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Un compagno ci ha inviato il testo che segue
sulla questione del prossimo referendum sull’estensione
dell’art. 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti.
Anche se in questo momento la questione della guerra è,
giustamente, il centro della preoccupazione dei proletari, ci sono
anche altre questioni che nello stesso momento toccano il livello
di vita del proletariato e rispetto alle quali vengono portate
avanti campagne di mistificazione da parte della borghesia e in
particolare delle sue formazioni di “sinistra”. Perciò
ci è sembrato utile pubblicare questa lettera facendola
seguire da un nostro commento. La lettera “(...) Si tratta
di milioni di persone “umane” che vivono board-line
tra disoccupazione e precariato e che, quando e se trovano un
lavoro, lo trovano in aziende piccole e piccolissime, la maggior
parte delle quali con meno di 15 dipendenti. La stragrande
maggioranza sono giovani che, nella miseria della loro esistenza,
portano anche la disillusione di avere conseguito un titolo di
studio inutile per risolvere il loro rapporto col lavoro. Il
lavoro precario, se e quando lo trovano, impone loro forme di
sfruttamento disumano, a volte fino a 12 ore al giorno per pochi
spiccioli; in massima parte si tratta di lavoro nero, illegale; ma
anche quando così non è, essi sono comunque
sottoposti al costante ricatto di licenziamento. Ogni giorno, ed
in ogni momento di ogni giorno possono essere rigettati nella
disoccupazione e perdere i pochi spiccioli con cui sopravvivono.
Non hanno futuro perché non hanno nulla su cui fondare un
progetto di vita, sia pure una speranza o un’illusione.
Vivono in una condizione di esistenza senza dignità sociale
e senza diritti che li riduce a polvere di umanità,
annichiliti, ed insultati nel loro più intimo rispetto per
se stessi. Il loro essere sociale è incontestabilmente
proletario, definito, in ultima analisi, nel rapporto col capitale
finanziario. In questa massa proletarizzata sono via via
precipitate tutte le stratificazioni sociali che si trovano
immediatamente al di sopra del proletariato, ed essa contiene,
oggi, la maggioranza dei lavoratori. Ci sarebbe molto da dire, e
da maledire, sui misfatti della sinistra borghese e dei sindacati
cha hanno voluto e promosso le forme e le istituzioni del
precariato; basterebbe solo questo fatto, lo dico di passata, per
dimostrare la funzione reazionaria che essi hanno assunto
nell’epoca di decomposizione del capitalismo. Questo giovane
proletariato, però, ha già cominciato a porsi
domande sulla violenza e sulla miseria che marcano la sua
esistenza. Sono domande ancora confuse, incoerenti, semicoscienti,
ma nei suoi sentimenti profondi comincia ad affacciarsi un
desiderio di riscatto, che è un primissimo sintomo di una
domanda politica e che comincia già ad esercitare una
pressione obiettiva sul corpo sociale. Alcune grandi questioni,
come, ad esempio, quella della FIAT, hanno lasciato affiorare
sentimenti di solidarietà dei giovani proletari per la
classe operaia dell’industria e per le sue lotte. Nei loro
confronti la borghesia non si sente affatto garantita dall’intenso
lavoro che i sindacati fanno per tenerli disgregati, dispersi,
divisi. Il fatto poi che sia stata proprio la massa proletarizzata
a disertare il voto, togliendo circa tre milioni e mezzo di voti
ai DS e circa ottocentomila voti a Rifondazione Comunista, nelle
ultime tornate elettorali, aggiunse ulteriori pesanti
preoccupazioni per la borghesia. La sinistra moderata borghese,
che è in via di fallimento, non è più in
grado di proporre loro l’illusione riformista; perciò
la borghesia chiama in campo i suoi specialisti della demagogia.
Il referendum sull’estensione dell’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori (legge 300/70) è un’operazione
di questi specialisti. Questo referendum fu promosso poco dopo la
lotta dei lavoratori contro l’abolizione dell’articolo
18 proposta dal governo Berlusconi. Allora decine di migliaia di
giovani disoccupati e precari si mobilitarono al fianco degli
operai dell’industria e, più ancora, si avvertì
chiaramente la simpatia e la partecipazione solidale del
proletariato diffuso con quella lotta. La sinergia fra
proletariato industriale e massa proletarizzata esercitò
una fortissima pressione sociale, obbligando il governo Berlusconi
ad accantonare la proposta di abolizione dell’art. 18. Fu
proprio allora, e proprio per ciò, che si mossero i
demagoghi della borghesia, che proposero un referendum per
estendere le tutele contro gli ingiusti licenziamenti anche ai
lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti, cioè alla
parte legalmente occupata della massa proletarizzata. In sé
considerata, la domanda referendaria sarebbe, ovviamente giusta;
ma non è precisamente questo il problema. Le indagini
demoscopiche indicano una forte probabilità di vittoria dei
“si”; di conseguenza, il mai abbastanza lodato
“compagno” Cofferati ha subito proposto una legge che
eviti il referendum.... al centrodestra, che, invece, vuole
abolire del tutto l’art. 18. Sembrerebbe un controsenso, ma
lo scopo di Cofferati e un altro. Se il referendum fosse
invalidato per deficit di quorum, o se vincessero i “no”,
allora si passerebbe subito all’abolizione dell’art.
18 per tutti i lavoratori. Se vincessero i “si”,
allora si passerebbe subito alla legge di Cofferati riportando
tutto a come prima e provocando una pesantissima demoralizzazione
nei giovani proletari, che rigetterebbe indietro il processo di
evoluzione della loro coscienza sociale. Inoltre ciò
priverebbe il proletariato industriale dell’appoggio della
massa proletarizzata. Questo referendum, dunque, è una
perfida trappola, ed i demagoghi in questione avrebbero come
premio di liquidare i resti dei DS ed accreditarsi come “sinistra”
di sostituzione. P. Il nostro commento Concordiamo ovviamente con
il compagno nel considerare questi lavoratori come parte
integrante del proletariato con tutte le osservazioni sulle
condizioni miserevoli cui essi sono soggetti. Vogliamo invece
esprimere le nostre perplessità sulla valutazione che il
compagno fa: 1) sullo stato di coscienza di questi strati
proletari e sulla classe lavoratrice in genere e 2) sulla capacità
di mistificazione della sinistra borghese. Lo stato di coscienza
dei proletari Il compagno ha sempre espresso un accordo con la
nostra analisi relativa al riflusso della coscienza di classe
provocato dalla caduta del blocco dell’est e dalla
successiva campagna sulla morte del comunismo messa su dalla
borghesia. Ugualmente il compagno ha espresso accordo con l’idea
che esiste oggigiorno solo un tenue recupero nella coscienza a
livello sotterraneo, che si esprime a livello internazionale
essenzialmente attraverso l’emergere di minoranze che si
pongono alla ricerca di una chiarezza politica. Rispetto a questo
punto di partenza, le formulazioni usate dal compagno ci sembrano
esprimere però una chiara sopravvalutazione dello stato di
coscienza della classe operaia. Quando il compagno dice che
“questo giovane proletariato ha già cominciato a
porsi domande sulla violenza e sulla miseria”, che “nei
suoi sentimenti profondi comincia ad affacciarsi un desiderio di
riscatto, che è un primissimo sintomo di una domanda
politica e che comincia già ad esercitare una pressione
obiettiva sul corpo sociale”, il compagno sembra non
rendersi conto che la massa crescente di lavoratori precari e
sottoccupati, oltre a vivere una situazione di vita e di lavoro
estremamente miserevole, vive anche una situazione di dispersione,
di atomizzazione che rende loro estremamente difficile
organizzarsi per lottare e per collegarsi agli altri settori di
lavoratori. Non sono certo i motivi per lottare che mancano, e
probabilmente nemmeno la volontà, ma in mancanza di una
ripresa più generale delle lotte dei settori più
concentrati del proletariato, è per questi lavoratori
difficile trovare gli strumenti, la forza e le forme per
organizzarsi e partire in lotta. In mancanza di una tale
situazione e di una esperienza in questo senso, è anche
difficile per questa massa di proletari prendere coscienza delle
ragioni di fondo della loro condizione. E’ perciò
improbabile pensare che la borghesia si sia sentita
particolarmente preoccupata per il malcontento che sicuramente
esiste tra questi lavoratori, al punto di dover mettere in piedi
una trappola specifica per impedire lo sviluppo della loro lotta.
Più oltre, a proposito della manifestazione contro il
governo Berlusconi che minacciava di cancellare lo stesso articolo
18, il compagno aggiunge: “Allora decine di migliaia di
giovani disoccupati e precari si mobilitarono al fianco degli
operai dell’industria e, più ancora, si avvertì
chiaramente la simpatia e la partecipazione solidale del
proletariato diffuso con quella lotta. La sinergia fra
proletariato industriale e massa proletarizzata esercitò
una fortissima pressione sociale, obbligando il governo Berlusconi
ad accantonare la proposta di abolizione dell’art. 18.”
Qui ancora si attribuisce, a nostro avviso, una valenza positiva
ad una manifestazione che è stata fatta apposta per
incanalare e addormentare sul nascere qualunque possibile malumore
nei ranghi proletari e che infatti non ha avuto alcun seguito. Non
ci sono stati slogan alternativi né tentativi di
organizzare alcunché al di fuori del quadro sindacale. I
lavoratori si sono limitati a marciare dietro le bandiere del
sindacato senza esprimere alcun segnale di ricerca di un’autonomia
di classe o di ricerca di una lotta più efficace. Questo
non ci fa piacere, ma dobbiamo saper guardare con chiarezza in
faccia alla realtà se vogliamo partecipare alla costruzione
della società del futuro. Sulla capacità di
mistificazione della sinistra borghese A questa prima debolezza
del compagno corrisponde una seconda, speculare, di
sottovalutazione dell’operato della borghesia, e della
sinistra borghese in particolare. Il compagno dice: “Nei
loro confronti la borghesia non si sente affatto garantita
dall’intenso lavoro che i sindacati fanno per tenerli
disgregati, dispersi, divisi. Il fatto poi che sia stata proprio
la massa proletarizzata a disertare il voto, togliendo circa tre
milioni e mezzo di voti ai DS e circa ottocentomila voti a
Rifondazione Comunista, nelle ultime tornate elettorali, aggiunse
ulteriori pesanti preoccupazioni per la borghesia. (…) La
sinistra moderata borghese, che è in via di fallimento, non
è più in grado di proporre loro l’illusione
riformista; perciò la borghesia chiama in campo i suoi
specialisti della demagogia. (…) In sé considerata,
la domanda referendaria sarebbe, ovviamente giusta”. In
verità, è proprio la mobilitazione di centinaia di
migliaia se non di milioni di persone da parte di sindacati e
partiti di sinistra che ha garantito alla borghesia di avere sotto
controllo la situazione. Le recenti manifestazioni per la pace e
contro la guerra in Iraq, su un piano diverso, ci mostrano quanto
attivi e quanto efficaci, ahimè, sono queste strutture.
D’altra parte il riflusso della coscienza che si è
prodotto tra i proletari e provocato dalla perdita della
prospettiva storica sposta il loro interesse sull’oggi, sul
subito, motivo per cui le chiacchiere sindacali sul piano
riformista hanno riacquistato tutto lo spazio che avevano perso in
precedenza sotto i colpi della lotta di classe degli anni ‘70
e ‘80. Questa sottovalutazione si esprime, a nostro avviso,
anche a proposito del referendum. Anche se se ne parla come di una
“perfida trappola”, bisogna precisare anzitutto che
questa trappola è rivolta all’insieme del
proletariato e non solo ai proletari precari. Inoltre questa non
consiste tanto nel fatto che la borghesia ha già preparato
le contromisure a qualunque sia l’esito del referendum, ma
nel referendum stesso. Il referendum si propone infatti come
alternativo alla lotta, all’azione aperta, attiva e
collettiva dei proletari, e quindi è di per se stesso uno
strumento antiproletario, che vuole distogliere il proletariato
dall’unico terreno che gli consente di difendersi dagli
attacchi della borghesia, quello della lotta. Al posto di questo
viene proposto di starsene buoni, di affidarsi agli specialisti
della borghesia e di limitarsi ad esprimersi al momento del voto,
con un no e un si che, e in questo siamo d’accordo con il
compagno, in realtà non risolverebbe niente perché
la borghesia è sempre pronta a cambiare le sue leggi se
l’esito di un referendum le fosse contrario. Perciò
non condividiamo l’espressione usata dal compagno quando
dice “in sé considerata, la domanda referendaria
sarebbe, ovviamente giusta” perché sembra che sia
stato fatto solo un uso errato o mistificato di uno strumento
altrimenti utilizzabile dal proletariato. In aggiunta a questo
aspetto diversivo e passivizzante nei confronti del proletariato,
il referendum ha anche il compito di rilanciare la mistificazione
democratica, quella secondo cui si possano regolare i destini
delle persone con un voto, a questo punto non importa se nelle
elezioni normali o in un referendum specifico. Le elezioni sono
proprio una mistificazione che serve ad illudere i proletari di
poter contare nelle decisioni, di poter partecipare alla gestione
della vita di un paese. Il cittadino proletario si esprime così
insieme al cittadino borghese su un piano di falsa uguaglianza
nell’illusione di poter incidere sul modo di condurre la
società, modo che è invece condizionato a monte
dalle esigenze del capitale, e a cui tutte le forze borghesi si
adeguano. In più, nel chiuso dell’urna i proletari,
già privi di ogni potere all’interno di questa
società, vengono a mancare di quello che è la
migliore arma nelle loro mani: quello dell’unità,
dell’azione collettiva, nella quale non conta più il
carattere del singolo, ma la forza della massa, quella forza che
consente anche, nei momenti più favorevoli, di lanciare
alla borghesia la sfida per il potere, come fu nell’ottobre
del 1917 in Russia. Presi singolarmente invece i proletari sono
soggetti alle pressioni, ai ricatti, alle mistificazioni, per cui
c’è anche da dubitare che il voto anche in un
referendum come quello sull’art. 18 sarebbe sicuramente
favorevole al proletariato, come sembra invece credere il
compagno. Perciò i rivoluzionari di fronte a questo come a
qualsiasi altro referendum o scadenza elettorale non possono avere
altro atteggiamento che quello di denunciare questo strumento
della mistificazione democratica borghese.