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Il BIPR ha risposto, nella International Communist Review n.l3, al nostro articolo di polemica "La concezione del BIPR sulla decadenza del capitalismo", apparso sul n.79 della nostra Revue Internationale.
Nella misura in cui questa risposta espone chiaramente le tesi del BIPR, essa costituisce un contributo al necessario dibattito che deve esistere fra le organizzazioni della Sinistra Comunista, che hanno una responsabilità decisiva nella costruzione del partito comunista del proletariato.
Il dibattito fra il BIPR e la CCI si situa all’interno del quadro della Sinistra Comunista:
· non é un dibattito accademico e astratto, ma una polemica militante, il cui scopo é di arrivare a stabilire posizioni chiare, libere da ogni ambiguità o concessione all'ideologia dominante, in particolare sulle questioni della natura della guerra imperialista e delle condizioni fondamentali per la rivoluzione comunista;
· é un dibattito fra sostenitori dell'analisi della decadenza del capitalismo: dall'inizio del secolo il sistema é entrato in una crisi permanente che minaccia sempre di più la sopravvivenza stessa dell'umanità e del pianeta.
All'interno di questo quadro comune di posizioni, la risposta del BIPR insiste sulla sua visione della guerra imperialista come mezzo di svalorizzazione del capitale e per la ripresa del ciclo di accumulazione, giustificando la sua posizione su una spiegazione della crisi storica del capitalismo basata sulla caduta tendenziale del saggio del profitto. La nostra risposta verterà pertanto su questi due punti fondamentali[1].
Cosa accomuna noi ed il BIPR
In una polemica fra rivoluzionari, proprio per il suo carattere militante, é giusto cominciare da quello che ci unisce, per affrontare quello che ci divide all’interno di un quadro complessivo. E' il metodo che la CCI ha sempre utilizzato, sull'esempio di Marx, Lenin, Bilan, ecc., e che abbiamo utilizzato nella polemica sullo stesso argomento con il P. C. Internazionale (quello che pubblica Il Comunista in Italia e Le Proletaire in Francia, oltre alla rivista teorica Programme Communiste in lingua francese )[2]. Noi ci teniamo a sottolinearlo in primo luogo perché la polemica fra rivoluzionari ha sempre per scopo la chiarificazione ed il raggruppamento nella prospettiva della costituzione del partito mondiale del proletariato. In secondo luogo perché, fra il BIPR e la CCI, senza negare né relativizzare l’importanza e le conseguenze delle divergenze che abbiamo sulla natura della guerra imperialista, quello che condividiamo é molto più importante:
1. Per il BIPR, le guerre imperialiste non hanno obbiettivi limitati, ma sono guerre totali, di gran lunga più distruttive di qualsiasi guerra del periodo ascendente.
2. Nelle guerre imperialiste i fattori economici e politici sono indissolubilmente intrecciati fra di loro.
3. Il BIPR rigetta l’idea secondo cui il militarismo e la produzione di armi sarebbero una via per “l’accumulazione del capitale”[3].
4. In quanto espressione della decadenza del capitalismo, le guerre imperialiste contengono la minaccia di distruzione dell’umanità.
5. Esistono oggi nel capitalismo importanti tendenze al caos ed alla decomposizione (sebbene, come vedremo, il BIPR non vi dia la stessa importanza che vi diamo noi).
Questi elementi di convergenza spiegano la nostra comune capacità di denunciare e combattere le guerre imperialiste come momenti supremi della crisi storica del capitalismo, chiamando il proletariato a non scegliere fra i differenti lupi imperialisti, ma a schierarsi per la rivoluzione proletaria, unica soluzione all’impasse sanguinosa in cui il capitalismo ha intrappolato l’umanità e combattendo sia l’oppio pacifista sia le menzogne capitaliste sulla sempre prossima “uscita dalla crisi”.
Questi elementi, espressione di una comune tradizione della Sinistra Comunista, rendono necessario e possibile che, di fronte ad eventi dell’importanza della Guerra del Golfo o della ex-Jugoslavia, i gruppi della Sinistra Comunista facciano dei manifesti comuni che esprimano la voce unita dei rivoluzionari di fronte alla loro classe. Per questo, nel quadro delle Conferenze Internazionali del 1977-80, noi proponemmo una dichiarazione comune di fronte all’invasione russa dell’Afghanistan e ci dispiace che né Battaglia Comunista né la Communist Workers Organisation (che hanno successivamente formato il BIPR) abbiano allora dato il loro assenso all’iniziativa. Lungi dall’essere proposte di “unioni opportuniste e di circostanza” simili iniziative costituiscono degli strumenti di lotta per la chiarificazione e la delimitazione delle posizioni all’interno della Sinistra Comunista, perché creano un quadro concreto e militante (si tratta di non venire meno ad un dovere verso la classe che si trova di fronte a passaggi importanti dell’evoluzione storica) in cui dibattere seriamente le divergenze. Questo era il metodo di Marx e di Lenin: a Zimmerwald, malgrado l’esistenza di divergenze di ben altra importanza rispetto a quelle che possono oggi esistere fra la CCI ed il BIPR, Lenin fu d’accordo a firmare il Manifesto di Zimmerwald. Analogamente, quando la III Internazionale fu costituita, fra i suoi fondatori c'erano divergenze importanti, non solo sull'analisi della guerra imperialista, ma anche su questioni tipo l'utilizzazione del parlamento o i sindacati. Ma ciò non impedì loro di unirsi per lottare insieme per la rivoluzione mondiale che era all'ordine del giorno. Questa lotta comune non era una cappa per mettere a tacere le divergenze ma costituiva, al contrario, la piattaforma militante al cui interno le divergenze potevano essere seriamente discusse, evitando sia i dibattiti accademici, sia le fughe settarie in avanti.
La funzione della guerra imperialista
Le divergenze tra il BIPR e la CCI non riguardano le cause generali della guerra imperialista. Aderendo alla comune tradizione della Sinistra Comunista, noi tutti la consideriamo come espressione della crisi storica del capitalismo. Le divergenze si manifestano quando si va a definire il ruolo della guerra nel capitalismo decadente. Il BIPR ritiene che la guerra svolga una funzione economica: permettere la svalutazione del capitale e, di conseguenza, aprire la possibilità di un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica.
Questa ipotesi non sembrerebbe priva di fondamento logico: non c’è stata, prima di una guerra mondiale, una crisi generalizzata come quella del 1929? Quando c'é una crisi di sovrapproduzione di uomini e merci, la guerra non é forse una “soluzione”, visto che permette di distruggere su larga scale operai, macchine e costruzioni? E dopo la guerra non viene forse la ricostruzione e con questa la fine della crisi? Questa visione, per quanto apparenterete coerente, ha però il limite della superficialità. Si fissa su una parte del problema (il fatto che il capitalismo si avvita in un ciclo infernale di crisi - guerra - ricostruzione - nuova crisi...) ma non va alla radice del problema: da una parte, la guerra é molto di più che un semplice mezzo per far ripartire l'accumulazione capitalista, dall'altra questo ciclo é profondamente degenerato e corrotto e di gran lunga diverso dai classici cicli di accumulazione del periodo ascendente.
Questa visione superficiale della guerra imperialista ha delle importanti implicazioni per l'azione militante di cui il BIPR non sembra rendersi conto. Nei fatti, se la guerra permette il ristabilirsi dei meccanismi dell'accumulazione capitalistica, questo significa che il capitalismo sarà sempre capace di uscire dalle sue crisi con il brutale ma fattivo espediente della guerra. Questo é esattamente ciò che ci viene detto dalla propaganda borghese: la guerra é una cosa terribile che tutti vorrebbero evitare, ma é il passaggio inevitabile per una nuova era di pace e di prosperità.
Il BIPR ovviamente denuncia queste menzogne, ma non si rende conto che la sua denuncia é indebolita dalla sua teoria della guerra come “mezzo per la svalutazione del capitale”. Per capire le conseguenze pericolose di questa posizione, conviene esaminare questa dichiarazione di Programme Communiste:
“Le origini della crisi si trovano nell'impossibilità di continuare l'accumulazione, un impossibilità che si manifesta quando la crescita della massa dei prodotti non può più compensare la caduta del saggio di profitto. La massa del pluslavoro totale nel capitalismo avanzato non é più sufficiente ad assicurare un profitto, a ricreare le condizioni di redditività per gli investimenti. Distruggendo del capitale costante (lavoro morto) su scala massiccia, la guerra svolge dunque un ruolo economico fondamentale: grazie alle spaventose distruzioni dell’apparato produttivo essa permette una futura gigantesca espansione della produzione per rimpiazzare quello che è stato distrutto, e quindi una parallela espansione del profitto, del plusvalore totale, in una parola del pluslavoro che è all’origine del capitale. Le condizioni per il rilancio dell’accumulazione capitalista sono ristabilite. Il ciclo economico riparte. (...). Il sistema capitalista mondiale entra in guerra decrepito, ma acquista nuova vita dall’immane bagno di sangue e ne esce con la vitalità di un robusto neonato”[4].
Dire che il capitalismo “acquista nuova vita” ogni volta che passa per una guerra mondiale ha delle chiare implicazioni revisioniste: la guerra mondiale non metterebbe all'ordine del giorno la rivoluzione proletaria, ma il ringiovanimento del capitalismo che torna alle sue origini. Questo distrugge dalle fondamenta l'analisi della III Internazionale che affermava chiaramente: “Una nuova epoca é nata. L'epoca della disintegrazione del capitalismo, del suo collasso interno. L'epoca della rivoluzione comunista del proletariato”. Si tratta, né più né meno, di rompere con una posizione di base del marxismo secondo cui il capitalismo non é un sistema eterno, ma un modo di produzione i cui limiti storici gli impongono di attraversare una fase di decadenza in cui é all'ordine del giorno la rivoluzione comunista.
Nei numeri 77 e 78 della Revue Internationale, nella nostra polemica con la visione della guerra e della decadenza di Programme Communiste, noi riportavamo e criticavamo la citazione sopra riportata. Questo viene ignorato dal BIPR che nel suo articolo sembra voler difendere Programme quando afferma che “Il dibattito della CCI con i bordighisti è centrato su un punto di vista apparente secondo cui esiste una relazione meccanica tra guerra e ciclo di accumulazione. Diciamo “apparente” perché, come al solito, la CCI non riporta nessuna citazione per provare che i bordighisti abbiano una visione storica così schematica. Quando poi pensiamo al modo in cui la CCI interpreta le nostre posizioni, allora siamo ancor meno inclini ad accettare le loro asserzioni su Programme Communiste”[5].
La citazione che avevamo riportato sulla Revue Internationale n.77 parla da sola e chiarisce che, nella posizione di Programme c’é qualcosa di più che un po’ di “schematismo”. Se il BIPR evita di prendere posizione, nascondendosi dietro nostre presunte “false interpretazioni”, é perché, per quanto non arrivi a ripetere le aberrazioni di Programme, le sue ambiguità lo spingono per la stessa china: “Noi affermiamo che la funzione (sottolineato nell’originale) economica della guerra mondiale (e cioè le sue conseguenze per il capitalismo) é quella di svalutare il capitale come necessario preludio ad un nuovo ciclo di accumulazione”[6].
Questa idea di una “funzione economica della guerra imperialista” proviene da Bukarin, che la avanzò in un libro scritto nel 1915 (“L'imperialismo e l'economia mondiale”). Il libro in questione rappresenta un contributo su argomenti come le lotte di liberazione nazionale o il capitalismo di stato, ma cade in un errore non secondario quando individua la guerra imperialista come uno strumento dello sviluppo capitalista: “la guerra non può bloccare il corso generale dello sviluppo del capitalismo mondiale ma è, al contrario, l’espressione della massima espansione del processo di centralizzazione ... La guerra ricorda, per la sua influenza economica, su molti aspetti, le crisi industriali, differendone solo per la maggior intensità delle convulsioni sociali e delle devastazioni”.
Tuttavia la guerra imperialista non é un mezzo per "svalutare il capitale", ma un'espressione del processo storico di distruzione e sterilizzazione dei mezzi di produzione e della vita stessa, che caratterizza globalmente il capitalismo decadente.
Distruzione e sterilizzazione di capitale non é la stessa cosa che svalutazione di capitale. Era nel periodo ascendente del capitalismo che si scatenavano crisi periodiche che portavano alla periodica svalutazione del capitale. E’ il movimento segnalato da Marx: “Simultaneamente alla caduta del saggio di profitto, la massa del capitale si accresce, e questo si associa alla svalutazione del capitale esistente, che frena questa caduta e dà un’accelerazione all'accumulazione di capitale valore... La svalutazione periodica del capitale esistente, che é un mezzo insito nel modo di produzione capitalistico per rallentare la caduta del saggio di profitto e per accelerare l’accumulazione di capitale valore attraverso la formazione di nuovo capitale, perturba le condizioni date in cui si svolge il processo di circolazione e di riproduzione del capitale, ed é pertanto accompagnata da brusche interruzioni dei processi produttivi”[7].
Il capitalismo, per sua natura, fin dalle sue origini porta inevitabilmente alla sovrapproduzione, sia nella fase ascendente che in quella di decadenza. In questo senso, il capitale è costretto a svenarsi periodicamente per far ripartire con più forza il normale processo di produzione e circolazione di merci. Nel periodo ascendente, ogni fase di svalutazione del capitale portava ad una espansione ad un livello superiore dei rapporti di produzione capitalisti. E questo era possibile perché il capitalismo trovava nuovi territori precapitalisti da integrare e da sottomettere ai suoi rapporti salariali e mercantili. Per questa ragione: “le crisi del 19° secolo descritte da Marx sono ancora crisi di crescita, crisi da cui il capitalismo esce ogni volta rafforzato... Dopo ogni crisi, vi sono ancora nuovi mercati aperti alla conquista dei paesi capitalisti”[8].
Nella decadenza del capitalismo queste crisi di svalutazione del capitale continuano fino al punto di diventare più o meno croniche[9]. Il fatto é che questa caratteristica, insita nel capitalismo stesso, va oggi a sovrapporsi ad un'altra caratteristica sviluppatasi nella fase di decadenza e che è il frutto dell’aggravarsi delle contraddizioni di questa epoca, ovvero la tendenza alla distruzione e alla sterilizzazione di capitale.
Questa tendenza nasce dalla situazione di blocco storico creata dalla decadenza del capitalismo: “Che cosa é una guerra imperialista mondiale? E’ la lotta combattuta con mezzi violenti che i differenti gruppi capitalisti sono obbligati a scatenare non per conquistare nuovi mercati e fonti di materie prime, ma per la ridistribuzione di quelli esistenti, una ripartizione in cui si guadagna qualcosa solo a spese di qualcun'altro. Il corso alla guerra si apre ed ha le sue radici nella crisi economica generale e permanente che é arrivata al punto di esplosione, indicando che il regime capitalista ha raggiunto i limiti delle sue possibilità di espansione”. Ed ancora: “Il capitalismo decadente é la fase in cui la produzione può continuare solo a condizione (sottolineato nell'originale) che i prodotti ed i mezzi di produzione prendano una forma materiale che non servano allo sviluppo ed all'estensione della produzione ma alla sua limitazione e distruzione”[10].
Nella decadenza, la natura del capitalismo non é affatto cambiata. Continua ad essere un sistema di sfruttamento, ad essere caratterizzato (ed in modo più grave) dalla tendenza alla svalutazione del capitale (tendenza divenuta permanente). Tuttavia quello che caratterizza la decadenza é la situazione di blocco storico del sistema da cui nasce una potente tendenza all'autodistruzione ed al caos: “In assenza di una classe rivoluzionaria che abbia la possibilità storica di dare luogo e dirigere la costruzione di un sistema economico corrispondente alle necessità storiche, la società e la civiltà si trovano in un vicolo cieco, in cui il collasso e la disintegrazione interna sono inevitabili. Marx dava come esempi di una simile impasse storica le antiche civiltà greca e romana. Engels applicò questa tesi alla società borghese, arrivando alla conclusione che l'assenza o l'incapacità del proletariato di risolvere le contraddizioni irriducibili della società capitalista, attraverso la sua distruzione, non può avere altro risultato che il ritorno alla barbarie”[11].
La posizione dell'Internazionale Comunista sulla guerra imperialista
Il BIPR ridicolizza la nostra insistenza su questa caratteristica del capitalismo decadente: “Per la CCI tutto si riduce a “caos” e “decomposizione”, dopodiché non c'é bisogno di sforzarsi troppo con analisi dettagliate. E’ questa la chiave della loro posizione”[12]. Ritorneremo in seguito su questo argomento, per il momento ci limitiamo a far notare che questa accusa di eccessiva semplificazione, che per loro rappresenta la negazione del marxismo come metodo di analisi della realtà, potrebbe essere rivolta allo stesso modo al Io Congresso dell’I.C., a Lenin ed a Rosa Luxemburg.
Lo scopo di questo articolo non é quello di analizzare i limiti delle prese di posizione dell'Internazionale Comunista[13], ma di appoggiarci sui quanto c’era di chiaro in esse. Esaminando i documenti di fondazione dell'IC vediamo che contengono un chiaro rifiuto dell’idea che la guerra possa essere una “soluzione” per la crisi capitalista e che il capitalismo possa tornare ad un funzionamento "normale", analogo ai cicli di accumulazione del periodo ascendente.
“La politica di pace dell’Intesa rivela definitivamente agli occhi del proletariato internazionale la vera natura dell'imperialismo dell'Intesa e dell'imperialismo in generale. E rivela anche che i governi imperialisti sono incapaci di concludere una pace “giusta e stabile” e che il capitale finanziario non é capace di risollevare l'economia in pezzi. La continuazione del dominio del capitale finanziario porterà o alla completa distruzione della civiltà o ad un incremento senza precedenti nei livelli di sfruttamento ed asservimento, alla reazione politica, ad una politica di armamenti ed infine a nuove distruttive guerre”[14].
L’IC mette bene in chiaro che il capitalismo non può ristabilire l'economia distrutta, cioè che non può ristabilire, attraverso la guerra, un “normale” ciclo di accumulazione, in poche parole, non può ritrovare una "nuova giovinezza" come dice Programme. In più, piuttosto che provocare un "ristabilimento", questa situazione profondamente viziata ed alterata favorisce lo sviluppo di “armamenti, della reazione politica, dell’accrescimento dello sfruttamento”.
Nel Manifesto del I° Congresso, l’IC dichiarava che: “La distribuzione delle materie prime, I'utilizzazione del petrolio di Baku o della Romania, del carbone del bacino del Don, del grano ucraino, l’utilizzazione delle locomotive, dei camion e delle autovetture tedesche, il razionamento dei soccorsi per l'Europa affamata - tutte queste questioni fondamentali per l'economia mondiale non sono più regolate né dal libero mercato, né da associazioni di trust nazionali o internazionali, ma dall'applicazione diretta della forza militare, per il bene della sua autoconservazione. Se la completa dominazione del potere politico da parte del capitale finanziario ha portato l'umanità al massacro imperialista, questo massacro ha permesso al capitale finanziario non solo di militarizzare fino in fondo lo Stato, ma anche se stesso, tanto che esso non é più capace di svolgere le sue funzioni essenziali se non con ferro ed il sangue”[15].
La prospettiva tracciata dalla Internazionale Comunista é quella di una "militarizzazione dell'economia", che é considerata da tutti i marxisti come un'espressione dell'aggravarsi delle contraddizioni del capitalismo e non come un loro alleviarsi, fosse anche temporaneo (il BIPR nella sua replica rigetta il militarismo come mezzo di accumulazione del capitale). L’IC insisteva anche sul fatto che l'economia mondiale non poteva tornare né al periodo della libera concorrenza né a quello dei monopoli ed infine esprimeva un’idea molto importante: “il capitalismo non é più capace di svolgere le sue funzioni economiche essenziali se non con il ferro e il sangue”. Questo può essere interpretato in un solo modo: con la guerra mondiale il meccanismo dell'accumulazione non può più funzionare in modo normale, ma per funzionare ha bisogno del “ferro e del sangue”.
Quello che l’Internazionale Comunista prevedeva per il dopoguerra era un periodo in cui si sarebbe aggravata la minaccia di nuove guerre: “Gli opportunisti che prima della guerra invitavano i lavoratori a moderare le loro rivendicazioni in nome della graduale transizione al socialismo e che, durante la guerra, li hanno obbligati a rinunciare alla lotta di classe in nome della Union Sacrée e della difesa nazionale, esigono dal proletariato un nuovo sacrificio, questa volta in nome della necessità di riparare ai guasti della guerra. Se queste prediche fossero accettate dalle masse lavoratrici, Io sviluppo capitalista proseguirebbe, sacrificando nuove generazioni con forme nuove di assoggettamento, ancora più concentrate e mostruose, con la prospettiva di una nuova inevitabile guerra mondiale”[16].
Fu una tragedia storica il fatto che l’IC non fu capace di sviluppare questo chiaro corpo di analisi e che, al contrario, giunse a contraddirlo nel corso della sua degenerazione, con posizioni che insinuavano l'idea che il capitalismo potesse “tornare alla normalità", riducendo l'analisi del suo declino e della prospettiva di barbarie a semplici declamazioni retoriche. Tuttavia, il compito della Sinistra Comunista é quello di approfondire ed articolare le grandi linee sviluppate dall'IC ed é chiaro, dalle citazioni riportate, che queste non vanno nella direzione di un'analisi basata su un ciclo costante e regolare di accumulazione - crisi - guerra con svalutazione - nuova accumulazione..., ma piuttosto verso un'economia mondiale profondamente alterata, incapace di ritrovare le condizioni normali di accumulazione e prossima a nuove convulsioni e distruzioni.
L’irrazionalità della guerra imperialista
Questa sottostima delle analisi di fondo dell'IC (e di Rosa Luxemburg e di Lenin) diventa chiara nel rigetto, da parte del BIPR, della nostra nozione di irrazionalità della guerra: “Ma l'articolo della CCI altera il significato di questa affermazione (della funzione della guerra, ndr) perché il loro successivo commento è che il BIPR sarebbe d’accordo con il fatto che “vi è una razionalità economica al fenomeno della guerra”. Ciò implicherebbe che noi consideriamo la distruzione dei valori come l’obiettivo del capitalismo, cioè che questa sarebbe la causa (sottolineato nell’originale) diretta della guerra. Ma le cause non sono la stessa cosa delle conseguenze. Le classi dominanti degli stati imperialisti non decidono coscientemente di scatenare le guerre per svalutare il capitale”[17].
Anche nel periodo ascendente del capitalismo le crisi cicliche non venivano deliberatamente causate dalle classi dominanti. Ciononostante, le crisi cicliche avevano una loro “razionalità economica”; permettendo al capitale di svalorizzarsi e, di conseguenza, rilanciando ad un nuovo livello l'accumulazione capitalistica. Il BIPR pensa che le guerre mondiali del periodo di decadenza abbiano il ruolo di svalutare il capitale e di rilanciare l'accumulazione. In una parola, gli attribuiscono una razionalità economica simile a quella delle crisi cicliche del periodo ascendente.
Questo é precisamente l'errore di fondo che noi criticammo alla CWO, predecessore del BIPR, sedici anni fa nell'articolo “Teorie economiche e lotta per il socialismo”:
“Possiamo vedere come l'errore di Bukarin si ripeta nelle analisi della CWO: ‘ogni crisi conduce (attraverso la guerra) alla svalutazione del capitale costante, innalzando così il tasso di profitto e permettendo che il ciclo di ricostruzione-boom economico-crisi-guerra sia ripetuto di nuovo’ (Revolutionary Perspectives n.6 ). Dunque, per la CWO, le crisi del capitalismo decadente sono viste in termini economici come le crisi cicliche del capitalismo ascendente, ripetute al più alto livello”[18].
Per il BIPR la differenza fra ascendenza e decadenza del capitalismo sta solo nel livello di grandezza delle periodiche interruzioni del processo di accumulazione: “Le cause della guerra si trovano nella determinazione della borghesia di difendere il valore del suo capitale contro la concorrenza. Nel periodo ascendente tale rivalità si svolgeva essenzialmente sul piano economico e fra imprese concorrenti. Quelle che erano capaci di raggiungere un maggior grado di concentrazione dei capitali (tendenza del capitale alla concentrazione ed al monopolio) si trovavano nella posizione di poter mettere i concorrenti con le spalle al muro. Questa rivalità portava anche ad una sovraccumulazione di capitale che portava a sua volta alle crisi decennali del secolo scorso. In queste crisi le imprese più deboli soccombevano o venivano assorbite dai concorrenti più forti. Ad ogni crisi corrispondeva una svalutazione di capitale, in modo da poter partire con un nuovo giro di accumulazione, ma ogni volta il capitale ne usciva più concentrato e centralizzato.... Nell'era del capitalismo monopolistico, in cui la concentrazione ha raggiunto il livello di Stati nazionali, la politica e l’economia sono diventati inseparabili nella fase imperialista o decadente del capitalismo.... In questa epoca le politiche richieste dalla difesa del valore del capitale coinvolgono gli Stati stessi ed esasperano le rivalità fra le potenze imperialiste”[19]. Di conseguenza “le guerre imperialiste non hanno obiettivi limitati (come nel periodo ascendente, ndr); una volta scatenate c'é solo una lotta a morte, fino a che una nazione o un blocco di nazioni non sia distrutto militarmente ed economicamente. Le conseguenze della guerra non si limitano alla distruzione fisica di capitale, ma anche ad una svalorizzazione massiccia del capitale esistente”[20].
Alla base di questa analisi c'é una forte tendenza economicista che percepisce la guerra solo come un prodotto immediato e meccanico dell'evoluzione economica. Nel nostro articolo sulla Revue Internationale n.79 noi abbiamo dimostrato che la guerra ha una radice economica globale (la crisi storica del capitalismo), ma che questo non implica che ogni guerra abbia una motivazione economica immediata e diretta. Il BIPR, cercando le cause economiche della guerra del Golfo, é finito nell’economicismo più volgare dicendo che era una guerra per i pozzi di petrolio. Allo stesso modo il BIPR spiega la guerra nella ex-Jugoslavia con gli appetiti delle grandi potenze per non si sa quali mercati[21]. E' vero che, sotto la pressione delle nostre critiche e dell'evidenza dei fatti, ha corretto in seguito la sua analisi, ma é anche vero che non è stato capace di rimettere in discussione l’economicismo di fondo che non può concepire una guerra senza una causa “economica” diretta ed immediata[22].
Il BIPR confonde fra di loro rivalità commerciale e rivalità imperialista, che non sono necessariamente la stessa cosa. La rivalità imperialista ha come causa di fondo una situazione economica di saturazione del mercato mondiale, ma questo non significa che abbia come origine diretta la semplice concorrenza commerciale. La sua origine è economica, militare e strategica, coagulando al loro interno fattori politici e storici.
Allo stesso modo, nel periodo ascendente del capitalismo, se le guerre (coloniali o di liberazione nazionale) avevano una ragione economica di fondo (la formazione di nuove nazioni o I'espansione del capitalismo attraverso la formazione di colonie) esse non erano tuttavia motivate in prima istanza dalle rivalità commerciali. Per esempio, la guerra franco-prussiana aveva delle origini dinastiche e strategiche ma non era causata né da una crisi commerciale insolubile per nessuno dei due contendenti né da particolari rivalità commerciali. Il BIPR riesce a comprendere fino ad un certo punto questa realtà quando afferma: “Anche se le guerre post-napoleoniche del 19° secolo non mancavano di atrocità (come la CCI correttamente sottolinea) la differenza essenziale sta nel fatto che queste guerre venivano combattute per scopi specifici che permettevano di raggiungere conclusioni rapide e negoziate. La borghesia del XIX secolo aveva ancora la missione programmatica di sbarazzarsi dei residui del vecchio modo di produzione e di creare delle vere nazioni”[23]. In più, il BIPR individua molto bene la differenza con il periodo decadente: “I costi di un ulteriore sviluppo delle forze produttive non sono inevitabili. In più questi costi hanno raggiunto un livello tale da minacciare l'esistenza stessa della civiltà, sia a breve termine (inquinamento ambientale, carestie, genocidio) che a lungo termine (guerre imperialiste generalizzate)”[24].
Noi non possiamo che sottoscrivere pienamente queste affermazioni del BIPR. Dobbiamo però fargli una domanda molto semplice: che significa il fatto che le guerre della decadenza abbiano degli “obiettivi totali” e che il prezzo del mantenimento del capitalismo può arrivare fino a rischiare la distruzione dell'umanità? Come é possibile che queste situazioni di convulsioni e distruzione, che il BIPR riconosce come qualitativamente differenti rispetto a quelle del periodo di ascendenza, corrispondano ad una situazione economica di rinnovo dei cicli di accumulazione del capitale, che sarebbero identici a quelli della fase ascendente?
La malattia mortale del capitalismo decadente il BIPR la vede solo nei periodi di guerra generalizzata, ma non la vede nei momenti di apparente normalità, nei periodi in cui, secondo loro, si sviluppa il ciclo di accumulazione del capitale. Questo lo conduce ad una pericolosa dicotomia: da una parte vede cicli di normale accumulazione in cui é pos-sibile constatare una crescita reale, dove si producono "rivoluzioni tecnologiche", dove il proletariato cresce. In questi periodi di pieno vigore del ciclo di accumulazione, il capitalismo sembra tornare alle origini, la sua crescita sembra quella della sua gioventù (il BIPR non arriva a fare una simile affermazione, mentre Programme Communiste lo dice apertamente). Dall'altra parte vi sono periodi di guerra generalizzata, in cui la barbarie del capitalismo decadente si manifesta in tutta la sua brutalità e violenza.
Questa dicotomia ricorda fortemente quella che esprimeva Kautsky nella sua Tesi sul “super-imperialismo”: da una parte egli riconosceva che, con la 1a guerra mondiale, il capitalismo era entrato in un'epoca di catastrofi e convulsioni ma dall’altra sosteneva che, contemporaneamente, vi era una tendenza “obiettiva” verso una concentrazione suprema del capitalismo in un grande trust imperialista che gli avrebbe permesso di evitare concorrenze e guerre. Nell'introduzione al libro di Bukharin già citato (L'economia mondiale e l'imperialismo), Lenin denunciò questa contraddizione centrista di Kautsky: “Kautsky ha promesso di comportarsi da marxista nell'epoca dei gravi scontri e delle catastrofi che è stato costretto a prevedere e di definire quando, nel 1909, ha scritto la sua opera su questo tema. Ora che è assolutamente fuori dubbio che quest'epoca é arrivata, Kautsky si contenta di continuare a promettere che farà il marxista nella futura fase del superimperialismo, una fase che lui stesso non sa bene se arriverà mai o no. In altre parole, da Kautsky possiamo avere tutte le promesse che vogliamo sul fatto che farà il marxista in qualche altra epoca, ma mai che lo farà nelle condizioni presenti, mai che lo farà adesso”.
Noi ci guardiamo bene dal dire che succederà la stessa cosa al BIPR. Tuttavia l’analisi marxista della decadenza del capitalismo viene tenuta gelosamente nascosta dal BIPR per il periodo in cui la guerra scoppierà, mentre per il periodo di accumulazione si fa un’analisi che fa delle concessioni alle menzogne borghesi sulla “prosperità” e la “crescita” del sistema.
La sottovalutazione della gravità del processo di decomposizione capitalista
Questa tendenza a difendere l'analisi marxista della decadenza solo per i periodi di guerra aperta spiega le difficoltà che ha il BIPR a comprendere lo stadio attuale della crisi storica del capitalismo: “La CCI é stata coerente a partire dalla sua fondazione venti anni fa nel lasciare da parte ogni tentativo di analizzare come i capitalisti affrontino la crisi attuale. In effetti sembra che per loro ogni tentativo di analizzare le caratteristiche specifiche della crisi attuale equivalga a dire che il capitalismo ha risolto la crisi. Ma le cose non stanno così. Quello che spetta ai marxisti attualmente é proprio di cercare di comprendere perché la crisi attuale superi in lunghezza la “Grande Depressione” del 1873‑96. Ma mentre quest'ultima era una crisi causata dall'ingresso del capitalismo nella sua fase monopolistica ed era pertanto risolvibile con una semplice svalutazione economica, la crisi attuale minaccia l'umanità con una catastrofe di gran lunga più terribile”[25].
I compagni del BIPR sembrano dare per scontato che la CCI abbia rinunciato ad ogni analisi concreta dell'andamento della crisi attuale. Per convincersi del contrario basterebbe loro studiare gli articoli che pubblichiamo regolarmente, in ogni numero della Revue Internationale, analizzando la crisi in tutti i suoi vari aspetti. Per noi la crisi aperta nel 1967 costituisce la riapparizione aperta della crisi cronica e permanente del capitalismo decadente, é la manifestazione di un blocco profondo e sempre più incontrollabile del meccanismo di accumulazione del capitale. Le "carat-teristiche specifiche" della crisi attuale costituiscono i diversi tentativi del capitale, attraverso il rafforzamento dell'intervento statale e la fuga nel debito e nelle acrobazie monetarie e commerciali, per evitare un'esplosione distruttiva della sua crisi di fondo e, allo stesso tempo, la evidenziazione del fallimento di tali rimedi e i loro effetti perversi che aggravano ancora di più il male incurabile del capitalismo.
Il BIPR ritiene che il “compito principale” dei marxisti sia di spiegare l'eccezionale lunghezza della crisi attuale. Non ci sorprende che questi compagni siano tanto colpiti dalla lunghezza della crisi, dato che non capiscono il problema di fondo: noi non siamo alla fine di un normale ciclo di accumulazione, ma ad una situazione storica di blocco prolungato, di alterazione profonda del meccanismo di accumulazione. Una situazione in cui il capitalismo, per dirla con l'Internazionale Comunista, non può più assicurare le sue funzioni economiche essenziali se non con il ferro e il sangue.
Il fatto di non riuscire ad afferrare questo problema fondamentale spinge il BIPR a ridicolizzare ancora una volta la nostra posizione sull’attuale fase storica di caos e di decomposizione del capitalismo: “Anche se si può essere d’accordo sul fatto che esistono tendenze alla decomposizione ed al caos (venti anni dopo la fine del ciclo di accumulazione, sarebbe difficile aspettarsi qualcosa di diverso), questi non possono essere usati come slogan per evitare un’analisi concreta di quello che succede”[26].
Come si può vedere, quello che preoccupa i compagni é il nostro supposto “semplicismo”, una sorta di “pigrizia intellettuale” che si rifugerebbe in drammatiche grida sulla gravità e il caos della situazione del capitalismo, come un tic per evitare il peso di un'analisi concreta della situazione stessa.
La preoccupazione dei compagni é giusta. I marxisti debbono e dovranno sempre preoccuparsi di analizzare il dettaglio degli eventi (é uno dei loro compiti nella lotta proletaria), evitando di cadere in generalizzazioni retoriche nello stile del “marxismo ortodosso” di Longuet in Francia o delle vaghezze anarchiche che possono anche sembrare confortanti ma che, nei momenti decisivi, portano a gravi sbandate opportuniste, se non al tradimento vero e proprio.
Tuttavia per poter fare un’analisi concreta di “quello che accade” bisogna avere una quadro globale chiaro ed é qui che i compagni del BIPR hanno dei problemi. Nella misura in cui non si rendono conto della gravità del livello di degenerazione e delle contraddizioni interne del capitalismo nei "tempi normali" della fase di accumulazione, è l'intero processo di decomposizione e caos del mondo capitalistico mondiale, processo aggravatosi con il collasso del blocco orientale nel 1989, a sfuggire alla loro comprensione.
Il BIPR dovrebbe ricordarsi le incredibili stupidaggini che tirò fuori al momento del crollo dei paesi stalinisti, quando fantasticava sui “favolosi mercati” che questi paesi ridotti in rovine avrebbero offerto ai paesi occidentali, alleviando perciò stesso la crisi economica. Da allora, di fronte all'evidenza dei fatti ed anche grazie alle nostre critiche, i compagni hanno corretto i loro errori ed hanno così dimostrato la loro serietà di fronte al proletariato. Ma il BIPR deve fare di più. Deve chiedersi: come sono possibili simili sbandate? Come é possibile che le posizioni debbano cambiare sotto la pressione degli eventi? Che razza di avanguardia é quella che é a rimorchio degli avvenimenti, invece di essere capace di prevederli? Il BIPR dovrebbe studiare con attenzione i nostri testi sulle caratteristiche generali del processo di decomposizione del capitalismo[27]: scoprirebbe che il problema non é il nostro “semplicismo”, ma il suo ritardo nel comprendere a fondo questo problema.
Il fatto che il problema sia proprio questo é ulteriormente dimostrato da questa citazione del BIPR: “Una prova ulteriore dell’idealismo della CCI è data dall’accusa finale che questa porta contro il BIPR che non avrebbe “una visione unitaria e globale della guerra”, il che lo porterebbe alla “cecità ed irresponsabilità” (sic) di non vedere che una prossima guerra non potrebbe avere “altra conseguenza che la completa distruzione del pianeta”. La CCI potrebbe anche avere ragione, anche se ci farebbe piacere conoscere le basi scientifiche della loro previsione. Noi stessi abbiamo sempre detto che la prossima guerra mette in discussione la sopravvivenza stessa dell'umanità. Ma non c’è la certezza che vada a finire così. La prossima guerra imperialista potrebbe alla fine non portare alla distruzione dell'umanità. Ci sono dei sistemi di distruzione di massa (ad esempio quelli biologici o chimici) che nelle guerre precedenti non sono stati usati, e non é detto che la prossima volta l'olocausto nucleare debba estendersi all'intero pianeta. Nei fatti, gli attuali preparativi di guerra delle grandi potenze prevedono lo smantellamento di ordigni di distruzione di massa, mentre vengono sviluppate armi del tipo cosiddetto convenzionale. Perfino la borghesia comprende che un pianeta distrutto non serve a nessuno (anche se le forze che portano alla guerra e la natura della guerra stessa sono in ultima analisi fuori del suo controllo)”[28].
Il BIPR dovrebbe rileggere i libri di storia: nella II Guerra Mondiale tutti gli eserciti hanno utilizzato qualsiasi mezzo di distruzione, cercando disperatamente di inventarne degli altri. Durante la seconda guerra mondiale, quando la Germania era già stata sconfitta, la città di Dresda fu distrutta con una serie di bombardamenti con bombe incendiarie ed a frammentazione, mentre gli USA lanciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki quando il Giappone era stato esso stesso già sconfitto. Dopo di allora, il potenziale distruttivo delle bombe sganciate su Hanoi in una sola notte del 1971 risultò superiore a quello sganciato su tutta la Germania nel corso di tutti i bombardamenti del 1945. A sua volta il "bombardamento a tappeto" di Baghdad da parte degli "alleati" ha polverizzato il terribile primato di Hanoi. Nella stessa guerra del Golfo il governo USA ha sperimentato nuove armi di tipo chimico e nucleare-convenzionale sui suoi stessi soldati. D'altronde, é stato di recente rivelato che negli anni '50 gli Stati Uniti hanno condotto esperimenti di armi batteriologiche sulla loro stessa popolazione... Di fronte a questa massa di evidenze e notizie che possono essere lette su qualsiasi pubblicazione borghese, il BIPR ha la disonestà e l'ignoranza di fantasticare sul grado di controllo della borghesia, sul suo “interesse” ad evitare una distruzione totale! E' un suicidio politico stare a sognare una borghesia disposta ad usare armi “meno distruttive”, quando gli ultimi 80 anni di storia provano l'esatto contrario.
In queste fantasticherie stupide il BIPR non solo non capisce la teoria, ma disinvoltamente ignora la ripetuta e schiacciante evidenza dei fatti. Questi compagni dovrebbero capire il carattere sbagliato e revisionista di queste illusioni da piccolo-borghesi impotenti, che si afferrano alla pagliuzza dell'idea che “perfino la borghesia comprende che un pianeta distrutto non serve a nessuno”.
Il BIPR deve superare la sua posizione centrista, le oscillazioni tra una coerente posizione sulla guerra e la decadenza del capitalismo e le dubbie teorizzazioni sulla guerra come strumento di svalutazione del capitale e di rilancio dell'accumulazione. Questi errori lo portano a non prendere in considerazione o a non utilizzare seriamente come strumento coerente d’analisi ciò che esso stesso afferma, quando ad esempio dice che: “le forze che portano alla guerra e la natura della guerra sono in ultima analisi al di fuori del suo (della borghesia) controllo”.
Per il BIPR questa frase è una semplice parentesi retorica mentre, se volesse essere pienamente fedele alla Sinistra Comunista e comprendere la realtà storica, dovrebbe prenderla per guida nell'analisi, come asse della sua riflessione per comprendere concretamente sia i singoli fatti che le tendenze storiche del capitalismo oggi.
Adalen
[1] In questa replica il BIPR sviluppa anche altri argomenti, tra cui una particolare concezione del capitalismo di stato, che tuttavia non prenderemo in considerazione qui.
[2] Vedi nei numeri 77 e 78 della Revue Internazionale l’articolo: “Il rigetto della nozione di decadenza conduce alla smobilitazione del proletariato di fronte alla guerra”.
[3] I compagni si dichiarano d’accordo con la nostra posizione ma, invece di riconoscere I'importanza e le conseguenze di questa convergenza di analisi, reagiscono in maniera settaria accusandoci di essere disonesti nel modo in cui prendiamo posizione contro l’errore commesso da Rosa Luxemburg sul “militarismo come campo di accumulazione del capitale”. In realtà, come vedremo poi, la comprensione del fatto che il militarismo non costituisce un mezzo di accumulazione del capitale é un argomento a favore della nostra tesi fondamentale sul freno crescente dell’accumulazione nella fase decadente e non un argomento contro. D’altra parte il BIPR si sbaglia quando afferma che é in seguito alle loro critiche che abbiamo cambiato posizione su questo argomento. Per convincersene non debbono fare altro che leggere i testi dei nostri predecessori (La Sinistra Comunista di Francia) che hanno dato un contributo fondamentale all'analisi dell'economia di guerra a partire da una critica sistematica dell'idea di Vercesi della "guerra come soluzione alla crisi capitalista". Vedi in particolare “Il rinnegato Vercesi” (1944).
[4] Programme Communiste n.90, p.24, citato nella nostra polemica nella Revue Internationale n.77; p.20.
[5] “Le basi materiali della guerra imperialista”, International Communist Review, n°l3, p. 29.
[6] “Le basi materiali della guerra imperialista”, International Communist Review, n°l3, p. 29.
[7] Marx, Il Capitale, 3° libro, sezione 3, Capitolo XV, parte 2.
[8] “Teorie della crisi, da Marx all’Internazionale Comunista”, Revue Internationale n.22.
[9] Vedi in proposito, nell’articolo di polemica con il BIPR della Revue Internationale n.79, il paragrafo “La natura dei cicli di accumulazione nella decadenza del capitalismo”.
[10] “Il rinnegato Vercesi”, maggio 1944, Bollettino Internazionale della Frazione Italiana della Sinistra Comunista n°5, maggio 1944.
[11] “Le basi materiali della guerra imperialista”, p.30.
[12] idem
[13] L’Internazionale Comunista, al suo primo Congresso, considerava come compito urgente e prioritario quello di promuovere gli sforzi rivoluzionari del proletariato mondiale e di raggruppare le forze di avanguardia. In questo senso la sua analisi sulla guerra e il dopoguerra, sull’evoluzione del capitalismo, ecc. non potevano andare al di là della definizione di alcune linee generali. Il corso successivo degli eventi, la sconfitta del proletariato ed il rapido estendersi della gangrena opportunista all'interno stesso dell’I.C., portarono a contraddire queste linee generali mediante elaborazioni teoriche (in particolare la polemica di Bucharin contro R. Luxemburg nel suo libro “L'imperialismo e l'accumulazione del capitale” del 1924) che costituivano brutali passi indietro rispetto alla chiarezza dei primi due Congressi.
[14] “La situazione internazionale e la politica dell’Intesa”, in Tesi, Risoluzioni e Manifesti dei primi quattro Congressi della III Internazionale.
[15] Idem.
[16] Idem.
[17] “Le basi materiali della Guerra Imperialista”, p. 29.
[18] Revue Internationale n°16, p.14-15.
[19] “Le basi materiali della guerra imperialista”, p. 29-30.
[20] Idem.
[21] Vedi l’articolo “Il campo politico proletario di fronte alla Guerra del Golfo” nella Révue Internationale n°64.
[22] Nel Gennaio 1991 Battaglia Comunista annunciò, a proposito della Guerra del Golfo, che “la III Guerra Mondiale é cominciata il 17 Gennaio” (giorno dei primi bombardamenti degli "alleati" su Bagdad). Nel giornale successivo i compagni si resero conto di averla sparata grossa ma, invece di tirarne le giuste lezioni, ribadirono che “in questo senso, affermare che la guerra cominciata il 17 Gennaio segna l'inizio della III Guerra Mondiale non é un volo pindarico ma un riconoscimento del fatto che siamo entrati in una fase in cui i conflitti commerciali, che si sono accentuati a partire dall'inizio degli anni '7O, non possono trovare soluzione diversa dalla prospettiva di una guerra generalizzata”. Vedi il nostro articolo “Come non capire lo sviluppo del caos e dei conflitti imperialisti”, nella Revue Internationale n°72, in cui analizziamo questa ed altre sviste del BIPR.
[23] “Le basi materiali della guerra imperialista”.
[24] Idem.
[25] Idem.
[26] Idem.
[27] Vedi le “Tesi sulla crisi economica e politica in URSS e nei paesi dell'est”, concernenti il crollo dello stalinismo nella Rivista Internazionale n°13, “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo” nella Rivista Internazionale n°14 e “Militarismo e decomposizione” nella Rivista Internazionale n°15.
[28] “Le basi materiali della Guerra imperialista”, p.36.