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Non ci sono speranze nelle false spiegazioni
Di fronte a un mondo che sprofonda rapidamente nel caos, milioni di persone si sono rivolte alla religione – all’islamismo, al cristianesimo, ai numerosi culti New Age – per recuperare qualche speranza. Molti vedono lo stato catastrofico del mondo come il realizzarsi di vecchie profezie. Ma questo volo all’interno di arcaiche mitologie è esso stesso l’espressione di un sistema sociale decadente. E tutte le ideologie apocalittiche hanno un aspetto in comune: ridurre il genere umano in un passivo giocattolo nelle mani delle forze divine, opponendosi così ad ogni comprensione razionale del disordine attuale e di conseguenza a ogni soluzione basata sull’azione umana cosciente.
Molti attribuiscono la responsabilità dei problemi del mondo a singoli capi. Le dimostrazioni di massa contro la visita di Bush in Gran Bretagna sono state largamente animate dalla forte ostilità verso i singoli governanti della Casa Bianca e di Downing Street oltre che alle cricche intorno a loro, come se dei leader diversi o delle compagini governative diverse avessero potuto seguire una strategia sostanzialmente diversa per gli imperialismi USA e inglese. Questa in realtà non è che l’immagine speculare dell’incolpare Bin Laden o Saddam di tutto il terrorismo e dell’insicurezza nel mondo.
Ma forse la più falsa di tutte le false spiegazioni è la moda attuale per l’«anti-capitalismo», l’«anti-globalizzazione» e la «mondializzazione alternativa», rappresentata dallo smisurato Social Forum Europeo recentemente tenuto a Parigi. Uno strano «anticapitalismo» questo, che accetta fondi enormi dallo Stato (per esempio, oltre due milioni di euro sono stati dati al Forum dalle amministrazioni locali di Parigi e delle regioni circostanti); che predica non la fine del mercato ma un «mercato onesto»; che non vuole che gli stati nazionali vengano aboliti ma che siano rafforzati contro il «potere globalizzante delle multinazionali»; che dichiara che il «mondo alternativo» verrà fuori non da quello che Marx chiamò il becchino del capitalismo, cioè la classe operaia internazionale, ma dalla massa amorfa di «cittadini» che reclamano i loro «diritti democratici».
Ognuna di queste spiegazioni serve gli interessi dell’attuale sistema sociale, perché ognuna di esse distoglie e blocca ogni ricerca genuina delle cause che sono alla base del degrado della civiltà attuale. La classe che governa questo sistema, la borghesia, farà tutto quello che è in suo potere per nascondere questa verità: che la forma attuale di organizzazione sociale, l’ordine capitalista che domina l’intero pianeta, è divenuto non solo un ostacolo per l’ulteriore sviluppo sociale, economico e culturale, ma anche una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità.
Per la rivoluzione dei lavoratori
Queste false ideologie non solo bloccano ogni comprensione della causa, ma ostacolano anche la soluzione dei problemi: la rivoluzione della classe operaia, una classe che ha la capacità di distruggere questo capitalismo produttore di morte e stabilire una nuova società basata su relazioni di solidarietà. Il capitalismo è diviso in un disordine caotico di unità nazionali che difendono i loro interessi particolari con ogni mezzo militare – la rivoluzione della classe operaia internazionale fornisce la base per un’unica comunità umana. Il capitalismo è un’economia inevitabilmente attraversata da crisi votata alla produzione per il profitto della borghesia, laddove la classe operaia può stabilire un’organizzazione della produzione impostata per rispondere ai bisogni umani. Il capitalismo dedica le sue energie al raffinamento e al rafforzamento della sua macchina repressiva statale, mentre il rovesciamento del capitalismo apre la possibilità per l’uomo “di organizzare le sue forze politiche e sociali”, come Marx affermò.
Poiché l’attuale organizzazione della società è del tutto contro i reali interessi della gran parte dell’umanità e va a beneficio solo di una infima minoranza di sfruttatori che la governano, essa non può essere riformata. Può essere solo rimpiazzata da una rivoluzione che porta avanti lo stesso programma in tutti i paesi: la distruzione dello stato capitalista; l’affermazione del potere politico dei consigli operai; l’abolizione della proprietà privata e della produzione finalizzata alla vendita e al profitto.
Il passaggio difficile è rompere con tutte le abitudini, l’etica e le ideologie che sono quotidianamente pompate nel nostro cervello dall’ordine esistente. Ed ancora avere la chiarezza teorica per vedere la bancarotta degli attuali rapporti sociali e la fiducia politica di centinaia di milioni di anonimi lavoratori di assumere il completo controllo della gestione della società.
Quelli che si oppongono alla rivoluzione, da destra a sinistra, denunciano questa prospettiva, al meglio, come un’idea utopica e irrealistica, al peggio, come l’apportatrice di nuove e anche più terribili forme di caos e tirannia.
Ma non è un’utopia – ovvero uno schema astratto proveniente dal nulla, il semplice sogno di intellettuali isolati. E’ invece la logica conclusione della lotta di una forza sociale molto concreta – la classe operaia – contro lo sfruttamento. E a dispetto di tutte le proclamazioni del contrario, a dispetto di tutte le sue difficoltà reali, quella lotta oggi sta sempre più alzando la testa.
La ripresa della lotta di classe, avvenuta alla fine degli anni ’60, ha prodotto venti anni di ondate di lotte operaie. Poi, dalla fine degli anni ’80, vi è stata una offensiva della propaganda borghese tendente a demoralizzare i lavoratori con la propaganda sulla “fine della lotta di classe” basata sul crollo del regime sovietico identificato falsamente come un regime comunista. Ma la recente rottura di movimenti a grande scala contro gli attacchi allo stato sociale in Europa, il ritorno di scioperi spontanei in Gran Bretagna, in Italia e in altri paesi, confermano ancora una volta che la classe operaia continua a reagire alla crisi del sistema, di cui è la principale vittima. Per quanto limitati possano sembrare, le lotte difensive di oggi contengono il potenziale per lo sviluppo di lotte più di massa, più coscienti e più politiche in cui la prospettiva della rivoluzione non è più vista come un’utopia, ma come l’unica risposta realistica della classe operaia alla deriva del capitalismo verso la guerra e la barbarie.