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Mentre le campagne ideologiche della borghesia, che ci martellano da sedici anni, continuano a dirci che la classe operaia è una classe moribonda, che la sua lotta appartiene ad un passato ormai finito, la realtà si incarica di dimostrare che il proletariato è ben vivo e che non ha altra scelta che sviluppare la sua lotta dappertutto nel mondo.
La combattività e l’inizio di una solidarietà operaia si sono già manifestate in Europa con lo sciopero all’aeroporto londinese di Heathrow questa estate (vedi articolo in Rivoluzione Internazionale 142). La paura di una larga mobilitazione operaia ha spinto il governo Blair a ritirare una parte dell’attacco sulle pensioni nel settore pubblico destinato a decurtare le pensioni facendo passare progressivamente da 60 a 65 anni, tra il 2006 ed il 2013, l’età pensionistica. Tuttavia l’accordo concluso con i sindacati prevede che dal 2006 i nuovi lavoratori assunti nella sanità, nell’educazione ed il personale dell’amministrazione centrale saranno sottomessi a questo attacco. Dopo lo sciopero nazionale del 4 ottobre in Francia che ha portato in strada più di un milione di lavoratori, indetto da tutti i sindacati per far sfogare il malcontento sociale, il 7 ottobre in Belgio il sindacato “socialista” FGTB ottiene una forte mobilitazione che paralizza gran parte dell’attività economica del paese. La preoccupazione è quella di incanalare la protesta contro il governo che inizia a far passare un nuovo attacco sulla Sicurezza sociale e porta da 58 a 60 anni l’età richiesta per richiedere una pensione. E il 28 ottobre le due grandi centrali sindacali del paese, insieme, chiamano ad una nuova mobilitazione generale per la prima volta dopo 12 anni.
Negli Stati Uniti lo sciopero di 18.500 meccanici di Boeing, votato dall’86% all’appello dell’IAM (International Association of Machinist and Aerospace Workers), dura dal 2 al 29 settembre (lo sciopero precedente in questo stesso settore nel 1995 fu fatto lentamente usurare per 69 giorni prima di concludersi con una pesante sconfitta). Gli operai hanno di nuovo rifiutato il contratto collettivo proposto dalla direzione che in particolare voleva abbassare il tasso di valorizzazione annuale delle pensioni in rapporto ai due anni precedenti, mentre le quote per la copertura sociale sono più che triplicate dal 1995 e la direzione si è ben guardata dal dare la minima garanzia sulla sicurezza del posto di lavoro. La collera è stata ancora più forte perché intanto i profitti dell’impresa sono triplicati negli ultimi 3 anni. L’impresa mirava anche ad ottenere una diminuzione dei rimborsi per le spese mediche imponendo la soppressione di ogni copertura medica nel periodo di pensionamento per i nuovi contratti di impiego. Gli operai hanno rifiutato nettamente questa manovra di divisione tra “nuovi” e “anziani”, tra giovani e vecchi. Si sono anche opposti al tentativo della direzione di contrapporre gli interessi tra gli operai attraverso la proposta di introdurre delle misure differenti tra le tre grandi fabbriche di produzione (quella di Wichita nel Kansas si trova sfavorita rispetto a quella di Seattle, nello Stato di Washington, o quella di Portland nell’Oregon), ed hanno preteso che le proposte fossero le stesse per tutti i meccanici. Alla fine la direzione ha accettato di versare dei premi eccezionali ai salariati, di non toccare per il momento i rimborsi e le pensioni, ma come contropartita gli operai hanno visto ridursi la valorizzazione dei loro salari ed hanno dovuto accettare degli aumenti sulle quote per le prestazioni sociali. Ma la cosa che colpisce è il black-out quasi totale che ha circondato questo sciopero, in particolare in Europa. Lo scopo è stato impedire che la classe operaia di qui prendesse coscienza che c’è una classe operaia sfruttata e che lotta, anche negli Stati Uniti, per difendere i propri interessi di classe.
Allo stesso modo, gli scioperi che ci sono stati tra giugno ed agosto in Argentina non hanno avuto alcuna pubblicità in Europa, contrariamente a tutto il battage orchestrato intorno alla rivolta sociale del 2001 intrisa di interclassismo (vedi in particolare gli articoli della Revue Internazionale 109, del 2002 117 e 119 del 2004). Le lotte dell’estate scorsa costituiscono l’ondata di lotta più importante da 15 anni ad oggi, in particolare nella regione industriale di Cordoba. Questa ha toccato gli ospedali, le fabbriche di prodotti alimentari, catene di supermercati, i lavoratori della metropolitana di Buenos Aires, i lavoratori della municipalità di diverse province. Nel corso di queste lotte gli operai hanno chiaramente espresso in diverse circostanze la volontà di cercare solidarietà. Nella metropolitana della capitale tutto il personale ha spontaneamente fermato il lavoro dopo la morte accidentale di due operai della manutenzione. Nella provincia di Santa Cruz, al sud del paese, lo sciopero degli impiegati municipali ha coinvolto la presenza massiccia di operai di altri settori e della maggioranza della popolazione. A Caleta Olivia anche gli operai del settore petrolifero si sono messi in sciopero al loro fianco per delle rivendicazioni salariali simili. A Neuquen gli operai dei servizi della sanità si sono uniti spontaneamente ad una manifestazione di professori delle scuole e sono stati confrontati ad una forte repressione poliziesca. La reazione della borghesia è stata estremamente brutale. Gli operai del centro ospedaliero pediatrico di Garrahan, che invece di reclamare aumenti salariali proporzionali ad ogni categoria professionale hanno preteso un aumento uguale per tutti, sono stati oggetto di una campagna di denigrazione di una violenza inaudita. Sono stati presentati come dei “terroristi” capaci di far morire dei bambini per la difesa dei propri interessi particolari e sono stati deliberatamente esclusi da ogni negoziazione. Inoltre i piqueteros dell’estrema sinistra del capitale gli si sono appiccicati alle sottane per comprometterli nelle loro impopolari azioni di commando. Attraverso questa repressione, il successo di queste manovre e la messa in avanti del prossimo circo elettorale, questa ondata di lotte è poi nettamente rifluita. Ma ha confermato che il proletariato addirizza dappertutto la testa e si afferma come una classe in lotta. Abbiamo già ricordato nella nostra stampa lo sciopero degli operai della Honda in India o quello nelle miniere di oro in Africa del sud (vedi Revolution Internazionale n° 360, di settembre, e n° 361, di ottobre). Ma un altro esempio edificante ci viene dalla Cina, a proposito della quale persiste ancora la grande menzogna e la vasta truffa ideologica “di un regime comunista”. Un ONG di Hong Kong ha recensito non meno di 57.000 conflitti del lavoro nel 2004 implicanti 3 milioni di salariati, che hanno investito il settore privato e non più solamente le fabbriche di Stato come negli anni ’90.
Malgrado tutti i limiti ancora presenti ed il moltiplicarsi delle manovre sindacali per sabotarle, le lotte operaie non appartengono ad un passato ormai finito.
No, la classe operaia non è morta! Essa non ha altra scelta che battersi e nello sviluppo delle sue lotte porta più che mai il solo futuro possibile per tutta l’umanità.
W (22 ottobre 2005)