni a questa parte, con operai che tenevano assemblee di massa e che, violando la legge, esprimevano azioni di solidarietà senza un momento di esitazione. Una lotta che poteva essere annegata nel nazionalismo ha cominciato a mettere in dubbio questo veleno. Ciò non significa che il pericolo del nazionalismo sia sparito, perché questo pericolo è permanente, ma questo movimento ha fornito alle lotte future delle lezioni importanti da tirare. La presenza di striscioni con la scritta “Operai di tutto il mondo, unitevi!” all’interno di quello che si supponeva essere un picchetto di scioperanti nazionalisti può solo preoccupare la classe dominante su quale sarà il suo futuro.
Phil 7/2/09