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Negli ultimi mesi sono apparsi sulla stampa del BIPR ([1]) articoli riguardanti la necessità del raggruppamento tra forze rivoluzionarie in vista della costruzione del partito comunista mondiale del futuro. Uno di questi, I rivoluzionari, gli internazionalisti di fronte alle prospettive di guerra e alla condizione del proletariato ([2]), è un documento maturato in seguito alla guerra in Kosovo dell’anno scorso:
“Le recenti vicende belliche nei Balcani, per il fatto stesso di essersi svolte in Europa (…) hanno segnato un rilevante passo avanti del processo che conduce alla guerra imperialista generalizzata (…).
La guerra stessa e il tipo di opposizione che ad essa viene fatta sono il terreno su cui sta già avvenendo la decantazione e selezione delle forze rivoluzionarie capaci di concorrere alla costruzione del partito.
Queste saranno interne all’area delimitata da alcuni punti fermi che segniamo quale base irrinunciabile di qualunque iniziativa politica tendente al rafforzamento del fronte rivoluzionario di fronte al capitale e alle sue guerre”.
A questo brano seguono i “21 punti fermi” ([3]) indicati dal BIPR come punti critici.
Erano state proprio queste “vicende belliche nei Balcani” a spingere la nostra organizzazione a promuovere, durante la stessa guerra, un appello alle varie organizzazioni rivoluzionarie presenti a livello mondiale e rispetto al quale avevamo precisato che:
“Esistono naturalmente anche delle differenze, che riguardano un diverso approccio all’analisi dell’imperialismo nella fase attuale e del rapporto tra le classi. Ma, senza sottovalutare queste differenze, riteniamo che gli aspetti che ci uniscono sono di gran lunga più importanti e significativi di quelli che ci distinguono rispetto ai compiti del momento ed è su questa base che, il 29 marzo 1999, abbiamo lanciato un appello all’insieme di questi gruppi per prendere una iniziativa comune contro la guerra”([4]).
Poiché questo appello, fatto oltre un anno fa, è caduto completamente nel vuoto ([5]), c’è da chiedersi come mai il BIPR arrivi solo adesso con le sue “21 condizioni” - su cui, al di là di qualche riserva su due punti soltanto ([6]), il nostro accordo è per il resto totale - e non abbia aderito all’epoca al nostro appello. La risposta sta verso la fine del documento BIPR dove si trova una parte che si rivolge, in tutta evidenza, alla CCI, (naturalmente senza mai citarla), affermando che “a 23 anni di distanza dalla I Conferenza Internazionale, convocata da Battaglia Comunista ([7]) per avviare un primo confronto fra i gruppi politici che si rifacevano alle linee generali classiste e internazionaliste difese dalla sinistra comunista a partire dalla seconda metà degli anni ’20, è possibile –e dunque ormai doveroso- trarre un bilancio di quel confronto”.
Un bilancio? Dopo 23 anni? E perché solo adesso? Il BIPR lo spiega in questo modo: in oltre due decenni si è “accelerato il processo di decantazione del “campo politico proletario”, escludendo tutte quelle organizzazioni che, per un verso o per un altro, sono cadute sul terreno della guerra venendo meno all’irrinunciabile principio del disfattismo rivoluzionario”.
Ma il pezzo dove ce l’hanno con noi (e con le formazioni bordighiste) viene subito dopo:
“Altre componenti di quell’area, pur senza cadere nel tragico errore di attestarsi su di un fronte di guerra, (…) si sono egualmente estraniate dal metodo e dalle prospettive di lavoro che condurranno alla aggregazione del futuro partito rivoluzionario. Vittime irrecuperabili di impostazioni idealistiche o meccanicistiche (…).” (sottolineatura nostra).
Poiché noi riteniamo che le accuse che il BIPR ci attribuisce siano infondate - e per di più temiamo che esse servano a mascherare una sua pratica politica opportunista - cercheremo di sviluppare qui di seguito una risposta alle suddette accuse mostrando qual è stato l’atteggiamento della corrente marxista del Movimento Operaio rispetto al “metodo e alle prospettive di lavoro che condurranno alla aggregazione del futuro partito rivoluzionario” per verificare concretamente se, e in che misura, il BIPR e i gruppi che lo hanno generato sono stati coerenti con questa linea. Per fare ciò prenderemo in considerazione due questioni che esprimono, nella loro unità, i due livelli a cui si pone il problema dell’organizzazione dei rivoluzionari oggi:
- come concepire la futura internazionale;
- che politica seguire per la costruzione dell’organizzazione e il raggruppamento dei rivoluzionari.
1. Come concepire la futura Internazionale? Partito Comunista Internazionale oppure Internazionale dei Partiti Comunisti?
Come sarà la futura Internazionale? Un’organizzazione concepita in maniera unitaria fin dall’inizio, cioè un partito comunista internazionale, oppure una Internazionale dei partiti comunisti dei vari paesi? Su questo problema il pensiero e la battaglia di Amadeo Bordiga e della Sinistra Italiana costituiscono un punto di riferimento irrinunciabile. Nella concezione di Bordiga l’Internazionale Comunista doveva già essere, e così lui la chiamava, il partito mondiale, e in obbedienza a questa concezione Bordiga è arrivato finanche a rinunciare ad alcuni punti “tattici” da lui difesi (astensionismo, raggruppamento senza il centro) pur di affermare e far vivere la preminenza dell’Internazionale sui singoli partiti nazionali, per affermare che l’IC era un’unica organizzazione e non una federazione di partiti, con un’unica politica dappertutto e non con delle specificità paese per paese.
“Ed allora noi affermiamo che il supremo consesso internazionale ha non solo il diritto di stabilire queste formule che vigono e devono vigere senza eccezione per tutti i paesi, ma ha anche il diritto d’occuparsi della situazione di un solo paese e potere dire quindi che l’Internazionale pensa che – ad esempio – in Inghilterra si debba fare, agire in quel dato modo” (Amadeo Bordiga, discorso al Congresso di Livorno 1921, in La Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione, Edizioni Sociali 1976).
Questa concezione Bordiga, a nome della sinistra italiana, l’ha difesa a maggior ragione contro la degenerazione della stessa Internazionale, quando la politica di questa si confondeva sempre più con la politica e gli interessi dello Stato russo:
“Occorre che il partito russo sia assistito nella risoluzione dei suoi problemi dai partiti fratelli, i quali non posseggono, è vero, una esperienza diretta dei problemi di governo, ma ciò malgrado contribuiranno alla risoluzione di essi apportandovi un coefficiente classista e rivoluzionario derivato direttamente dalla realtà della lotta di classe in atto nei loro paesi” (Tesi della sinistra per il III Congresso del PCd’I, Lione gennaio 1926, pubblicate in In difesa della continuità del programma comunista, edizioni “Il programma comunista”, Milano 1970).
Ed è infine nella risposta di Bordiga alla lettera di Karl Korsch che emerge con ancora più chiarezza cosa l’Internazionale doveva essere e cosa non era riuscita ad essere:
“Credo che uno dei difetti dell’Internazionale attuale sia stato di essere “un blocco di opposizioni” locali e nazionali. Bisogna riflettere su questo, si capisce senza arrivare ad esagerazioni, ma per fare tesoro di questi insegnamenti. Lenin arrestò molto lavoro di elaborazione “spontaneo” contando di raggruppare materialmente e poi dopo soltanto fondere omogeneamente i vari gruppi al calore della rivoluzione russa. In gran parte non è riuscito” (dalla lettera di Amadeo Bordiga a Korsch, pubblicata in Danilo Montaldi, Korsch e i comunisti italiani, Savelli).
In altre parole Bordiga si rammarica che l’Internazionale si sia formata a partire da un insieme di “opposizioni” ai vecchi partiti socialdemocratici ancora politicamente incoerenti tra di loro e che il proposito di Lenin di omogeneizzare tra di loro queste diverse componenti nella sostanza non abbia avuto successo.
E’ a partire da questa impostazione che le organizzazioni rivoluzionarie degli anni della controrivoluzione, nonostante la fase politica avversa, si sono sempre concepite come organizzazioni non solo internazionaliste ma anche internazionali. E non è un caso che uno dei trucchi utilizzati per attaccare la Frazione Italiana all’interno dell’Opposizione Internazionale di Trotskij fu proprio quello di accusarla di seguire una politica “nazionale” ([8]).
Vediamo invece qual è la concezione che ha il BIPR su questo problema:
“Il BIPR si è costituito come l’unica possibile forma organizzativa e di coordinamento, intermedia fra l’isolato operare di avanguardie in diversi paesi e la presenza di un vero Partito Internazionale (…). Nuove avanguardie – svincolate da vecchi schemi rivelatisi inefficaci a spiegare il presente e da qui progettare il futuro – si accingono al compito di costruzione del partito (…). Queste avanguardie hanno il dovere, che stanno assumendo, di attestarsi e crescere sulla base di un corpo di tesi, una piattaforma e un quadro organizzativo coerenti fra loro e con il Bureau che, in questo senso, si pone come punto di riferimento della necessaria omogeneizzazione delle forze nel futuro partito" ([9]).
Fin qui il discorso del BIPR, a parte qualche presunzione di troppo, non sembra, in linea di massima, in contraddizione con l’impostazione suddetta. Ma il passaggio successivo pone più di un problema:
“Punto di riferimento non significa struttura impositiva. Il BIPR non intende accelerare i tempi della aggregazione internazionale delle forze rivoluzionarie oltre i tempi “naturali” della crescita politica delle avanguardie comuniste nei diversi paesi” (9).
Questo significa che il BIPR, ovvero le due organizzazioni che ne fanno parte, non ritengono possibile costituire un’unica organizzazione internazionale prima della costituzione del partito mondiale. Per di più si fa riferimento a strani “tempi naturali della crescita politica delle avanguardie politiche nei diversi paesi” il cui significato è più chiaro se si va a vedere da quale visione il BIPR tende a demarcarsi, quella della CCI e della sinistra comunista italiana:
“Rifiutiamo in linea di principio, e sulla base di diverse risoluzioni congressuali, l’ipotesi di creazione di sezioni nazionali per gemmazione di un’organizzazione preesistente, foss’anche la nostra. Non si costruisce una sezione nazionale del partito internazionale del proletariato creando in modo più o meno artificiale in un paese un centro redazionale di pubblicazioni redatte altrove e comunque al di fuori delle reali battaglie politiche e sociali del paese stesso” (sottolineature nostre) (9).
Questo passaggio merita evidentemente un’attenta risposta perché qui è contenuta la differenza strategica nella politica di raggruppamento internazionale operata dal BIPR rispetto a quella della CCI. Naturalmente la nostra strategia di raggruppamento internazionale viene volutamente ridicolizzata parlando di “gemmazione di un’organizzazione preesistente”, di creazione “in modo più o meno artificiale in un paese di un centro redazionale di pubblicazioni redatte altrove” … in modo da indurre automaticamente nel lettore un istinto di rifiuto per la strategia della CCI.
Ma andiamo al concreto e cerchiamo di confrontarci con un ipotetico caso reale. Secondo il BIPR, se sorge un nuovo gruppo di compagni, poniamo in Canada, che tende verso le posizioni internazionaliste, questo gruppo può usufruire del contributo critico fraterno, anche della polemica, ma deve crescere e svilupparsi a partire dal contesto politico del proprio paese, “all’interno delle reali battaglie politiche e sociali del paese stesso”. Questo significa che per il BIPR è più importante il contesto attuale e locale di un certo paese che il quadro internazionale e storico fornito dall’esperienza del movimento operaio. Qual è viceversa la nostra strategia di costruzione della organizzazione a livello internazionale che il BIPR cerca volutamente di porre in cattiva luce parlando di “creazione di sezioni nazionali per gemmazione di un’organizzazione preesistente”? Che siano 1 o 100 gli aspiranti militanti in un paese nuovo, la nostra strategia non è quella della creazione di un gruppo locale da far evolvere sul posto, attraverso le “reali battaglie politiche e sociali del paese stesso”, ma di integrare subito questi nuovi militanti nel lavoro internazionale di organizzazione tra cui, centralmente, c’è l’intervento nel paese in cui tali compagni si trovano. E’ per questo che, anche con deboli forze, la nostra organizzazione si sforza di essere subito presente con una pubblicazione locale sotto la responsabilità del nuovo gruppo di compagni perché questa, riteniamo, è la maniera più diretta e più efficace per, da una parte, allargare la nostra influenza e, dall’altra, procedere direttamente alla costruzione della organizzazione rivoluzionaria. Cosa ci sia di artificiale in questo, che senso abbia parlare di gemmazione di organizzazioni precedenti, è tutto da spiegare ancora.
In realtà, queste deformazioni di BC e della CWO sul piano organizzativo affondano le loro radici in una più profonda e generale incomprensione da parte di queste formazioni di qual è la differenza che esiste tra la II e la III Internazionale in conseguenza del cambiamento di periodo storico:
- la seconda metà dell’800 costituisce un periodo favorevole per le lotte per le riforme: il capitalismo è in piena espansione e l’Internazionale è, in questa fase, un’internazionale di partiti nazionali che lottano nei rispettivi paesi con programmi differenti (conquiste democratiche per alcuni, questione nazionale per altri, abbattimento dello zarismo in Russia, leggi "sociali" a favore degli operai in altri paesi, e così via);
- lo scoppio della I guerra mondiale esprime l’esaurimento delle potenzialità del modo di produzione capitalista, la sua incapacità di svilupparsi ulteriormente in modo da garantire un futuro all’umanità. Si apre dunque un’epoca di guerre e di rivoluzioni in cui si pone obiettivamente l’alternativa comunismo o barbarie. In questo contesto, non si pone più il problema di costruire singoli partiti nazionali con compiti specifici locali, ma quello di costruire un solo partito mondiale con un solo programma e una completa unità di azione per dirigere l’azione comune e simultanea del proletariato mondiale verso la rivoluzione ([10]).
I resti di federalismo che sussistono nella IC sono le vestigia del periodo precedente (come la questione parlamentare, per esempio) che pesano ancora sulla nuova internazionale ("il peso delle generazioni morte pesa sul cervello dei viventi" - Marx, Il 18 Brumaio).
In più si può aggiungere che lungo tutta la sua storia (anche quando era normale che l’Internazionale avesse una struttura più federalista) la Sinistra marxista ha sempre lottato contro il federalismo. Ricordiamo gli episodi più significativi:
- Marx e il Consiglio Generale della I Internazionale (AIT) si battono contro il federalismo degli anarchici e il loro tentativo di costruire una organizzazione segreta all’interno della stessa AIT;
- nella II Internazionale, Rosa Luxemburg si batte perché le decisioni del congresso siano realmente applicate dai diversi partiti;
- nella III Internazionale (IC) non è solo la Sinistra che si batte per la centralizzazione, ma gli stessi Lenin e Trotsky fin dall’inizio contro i "particolarismi" di certi partiti che nascondono la loro politica opportunista (per esempio, contro la presenza dei massoni nel Partito francese).
Si potrebbe ancora aggiungere che il processo di formazione di un partito a livello mondiale prima che si siano consolidate o addirittura create le sue componenti nei singoli paesi è proprio il processo di formazione dell’IC ([11]). E’ noto che su questa questione esisteva un disaccordo tra Lenin e Rosa Luxemburg. Quest’ultima era contro la fondazione immediata dell’IC -e aveva dato di conseguenza mandato al delegato tedesco Eberlein di votare contro la sua fondazione- perché lei riteneva che i tempi non fossero maturi per il fatto che la maggior parte dei partiti comunisti non si erano ancora formati e che per questo fatto il partito russo avrebbe avuto un peso troppo grande all’interno dell’IC. I suoi timori sul peso eccessivo che avrebbe avuto il partito russo si sono rivelati purtroppo giusti con il rinculo della fase rivoluzionaria e la degenerazione dell’IC, ma noi pensiamo tuttavia che Lenin avesse ragione a non attendere ulteriormente per fondare l’IC: in effetti, era già troppo tardi rispetto alle esigenze della classe, anche se i comunisti non potevano fare di meglio con la guerra che era terminata qualche mese prima.
Sarebbe interessante sapere dal BIPR il suo parere su questa disputa storica: pensa forse che avesse ragione Rosa contro Lenin a sostenere l’immaturità dei tempi nella fondazione dell’IC?
Questa impostazione federalista sul piano teorico si riflette naturalmente nella sua pratica quotidiana. Le due organizzazioni che formano il BIPR hanno avuto per 13 anni, a partire dalla sua costituzione e fino al 1997, due piattaforme politiche distinte, non hanno momenti assembleari di organizzazione (se non delle singole componenti a cui partecipa una delegazione dell’altra, il che è tutt’altra cosa), non hanno un dibattito visibile tra di loro né sembra che se ne avverta l’esigenza, anche se nei lunghi 16 anni trascorsi dalla costituzione del BIPR si sono spesso avvertite stridenti differenze nella analisi della attualità, nell’impostazione del lavoro internazionale, ecc. La verità è che questo modello di organizzazione, che il BIPR osa elevare al rango di “unica possibile forma organizzativa e di coordinamento” in questo momento, è di fatto la forma di organizzazione opportunista per eccellenza. E’ l’organizzazione che permette di attirare nell’orbita del BIPR nuove organizzazioni conferendo loro l’etichetta di "sinistra comunista” senza forzare eccessivamente la loro natura di origine. Quando il BIPR dice che occorre attendere la maturazione dei tempi naturali della crescita politica delle avanguardie politiche nei diversi paesi, di fatto non fa che esprimere la sua teoria opportunista di non spingere troppo la critica dei gruppi con cui è in contatto per evitare di perderne la fiducia ([12]).
Tutto questo non ce lo siamo inventati, è il semplice bilancio di 16 anni di BIPR che, nonostante tutto il trionfalismo che emerge dalla stampa di questa formazione politica, non ha portato finora a significativi risultati: 2 erano i gruppi che hanno formato il BIPR nel 1984, 2 sono i gruppi che ne fanno parte ancora oggi. E allora forse potrebbe essere di qualche utilità per BC e la CWO passare in rassegna i vari gruppi che si sono avvicinati o che ne hanno fatto parte solo transitoriamente e valutare dove sono andati a finire o perché non sono rimasti agganciati al BIPR. Ad esempio che fine hanno fatto gli iraniani del SUCM-Komala? E i compagni indiani di Al Pataka? E ancora i compagni francesi che hanno costituito addirittura per un breve periodo una terza componente del BIPR?
Come si vede una politica di raggruppamento opportunista è non solo politicamente sbagliata, ma anche una politica perdente.
2. La politica di raggruppamento e di costruzione dell’organizzazione
Su questo secondo punto, naturalmente, non si può che cominciare da Lenin, grande forgiatore di partito e promotore primo della creazione della Internazionale Comunista. Probabilmente uno dei contributi più importanti forniti da Lenin è stata la battaglia che egli ha combattuto e vinto al II Congresso del POSDR nel 1903 sull’articolo 1 dello statuto, per affermare dei criteri stretti di appartenenza al partito:
“Dimenticare la differenza che esiste tra il reparto d’avanguardia e tutte le masse che gravitano verso di esso, dimenticare il costante dovere del reparto d’avanguardia di elevare strati sempre più vasti sino al livello dell’avanguardia, vorrebbe solo dire ingannare se stessi, chiudere gli occhi di fronte all’immensità dei nostri compiti, restringere questi compiti. E si fa precisamente questo quando si cancella ogni differenza fra coloro che aderiscono e coloro che entrano nel partito, fra gli elementi coscienti e attivi e coloro che danno un aiuto” (Lenin, Un passo avanti e due indietro, 1904, in Opere Scelte, Editori Riuniti).
Questa battaglia di Lenin, che portò alla separazione del partito socialdemocratico russo tra bolscevichi (maggioritari) e menscevichi (minoritari) ha un valore storico particolare perché anticipa di diversi anni il nuovo modello di partito, il partito di quadri, più stretto, più adeguato alla nuova fase storica di “guerre o rivoluzioni”, rispetto al vecchio modello di partito di massa, più ampio e meno rigoroso sui criteri di militanza, valido nella fase storica di espansione del capitalismo.
In secondo luogo si pone il problema di come si deve atteggiare questo partito (o frazione o gruppo politico che sia) nei confronti di altre organizzazioni proletarie esistenti. In altri termini come rispondere alla giusta esigenza del raggruppamento delle forze rivoluzionarie nella maniera più efficace possibile? Anche qui possiamo fare riferimento a quella che è stata l’esperienza storica del Movimento Operaio, a partire dal dibattito nell’Internazionale con la Sinistra Italiana sulla questione della integrazione dei centristi nella formazione dei partiti comunisti. La posizione di Bordiga è chiarissima e il suo apporto è fondamentale per l’accettazione da parte della Internazionale di una 21a condizione che indicava che:
“I membri del partito che rifiutino in via di principio le condizioni e le tesi elaborate dall’Internazionale Comunista debbono essere espulsi dal partito. Lo stesso vale specialmente per i delegati ai congressi straordinari” ([13]).
Bordiga, nel 1920, era preoccupato che alcune componenti centriste, che nel ’14 non si erano particolarmente sporcate le mani, potessero trovare conveniente lavorare nei nuovi partiti comunisti piuttosto che nei vecchi partiti socialdemocratici notevolmente screditati:
“Oggi, è molto facile dire che in una nuova guerra non si cadrà più nei vecchi errori, cioè negli errori dell’unione sacra e della difesa nazionale. La rivoluzione è ancora lontana, diranno i centristi, non è un problema immediato. E accetteranno le tesi dell’Internazionale Comunista: il potere dei soviet, la dittatura del proletariato, il terrore rosso (…). Gli elementi di destra accettano le nostre tesi ma in modo insufficiente, con alcune riserve. Noi comunisti dobbiamo esigere che questa accettazione sia totale e senza limiti sia nel campo della teoria che nel campo dell’azione (…). Contro i riformisti dobbiamo erigere barriere insormontabili (…). Di fronte al programma non v’è disciplina: o lo si accetta o non lo si accetta; e in quest’ultimo caso si esce dal partito” (dal discorso di Amadeo Bordiga sulle “Condizioni di ammissione all’IC”, 1920, pubblicato in La Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione, Edizioni sociali, 1976).
Tra gli apporti di Bordiga e della Sinistra Italiana questa è una delle questioni chiave. E’ a partire da questa posizione che Bordiga si scontrerà successivamente con una Internazionale in piena involuzione, battendosi contro la politica della integrazione dei centristi all’interno dei partiti comunisti come corollario della messa al centro della difesa dello Stato russo rispetto a qualunque altro problema ([14]). E’ noto in particolare che l’Internazionale cercò di forzare il PCd’I a integrare nei suoi ranghi l’ala massimalista (di sinistra) del PSI, i cosiddetti “terzinternazionalisti” o “terzini” di Serrati, da cui il PCd’I si era separato nel ’21 all’atto della sua costituzione.
Questo rigore nei rapporti con le correnti moderate, centriste, non ha però mai voluto dire chiusura settaria, rifiuto di dialogo, di discussione, tutt’altro! Anzi, dalle sue origini come frazione astensionista del PSI, la sinistra italiana ha sempre lavorato al recupero delle energie rivoluzionarie rimaste su posizioni centriste, sia per rafforzare i propri ranghi sia per sottrarre queste stesse forze al nemico di classe:
“Benché organizzata in frazione autonoma all’interno del PSI, con un suo organo di stampa, la frazione astensionista cercava prima di tutto di conquistare la maggioranza del partito al suo programma. Gli astensionisti pensavano ancora che ciò fosse possibile, malgrado la schiacciante vittoria della tendenza parlamentarista rappresentata dall’alleanza tra Lazzari e Serrati. La frazione non poteva diventare partito che operando con tutte le sue forze per la conquista di almeno una minoranza significativa. Non abbandonare il terreno prima di aver condotto la lotta fino in fondo sarà sempre la preoccupazione del movimento “bordighista”; e in questo non fu mai una setta, come gli rimproverarono i suoi avversari” ([15]).
Possiamo dunque riassumere dicendo che esistono due aspetti fondamentali che caratterizzano la politica della Sinistra italiana (nella tradizione dei bolscevichi):
- il rigore nei criteri di appartenenza al partito, basato su:
- l’ingaggiamento militante (art. 1 degli statuti del POSDR);
- la chiarezza delle basi programmatiche e la selezione dei militanti;
- l’apertura nella sua politica di discussione con le altre correnti politiche del movimento operaio (vedi ad esempio, tutta la partecipazione della Sinistra italiana alle conferenze che si sono tenute in Francia tra il 1928 e il 1933, o le sue discussioni prolungate con la Ligue des Communistes internationaliste del Belgio con la pubblicazione, nella rivista Bilan, di articoli scritti da militanti della LCIB).
E’ opportuno mettere in evidenza che esiste un legame tra il rigore programmatico e organizzativo della Sinistra italiana e la sua apertura alla discussione: conformemente alla tradizione della Sinistra, essa sviluppa una politica a lungo termine basata sulla chiarezza e la solidità politiche e rigetta i "successi" immediati basati sulle ambiguità che sono la premessa di sconfitte future aprendo la porta all’opportunismo (“L’impazienza è la madre dell’opportunismo”, Trotsky); essa non ha paura di discutere con altre correnti perché ha fiducia nella solidità delle sue posizioni.
Analogamente esiste un legame tra la confusione e l’ambiguità degli opportunisti e il loro “settarismo” che, in genere, è orientato verso la sinistra e non la destra.
Quando si è consapevoli della scarsa solidità delle proprie posizioni, evidentemente si ha timore a confrontarsi con quelle della Sinistra (vedi ad esempio la politica dell’IC dopo il II Congresso che si apre al centro ma che diventa “settaria” nei confronti della Sinistra con, ad esempio, l’esclusione del KAPD; la politica di Trotsky che esclude in maniera burocratica la Sinistra italiana dall’Opposizione internazionale per poter praticare l’entrismo nella socialdemocrazia; la politica del PCInt nel 1945 e dopo che esclude la Sinistra Comunista Francese per poter tranquillamente raggrupparsi con ogni sorta di elementi più che opportunisti e che rifiutano di fare la critica dei loro errori passati).
“Fra le opposizioni, la Frazione italiana ci dà una magnifica lezione di metodo e di responsabilità rivoluzionaria battendosi per il raggruppamento dei rivoluzionari, ma soprattutto per la chiarezza delle posizioni politiche. La sinistra italiana ha sempre messo in evidenza la necessità di un documento di programma contro le politiche manovriere che hanno, d’altronde, rovinato l‘opposizione di sinistra. Così, se doveva esserci una rottura, essa avrebbe potuto compiersi sulla base di testi.
Questo metodo, la sinistra italiana l’aveva fatto suo fin dalla nascita durante la prima guerra mondiale all’interno della II Internazionale; l’aveva poi seguito di nuovo nell’IC in degenerazione dal 1924 fino al I928, data della sua costituzione in frazione a Pantin.
Lo stesso Trotskij ha reso omaggio a questa onestà politica nella sua ultima lettera alla frazione nel dicembre 1932. “La separazione con un onesto gruppo rivoluzionario (sottolineatura nostra) come il vostro non deve essere necessariamente accompagnato da animosità, da attacchi personali o da critiche velenose”.
Al contrario il metodo di Trotskij in seno all’opposizione non ha niente e che vedere con quello del movimento operaio. L’esclusione della sinistra italiana è stata portata avanti con gli stessi procedimenti usati nell’IC stalinizzata, senza un chiaro dibattito che motivasse la rottura. Questo atteggiamento non è stato né il primo, né l’ultimo: Trotskij ha spesso sostenuto degli “avventurieri” che hanno saputo ispirargli fiducia. Per contro tutti i gruppi come la sinistra belga, tedesca, spagnola e tutti i militanti rivoluzionari e di valore come Rosmer, Nin, Landau e Hennaut sono stati scartati o espulsi gli uni dopo gli altri fino a fare dell’Opposizione Internazionale di Sinistra una corrente puramente “trotskista”” ([16]).
E’ attraverso questo calvario di lotta per difendere il patrimonio dell’esperienza del marxismo e con esso la sua stessa identità politica che la Sinistra Italiana finisce per essere, a livello internazionale, la corrente politica che ha meglio espresso la necessità di un partito coerente, escludendo gli incerti ed i centristi ma che al tempo stesso ha sviluppato le migliori capacità per impostare una politica di aggregazione tra forze rivoluzionarie perché si è basata sempre sulla chiarezza delle posizioni e del modo di lavorare.
Il Bipr (e prima di esso il PCInt dal ‘43 in poi) -che reclama di essere l’unico vero erede politico della sinistra italiana- è veramente all’altezza dei nostri progenitori politici? I suoi criteri di adesione al partito sono stretti come Lenin giustamente pretendeva che fossero? Onestamente non ci pare: tutta la storia di questo gruppo è costellata di episodi di “opportunismo nelle questioni organizzative” e, più che applicare gli orientamenti ai quali dice di aderire, il BIPR conduce di fatto una pratica politica che è molto più vicina a quella della IC nella sua fase di degenerazione e dei trotskisti. Ci soffermeremo solo su alcuni esempi storici emblematici per dimostrare quanto diciamo.
1943-46
Nel 1943 si costituisce nel nord Italia il Partito Comunista Internazionale (PCInt). La notizia crea molte aspettative e la direzione del nuovo partito indulge abbondantemente ad una pratica opportunista. A partire dall’ingresso in massa nel PCInt dei vari elementi provenienti dalla lotta partigiana ([17]), o dei vari gruppi del sud alcuni dei quali provenienti dal PSI e dal PCI, altri ancora dal trotskismo, oltre ad una serie di militanti che avevano apertamente rotto con il quadro programmatico e organizzativo cui aderivano per lanciarsi in avventure esplicitamente controrivoluzionarie, come la minoranza della Frazione del PCI all’estero che va a “partecipare” alla guerra di Spagna ’36, Vercesi che partecipa alla “Coalizione Antifascista” di Bruxelles nel 1943 ([18]). Naturalmente da nessuno di questi militanti che andavano ad ingrossare le fila del nuovo partito si è preteso mai una reale resa di conto della precedente attività politica. E, in tema di adesione allo spirito e alla lettera di Lenin, che dire dello stesso Bordiga, che partecipa alle attività del partito fino al ’52 ([19]), contribuendo attivamente a ispirarne la linea politica e scrivendo anche una piattaforma politica approvata dal partito … senza neanche esserne militante?
In questa fase è la Frazione Francese della Gauche Communiste (FFGC, Internationalisme) che prende il testimone della linea di sinistra, recuperando e rafforzando l’eredità politica della Frazione italiana all’estero (Bilan). Ed è appunto la FFGC che pone al PCInt il problema delle integrazioni di Vercesi e della minoranza di Bilan fatte senza chiedere loro alcun conto politico degli errori del passato e ancora della stessa costituzione del partito in Italia fatta ignorando completamente il lavoro di “bilancio” svolto per 10 anni dalla Frazione all’estero.
Nel ‘45 viene costituito un Bureau internazionale tra il PCInt, la Frazione belga e una Frazione francese “doppione” rispetto alla FFGC. Di fatto questa FFGC-bis era stata costituita a partire da una scissione di due elementi appartenenti alla Commissione Esecutiva (CE) della FFGC che avevano preso contatto con Vercesi a Bruxelles e probabilmente si erano fatti convincere dalle sue argomentazioni, dopo essere stati sostenitori della tesi della sua esclusione immediata, senza discussione” ([20]).- Di questi due una era molto giovane ed inesperta (Suzanne), mentre l’altro veniva dal POUM spagnolo (e finisce successivamente in Socialisme ou Barbarie). La FFGC-bis si è poi “rafforzata” con l’entrata di elementi della minoranza di Bilan e della vecchia Union Comuniste (Chazé, etc.) che la Frazione aveva severamente criticato per le loro concessioni all’antifascismo durante la guerra di Spagna.
Di fatto la creazione di questa Frazione doppione risponde all’esigenza di togliere credibilità a Internationalisme. Come si vede la storia si ripete, nella misura in cui Il PCInt non fa che ripetere la stessa manovra portata avanti nel 1930 all’interno della Opposizione contro la Frazione Italiana attraverso la costituzione della Nuova Opposizione Italiana (NOI), gruppo formato da ex stalinisti che solo due mesi prima si erano sporcati le mani espellendo Bordiga dal PCI e la cui funzione politica non poteva che essere quella di fare una provocatoria concorrenza politica alla Frazione.
La GCF scrive il 28 novembre 1946 al PCInt una lettera con un’appendice in cui si fa l’elenco di tutte le questioni da dibattere e che riguardavano una serie di mancanze di cui si erano resi responsabili varie componenti della Sinistra Comunista Italiana durante il periodo bellico (Internationalisme n. 16). A questa lettera di 10 pagine il PCInt risponde in maniera lapidaria con le seguenti parole:
Riunione del Bureau Internazionale – Parigi:
“Poiché la vostra lettera dimostra, ancora una volta, la costante deformazione dei fatti e delle posizioni politiche prese, sia dal PCI d’Italia, sia dalle Frazioni belga e francese; che voi non costituite una organizzazione politica rivoluzionaria e che la vostra attività si limita a seminare confusione e a buttare fango sui nostri compagni, noi abbiamo escluso all’unanimità la possibilità di accettare la vostra domanda di partecipazione alla riunione internazionale delle organizzazioni della GCI”.
E’ proprio vero che la storia su ripete, una volta come tragedia, la seconda volta come farsa: la GCI viene esclusa in maniera burocratica dall’IC dopo il 1926, viene poi ugualmente esclusa dall’Opposizione di sinistra nel 1933 (vedi il nostro opuscolo sulla Sinistra Comunista Italiana), adesso tocca alla GCI di escludere burocraticamente la Frazione francese dai suoi ranghi per evitare il confronto politico.
Anni ‘50
L’eclettismo delle posizioni politiche fa sì che, successivamente, ognuno vada per conto proprio. Con la scissione del 1952, la componente bordighista gioca il ruolo dell’“intransigente” della sinistra italiana, ma spinta alla caricatura: non si discute con nessuno, ecc. L’altra componente, il PCInt/Battaglia Comunista, gioca invece il ruolo dell’“apertura” e, nell’autunno del 1956, assieme ai GAAP ([21]), ai troskisti dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR) e ad Azione Comunista ([22]) costituisce un Movimento per la Sinistra Comunista il cui carattere più saliente è l’eterogeneità e la confusione. Questi quattro gruppi saranno chiamati ironicamente da Bordiga il “quadrifoglio”.
Anni ‘70
Nei primi mesi del 1976 Battaglia Comunista lancia “una proposta per cominciare”, indirizzata “ai gruppi internazionali della Sinistra Comunista” in cui invita:
- ad una conferenza internazionale per fare il punto sullo stato dei gruppi che si richiamano alla Sinistra Comunista Internazionale;
- a creare un centro di contatto e di discussione internazionale.
La CCI aderisce in maniera convinta alla conferenza, chiedendo però la definizione di criteri politici minimi per partecipare. BC, abituata a ben altre conferenze (vedi sopra), è riluttante a tracciare delle linee più strette: ha evidentemente timore di chiudere la porta a qualcuno.
La prima Conferenza si svolge a Milano nel maggio 1977 con soli due partecipanti, BC e CCI, ma BC si oppone a qualunque pronunciamento esterno, ivi compresa una critica dei gruppi invitati e che non avevano aderito alla Conferenza.
Alla fine del 1978 si tiene la II Conferenza a Parigi dove finalmente diversi gruppi partecipano ai lavori. Alla fine della conferenza si torna sulla questione dei criteri di adesione e stavolta è BC che suggerisce dei criteri più stretti:
“I criteri devono permettere di escludere i consiliaristi da queste Conferenze, e noi dobbiamo dunque insistere sul riconoscimento della necessità storica del Partito come criterio essenziale”, a cui noi rispondevamo ricordando la “nostra insistenza in occasione della prima Conferenza perché ci fossero dei criteri. Oggi, noi pensiamo che l’adozione di criteri supplementari non sia opportuna. Questo non è per mancanza di chiarezza, sia sulla questione dei criteri in sé che sulla questione nazionale o sindacale, ma perché è prematuro. Vi è ancora una grande confusione nell’insieme del movimento rivoluzionario su questi temi; e il NCI ha ragione ad insistere sulla visione dinamica dei gruppi politici ai quali noi chiuderemmo prematuramente la porta” ([23]).
Nella prima metà del 1980 si tiene la III e ultima Conferenza Internazionale la cui atmosfera esprime dall’inizio l’epilogo che questa avrebbe avuto. Al di là del merito delle discussioni, si manifesta in questa Conferenza la volontà precisa da parte di BC di escludere la CCI da eventuali ulteriori conferenze. Come nella Favola di Fedro, dove il lupo, non riuscendo ad accusare l’agnel-lo di avergli sporcato l’acqua del fiume in cui beveva, finisce per attribuire la responsabilità al padre dell’agnello e trovare così una giustificazione per sbranarlo. Allo stesso modo BC, vedendo sempre più nella CCI non un gruppo dello stesso fronte con cui arrivare eventualmente verso una chiarificazione a vantaggio di tutti i compagni e i nuovi gruppi in via di formazione, ma un pericoloso concorrente nell’accaparramento di tali compagni e di tali nuovi gruppi, alla fine ha trovato l’espediente di fare approvare dalla conferenza un criterio politico di ammissione ancora più stretto e selettivo per escludere definitivamente la CCI ([24]).
In conclusione si passa dalla I Conferenza, dove non solo non viene posto, ma viene addirittura osteggiato, ogni criterio politico di adesione, alla III Conferenza alla fine della quale vengono imposti dei criteri creati ad hoc per eliminare la CCI, cioè la componente di sinistra all’interno delle conferenze. La 3a Conferenza è un remake dell’esclusione della GCF del ’45 e dunque l’infausto prolungamento dei precedenti episodi di esclusione della SCI dall’IC (1926) e dall’Opposizione (1933).
La responsabilità politica assunta da BC (e dalla CWO) in questa circostanza è enorme: solo qualche mese dopo (agosto ’80) scoppia lo sciopero di massa in Polonia e il proletariato mondiale perde un’occasione d’oro di ricevere un intervento coordinato da parte dell’insieme dei gruppi della sinistra comunista.
Ma non finisce qui. Dopo qualche tempo BC e CWO, per dimostrare che non avevano distrutto un ciclo di tre conferenze e quattro anni di lavoro internazionale per niente, si inventano una quarta conferenza cui, oltre a loro, partecipa un sedicente gruppo rivoluzionario iraniano, contro il quale noi avevamo peraltro messo in guardia la stessa BC. E’ solo a distanza di qualche anno che il BIPR finalmente fa il mea culpa riconoscendo che questo gruppo di iraniani certamente rivoluzionario non era.
Anni ‘90
Arriviamo così alla fase recente degli ultimissimi anni trascorsi, rispetto ai quali noi avevamo segnalato una debole ma incoraggiante apertura al dialogo e al confronto all’interno del campo politico proletario ([25]). L’aspetto per certi versi più interessante era l’inizio di integrazione nell’attività di intervento che si stava realizzando tra la CCI e il BIPR (attraverso la sua componente inglese della CWO). Intervento concertato assieme quando non fatto addirittura in comune nei confronti, ad esempio, delle conferenze su Trotskij tenute in Russia, una riunione pubblica sulla Rivoluzione del ’17 organizzata e tenuta assieme a Londra, una comune difesa contro l’attacco di certe formazioni parassitarie, ecc. ecc. Noi abbiamo sempre condotto questi interventi con il chiaro proposito di non fagocitare chicchessia, di non creare dei cunei all’interno del BIPR tra BC e la CWO. Certo è che la maggiore apertura della CWO e la sorda assenza di BC ci ha sempre preoccupato. E alla fine, quando BC ha ritenuto che la misura fosse colma, ha fatto quadrato intorno a sé e ha chiamato i propri partner all’obbedienza di partito, pardon, di BIPR. Da quel momento in poi tutto quello che prima era stato considerato ragionevole e normale per la CWO ha cominciato a cambiare. Niente più coordinamento del lavoro in Russia, niente più riunioni pubbliche in comune, e così via. E ancora una volta una grave responsabilità grava sulle spalle del BIPR che ha consentito che per opportunismo di bottega il proletariato mondiale dovesse affrontare uno degli episodi più difficili dell’attuale fase storica, la guerra nel Kosovo, senza che la sua avanguardia riuscisse a esprimere una presa di posizione comune.
Per avere tutta la misura dell’opportunismo del BIPR a proposito del suo rifiuto al nostro appello sulla guerra è istruttivo andare a rileggere un articolo comparso su BC del novembre ‘95, “Equi-voci sulla guerra nei Balcani”. BC racconta di aver ricevuto dall’OCI ([26]) una lettera/invito a una Assemblea nazionale contro la guerra da tenersi a Milano e di aver considerato “il contenuto della lettera interessante e fortemente correttivo rispetto alle posizioni assunte dall’OCI a proposito della guerra del Golfo, di sostegno al “popolo iracheno attaccato dall’imperialismo” e fortemente polemiche nei confronti di un nostro preteso indifferentismo. (…) Manca il riferimento alla crisi del ciclo di accumulazione (…) e l’essenziale esame delle sue conseguenze sulla Federazione Yugoslavia (…). Ma non ci sembrava precludere una possibilità di iniziativa congiunta di chi si oppone alla guerra sul piano di classe” (sottolineato da noi). Come si vede, soltanto 4 anni fa, in una situazione anche meno grave di quella che abbiamo vissuto con la guerra nel Kosovo, BC sarebbe stata pronta a promuovere una iniziativa comune con un gruppo ormai chiaramente controrivoluzionario ([27]) pur di soddisfare le sue mene attivistiche, mentre alla CCI ha avuto il coraggio di dire di no perché… ha posizioni troppo distanti. Questo sì che è opportunismo.
3. Conclusioni
In questo articolo ci siamo dedicati a rispondere alla tesi del BIPR secondo cui organizzazioni come la nostra si sarebbero estraniate dal metodo e dalle prospettive di lavoro che condurranno alla aggregazione del futuro partito rivoluzionario. Per fare questo abbiamo preso in considerazione i due livelli a cui si pone il problema dell’organizzazione, e su entrambi abbiamo dimostrato che è il BIPR, e non la CCI, ad uscire fuori dalla tradizione della sinistra comunista italiana e internazionale. Di fatto l’eclettismo che guida il BIPR nella sua politica di raggruppamento somiglia tanto a quella di un Trotskij alle prese con l’edificazione della sua IV Internazionale; la visione della CCI è invece quella della Frazione italiana, che ha sempre combattuto per un raggruppamento fatto nella chiarezza e sulla base del quale recuperare gli elementi del centro, gli esitanti.
A dispetto dei vari eredi presunti, la reale continuità della Frazione italiana è rappresentata oggi dalla CCI, organizzazione che si richiama e fa proprie tutte le battaglie degli anni ‘20, degli anni ‘30 e degli anni ‘40.
31 agosto 2000 Ezechiele
[1] BIPR sta per Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario ed è una organizzazione internazionale che collega le due organizzazioni Communist Workers Organisation di Gran Bretagna e il Partito Comunista Internazionalista d’Italia.
[2] Pubblicato su Battaglia Comunista n. 1, gennaio 2000 e su Internationalist Communist n. 18, inverno 2000.
[3] 21 erano anche le condizioni di adesione all’IC!
[4] A proposito dell’appello lanciato dalla CCI sulla guerra in Serbia. L’offensiva guerriera della borghesia esige una risposta unita da parte dei rivoluzionari. Revue Internationale n. 98, luglio 1999.
[5] Vedi anche Il metodo marxista e l’appello della CCI sulla guerra nella ex-Jugoslavia, Rivista Internazionale n. 23, marzo 2000.
[6] Si tratta dei punti 13 e 16 dove sussistono divergenze non di fondo ma relative all’analisi dell’attualità.
[7] Dei resoconti e delle valutazioni critiche di queste conferenze possono essere ritrovati in vari articoli della nostra Rivista Internazionale e in appositi opuscoli richiedibili al nostro indirizzo.
[8] “Durante tutto questo periodo (1930), Trotskij è informato attraverso le lettere di Rosmer. Quest’ultimo, sfavorevole alla sinistra italiana, “blocca tutte le discussioni”. Critica Prometeo che vorrebbe creare, inizialmente, delle sezioni nazionali, prima della Internazionale, e dà l’esempio di Marx e di Engels che “hanno cominciato nel 1847 il movimento comunista con un documento internazionale e con la creazione della 1a Internazionale.” Questa argomentazione merita di essere sottolineata poiché essa sarà spesso ripresa, a torto, contro la Frazione italiana” (CCI, Rapporti tra la Frazione di sinistra del PCd’I d’Italia e l’Opposizione di Sinistra Internazionale. 1923-1933).
[9] BIPR, Verso la Nuova Internazionale, Prometeo n. 1, serie VI, giugno 2000.
[10] Per una impostazione generale sul problema vedi l'articolo “Sul partito e i suoi rapporti con la classe”, testo approvato al V Congresso della CCI e pubblicato nella Revue Internationale n. 35.
[11] “I delegati (al Congresso di fondazione dell’IC) … sono per la maggior parte bolscevichi ed anche coloro che, in un modo o nell’altro, si proclamano rappresentanti del PC di Polonia e di quelli della Lettonia, dell’Ucraina, della Lituania, della Bielorussia, dell’Armenia, del gruppo unificato dei popoli della Russia orientale possono senza dubbio essere considerati rappresentanti di sezioni distaccate del partito bolscevico. (…). I soli che vengono dall’estero sono i due delegati svizzeri, Fritz Platten e Katscher, il tedesco Eberlein …, il norvegese Stange e lo svedese Grimlund, il francese Guilbeaux. Ma anche in questo caso, la loro rappresentatività può essere discussa. (…) Non restano dunque che due delegati ad avere un mandato incontestabile, lo svedese Grimlund ed Eberlein…” (da Pierre Broué, Le origini dell’Internazionale Comunista, EDI, Paris 1974, p. 35-36).
[12] E’ questa la critica che abbiamo fatto a BC a proposito della sua gestione opportunista dei rapporti con gli elementi del GLP, formazione politica i cui componenti, in rottura con l’autonomia, hanno raggiunto una mezza chiarezza, portando però con sé anche una buona dose delle confusioni di partenza: “Un intervento che, lungi dal favorire la chiarificazione di questi (elementi, ndr) e il loro definitivo approdo verso una coerenza rivoluzionaria, ne ha invece bloccato la possibile evoluzione” (da “I Gruppi di Lotta Proletaria”: un tentativo incompiuto di raggiungere una coerenza rivoluzionaria, su Rivoluzione Internazionale n. 106).
[13] Testo della 21° delle Condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista approvate dal secondo congresso del Comintern, 6 agosto 1920, riportate in Jane Degras (a cura di), Storia dell’Internazionale Comunista, Feltrinelli, 1975).
[14] Questa politica portò come conseguenza alla emarginazione delle energie rivoluzionarie all’interno di partiti e ad esporle più facilmente alla repressione e al massacro, come nel caso della Cina.
[15] CCI, La Sinistra Comunista Italiana 1927-1952.
[16] Dall’opuscolo della CCI: Rapporti tra la Frazione di sinistra del PCd’I d’Italia e l’Opposizione di Sinistra Internazionale. 1923-1933.
[17]Vedi: Le ambiguità sulla natura di classe della “resistenza” nella fondazione del Partito Comunista Internazionalista (1943). Lettera di Battaglia Comunista e Risposta della CCI. In Rivoluzione Internazionale n. 7. Vedi anche: CCI, Storia della Sinistra comunista italiana, pag. 200.
[18] Vedi i due articoli All’origine della CCI e del BIPR, I e II parte, in Rivista Internazionale n. 22 e l’articolo A proposito dell’opuscolo “Tra le ombre del bordighismo e dei suoi epigoni, in Rivoluzione Internazionale n. 108.
[19] Anno della scissione tra l’attuale Battaglia Comunista e la componente “bordighista” del PCInt.
[20] CCI, La Sinistra Comunista Italiana 1927-1952, pag. 191-193.
[21] Alcuni ex partigiani fra cui Cervetto, Masini e Parodi aderiscono al movimento anarchico cercando di coagularsi come tendenza classista in seno ad esso con la costituzione dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) nel febbraio 1951 aventi come organo di stampa “L’Impulso”.
[22] AC nasce nel 1954 come tendenza del PCI formata da Seniga, Raimondi, ex partigiano, e Fortichiari, uno dei fondatori del PCd’I nel 1921 e rientrato nel PCI dopo esserne stato espulso. Seniga era un collaboratore di Pietro Secchia, colui che durante la resistenza definiva i gruppi alla sinistra del PCI “maschera della Gestapo” e invitava ad eliminare fisicamente i militanti di “Prometeo”. Sarà la fusione di una componente di AC con i GAAP a formare nel ’65 il gruppo Lotta Comunista.
[23] Il processo verbale della Conferenza è riprodotto in Textes preparatoires (suite), compte-rendu, correspondance de la 2e Conference des Groupes de la Gauche Communiste, Parigi, novembre ’78.
[24] Vedi Terza Conferenza internazionale dei gruppi della Sinistra comunista (Parigi, maggio 1980): Il settarismo, un’eredità da superare della controrivoluzione, in Revue Internationale n. 22, 3° trimestre 1980. Vedi pure i verbali della III Conferenza pubblicati in francese dalla CCI sottoforma di brochure ed in italiano da BC (come numero speciale di Prometeo). Nell’edizione francese è inoltre presente una nostra presa di posizione sulla conclusione delle conferenze.
[25] 6° Congresso del Partito Comunista Internazionalista. Un passo avanti per la Sinistra Comunista, in Revue Internationale n. 92; Dibattito tra i gruppi “bordighisti”. Una evoluzione significativa del campo politico proletario, in Revue Internationale n. 93; A proposito dell’opuscolo “Tra le ombre del bordighismo e dei suoi epigoni, in Rivoluzione Internazionale n. 108.
[26] OCI, Organizzazione Comunista Internazionalista.
[27] Occorre veramente tutto l’opportunismo di BC per cercare, nell’autunno ’95, dei collegamenti con un’organizzazione che, almeno da 5 anni, dalla guerra del Golfo Persico, non faceva che appoggiare un fronte imperialista contro un altro partecipando così all’intruppamento del proletariato nella carneficina imperialista. Vedi a tale proposito gli articoli pubblicati su Rivoluzione Internazionale: L’OCI: la calunnia è un venticello, n. 76, giugno ‘92; Le farneticazioni dell’OCI, n. 69, aprile ‘91; I pescecani del golfo, n. 67, dicembre ’90.