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Trenta anni fa si svolgeva in Francia un grande movimento di lotta che vide in campo 10 milioni di lavoratori in sciopero per circa un mese. E' ben difficile che i giovani compagni che oggi si avvicinano alle posizioni rivoluzionarie sappiano cosa successe in quel mese di tanti anni fa. E questo non per loro colpa. In realtà la borghesia ha sempre mistificato il significato profondo di quegli avvenimenti e gli storici borghesi (di destra o di sinistra non fa differenza) lo hanno sempre presentato come la ”rivolta studentesca", la più importante di un movimento che si ebbe anche in Italia, negli USA, e un po' in tutti i paesi più industrializzati. Non c'è da meravigliarsi. La borghesia cerca da sempre di nascondere agli occhi del proletariato le proprie lotte passate, e quando non ci riesce fa di tutto per mistificarle, per presentarle come altra cosa rispetto alle manifestazioni dell'antagonismo storico e irriducibile della principale classe sfruttata della nostra epoca e la classe dominante e responsabile di questo sfruttamento. Oggi la borghesia sta addirittura cercando di snaturare il significato della Rivoluzione d'ottobre, presentata come il colpo di Stato dei bolscevichi assetati di sangue e di potere invece che per quello che fu veramente: il più grandioso tentativo di una classe sfruttata di dare “l'assalto al cielo", di prendere il potere politico per cominciare a trasformare la società in senso comunista, cioè verso l'abolizione di ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Lo fa per esorcizzare il pericolo che la memoria storica costituisce come arma per il proletariato. E proprio perché per il proletariato la conoscenza delle proprie esperienze passate è indispensabile per preparare le battaglie presenti e future, tocca ai rivoluzionari, all'avanguardia politica di questa classe, ricordarle e riproporle all'insieme del proletariato.
Gli avvenimenti del Maggio '68
Trenta anni fa, il 3 maggio, veniva organizzata all’interno della Sorbona, a Parigi, una assemblea di alcune centinaia di studenti da parte dell’UNEF (un sindacato studentesco) e del “Movimento del 22 marzo” (Formato alla Facoltà di Nanterre, nella periferia parigina, qualche settimana prima).
I discorsi teorici del leader gauchistes non avevano niente di particolarmente esaltante, ma a un certo punto una voce si propaga: “Occidente sta per attaccare”. Questo movimento di estrema destra dà quindi alla polizia il pretesto per “interporsi” tra i due schieramenti. Si trattava in realtà di spezzare l’agitazione studentesca che da qualche settimana si sviluppava a Nanterre, semplice manifestazione della rabbia degli studenti, legata a motivi diversi, dalla contestazione al baronato universitario, alla rivendicazione di una maggiore libertà individuale e sessuale nella vita interna dell’Università.
E tuttavia “l’impossibile si era verificato”; per parecchi giorni l’agitazione prosegue al quartiere latino. Ogni sera essa aumenta di un poco: ogni manifestazione, ogni incontro raccoglierà un po’ più di gente della volta precedente: diecimila, trentamila, cinquantamila persone. Gli scontri con la polizia sono anch’essi sempre più violenti. Nelle piazze i giovani operai si uniscono alla lotta malgrado l’ostilità apertamente dichiarata del PCF, che getta fango sugli “arrabbiati” e sull’”anarchico tedesco” Daniel Cohn-Bendit; la CGT (sindacato di obbedienza stalinista) per non essere completamente scavalcata è costretta a “riconoscere” il movimento di scioperi operai che si sviluppa spontaneamente e che si generalizza rapidamente: 10 milioni di scioperanti scuotono il torpore della 5^ Repubblica e segnano in maniera eclatante il risveglio del proletariato mondiale.
Lo sciopero scoppiato il 14 maggio a Sud-Aviation, che si è esteso spontaneamente, prende da subito un carattere radicale rispetto a quelle che erano state fino ad allora le “azioni” organizzate dai sindacati. Nei settori essenziali della metallurgia e dei trasporti lo sciopero è quasi generale. I sindacati sono scavalcati da un’agitazione che si distacca dalla loro politica tradizionale e da un movimento che prende da subito un carattere esteso e spesso poco preciso, ispirato, com’era, da una inquietudine profonda anche se poco “cosciente”.
Negli scontri che si verificano un ruolo importante è giocato dai disoccupati, quelli che la stampa borghese chiama i “declassati”. Ora, questi “declassati”, questi “deviati” sono proletari a tutti gli effetti. Infatti sono proletari non solo gli operai e i licenziati, ma anche quelli che non hanno ancora potuto lavorare e sono già disoccupati. Essi sono il prodotto tipico della decadenza del capitalismo: nella disoccupazione di massa che colpisce i giovani si mostra uno dei limiti storici del capitalismo che, a causa della sovrapproduzione generalizzata, è diventato incapace di integrare le nuove generazioni nel processo di produzione.
Ma questo movimento sviluppatosi al di fuori dei sindacati, e in una certa misura contro di essi, poiché rompe con i metodi di lotta che essi avevano predicato in ogni occasione, è presto oggetto delle attenzioni dei sindacati che fanno di tutto per riprenderne il controllo.
Fin dal venerdì 17 maggio la CGT diffonde dappertutto un volantino che precisa bene i limiti che essa intende dare alla sua azione: da una parte delle rivendicazioni di tipo tradizionale accoppiate ad accordi tipo quelli di Matignon del giugno 1936 che garantiscono l’esistenza di sezioni sindacali di fabbrica; dall’altra un appello a un cambiamento di governo, cioè elezioni. Diffidenti nei confronti dei sindacati durante lo sciopero, scoppiato al di fuori di questi ed esteso spontaneamente, gli operai hanno tuttavia agito, durante lo sciopero, come se essi trovassero normale che i sindacati si potessero incaricare di porvi fine.
Costretto a seguire il movimento per non perderne il controllo, il sindacato riesce nel suo intento e comincia allora un doppio lavoro, con l'aiuto prezioso del PCF: da un lato comincia i negoziati con il governo, dall'altro invita alla calma, a non turbare il sereno svolgimento delle elezioni, facendo circolare anche, con discrezione, voci di un possibile colpo di Stato, di movimenti di truppe alla periferia delle città. In realtà, benché presa di sorpresa, benché spaventata dalla radicalità del movimento, la borghesia non aveva nessuna intenzione di passare alla repressione militare. Essa sapeva bene che questo avrebbe rilanciato il movimento, mettendo fuori gioco i ”conciliatori" sindacali, costringendola ad un bagno di sangue che sarebbe stato un prezzo troppo alto che avrebbe poi dovuto scontare in seguito. E in realtà le sue forze di repressione la borghesia le aveva già messo in campo, non tanto i CRS che disperdevano ed attaccavano le manifestazioni e le barricate, ma i poliziotti di fabbrica sindacali, ben più abili e pericolosi di quelli in divisa, perché svolgono il loro sporco lavoro di divisione tra le fila stesse degli operai.
La prima operazione di polizia il sindacato la realizza favorendo l'occupazione delle fabbriche, riuscendo cioè a chiudere gli operai sui loro luoghi di lavoro, togliendo loro la possibilità di riunirsi, discutere, confrontarsi nelle piazze.
Il 27 maggio il sindacato annuncia di aver firmato un accordo con il governo (gli accordi di Grenelle).
Alla Renault, prima fabbrica del paese, il segretario generale della CGT è fischiato dagli operai che considerano che la loro lotta è stata svenduta. Dappertutto gli operai assumono lo stesso atteggiamento: il numero di scioperanti aumenta ancora. Molti operai strappano le tessere sindacali.
Perciò sindacati e governo si dividono il lavoro. La CGT, che ha immediatamente sconfessato gli accordi di Grenelle che aveva già sottoscritto, dichiara che bisogna “aprire negoziati settore per settore per avere dei miglioramenti”. Il governo e il padronato accettano il gioco, facendo qualche importante concessione in alcuni settori, il che permette di ottenere una ripresa del lavoro. Allo stesso tempo, il 30 maggio, De Gaulle accetta la richiesta dei partiti di sinistra: scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni. Lo stesso giorno centinaia di migliaia di gaullisti sfilano per gli Champs Elisés; raggruppamento eterogeneo di tutti quelli che hanno un odio viscerale per la classe operaia e i “comunisti”: abitanti dei quartieri nobili e militari in pensione, suore e portinaie, piccoli commercianti, tutto questo bel mondo sfila dietro i ministri di De Gaulle, con André Malraux alla testa (lo scrittore antifascista molto noto per il suo impegno nella guerra di Spagna del 1936).
Anche i sindacati si dividono il lavoro al loro interno: alla CFDT (sindacato cristiano) tocca il compito di vestirsi da “radicale”, al fine di conservare il controllo degli operai più combattivi. La CGT si distingue invece nel ruolo di “spezzasciopero”. Nelle assemblee essa propone la fine dello sciopero, sostenendo che gli operai delle fabbriche vicine hanno già ripreso il lavoro, il che è una menzogna.
Il PCF, a sua volta, chiama alla “calma”, a un “atteg-giamento responsabile” (agitando anche lo spettro della guerra civile e della repressione poliziesca) per non turbare le elezioni che si dovevano tenere il 23 e il 30 giugno. Queste si concludono con una schiacciante vittoria della destra, cosa che scoraggia ancora di più gli operai più combattivi che avevano proseguito lo sciopero fino ad allora.
Lo sciopero generale, malgrado i suoi limiti, ha contribuito con il suo immenso slancio alla ripresa generale della lotta di classe. Dopo una serie ininterrotta di passi indietro, dopo il suo schiacciamento alla fine dell’ondata rivoluzionaria degli anni 1917-23, gli avvenimenti di maggio-giugno 1968 costituiscono una svolta decisiva, non solo in Francia, ma nel mondo intero. Gli scioperi hanno scosso non solo il potere dominante, ma anche quelli che costituiscono il suo supporto più efficace e più difficile da abbattere: la sinistra e i sindacati.
Un “movimento degli studenti"?
Passata la sorpresa e il panico iniziali, la borghesia si è impegnata a trovare delle spiegazioni per questi avvenimenti che rimettessero a posto la sua tranquillità. Non ci si deve meravigliare quindi che la sinistra utilizza il movimento degli studenti per esorcizzare il vero spettro che si leva davanti agli occhi della borghesia impaurita, il proletariato, e che limiti gli avvenimenti sociali a una semplice contesa ideologica tra generazioni. Il Maggio 68 è presentato come il risultato del disorientamento della gioventù di fronte alle inadeguatezze del mondo moderno.
E’ più che evidente che il maggio 68 è effettivamente marcato da una decomposizione certa dei valori dell’ideologia dominante, ma questa rivolta “culturale” non è la causa reale del conflitto. In effetti Marx ci ha mostrato, nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica che “con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere costatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo.”
Tutte le manifestazioni di crisi ideologica trovano le loro radici nella crisi economica, non il contrario. E’ lo stato della crisi che determina il corso delle cose. Il movimento studentesco è certo una espressione della decomposizione generale dell’ideologia borghese. Esso è l’annunciatore di un movimento sociale più fondamentale. Ma per il posto che l’università assume nel sistema di produzione essa ha solo eccezionalmente un legame con la lotta di classe.
Maggio 68 non fu un movimento degli studenti e dei giovani, fu innanzitutto il movimento della classe operaia che risorgeva dopo decenni di controrivoluzione. E lo stesso movimento studentesco fu spinto alla radicalizzazione da questa stessa presenza della classe operaia.
Gli studenti infatti non sono una classe, e meno ancora uno strato sociale rivoluzionario. Anzi, essi sono spesso i veicolatori della peggiore ideologia borghese. Se nel 68 migliaia di giovani furono influenzati dalle idee rivoluzionarie fu proprio perché in campo era scesa l'unica classe rivoluzionaria della nostra epoca, la classe operaia.
Con questa sua discesa in campo, la classe operaia faceva giustizia anche di tutte quelle teorie che ne avevano decretato la “morte" per “imborghesimento", per “integrazione nel sistema capitalista". Come spiegare altrimenti che queste teorie, fino ad allora ampiamente maggioritarie proprio nell’ambiente universitario in cui erano nate grazie ai Marcuse, Adorno e compagnia, svanirono come neve al sole, e gli stessi studenti si rivolgevano alla classe operaia, anche se proponendosi come sue ”mosche cocchiere" ?
E come spiegare ancora che negli anni successivi gli studenti, benché continuando ad agitarsi per gli stessi motivi di allora, hanno smesso di proclamarsi rivoluzionari?
No, il maggio 68 non fu la rivolta della gioventù contro le ”inadeguatezze del mondo moderno", non fu la rivolta delle coscienze, ma il primo sintomo di uno sconvolgimento sociale che aveva radici ben più profonde che non il mondo della sovrastruttura, ma che pescavano nella crisi del modo di produzione capitalista.
Lungi dal costituire il trionfo delle teorie marcusiane, il maggio 68 ne decretò la morte per mancanza di alimento, le seppellì nel mondo fantasioso delle ideologie da cui erano state partorite.
No, l'inizio della ripresa storica della lotta della classe operaia
Lo sciopero generale di 10 milioni di operai in un paese centrale del capitalismo segnava la fine del periodo di controrivoluzione apertosi con la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria degli anni venti e proseguito e approfondito dall'azione contemporanea del fascismo e dello stalinismo. La metà degli anni sessanta segnava la fine del periodo di ricostruzione apertosi dopo la Seconda Guerra mondiale e l'inizio di una nuova crisi generalizzata del sistema capitalista.
I primi colpi di questa crisi colpirono una nuova generazione di operai che non aveva conosciuto la demoralizzazione della sconfitta degli anni venti e che era cresciuta nel mito del boom economico. La crisi colpiva allora ancora molto leggermente, ma la classe operaia cominciava a sentire che qualcosa cambiava:
“Un sentimento di insicurezza sul futuro si sviluppa tra gli operai e soprattutto fra i giovani. Questo sentimento è tanto più vivo in quanto era praticamente sconosciuto agli operai francesi dopo la guerra.
(...) Le masse hanno sempre più fortemente la sensazione che la prosperità è finita. L’indifferenza e il menefreghismo, le caratteristiche tanto ricordate degli operai degli ultimi 15 anni, cedono il passo a una inquietudine sorda e crescente.
(...) Bisogna riconoscere che una tale esplosione si basa su una lunga accumulazione di un malcontento reale, legato alla situazione economica e lavorativa, che si riscontra nelle masse anche se un osservatore superficiale non se ne rende conto.” (1)
Ed in effetti non era un osservatore superficiale che poteva capire ciò che avveniva nel profondo del mondo capitalista di allora. Non a caso un gruppo, radicale ma senza solide basi marxiste, come l'Internazionale Situazionista, scriveva, a ridosso degli avvenimenti del maggio 68, che:
“Non si poteva notare nessuna tendenza alla crisi economica... Lo scoppio rivoluzionario non era venuto da una crisi economica... Quello che è stato attaccato di faccia nel Maggio è l’economia capitalista in buona salute” (2)
La realtà era ben diversa e gli operai cominciavano a percepirla sulla loro pelle.
Dopo il 1945 l’aiuto degli Stati Uniti permise il rilancio della produzione in Europa che paga in parte i suoi debiti cedendo le sue imprese alle compagnie americane. Ma dopo il 1955 gli USA cessano il loro aiuto “gratuito”. La bilancia commerciale di questi è in avanzo, mentre quella della maggioranza degli altri paesi è in deficit. I capitali americani continuano a essere investiti rapidamente in Europa più che nel resto del mondo, il che equilibra la bilancia dei pagamenti dei paesi europei, ma squilibra quella americana. Questa situazione porta a un indebitamento crescente del tesoro americano, giacchè i dollari emessi e investiti in Europa o nel resto del mondo costituiscono un debito degli USA rispetto ai detentori di questa moneta. A partire dagli anni sessanta questo debito estero sorpassa le riserve d’oro del tesoro americano, ma questa assenza di copertura del dollaro non basta ancora a mettere gli Stati Uniti in difficoltà finchè gli altri paesi sono ancora indebitati rispetto agli USA. Questi possono allora continuare ad appropriarsi del capitale del resto del mondo pagando con della carta.
La situazione si rovescia con la fine della ricostruzione nei paesi europei. Questa si manifesta con la riacquistata capacità delle economie europee di lanciare sul mercato internazionale dei prodotti concorrenti di quelli americani: verso la metà degli anni sessanta le bilance commerciali della maggioranza dei paesi prima assistiti diventano positive, mentre, dopo il 1964, quella degli Stati Uniti non smette di peggiorare. A partire da allora la ricostruzione dei paesi europei è conclusa, l’apparato produttivo diventa eccedente e trova di fronte a sè un mercato saturo, costringendo le borghesie nazionali ad accrescere le condizioni di sfruttamento del loro proletariato per fare fronte all’aumentare della concorrenza internazionale.
La Francia non sfugge a questa situazione e durante il 1967 la sua situazione economica deve far fronte alla inevitabile ristrutturazione capitalista: razionalizzazione e aumento della produttività non possono che provocare un aumento della disoccupazione. E infatti all’inizio del 1968 il numero dei disoccupati supera i 500.000. La cassa integrazione è applicata in numerose fabbriche e provoca reazioni tra gli operai. Numerosi scioperi scoppiano, scioperi limitati e ancora inquadrati dai sindacati, ma che manifestano un malessere certo. Questo anche perché la diminuzione dei posti di lavoro capita tanto più a sproposito in un momento in sui sul mercato del lavoro si presenta questa generazione frutto della esplosione demografica che ha seguito la fine della seconda guerra mondiale.
In aggiunta alla disoccupazione, il padronato cerca di abbassare il livello di vita degli operai. Un attacco concertato è portato alle condizioni di vita e di lavoro dalla borghesia e dal suo governo. In tutti i paesi industriali la disoccupazione si sviluppa sensibilmente, le prospettive economiche si incupiscono, la concorrenza internazionale si fa più accanita. La Gran Bretagna, alla fine del 1967, procede a una prima svalutazione della sterlina al fine di rendere i suoi prodotti più competitivi. Ma questa misura è annullata dalla successiva svalutazione delle monete di tutta un’altra serie di paesi. La politica di austerità imposta dal governo laburista dell’epoca è particolarmente severa: riduzione massiccia della spesa pubblica, ritiro delle truppe britanniche dall’Asia, blocco dei salari, prime misure protezioniste. Gli Stati Uniti, principale vittima dell’offensiva europea non mancano di reagire con forza: all’inizio del 1968 Johnson annuncia misure economiche e a marzo, in risposta alle svalutazioni delle monete concorrenti, il dollaro cala a sua volta.
E’ questo il quadro economico di fondo che precede il maggio ‘68.
Un movimento rivendicativo ma non solo
E' questa la situazione in cui si svolgono gli avvenimenti del maggio 68. Una situazione economica deteriorata che genera una reazione nella classe operaia.
Certo, altri fattori contribuirono alla radicalizzazione della situazione: la repressione poliziesca contro gli studenti e le manifestazioni operaie, la guerra del Vietnam. Contemporaneamente erano tutti i miti del capitalismo del dopoguerra che venivano messi in crisi: il mito della democrazia, della prosperità economica, della pace. E' una situazione che crea una crisi sociale a cui la classe operaia dà la sua prima risposta.
Una risposta sul piano economico ma non solo. Gli altri elementi della crisi sociale, il discredito dei sindacati e delle forze di sinistra tradizionali spingono migliaia di giovani e di operai a porsi problemi più generali, a ricercare delle risposte alle cause profonde del malcontento e della disillusione.
Si viene così a creare una nuova generazione di militanti che si avvicinano alle posizioni rivoluzionarie. Si torna a rileggere Marx, Lenin, a studiare il movimento operaio del passato. La classe operaia non ritrova solo la sua dimensione di lotta in quanto classe sfruttata ma mostra anche la sua natura di classe rivoluzionaria.
La maggior parte di questi nuovi militanti viene ingabbiata nelle false prospettive dei vari gruppi gauchistes perdendosi poi per la strada. In effetti, se il sindacalismo era stata l'arma con cui la borghesia era riuscita ad ingabbiare il movimento di massa degli operai, il gauchisme è l'arma con cui vengono bruciate molti dei militanti che si erano formati nella lotta.
Ma molti altri riescono a trovare le organizzazioni autenticamente rivoluzionarie, quelle che rappresentavano la continuità storica con il movimento operaio del passato, i gruppi della Sinistra Comunista. Se alcuni di questi non riescono a cogliere in pieno il significato degli avvenimenti, restandone ai margini (e lasciando così il campo libero al gauchisme), altri piccoli nuclei seppero invece raccogliere queste nuove energie rivoluzionarie dando luogo a nuove organizzazioni e a un nuovo lavoro di raggruppamento dei rivoluzionari.
Una ripresa storica lunga e tortuosa
Gli avvenimenti del maggio 68 non costituirono che l'inizio della ripresa storica della lotta di classe, la rottura del periodo di controrivoluzione e l'apertura di un nuovo corso della storia verso lo scontro decisivo tra le classi antagoniste della nostra epoca: il proletariato e la borghesia.
Un inizio clamoroso, che trovò la borghesia momentaneamente impreparata, ma che doveva scontrarsi in seguito con la reazione di questa e con l'inesperienza della nuova generazione operaia che si era affacciata sulla scena della storia.
Questo nuovo corso storico trovò conferma negli avvenimenti internazionali che seguirono al maggio francese.
Non possiamo qui ricordare tutti gli episodi di lotta di classe che si sono succeduti al maggio francese, ci limitiamo a citarne alcuni dei più significativi per mettere in evidenza la dinamica che si era aperta con gli avvenimenti di maggio.
Nel 1969 scoppia il grande movimento di scioperi conosciuti in Italia come "l'autunno caldo", una stagione di lotte che prosegue per qualche anno in cui gli operai scavalcano i sindacati, costruiscono loro organismi per la direzione della lotta, si scontrano con i poliziotti di fabbrica, i sindacati, e quelli di strada, i poliziotti in divisa. Una ondata di lotte che ebbe il limite di restare isolata nelle singole fabbriche, in cui era forte l'illusione che con la lotta "dura" in fabbrica si poteva "piegare il padrone". Con questi limiti, finendo la spinta alla lotta, i sindacati riuscirono a riprendere il loro posto in fabbrica ripresentandosi con la nuova veste degli "organismi di base" costituiti dai Consigli di fabbrica, in cui si affrettarono a confluire tutti quegli elementi gauchistes che durante la fase alta del movimento avevano giocato a fare i rivoluzionari e che ora trovavano la loro sistemazione come bonzi sindacali.
Gli anni 70 vedono altri movimenti di lotta che si realizzano in tutto il mondo industrializzato: in Italia (ferrovieri, ospedalieri), in Francia (LIP, Renault, Longwy e Denain), in Spagna, in Portogallo e altrove, gli operai fanno i conti con un sindacato che nonostante la sua nuova veste, "più vicina alla base", continua a mostrarsi come il difensore degli interessi capitalisti e il sabotatore delle lotte proletarie.
Nel 1980 in Polonia la classe operaia mette a profitto l'esperienza sanguinosa che aveva fatto negli scontri precedenti del 1970 e 1976, organizzando uno sciopero di massa che blocca l'intero paese. Questo formidabile movimento degli operai polacchi, che mostra agli occhi del mondo intero la forza del proletariato, la sua capacità a prendere in mano le lotte, ad organizzarsi autonomamente attraverso le sue assemblee generali (gli MKS) per estendere la lotta in tutto il paese, costituisce un incoraggiamento per la classe operaia di tutti i paesi.
E’ il sindacato Solidarnosc, creato dalla borghesia (con l’aiuto dei sindacati occidentali) per inquadrare, controllare e deviare il movimento, che alla fine consegna gli operai polacchi, piedi e mani legati, alla repressione del governo Jaruzelski. Questa sconfitta provoca un profondo disorientamento nelle fila del proletariato mondiale e ci vorranno due anni per digerirla.
Durante gli anni ottanta i proletari mettono a profitto tutta l'esperienza del decennio precedente del sabotaggio sindacale. Nuove lotte scoppiano ancora in tutti i principali paesi e i lavoratori cominciano a prendere in mano le loro lotte creando organismi specifici. I ferrovieri in Francia, i lavoratori della scuola in Italia, danno vita a lotte che si basano su organismi controllati dal basso, attraverso le assemblee generali degli scioperanti.
Di fronte a questa maturazione della lotta di classe la borghesia è costretta a rinnovare le proprie armi sindacali: è in questi anni che si sviluppa una nuova forma di sindacalismo "di base" (Coordinations in Francia, Cobas in Italia), sindacati mascherati che riprendono le forme degli organismi che i lavoratori si erano dati nelle lotte per ricondurli nell'alveo di contenuti sindacali (delega permanente, negoziati, scioperi dimostrativi, corporativismo, ecc.).
Anche se abbiamo fatto solo uno schizzo di quanto è successo nei due decenni successivi al maggio francese, crediamo che questo basti a dimostrare che il maggio francese non era stato un incidente della storia o francese, ma solo l'inizio di una nuova fase storica in cui la classe operaia rompeva con la controrivoluzione e si riproponeva sulla scena della storia per intraprendere il lungo cammino del confronto con il capitale.
Una ripresa storica della lotta di classe lunga e difficile
Se la nuova classe operaia del dopoguerra era riuscita a rompere il periodo di controrivoluzione grazie al fatto di non aver vissuto direttamente la demoralizzazione della sconfitta degli anni venti essa era tuttavia inesperta e questa ripresa storica della lotta di classe doveva mostrarsi lunga e difficile.
Abbiamo già visto le difficoltà a fare i conti con gli organismi sindacali e con il loro ruolo di difensori del capitale. Tuttavia è stato un avvenimento storico importante ed imprevisto che ha reso ancora più difficile e lunga questa ripresa: il crollo del blocco dell'Est.
Espressione dell'erosione provocata dalla crisi economica, questo crollo ha tuttavia implicato un riflusso nella coscienza proletaria, un riflusso ampiamente sfruttato dalla borghesia per cercare di riguadagnare il terreno perso negli anni precedenti.
Attraverso l'identificazione dello stalinismo con il comunismo, la borghesia ha presentato il crollo di questo come il "fallimento del comunismo", lanciando alla classe operaia un messaggio semplice, ma forte: la lotta operaia non ha prospettive, perchè non esiste alternativa valida al capitalismo. Questo sarà anche un sistema con molti difetti, ma è "l'unico dei mondi possibili".
Questa campagna ha provocato nella coscienza operaia un riflusso molto più profondo e lungo di quello che si era manifestato tra le ondate di lotta precedenti. In effetti questa volta non si era trattato di un movimento finito male, di un sabotaggio sindacale che era riuscito a frenare un movimento di lotta. Era la possibilità stessa di una prospettiva più di lungo termine che veniva messa in discussione.
Tuttavia la crisi, che era stata il detonatore del ripresa storica della lotta di classe, era sempre lì e colpiva il livello di vita egli operai con sempre più violenza.
Perciò nel 1992 la classe operaia è costretta a tornare a lottare, con il movimento di scioperi contro il governo Amato in Italia, seguito da altre lotte in Belgio, Germania, Francia, ecc. Una ripresa della combattività in una classe operaia che tuttavia non aveva superato il riflusso della coscienza. Perciò questa ripresa non riesce a congiungersi con il livello raggiunto alla fine degli anni ottanta: la classe deve un po' riprendere da capo.
E la borghesia non è rimasta a guardare, non ha lasciato che il proletariato sviluppasse le sue lotte da solo e attraverso esse riprendesse fiducia e capacità di ricongiungersi con le esperienze del passato.
Già nell'autunno del 1994,in Italia, profittando di avere al governo una compagine particolarmente discreditata, il governo Berlusconi, la borghesia rivitalizza i suoi sindacati e li mette alla testa della lotta contro la legge finanziaria di lacrime e sangue che Berlusconi voleva far passare.
Con ancora più forza e capacità di manovra la borghesia organizza lo sciopero della funzione pubblica dell'autunno 1995 in Francia: attraverso una grande campagna di stampa a livello internazionale questo sciopero viene additato come la capacità del sindacato di organizzare la lotta operaia e difendere gli interessi del proletariato.
Una manovra simile viene provata ancora in Belgio e Germania, con il risultato di una ricredibilizzazione internazionale dei sindacati che possono così svolgere il loro ruolo di sabotatori della combattività operaia.
Ma non è solo su questo terreno che la borghesia manovra. Essa lancia anche una serie di campagne finalizzate a spingere gli operai sul terreno della difesa della democrazia (e dunque dello Stato borghese): Mani pulite in Italia, l'affare Dutroux in Belgio, campagne antirazziste in Francia, tutti avvenimenti che ricevono un grande risalto sui mezzi di informazione per convincere i lavoratori di tutto il mondo che i problemi sono altri rispetto alle volgari rivendicazioni economiche, che essi devono stringersi intorno ai loro rispettivi Stati per difendere la democrazia, la giustizia pulita e altre fesserie di questo genere.
Infine, in particolare negli ultimi due anni, è la memoria storica della classe che la borghesia ha cercato di distruggere, discreditando la storia della lotta di classe e le organizzazioni che ad essa si rifanno.
Prima si è attaccata la Sinistra Comunista presentandola come la prima ispiratrice del "negazionismo" (il filone storico che nega l’esistenza dei lager nazisti) (3).
Poi si è passati allo snaturamento del vero e profondo significato della Rivoluzione di ottobre, presentata come un colpo di Stato dei bolscevichi, cercando di cancellare così la grandiosa ondata rivoluzionaria degli anni venti, in cui la classe operaia, sebbene sconfitta, dimostrò di essere capace di attaccare il capitalismo come modo di produzione e non solo di difendersi dal suo sfruttamento. In due enormi libri, originariamente scritti in Francia e Gran Bretagna, ma già tradotti in altri paesi, si continua con la mistificazione dell'identificazione dello stalinismo con il comunismo, attribuendo a quest'ultimo tutti i crimini dello stalinismo (4).
Ma l'avvenire appartiene sempre al proletariato
Se la borghesia si preoccupa tanto di deviare la lotta della classe operaia, di snaturare la sua storia, di discreditare le organizzazioni che difendono la prospettiva rivoluzionaria della classe operaia, è perchè essa sa che il proletariato non è sconfitto, che nonostante tutte le difficoltà attuali la strada è ancora aperta verso degli scontri aperti in cui la classe operaia potrà arrivare di nuovo a mettere in discussione il potere borghese. E la borghesia sa anche che l'aggravarsi della crisi e i sacrifici che essa impone ai lavoratori spingerà questi a ingaggiarsi sempre più nella lotta. Ed è in questa lotta che i proletari ritroveranno fiducia in se stessi, che sapranno imparare a riconoscere la natura dei sindacati e attrezzarsi per trovare nuove e autonome forme di organizzazione.
Una nuova fase si sta aprendo, una fase in cui la classe operaia ritroverà la strada aperta trenta anni fa con il grandioso sciopero generale del maggio francese.
Helios
1. Révolution Internationale, vecchia serie, n. 2, 1969
2. "Enragés et Situationnistes dans le mouvement des occupations", Internationale Situationniste, 1969.
3. Vedi Révue Internationale nn. 88 e 89.
4. Vedi Révue Internationale n. 92.