Il 4 maggio e i giorni seguenti si commemora il 70° anniversario dei tragici avvenimenti del maggio 1937 in cui il governo della Repubblica – con la complicità diretta dei dirigenti della CNT e del POUM (1) – hanno massacrato gli operai di Barcellona che si erano sollevati, esasperati da uno sfruttamento brutale accresciuto dallo “sforzo” di guerra. Noi pensiamo che un grande dibattito sia oggi indispensabile per tirare le lezioni di questi avvenimenti e per fornire dei contributi; riproduciamo qui di seguito l’articolo d’intervento che i nostri predecessori, la Sinistra Comunista d’Italia e del Belgio, avevano pubblicato in questa occasione nella rivista Bilan (1933-1938). Noi speriamo così di suscitare un dibattito sincero e aperto che vada fino al fondo delle cose, che permetta alle generazioni attuali della classe operaia di tutti i paesi che non hanno vissuto questa tragedia di rafforzarsi nella loro lotta contro un capitalismo ogni volta più barbaro e inumano.
Corrente Comunista Internazionale (1° maggio 2007)
Proletari!
Il 19 luglio 1936, i proletari di Barcellona, a mani nude, hanno annientato l’attacco dei battaglioni di Franco, armati fino ai denti.
Il 4 maggio 1937, questi stessi proletari, muniti di armi, lasciano per terra molte più vittime che a luglio, quando si trattava di respingere Franco, ed è il governo antifascista – che comprende componenti anarchiche e che gode anche di un appoggio del POUM – che scatena la feccia delle forze repressive contro gli operai.
Proletari!
Il 19 luglio 1936, i proletari di Barcellona sono una forza invincibile. La loro lotta di classe, libera da legami con lo stato borghese, si ripercuote all’interno dei reggimenti di Franco, li disgrega e risveglia nei soldati l’istinto di classe: è lo sciopero che arresta i fucili e i cannoni di Franco e che blocca la sua offensiva.
La storia non registra che intervalli fuggitivi nel corso dei quali il proletariato può acquistare la sua completa autonomia di fronte allo stato capitalista. Qualche giorno dopo il 19 luglio, il proletariato catalano arriva al crocevia: o entra nella fase superiore della sua lotta per la distruzione dello stato borghese o il capitalismo ricostituisce le maglie del suo apparato di dominio. A questo stadio della lotta in cui l’istinto di classe non è più sufficiente e quando la coscienza diventa il fattore decisivo, il proletariato non può vincere senza disporre del capitale teorico accumulato con pazienza e accanimento dalle sue frazioni di sinistra erette in partito sotto l’incalzare degli avvenimenti. Se oggi il proletariato spagnolo vive una tragedia così cupa, ciò è dovuto alla sua immaturità nel forgiare il suo partito di classe: il cervello che, solo, può dargli forza vitale.
In Catalogna, dal 19 luglio, gli operai creano spontaneamente, sul proprio terreno di classe, gli organi autonomi della loro lotta. Ma subito sorge l’angosciante dilemma: o ingaggiare a fondo la battaglia politica per la distruzione dello stato capitalista e ultimare così i successi economici e militari, o lasciare in piedi l’apparato oppressivo del nemico e permettergli allora di snaturare e di liquidare le conquiste operaie.
Le classi lottano con i mezzi che sono loro imposti dalle situazioni e dal grado di tensione sociale. Di fronte al divampare della lotta di classe, il capitalismo non può pensare di ricorrere ai metodi classici della legalità. Ciò che lo minaccia, è l’indipendenza della lotta proletaria che condiziona l’altra tappa rivoluzionaria verso l’abolizione del dominio borghese. Il capitalismo deve dunque rinnovare la trama del suo controllo sugli sfruttati. Questa trama, che prima era costituita dalla magistratura, la polizia, le prigioni, viene sostituita, nella situazione estrema di Barcellona, dai Comitati delle milizie, le industrie socializzate, i sindacati operai che gestiscono i settori fondamentali dell’economia, le pattuglie di vigilanza, ecc.
Così in Spagna, la Storia ripropone il problema che, in Italia e in Germania, si è concluso con l’annientamento del proletariato: gli operai mantengono per la propria classe gli strumenti che essi stessi creano nel fuoco della lotta finché li dirigono contro lo stato borghese. Gli operai viceversa armano i loro boia di domani se, non avendo la forza di abbattere il nemico, si lasciano ancora attirare nelle insidie del suo dominio.
La milizia operaia del 19 luglio è un organismo proletario. La “milizia proletaria” della settimana seguente è un organismo capitalista appropriato alla situazione del momento. E, per realizzare il suo piano controrivoluzionario, la borghesia può fare appello ai centristi (2), ai socialisti, alla CNT, alla FAI, al POUM che, tutti, fanno credere agli operai che lo stato cambia natura quando il personale che lo gestisce cambia colore. Dissimulato tra le pieghe della bandiera rossa, il capitalismo affila pazientemente la spada della repressione che, il 4 maggio, è preparata da tutte le forze che, il 19 luglio, avevano spezzato la spina dorsale del proletariato spagnolo.
Il figlio di Noske e della Costituzione di Weimar è Hitler; il figlio di Giolitti (3) e del “controllo della produzione” è Mussolini; il figlio del fronte antifascista spagnolo, delle “socializzazioni”, delle milizie “proletarie”, è la carneficina di Barcellona del 4 maggio 1937.
Solo il proletariato russo rispose alla ceduta dello zarismo con l'Ottobre 1917 perché solo questo giunse a costruire il suo partito di classe attraverso il lavoro delle frazioni di sinistra.
Proletari!
E’ al riparo di un governo di Fronte Popolare che Franco ha potuto preparare il suo attacco. E’ sulla via della conciliazione che Barrios ha provato, il 19 luglio, a formare un ministero unico che potesse realizzare il programma del capitalismo spagnolo, sia sotto la direzione di Franco, sia sotto la direzione mista della destra e della sinistra unite fraternamente. Ma è la rivolta operaia di Barcellona, di Madrid, delle Asturie, che obbliga il capitalismo a sdoppiare il suo ministero, a dividere le funzioni tra l’agente repubblicano e l’agente militare legati da una indissolubile solidarietà di classe.
Dove Franco non è riuscito a imporre subito la sua vittoria, il capitalismo chiama gli operai a seguirlo per “sconfiggere il fascismo”. Sanguinoso tranello che questi hanno pagato con migliaia di cadaveri per aver creduto di poter, sotto la direzione del governo repubblicano, annientare il figlio legittimo del capitalismo: il fascismo. E sono partiti per le colline d’Aragona, per le montagne di Guadarrama, delle Asturie, per la vittoria della guerra antifascista.
Ancora una volta, come nel 1914, è con l’ecatombe del proletariato che la Storia sottolinea sanguinosamente l’irriducibile opposizione tra borghesia e proletariato.
I fronti militari: una necessità imposta dalla situazione? No! Una necessità del capitalismo per accerchiare e sconfiggere gli operai! Il 4 maggio 1937 dimostra chiaramente che dopo il 19 luglio il proletariato doveva combattere tanto contro Companys e Giral quanto contro Franco. I fronti militari non potevano che scavare la fossa agli operai perché rappresentavano il fronte della guerra del capitalismo contro il proletariato. A questa guerra i proletari spagnoli – sull’esempio dei loro fratelli russi del 1917 - non potevano rispondere che sviluppando il disfattismo rivoluzionario in entrambi i campi della borghesia: tanto il repubblicano quanto il “fascista”, e trasformando la guerra capitalista in guerra civile per la totale distruzione delle stato borghese.
La frazione italiana di sinistra è stata sostenuta, nel suo tragico isolamento, solo dalla solidarietà della corrente della Ligue des communistes internationalistes de Belgique che fonda ora la Frazione Belga della sinistra comunista internazionale. Soltanto queste due correnti hanno dato l’allarme quando, dappertutto, si proclamava la necessità di salvaguardare le conquiste della rivoluzione, di battere Franco per meglio sconfiggere in seguito Caballero.
Gli ultimi avvenimenti di Barcellona confermano tragicamente la nostra tesi iniziale e mostrano che è con una crudeltà che uguaglia quella di Franco che il Fronte Popolare, appoggiato da anarchici e dal POUM, si è gettato sugli operai insorti del 4 maggio.
Le vicissitudini delle battaglie militari sono state altrettante occasioni per il Governo repubblicano per serrare ancor più il suo controllo sugli sfruttati. In assenza di una politica proletaria di disfattismo proletario, i successi così come le sconfitte militari dell’esercito repubblicano hanno finito per essere le tappe della sanguinosa sconfitta di classe degli operai: a Badajoz, Irun, San Sebastián, la Repubblica del Fronte popolare apporta il suo contributo al massacro concertato del proletariato rinsaldando i legami dell’Union Sacrée perché, per vincere la guerra antifascista, occorre un esercito disciplinato e centralizzato. La resistenza di Madrid, viceversa, facilita l’offensiva del Fronte popolare che può sbarazzarsi del suo valletto di ieri, il POUM, e preparare così l’attacco del 4 maggio. La caduta di Malaga riannoda i fili insanguinati dell’Union Sacrée mentre è la vittoria militare di Guadalajara che apre il periodo che si concluderà con le fucilate di Barcellona. In questa atmosfera di ubriacatura guerriera può così sorgere e maturare l’attacco del 4 maggio.
Parallelamente, in tutti i paesi, la guerra di sterminio del capitalismo spagnolo alimenta la repressione borghese internazionale, e i morti fascisti e “antifascisti” di Spagna accompagnano gli assassinati di Mosca, i mitragliati di Clichy; ed è così sull’altare insanguinato dell’antifascismo che i traditori raccolgono gli operai di Bruxelles attorno al capitalismo democratico in occasione delle elezioni dell’11 aprile 1937.
“Armi per la Spagna”: questa è stata la parola d’ordine centrale che è risuonata nelle orecchie dei proletari. E queste armi hanno sparato sui loro fratelli di Barcellona. Anche la Russia sovietica, cooperando all’armamento della guerra antifascista, ha rappresentato l’ossatura capitalista per la recente carneficina. Agli ordini di Stalin - che mette in mostra la sua rabbia anticomunista - il 3 marzo il PSUC (4) di Catalogna prende l’iniziativa del massacro.
Ancora una volta, come nel 1914, gli operai si servono delle armi per uccidersi fra di loro invece di usarle per la distruzione del regime di oppressione capitalista.
Proletari!
Il 4 maggio gli operai di Barcellona hanno ripreso la via che avevano preso il 19 luglio e dalla quale il capitalismo aveva potuto respingerli appoggiandosi sulle molteplici forze del Fronte Popolare. Facendo scoppiare scioperi dappertutto, anche nei settori presentati come delle conquiste della rivoluzione, essi si sono opposti al blocco repubblicano-fascista del capitalismo. Ed il governo repubblicano ha risposto con tanta ferocia quanto quella mostrata da Franco a Badajoz e Irun. Se il governo di Salamanca non ha sfruttato questo vacillare del fronte d’Aragona per sferrare un attacco è perché ha capito che il suo complice di sinistra adempiva in maniera ammirevole al suo ruolo di boia del proletariato.
Esausto da dieci mesi di guerra, di collaborazione di classe della CNT, della FAI, del POUM, il proletariato catalano finisce per subire una terribile sconfitta. Ma questa sconfitta è anche una tappa della vittoria di domani, un momento della sua emancipazione, perché essa segna la morte di tutte le ideologie che avevano permesso al capitalismo di salvaguardare il suo dominio, malgrado il gigantesco soprassalto del 19 luglio.
No! I proletari caduti il 4 maggio non possono essere rivendicati da nessuna delle correnti che, il 19 luglio, li hanno trascinati fuori del loro terreno di classe per precipitarli nel baratro dell’antifascismo.
I proletari caduti appartengono al proletariato e solamente a questo. Essi rappresentano le membrane del cervello della classe operaia mondiale, del partito di classe della rivoluzione comunista.
Gli operai di tutto il mondo si inchinano di fronte a tutti i morti e rivendicano i loro cadaveri contro tutti i traditori, quelli di ieri come quelli di oggi. Il proletariato di tutto il mondo saluta in Berneri (5) uno dei suoi, e il suo sacrificio all’ideale anarchico è ancora una protesta contro una scuola politica che è sprofondata nel corso degli avvenimenti spagnoli: è sotto la direzione di un governo a participazione anarchica che la polizia ha ripetuto sul corpo di Berneri l’impresa di Mussolini sul corpo di Matteotti! (6)
Proletari!
La carneficina di Barcellona è il segno anticipatore di repressioni ancora più sanguinose sugli operai di Spagna e del mondo intero. Ma è anche il segno anticipatore di tempeste sociali che, domani, si scateneranno sul mondo capitalista.
Il capitalismo, in solo dieci mesi, ha dovuto dar fondo alle risorse politiche che contava di consacrare per demolire il proletariato, ostacolando il lavoro che questo portava avanti per fondare il suo partito di classe, arma della sua emancipazione e della costruzione della società comunista. Centrismo e anarchismo, raggiungendo la socialdemocrazia, hanno portato a termine, in Spagna, la loro evoluzione, analogamente a quanto si produsse nel 1914 quando la guerra ridusse la Seconda Internazionale allo stato di cadavere.
In Spagna, il capitalismo ha scatenato una battaglia di una portata internazionale: la battaglia tra il fascismo e l’antifascismo che, attraverso la forma estrema delle armi, annuncia una tensione acuta dei rapporti di classe sull’arena internazionale.
Le morti di Barcellona spianano il terreno per la costruzione del partito della classe operaia. Le forze politiche che hanno chiamato gli operai a lottare per la rivoluzione ingaggiandoli in una guerra capitalista sono tutte passate dall’altra parte della barricata e davanti agli operai del mondo intero si apre l’orizzonte luminoso in cui i morti di Barcellona hanno scritto con il loro sangue di classe ciò che era stato già scritto dai morti del 1914-18: la lotta degli operai è proletaria alla sola condizione di sapersi dirigere contro il capitalismo e il suo Stato; viceversa essa serve gli interessi del nemico se non si dirige contro di esso, in tutti i momenti, in tutti i campi, in tutti gli organismi proletari che le situazioni fanno sorgere.
Il proletariato mondiale lotterà contro il capitalismo anche quando questo passerà alla repressione contro i suoi servi di ieri. E’ la classe operaia e mai il suo nemico di classe che è incaricata di liquidare il conto di quelli che hanno espresso una fase della sua evoluzione, un momento della sua lotta per l’emancipazione dalla schiavitù capitalista.
La battaglia internazionale che il capitalismo spagnolo ha ingaggiato contro il proletariato apre un nuovo capitolo internazionale della vita delle frazioni di tutti i paesi. Il proletariato mondiale che deve continuare a lottare contro i “costruttori” di Internazionali artificiali sa che esso non può fondare l’Internazionale proletaria che attraverso la scossa mondiale del rapporto di classe che apra la via della Rivoluzione comunista, e solo così. Di fronte alla Guerra di Spagna, che annuncia l’apparire di tormente rivoluzionarie in altri paesi, il proletariato mondiale sente che è venuto il momento di allacciare i primi legami internazionali delle frazioni della Sinistra Comunista.
Proletari di tutti i paesi!
La vostra classe è invincibile; essa rappresenta il motore dell’evoluzione storica: gli avvenimenti di Spagna ne sono la prova perché è la vostra classe che, sola, costituisce la posta di una lotta che mette in subbuglio il mondo intero!
Non è la disfatta che vi può scoraggiare: da questa disfatta trarrete gli insegnamenti per la vittoria di domani!
Sulle vostre basi di classe, voi ricostruirete la vostra unità di classe al di là delle frontiere, contro ogni mistificazione del nemico capitalista!
In Spagna, ai tentativi di compromesso che cercano di fondare la pace dello sfruttamento capitalista, rispondete con la fraternizzazione degli sfruttati dei due eserciti per la lotta simultanea contro il capitalismo!
In piedi per la lotta rivoluzionaria in tutti i paesi!
Viva la lotta rivoluzionaria in tutti i paesi!
Viva il proletariato di Barcellona che ha scritto una nuova pagina sanguinosa del libro della Rivoluzione mondiale!
Avanti per la costituzione dell’Ufficio Internazionale per promuovere la formazione di frazioni di sinistra in tutti i paesi!
Innalziamo la bandiera della Rivoluzione Comunista che i boia fascisti e antifascisti non possono impedire ai proletari vinti di trasmettere ai loro eredi di classe!
Siamo degni dei nostri fratelli caduti!
Viva la Rivoluzione Comunista in tutto il mondo!
Le Frazioni belga e italiana della Sinistra Comunista Internazionale
1. Il Partito Operaio di Unificazione Marxista (o POUM, in spagnolo Partido obrero de unificación marxista) era un’organizzazione spagnola prossima ai troschisti, creata nel 1935 e sciolta nel 1937, che ha partecipato attivamente alla Guerra di Spagna contro il generale Franco.
2. E’ così che la Sinistra Comunista d’Italia caratterizzava gli stalinisti.
3. Uomo politico borghese, diverse volte presidente del Consiglio in Italia, in particolare in occasione degli scioperi culminati con l’occupazione delle fabbriche nel 1920.
4. In Catalogna il PC, la federazione socialista, l’Unione Socialista ed il Partì Català Proletari si erano fusi, alla vigilia della guerra civile, in una sola organizzazione, il Partito Socialista Unificato di Catalogna, in nome delle particolarità regionali.
5. Camillo Berneri, nato a Lodi, in Italia, il 28 maggio 1897, e morto assassinato dalla GPU a Barcellona, in Spagna, il 6 maggio 1937.
6. Giacomo Matteotti fu deputato socialista italiano. Il suo assassinio da parte di un gruppo fascista porta indirettamente all’instaurazione progressiva del regime di Mussolini.
L'estate 2007 ha confermato lo sprofondamento del capitalismo in catastrofi sempre più frequenti: l’inferno imperialistico illustrato dai costanti bagni di sangue di civili in Iraq; le devastazioni causate dal cambiamento climatico provocato dalla ricerca sfrenata del profitto; un nuovo tonfo nella crisi economica che promette un maggiore impoverimento della popolazione mondiale. All'inverso, la classe operaia, la sola forza capace di salvare la società umana, è sempre più scontenta del sistema capitalista in putrefazione. Ma è sulla crisi economica che rivolgeremo la nostra attenzione in questo articolo, visto i drammatici avvenimenti iniziati nel settore immobiliare negli Stati Uniti e che hanno scosso la finanza internazionale ed il sistema economico del mondo intero.
La crisi è stata scatenata dalla caduta dei prezzi immobiliari in America alla pari con un rallentamento dell'attività nell'industria dell'edilizia e dall'incapacità di numerosi debitori di rimborsare, a causa del rialzo dei tassi di interesse, i crediti, diventati ora famosi con il nome di subprime o prestiti a rischi. Da questo epicentro, le onde d'urto si sono estese a tutto il sistema finanziario mondiale. In agosto, fondi d’investimento ed intere banche commerciali i cui interessi comprendevano miliardi di dollari di questi prestiti a rischi, sono crollate o hanno dovuto essere soccorse. Anche gli hedge funds della banca americana Bear Sterns, sono crollati costando un miliardo di dollari agli investitori. La banca tedesca ADF è stata salvata in extremis, mentre la banca francese BNP Paribas è stata brutalmente scossa. Le azioni degli organismi di prestiti immobiliari e di altre banche si sono seriamente abbassate, implicando una caduta vertiginosa di tutte le principali piazze borsiste del pianeta, annientando miliardi di dollari di "lavoro accumulato". Per frenare la perdita di fiducia e la reticenza delle banche ad accordare prestiti, le banche centrali - la Federal Reserve americana (la FED) e la Banca Europea - sono intervenute per mettere a disposizione nuovi miliardi per prestiti meno cari. Certamente, questo denaro non era destinato alle centinaia di migliaia di persone che avevano perso il loro tetto nel fiasco dei subprimes, né alle decine di migliaia di operai gettati in stato di disoccupazione dalla crisi dell'edilizia, ma agli stessi mercati del credito. Così, gli istituti finanziari che hanno dilapidato quantità enormi di liquidità, sono stati ricompensati da nuovi apporti per continuare le loro scommesse. Tuttavia, tutto ciò non ha messo fine in nessun modo alla crisi. In Gran Bretagna, quest’ultima si trasformava in farsa.
A settembre, la Banca dell'Inghilterra ha criticato le altre banche centrali per aver appoggiato gli investitori pericolosi ed imprudenti che avevano scatenato la crisi, raccomandando una politica più severa che punisse i cattivi protagonisti ed impedisse la ricomparsa degli stessi problemi di speculazione. Ma all'indomani stesso, il presidente della Banca, Mervyn King, ha effettuato una virata di 180°. La banca ha dovuto soccorrere il quinto fornitore di prestiti immobiliari del Regno Unito, il Northern Rock. La "strategia di impresa" di quest’ultima era prendere in prestito sul mercato del credito poi di riprestare il denaro, ad un tasso di interesse superiore, alle persone che acquistavano alloggi. Quando i mercati del credito hanno cominciato a crollare, anche il Northern Rock è crollato.
Appena fu annunciato il soccorso alla banca, si sono viste formare enormi code davanti alle differenti agenzie: i risparmiatori volevano ritirare il loro denaro - in 3 giorni sono stati ritirati 2 miliardi di sterline. E’ stato il primo assalto di questo tipo su una banca inglese da 140 anni (1866). Per prevenire il rischio di contagio, il governo è dovuto intervenire di nuovo e ha dovuto dare il 100% di garanzia ai clienti del Northern Rock ed ai risparmiatori di altre banche minacciate[1]. Alla fine, "la vecchia signora di Threadneedle Street" - la Banca dell'Inghilterra - è stata obbligata, come tutte le altre banche centrali appena criticate da lei stessa, di iniettare enormi somme di denaro nello scalcinato sistema bancario. Risultato: la credibilità della stessa direzione del centro finanziario di Londra - che rappresenta oggi un quarto dell'economia britannica - era in rovina.
L’atto successivo del dramma, che nel momento in cui scriviamo continua, riguarda l'effetto della crisi finanziaria sull'economia in generale. Il primo abbassamento da cinque anni dei tassi di interesse da parte della FED, al fine di rendere il credito più disponibile, non ha dato, per ora, risultati. Non ha messo fine al crollo continuo del mercato immobiliare negli Stati Uniti e non ha neanche allontanato la stessa prospettiva per gli altri 40 paesi in cui si è sviluppata la stessa bolla speculativa. Ed ancora non ha impedito lo sviluppo delle restrizioni di credito ed i loro effetti inevitabili sull'investimento e le spese delle famiglie nel loro insieme. Al posto di ciò, ha prodotto una veloce caduta del dollaro che è al suo più basso livello rispetto alle altre monete da quando il presidente Nixon lo aveva svalutato nel 1971, ed un salita record dell'Euro e delle materie prime come il petrolio e l'oro.
Questi sono dei segni annunciatori di una caduta della crescita dell'economia mondiale, addirittura di una recessione aperta, ed al tempo stesso di uno sviluppo dell'inflazione nel prossimo futuro.
In una parola, il periodo di crescita economica degli ultimi sei anni, costruita sul credito ipotecario e sul consumo e sul gigantesco debito estero e di bilancio degli Stati Uniti, è arrivato al termine.
Questi sono i dati della situazione economica attuale. La domanda è: la recessione che si profila e che tutti pensano probabile si iscrive negli inevitabili alti e bassi di un'economia capitalista fondamentalmente sana, o è un sintomo di un processo di disintegrazione, di un guasto interno del capitalismo che sarà pertanto caratterizzato da convulsioni sempre più violente?
Per rispondere a questa domanda, è innanzitutto necessario esaminare l'idea secondo cui lo sviluppo della speculazione e della crisi del credito che ne consegue sarebbe, in un certo modo, un'aberrazione o ancora una eccezione rispetto ad un sano funzionamento del sistema che potrebbero dunque essere corretti dal controllo dello Stato o attraverso una migliore regolazione. In altri termini, la crisi attuale è dovuta ai finanzieri che prendono l'economia in ostaggio?
Lo sviluppo del sistema bancario, della Borsa e di altri meccanismi di credito è parte integrante dello sviluppo del capitalismo dal diciottesimo secolo. Questi sono stati necessari per accumulare e centralizzare il capitale finanziario e permettere i livelli di investimento richiesti per una vasta espansione industriale che anche il singolo capitalista più ricco non avrebbe potuto immaginare. L'idea dell'imprenditore industriale che accumula il suo capitale economizzando e rischiando il proprio denaro è una pura finzione. La borghesia deve avere accesso alle somme di capitale che sono state concentrate già sui mercati del credito. Sulle piazze finanziarie, non sono le loro fortune personali che i rappresentanti della classe borghese mettono in gioco, ma la ricchezza sociale sotto forma monetaria.
Il credito, molto credito, ha dunque svolto un ruolo importante nell'enorme accelerazione della crescita delle forze produttive - rispetto alle epoche precedenti - e nella costituzione del mercato mondiale.
D’altro lato, viste le tendenze inerenti alla produzione capitalista, il credito ha costituito anche un potente fattore acceleratore della sovrapproduzione, della sopravvalutazione della capacità del mercato ad assorbire dei prodotti e ha dunque catalizzato le bolle speculative con le loro conseguenze sotto forma di crisi e di prosciugamento del credito. Nello stesso momento in cui facilitavano queste catastrofi sociali, la Borsa ed il sistema bancario hanno incoraggiato tutti i vizi come l'avidità e la doppiezza, caratteristiche di una classe sfruttatrice che vive del lavoro altrui; vizi che oggi vediamo prosperare sotto forma di reati e di pagamenti fittizi, di "premi" scandalosi equivalenti ad enormi fortune o di "paracaduti dorati", di frodi contabili o di furti puri e semplici, ecc.
La speculazione, i prestiti a rischio, le truffe, i tonfi in Borsa che ne conseguono e la scomparsa di enormi quantità di plusvalore sono dunque una caratteristica intrinseca dell'anarchia della produzione capitalista.
In ultima analisi, la speculazione è una conseguenza, non una causa delle crisi capitaliste. E se oggi sembra che l'attività speculativa della finanza domini l'insieme dell'economia, è perché da 40 anni, la sovrapproduzione capitalista è entrata in modo crescente in una crisi continua, dove i mercati mondiali sono saturi di prodotti e l'investimento nella produzione sempre meno lucrativo; l'inevitabile ricorso al capitale finanziario è scommettere in quella che è diventata una "economia da casinò".[2]
Un capitalismo senza eccessi finanziari non è dunque possibile; questi ultimi fanno intrinsecamente parte della tendenza del capitalismo a produrre come se il mercato non avesse limiti, da cui la stessa incapacità di un Alan Greenspan, l'ex presidente del FED, a sapere se "il mercato è sopravvalutato".
Il recente crollo del mercato immobiliare negli Stati Uniti ed in altri paesi è un'illustrazione del reale rapporto tra la sovrapproduzione e le pressioni del credito.
Le caratteristiche della crisi del mercato immobiliare ricordano le descrizioni delle crisi capitaliste nel Manifesto comunista di Karl Marx: "Un'epidemia che, in tutt’altra epoca, sarebbe potuto sembrare un'assurdità, si abbatte sulla società, - l'epidemia della sovrapproduzione... la società ha troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio".
Così, non è a causa di una penuria di alloggi che ci sono masse di persone senza tetto; paradossalmente, ce n’è sono troppi, una vera sovrabbondanza di case vuote. L'industria della costruzione ha lavorato senza pausa in quest’ultimi cinque anni. Ma allo stesso tempo, il potere di acquisto degli operai americani è diminuito perché il capitalismo americano ha cercato di aumentare i suoi profitti. Un fossato si è creato tra i nuovi alloggi messi sul mercato e la capacità di pagamento di quelli che ne avevano bisogno. Da qui i prestiti a rischio - i subprimes - per sedurre i nuovi acquirenti che non avevano i mezzi. La quadratura del cerchio. Alla fine il mercato è crollato. Oggi, mentre un numero sempre maggiore di proprietari di alloggi vengono sloggiati ed i loro beni pignorati a causa di tassi di interesse dei loro prestiti oppressivi, il mercato immobiliare sarà ancora più saturo - negli Stati Uniti, si prevede che 3 milioni di persone perdano il loro tetto per incapacità a rimborsare i loro prestiti subprime. Si aspetta lo stesso fenomeno di miseria in altri paesi dove la bolla immobiliare è esplosa o sta per esplodere. Così, lo sviluppo dell'attività edile e dei mutui ipotecari durante l'ultimo decennio, lungi dal ridurre il numero di senza tetto, ha messo l'alloggio decente fuori portata della massa della popolazione o i proprietari di casa in un situazione precaria.[3]
Evidentemente, ciò che preoccupa i dirigenti del sistema capitalista - i suoi manager di hedge funds, i suoi ministri delle finanze, i suoi banchieri delle banche centrali, ecc. - nella crisi attuale, non sono le tragedie umane provocate dal crollo dei subprimes, e le piccole aspirazioni ad una vita migliore (a meno che esse non spingano a mettere in questione la stupidità di questo modo di produzione) ma l'impossibilità dei consumatori a pagare i prezzi che infiammano le case ed i tassi di interessi usurai sui prestiti.
Il fiasco dei subprimes illustra la crisi del capitalismo, la sua tendenza cronica, nella sua corsa al profitto, alla sovrapproduzione rispetto alla domanda solvibile; dunque la sua incapacità, malgrado le risorse materiali, tecnologiche ed umane fenomenali a sua disposizione, a soddisfare i più elementari bisogni umani.[4]
Tuttavia, per quanto assurdamente sprecone ed anacronistico appaia il sistema capitalista alla luce della recente crisi, la borghesia prova sempre a rassicurare sé stessa e l'insieme della popolazione: almeno questa non andrà male come nel 1929.
Il crash di Wall Street nel 1929 e la Grande Depressione continuano ad assillare la borghesia come lo dimostra la copertura dei media dei recenti avvenimenti. Editoriali, articoli di fondo, analogie storiche tentano di convincerci che la crisi finanziaria attuale non condurrà alla stessa catastrofe del 1929, avvenimento unico che si è trasformato in disastro a causa di cattive gestioni.
Gli "esperti" della borghesia incoraggiano piuttosto l'illusione secondo la quale la crisi finanziaria attuale sarebbe un tipo di ripetizione dei crashs finanziari del diciannovesimo secolo che erano relativamente limitati nel tempo e lo spazio. In realtà, la situazione attuale ha più in comune con il 1929 che con questo periodo anteriore dell'ascesa del capitalismo; condivide molto le caratteristiche comuni alle crisi economiche e finanziarie catastrofiche della sua decadenza, periodo che si è aperto con la Prima Guerra mondiale, di disintegrazione del modo di produzione capitalista, un periodo di guerre e di rivoluzioni.
Le crisi economiche dell'ascesa capitalista e l'attività speculativa che spesso le hanno accompagnate e precedute, costituivano dei battiti di cuore di un sistema sano ed aprivano la strada ad una nuova espansione capitalista attraverso interi continenti, a maggiori avanzamenti tecnologici, alla conquista di mercati coloniali, alla trasformazione degli artigiani e dei contadini in eserciti di lavoratori salariati, ecc.
Il crash della Borsa a New York nel 1929 che ha annunciato la prima grande crisi del capitalismo in declino ha gettato nell'ombra tutte le crisi speculative del diciannovesimo secolo. Durante "i folli anni" del 1920, il valore delle azioni del Borsa di New York, la più importante del mondo, era stato moltiplicato per cinque. Il capitalismo mondiale non aveva superato la catastrofe della Prima Guerra mondiale e, nel paese diventato più ricco del mondo, la borghesia cercava degli sbocchi nella speculazione borsistica.
Ma il "giovedì nero" del 24 ottobre 1929, fu un crollo brutale. Le vendite in fretta e furia proseguirono il "martedì nero" della seguente settimana. E la Borsa continuò a crollare fino al 1932; intanto, i titoli avevano perso l’ 89% del loro valore massimo dal 1929. Erano ridotti ai livelli mai conosciuti dal diciannovesimo secolo. Il livello massimo del valore delle azioni del 1929 non fu che ritrovato nel 1954!
Durante questo tempo, il sistema bancario americano che aveva prestato del denaro per acquistare i titoli, sprofondava. Questa catastrofe annunciò la Grande Depressione degli anni 1930, la crisi più profonda mai conosciuta dal capitalismo. Il PIL americano si dimezzò. 13 milioni di operai furono gettati in disoccupazione con quasi nessun sussidio. Un terzo della popolazione sprofondò nella povertà più abietta. Gli effetti risuonarono su tutto il pianeta.
Ma non ci fu rialzo economico come dopo le crisi del diciannovesimo secolo. La produzione riprese dopo essere stata orientata solamente verso la produzione di armamenti in preparazione di un nuova divisione del mercato mondiale attraverso il bagno di sangue imperialistico della Seconda Guerra mondiale; in altri termini, quando i disoccupati furono trasformati in carne da cannone.
La depressione degli anni ‘30 sembrò essere il risultato del 1929 ma, in realtà, il crash di Wall Street non fece che precipitare la crisi, crisi della sovrapproduzione cronica del capitalismo nella sua fase di decadenza e che è l’essenza dell'identità tra le crisi degli anni ‘30 e quella di oggi riemersa nel 1968.
La borghesia degli anni ‘50 e ‘60 ha proclamato con sufficienza che aveva risolto il problema delle crisi e che le avevano ridotte allo stato di curiosità storica grazie a palliativi come l'intervento dello Stato nell'economia sul piano nazionale ed internazionale, attraverso il finanziamento dei deficit e la tassazione progressiva. Con suo disappunto, la crisi mondiale di sovrapproduzione è riapparsa nel 1968.
Da 40 anni, questa crisi è andata da una depressione all’altra, da una recessione aperta ad un altra più grave, da un falso eldorado ad un altro. Dal 1968 la crisi non ha preso la forma di caduta libera del crash del 1929.
Nel 1929, gli esperti finanziari della borghesia adottarono misure che non riuscirono ad arginare la crisi finanziaria. Queste misure non furono errori ma metodi che avevano funzionato durante i precedenti crashs del sistema, come quello del 1907 e del panico che aveva generato; ma non erano più sufficienti nel nuovo periodo. Lo Stato si rifiutò di intervenire. I tassi di interesse aumentarono, si lasciarono diminuire le riserve monetarie, le restrizioni di credito rafforzarsi e la fiducia nel sistema bancario e nel credito volare in frammenti. Le leggi tariffarie Smoot-Hawley imposero delle barriere alle importazioni, il che accelerò il rallentamento del commercio mondiale e, di conseguenza, peggiorò la depressione.
Negli ultimi 40 anni, la borghesia ha imparato ad utilizzare i meccanismi statali per ridurre i tassi di interesse ed iniettare delle liquidità nel sistema bancario per fare fronte alle crisi finanziarie. È stata capace di accompagnare la crisi, ma al prezzo di un sovraccarico del sistema capitalista attraverso montagne di debiti. Il declino è stato più graduale che negli anni 1930; tuttavia, i palliativi si consumano ed il sistema finanziario è sempre più fragile.
L'aumento fenomenale del debito nell'economia mondiale durante l'ultimo decennio è illustrato dalla crescita straordinaria, sul mercato del credito, di hedge funds oggi celebri. Il capitale stimato di questi fondi è aumentato da 491 miliardi di dollari nel 2000 a 1745 miliardi nel 2007[5]. Le loro transazioni finanziarie complicate, per la maggior parte segrete e non regolate, utilizzano il debito come una sicurezza negoziabile nella ricerca di guadagni a breve termine. Gli hedge funds sono considerati come operazioni che hanno sparso cattivi debiti attraverso il sistema finanziario, accelerando ed estendendo velocemente l’attuale crisi finanziaria.
Il Keynesianesimo, sistema di finanziamento del deficit attraverso lo Stato per mantenere il pieno impiego, è evaporato con l'inflazione galoppante degli anni 1970 e le recessioni del 1975 e 1981. La Reaganomics ed il Thatcherismo, mezzi per restaurare i profitti attraverso la riduzione del salario sociale, la diminuzione delle tasse, e lasciando le imprese non redditizie fallire e provocare una disoccupazione di massa, sono spirate col crash borsista del 1987, lo scandalo della Savings and Loans (Società di credito per la casa popolare) e la recessione del 1991. I Dragoni asiatici si sono sgonfiati nel 1997, con enormi debiti. la rivoluzione Internet, la "nuova economia", si è rivelata non avere "nessuna rendita apparente" ed il boom delle sue azioni ha fatto fallimento nel 1999. Il boom dell'immobiliare e l'esplosione del credito dei consumi dei cinque ultimi anni, e l'utilizzazione del gigantesco debito estero degli Stati Uniti per fornire una domanda per l'economia mondiale e l'espansione "miracolo" dell'economia cinese – mettono anche quest’ultima in questione.
Non si può predire esattamente come l'economia mondiale proseguirà nel suo declino ma, ciò che sono inevitabile, sono sempre più le convulsioni crescenti ed un’aumentata austerità.
Nel Volume III del Capitale, Karl Marx argomenta che il sistema di credito sviluppato dal capitalismo ha rivelato in modo embrionale un nuovo modo di produzione in seno al vecchio. Allargando e socializzando la ricchezza, togliendola dalle mani dei membri individuali della borghesia, il capitalismo ha lastricato la strada per una società dove la produzione potrebbe essere centralizzata e controllata dagli stessi produttori e dove la proprietà borghese potrebbe essere abolita come un anacronismo storico: il sistema del credito "accelera di conseguenza, lo sviluppo materiale delle forze produttive e la creazione del mercato mondiale. Il sistema capitalista ha per compito storico di portare ad un certo livello queste basi materiali del nuovo tipo di produzione. Allo stesso tempo, il credito accelera le manifestazioni violente di questo antagonismo, e cioè le crisi, e, di conseguenza, gli elementi di dissoluzione del vecchio modo di produzione".[6]
E’ da oltre un secolo ormai che le condizioni sono mature affinché siano aboliti il regno della borghesia e lo sfruttamento capitalista. In assenza di una risposta radicale del proletariato che lo porti a rovesciare il capitalismo a scala mondiale, le contraddizioni di questo sistema moribondo, la crisi economica in particolare, non fanno che aggravarsi. Se oggi il credito continua a sostenere un ruolo nell'evoluzione di queste contraddizioni, ciò non può più favorire la conquista del mercato mondiale dal momento che il capitalismo ha già stabilito da molto il dominio dei suoi rapporti di produzione sull'insieme del pianeta. In compenso, ciò che l'indebitamento massiccio di tutti gli Stati ha permesso effettivamente al capitalismo, è di evitare dei tonfi brutali dell'attività economica, ma non a qualsiasi prezzo. Così, dopo avere per decenni costituito un fattore di appianamento dell'antagonismo tra gli sviluppi delle forze produttive ed i rapporti di produzione capitalista diventati antiquati, la pazza fuga in avanti nell'utilizzazione massiccia e generalizzata del credito, "le manifestazioni violente di questo antagonismo", fa conoscere accelerazioni brutali che scuoteranno come non mai l'edificio sociale. Tuttavia, prese per sé stesse, tali scosse non costituiscono una minaccia per la divisione della società in classi. Lo diventano invece dal momento che contribuiscono a mettere il proletariato in movimento.
Ora, come i rivoluzionari hanno sempre messo in evidenza, è la crisi che va ad accelerare il processo già in corso di presa coscienza del vicolo cieco del mondo attuale. E’ essa che, a breve termine, spingerà nella lotta, più massicciamente, numerosi settori della classe operaia, permettendo a quest’ultima di moltiplicare le esperienze. La posta in gioco di queste esperienze future è la capacità, per la classe operaia, di difendersi e di affermarsi di fronte a tutte i settori della borghesia, di prendere fiducia nelle proprie forze ed acquistare progressivamente la coscienza di essere la sola forza della società capace di rovesciare il capitalismo.
Como, 29/10/2007
[1] Secondo la rivista economica britannica The Economist, questa garanzia era in realtà un bluff.
[2] "Non sono i discorsi pomposi degli "altermondialisti" ed altri sostenitori della "finanziarizzazione" dell'economia che cambieranno qualche cosa. Queste correnti politiche vorrebbero un capitalismo "pulito", "equo", che in particolare girasse le spalle alla speculazione. In realtà, questa non è per niente il prodotto di un "cattivo" capitalismo che "dimentica" la sua responsabilità di investire nei settori realmente produttivi. Come ha stabilito Marx dal diciannovesimo secolo, la speculazione risulta dal fatto che, nella prospettiva di una mancanza di sbocchi sufficienti per gli investimenti produttivi, i detentori di capitali preferiscono farli fruttare a breve termine in un'immensa lotteria, una lotteria che trasforma oggi il capitalismo in un casinò planetario. Volere che il capitalismo rinunci alla speculazione nel periodo attuale è realistico tanto quanto volere che le tigri diventino vegetariane, o che i draghi smettano di sputare fuoco". (Risoluzione sulla situazione internazionale adottata dal 17° congresso della CCI).
[3] Benjamin Bernanke, presidente della FED, parla degli arretrati di pigione come atti di "delinquenza": in altri termini, delle infrazioni contro Mammone. Perciò, i "criminali" sono stati puniti... attraverso tassi di interesse ancora più alti!
[4] Non possiamo affrontare qui la questione della situazione dei senza tetto nell'insieme del mondo. Secondo la Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti dell'uomo, un miliardo di persone sul pianeta non ha alloggio adeguato e 100 milioni non ha alcuno alloggio.
[6] Sezione 5, capitolo "Il ruolo del credito nella produzione capitalista".
Alla fine del mese di maggio, la CCI ha tenuto il suo 17° congresso internazionale. Nella misura in cui le organizzazioni rivoluzionarie non esistono per sé stesse ma sono delle espressioni del proletariato e nello stesso momento fattori attivi nella vita di questo, spetta loro rendere conto all'insieme della loro classe dei lavori di questo momento privilegiato che costituisce la riunione della loro istanza fondamentale: il congresso.
Tutti i congressi della CCI sono evidentemente dei momenti molto importanti nella vita della nostra organizzazione, delle pietre miliari che segnano il suo sviluppo. Tuttavia, la prima cosa che bisogna sottolineare, rispetto a quello che si è tenuto nella primavera scorsa, è che la sua importanza è ancora ben più grande dei precedenti, poiché segna una tappa notevolmente importante nella sua vita più che trentennale1.
La presenza dei gruppi del campo proletario
La principale dimostrazione di questo fatto è la presenza nel nostro congresso di delegazioni di tre gruppi del campo proletario internazionale: Opop del Brasile2, la SPA3 della Corea del Sud ed EKS4 della Turchia. Anche un altro gruppo era stato invitato al congresso, il gruppo Internasyonalismo delle Filippine, ma, malgrado la sua profonda volontà di mandare una delegazione, ciò non è stato possibile. Questo gruppo tuttavia ha tenuto a trasmettere al congresso della CCI un saluto ai suoi lavori e delle prese di posizione sui principali rapporti che gli erano stati forniti.
La presenza di parecchi gruppi del campo proletario ad un congresso della CCI non è una novità. Nel passato, all' inizio della sua esistenza, la CCI aveva già accolto delegazioni di altri gruppi. È così che la sua conferenza costitutiva a gennaio 1975 aveva visto la presenza del Revolutionary Worker's Group degli Stati Uniti, di Pour un Intervention Communiste di Francia e Revolutionary Perspectives della Gran Bretagna. Parimenti, all'epoca del suo 2° congresso (1977) era presente una delegazione del Partito Comunista Internazionalista, Battaglia Comunista. Al suo 3° congresso (1979) erano presenti delle delegazioni della Communist Workers' Organisation (Gran Bretagna), del Nucleo Comunista Internazionalista e de Il Leninista (Italia) e un compagno non organizzato della Scandinavia. Purtroppo, in seguito, non è stato più possibile perseguire una tale pratica, e ciò per ragioni indipendenti della volontà della nostra organizzazione: scomparsa di certi gruppi, evoluzione di altri verso posizioni gauchiste (come il NCI), comportamento settario dei gruppi (CWO e Battaglia Comunista) che si erano assunti la responsabilità di affossare le conferenze internazionali dei gruppi della Sinistra comunista tenutesi alla fine degli anni ‘705. In effetti, era più di un quarto di secolo che la CCI non aveva potuto accogliere altri gruppi proletari ad uno dei suoi congressi. In sé, la partecipazione di quattro gruppi al nostro 17° congresso6 ha costituito per la nostra organizzazione un avvenimento molto importante.
Il significato del 17° congresso
Ma questa importanza va ben al di là del fatto di avere potuto riprendere una pratica che era quella della CCI ai suoi inizi. È il significato dell'esistenza e dell'atteggiamento di questi gruppi che costituisce l'elemento più fondamentale. Essi sono una conferma di una situazione storica che avevamo identificato già all'epoca del precedente congresso: "I lavori del 16°congresso (...) hanno posto al centro delle loro preoccupazioni l'esame della ripresa delle lotte della classe operaia e delle responsabilità che questa ripresa implica per la nostra organizzazione, in particolare di fronte allo sviluppo di una nuova generazione di elementi che si orientano verso una prospettiva politica rivoluzionaria". ("16°Congresso della CCI - Prepararsi ai combattimenti di classe ed all'apparizione delle nuove forze rivoluzionarie", Révue Internationale n°122).
In realtà, all'epoca del crollo del blocco dell'Est e dei regimi stalinisti nel 1989: "Le campagne assordanti della borghesia sul 'fallimento del comunismo', la 'vittoria definitiva del capitalismo liberale e democratico', la 'fine della lotta di classe', addirittura della stessa classe operaia, hanno provocato un riflusso importante del proletariato, sia a livello della sua coscienza che della sua combattività. Questo riflusso è stato profondo ed è durato più di dieci anni. Ha segnato tutta una generazione di lavoratori, generando smarrimento ed anche demoralizzazione. (...) È solo a partire dal 2003, in particolare attraverso le grandi mobilitazioni contro gli attacchi alle pensioni in Francia ed in Austria, che il proletariato ha cominciato realmente ad uscire dal riflusso che l'aveva colpito dal 1989. Da allora, questa tendenza alla ripresa della lotta di classe e dello sviluppo della coscienza nel suo seno non è stata più smentita. Le lotte operaie hanno coinvolto la maggior parte dei paesi centrali, compresi i più importanti come gli Stati Uniti (Boeing e trasporti di New York nel 2005), la Germania (Daimler ed Opel nel 2004, medici ospedalieri nella primavera 2006, Deutsche Telekom nella primavera 2007), la Gran Bretagna (aeroporto di Londra nell'agosto 2005, settore pubblico nella primavera 2006), la Francia (movimento degli studenti universitari e liceali contro il CPE nella primavera 2006), ma anche tutta una serie di paesi della periferia come Dubai (operai edili nella primavera 2006), il Bangladesh (operai del tessile nella primavera 2006), l'Egitto (operai del tessile e dei trasporti nella primavera 2007)". (Risoluzione sulla situazione internazionale adottata dal 17°congresso)
"Oggi, come nel 1968 [all'epoca della ripresa storica delle lotte operaie che avevano messo fine a quattro decenni di controrivoluzione], la ripresa della lotta di classe si accompagna ad una riflessione in profondità di cui l'apparizione dei nuovi elementi che si avvicinano verso le posizioni del Sinistra comunista costituisce la punta dell'iceberg". (Ibid.)
È per ciò che la presenza di parecchi gruppi del campo proletario al congresso, l'atteggiamento molto aperto alla discussione di questi gruppi (che rompe con l'atteggiamento settario dei "vecchi" gruppi della Sinistra comunista) non sono per niente il prodotto del caso: sono parti della nuova tappa dello sviluppo della lotta della classe operaia mondiale contro il capitalismo.
In effetti, i lavori del congresso, in particolare attraverso le testimonianze delle differenti sezioni e dei gruppi invitati, sono venuti a confermare questa tendenza, dal Belgio fino all'India, dal Brasile alla Turchia ed alla Corea, nei paesi centrali come in quelli della periferia, tanto nella ripresa delle lotte operaie che nello sviluppo di una riflessione tra i nuovi elementi che si orientano verso le posizioni della Sinistra comunista. Una tendenza che si è manifestata anche attraverso l'integrazione di nuovi militanti in seno all'organizzazione, compresi i paesi dove non c'era stata nuova integrazione da parecchi decenni, e ancora per la costituzione di un nucleo della CCI in Brasile. Per noi ciò è un avvenimento di grande importanza che va a concretizzare lo sviluppo della presenza politica della nostra organizzazione nel primo paese dell'America latina, con le più grosse concentrazioni industriali di questa regione del mondo e che sono anche tra le più importanti a scala mondiale. La creazione del nostro nucleo è il risultato di un lavoro iniziato dalla CCI più di 15 anni fa e che si è intensificato in questi ultimi anni, particolarmente attraverso la presa di contatto con differenti gruppi ed elementi, in particolare Opop di cui una delegazione era presente al 17°congresso, ma anche, nello stato di São Paulo, con un gruppo in formazione influenzato dalle posizioni della Sinistra comunista con cui recentemente abbiamo stabilito delle relazioni politiche più regolari tra cui la tenuta di riunioni pubbliche in comune. La collaborazione con questi gruppi non è per niente contraddittoria con la nostra volontà di sviluppare specificamente la presenza organizzativa della CCI in Brasile. Proprio al contrario, la nostra presenza permanente in questo paese permetterà che venga rafforzata ancora la collaborazione tra le nostre organizzazioni, e ciò tanto più che tra il nostro nucleo ed OPOP esiste già una lunga storia comune, fatta di fiducia e di rispetto reciproco.
Le discussioni del congresso
Tenuto conto delle circostanze particolari in cui si è tenuto il congresso, è la questione delle lotte operaie che ha costituito il primo punto dell'ordine del giorno, mentre il secondo punto è stato dedicato all'esame di nuove forze rivoluzionarie che attualmente nascono o si sviluppano. Non possiamo, nel contesto di questo articolo, rendere conto in modo dettagliato delle discussioni che si sono svolte: la risoluzione sulla situazione internazionale ne costituisce una sintesi. Tuttavia vanno sottolineate fondamentalmente le caratteristiche particolari e nuove dello sviluppo attuale della lotta di classe. In particolare è stato messo in evidenza il fatto che la gravità della crisi del capitalismo, la violenza degli attacchi che vengono sferrati oggi e la posta drammatica della situazione mondiale, caratterizzata dallo sprofondamento nella barbarie guerriera e dalle minacce crescenti che il sistema fa pesare sull'ambiente naturale, costituiscono dei fattori di politicizzazione delle lotte operaie. Una situazione un po' differente da quella che era prevalsa all'indomani della ripresa storica della lotta di classe nel 1968 dove i margini di manovra di cui disponeva allora il capitalismo avevano permesso di mantenere l'illusione che "il domani sarà migliore dell'oggi". Attualmente, una tale illusione non è più possibile: le nuove generazioni di proletari, come le più vecchie, sono coscienti che "domani sarà peggio di oggi". Per questo fatto, anche se una tale prospettiva può costituire un fattore di demoralizzazione e di smobilitazione dei lavoratori, le lotte che conducono, e che condurranno necessariamente sempre più in reazione agli attacchi, li porteranno in modo crescente a prendere coscienza che queste lotte costituiscono dei preparativi per scontri ben più vasti contro un sistema moribondo. Fin da ora, le lotte alle quali abbiamo assistito dal 2003 "incorporano in modo crescente la questione della solidarietà, una questione di prim'ordine poiché costituisce “l'antidoto” per eccellenza al “ciascuno per sé” specifico alla decomposizione sociale e che è, soprattutto, non solo a cuore della capacità del proletariato mondiale di sviluppare le sue lotte attuali ma anche di rovesciare il capitalismo" (Ibid.)
Anche se il congresso si è preoccupato principalmente della questione della lotta di classe, sono stati affrontati con discussioni importanti altri aspetti della situazione internazionale. Così una parte importante dei suoi lavori è stata dedicata alla crisi economica del capitalismo e soprattutto all'attuale crescita di certi paesi "emergenti", come l'India o la Cina, che sembrano contraddire le analisi fatte dalla nostra organizzazione, e dai marxisti in generale, sul fallimento definitivo del modo di produzione capitalista. In effetti, in seguito ad un rapporto molto dettagliato ed una discussione approfondita, il congresso ha concluso che:
"I tassi di crescita eccezionale che al momento paesi come l'India e soprattutto la Cina conoscono non costituiscono in alcun modo una prova di una "nuova volata" dell'economia mondiale, anche se hanno contribuito per una parte non trascurabile alla crescita elevata di quest'ultima nel corso dell'ultimo periodo. (...) lungi dal rappresentare una "nuova volata" dell'economia capitalista, il "miracolo cinese" e di un certo numero di altre economie del Terzo Mondo non è altro che una espressione particolare della decadenza del capitalismo. (...) Proprio come il "miracolo" rappresentato dai tassi di crescita a due cifre delle "tigri" e "dragoni" asiatici aveva conosciuto una fine dolorosa nel 1997, il "miracolo" cinese di oggi, anche se non ha origini identiche e possiede carte vincenti ben più serie, sarà portato, presto o tardi, a cozzare contro la dura realtà del vicolo cieco storico del modo di produzione capitalista". (Ibid.)
Bisogna notare che sulla questione della crisi economica il congresso si è fatto portavoce del dibattito attualmente in corso nella nostra organizzazione su come analizzare i meccanismi che hanno permesso al capitalismo di conoscere la sua crescita spettacolare dopo la seconda guerra mondiale. Le differenti analisi che attualmente esistono in seno alla CCI (che comunque rigettano tutte l'idea difesa dal BIPR o dai gruppi "bordighisti" secondo cui la guerra costituirebbe una "soluzione momentanea" alle contraddizioni del capitalismo) si ripercuotono sul modo di comprendere il dinamismo attuale dell'economia di certi paesi "emergenti", in particolare la Cina. E proprio perché il congresso si è fermato a riflettere particolarmente su quest'ultimo fenomeno che le divergenze esistenti nella nostra organizzazione hanno avuto l'opportunità di esprimersi in questa sede. Evidentemente, come sempre abbiamo fatto in passato, ci accingiamo a pubblicare nella Révue Internationale dei documenti che rendono conto di questi dibattiti quando avranno raggiunto un grado di chiarezza soddisfacente.
Infine, l'impatto che provoca in seno alla borghesia il vicolo cieco in cui si trova il modo di produzione capitalista e la decomposizione della società che quest'ultimo genera sono stati oggetto di due discussioni: una sulle conseguenze di questa situazione in seno ad ogni paese, l'altro sull'evoluzione degli antagonismi imperialisti tra Stati, aspetti in parte legati tra loro, principalmente nella misura in cui i conflitti esistenti in seno alle borghesie nazionali possono portare ad approcci differenti rispetto ai conflitti imperialisti (quali alleanze tra Stati, modalità di utilizzazione delle forze militari, ecc.). Sul primo punto, il congresso ha messo in evidenza che tutti i discorsi ufficiali sul "meno Stato" non hanno fatto che mascherare un rafforzamento continuo della funzione statale nella società, particolarmente nella misura in cui quest'organo è il solo che possa garantire che questa non soccomba al "ciascuno per sé" che caratterizza la fase di decomposizione del capitalismo. In particolare è stato fortemente sottolineato il rafforzamento spettacolare del carattere poliziesco dello Stato, compreso quello dei paesi più "democratici" come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, un rafforzamento poliziesco che, se è motivato ufficialmente dall'ascesa del terrorismo (un altro fenomeno legato alla decomposizione ma all'origine del quale le borghesie più potenti non sono estranee) permette alla classe dominante di prepararsi ai futuri scontri di classe con il proletariato. Sugli scontri imperialisti, il congresso ha principalmente messo in evidenza il fallimento, in particolare in seguito all'avventura irachena, della politica della prima borghesia mondiale, la borghesia americana, ed il fatto che esso mostra solo il vicolo cieco generale del capitalismo:
"In effetti, l'arrivo dello squadra Cheney, Rumsfeld e compagnia alle redini dello Stato non è stato il semplice fatto di un monumentale "errore di nomine" da parte di questa classe. Se ha aggravato considerevolmente la situazione degli Stati Uniti sul piano imperialista, esso era già la manifestazione del vicolo cieco nella quale si trovava questo paese confrontato ad una perdita crescente della sua leadership, e più generalmente allo sviluppo del "ciascuno per sé" nelle relazioni internazionali che caratterizzano la fase di decomposizione".(Ibid.)
Più in generale, il congresso ha sottolineato che:
"Il caos militare che si sviluppa nel mondo, sprofondando vaste regioni in un vero inferno e desolazione, particolarmente in Medio Oriente ma anche e soprattutto in Africa, non è la sola manifestazione del vicolo cieco storico nella quale si trova il capitalismo né, a lungo andare, la più minacciosa per la specie umana. Oggi, è diventato chiaro che il mantenimento del sistema capitalista come ha funzionato finora porta con sé la prospettiva della distruzione dell'ambiente naturale che ha permesso la nascita dell'umanità". (Ibid.)
Come conclusione di questa discussione è stato affermato che:
"L'alternativa annunciata da Engels alla fine del diciannovesimo secolo, socialismo o barbarie, è diventata lungo tutto il ventesimo secolo una sinistra realtà. Ciò che il ventunesimo secolo ci offre come prospettiva, è semplicemente o socialismo o distruzione dell'umanità. Ecco la vera posta in gioco con cui quale si deve confrontare la sola forza della società in grado di rovesciare il capitalismo, la classe operaia mondiale". (Ibid.)
Questa prospettiva sottolinea ancora di più l'importanza decisiva delle lotte che attualmente la classe operaia mondiale sviluppa e su cui il congresso si è particolarmente fermato. Sottolinea egualmente il ruolo fondamentale delle organizzazioni rivoluzionarie, ed in particolare della CCI, per intervenire in queste lotte affinché venga sviluppata la coscienza della posta in gioco nel mondo attuale.
Su questo piano, il congresso ha tratto un bilancio molto positivo dell'intervento della nostra organizzazione nelle lotte della classe e di fronte alle domande cruciali che ad essa si pongono. Ha sottolineato in particolare la capacità della CCI a mobilitarsi internazionalmente (articoli nella stampa, sul nostro sito Internet, riunioni pubbliche, ecc.) per fare conoscere gli insegnamenti di uno degli episodi maggiori della lotta di classe durante l'ultimo periodo: la lotta della gioventù studentesca contro il CPE nella primavera 2006 in Francia. A questo proposito, è stato rilevato che il nostro sito Internet ha conosciuto un aumento spettacolare di frequentazione durante questo periodo, prova che i rivoluzionari hanno non solo la responsabilità ma anche la possibilità di contrastare il black-out che i media borghesi organizzano in modo sistematico intorno alle lotte proletarie.
Il congresso ha tratto anche un bilancio estremamente positivo dalla nostra politica verso gruppi ed elementi che si trovano in una prospettiva di difesa o di avvicinamento delle posizioni della Sinistra comunista. Così, durante l'ultimo periodo, come è stato detto all'inizio di questo articolo, la CCI ha visto l'arrivo di un numero significativo di nuovi militanti, arrivo che faceva seguito a discussioni approfondite con questi compagni (come ha sempre fatto la nostra organizzazione che non ha per abitudine di "reclutare" a qualsiasi prezzo, contrariamente a ciò che si usa nelle organizzazioni gauchiste). Allo stesso modo, la CCI è intervenuta attivamente in differenti forum Internet, particolarmente in lingua inglese, la più importante a livello mondiale, dove possono esprimersi delle posizioni di classe, cosa che ha permesso ad un certo numero di elementi di conoscere meglio le nostre posizioni e la nostra concezione della discussione e, pertanto, di superare una certa diffidenza alimentata dalla moltitudine di piccole cappelle parassitarie la cui vocazione non è contribuire alla presa di coscienza della classe operaia ma seminare il sospetto nei riguardi delle organizzazioni che si danno proprio questo compito. Ma l'aspetto più positivo di questa politica è stato sicuramente la capacità della nostra organizzazione di stabilire o di rafforzare dei legami con altri gruppi che si trovano su delle posizioni rivoluzionarie e la cui dimostrazione è stata la partecipazione di quattro di questi gruppi al 17° congresso. Ciò ha rappresentato uno sforzo molto importante da parte della CCI, in particolare con l'invio di numerose delegazioni in molteplici paesi (Brasile, Corea, Turchia, Filippine, e non solo).
Le responsabilità crescenti che incombono sulla CCI, tanto dal punto di vista dell'intervento in seno alle lotte operaie che della discussione con i gruppi ed elementi che si trovano su un terreno di classe, suppongono un rafforzamento del suo tessuto organizzativo. Questo era stato seriamente colpito all'inizio degli anni 2000 da una crisi esplosa in seguito al suo 14° congresso e che aveva motivato la tenuta di una conferenza straordinaria un anno dopo; allo stesso modo aveva dato adito ad una riflessione approfondita all'epoca del suo 15°congresso, nel 20037. Come aveva constatato questo congresso e come il 16° congresso aveva confermato, la CCI aveva superato largamente le debolezze organizzative che si trovavano all'origine di questa crisi. Uno degli elementi di primo piano nella capacità della CCI a superare le sue difficoltà organizzative consistito in un esame attento ed approfondito di queste stesse difficoltà. Per fare questo, la CCI si era dotata, a partire dal 2001, di una commissione speciale, distinta dal suo organo centrale, e nominata come quest'ultimo dal Congresso, incaricata di condurre tale lavoro in modo più specifico. Questa commissione ha portato a termine il suo mandato constatando che, accanto a progressi molto importanti compiuti dalla nostra organizzazione, erano persistiti postumi e "cicatrici" delle difficoltà presenti in un certo numero di sezioni. Ciò è la prova che la costruzione di un tessuto organizzativo solido non è mai finito, che necessita uno sforzo permanente da parte dell'insieme dell'organizzazione e dei militanti. È per ciò che il congresso ha deciso, sulla base di questa necessità e partendo dal ruolo fondamentale giocato da questa commissione negli anni passati, di darle un carattere permanente iscrivendo la sua esistenza negli statuti della CCI. Questa non è affatto una "innovazione" della nostra organizzazione. In effetti, essa corrisponde ad una tradizione nelle organizzazioni politiche della classe operaia. Possiamo citare ad esempio il Partito socialdemocratico tedesco che era il riferimento della 2a Internazionale e disponeva di una "Commissione di controllo" che aveva lo stesso tipo di attributi.
Uno degli elementi maggiori che hanno dato questa capacità alla nostra organizzazione di superare la sua crisi, ed anche di uscirne rafforzata, è stata la volontà di dedicarsi ad una riflessione profonda, con una dimensione storica e teorica, sull'origine e le manifestazioni delle sue debolezze organizzative, riflessione che si è condotta intorno a differenti testi di orientamento di cui la nostra Rivista ha pubblicato in particolare degli estratti significativi8. Il congresso ha perseguito in questa direzione dedicando, fin dall'inizio, una parte dei suoi lavori a discutere di un testo di orientamento sulla cultura del dibattito che era stato messo in circolazione parecchi mesi prima nella CCI (che sarà pubblicato prossimamente nella Révue Internationale). Del resto questa questione non riguarda solo la vita interna dell'organizzazione. L'intervento dei rivoluzionari implica che essi debbano essere capaci di produrre le analisi più pertinenti e profonde possibili e debbano difendere con efficacia queste ultime in seno alla classe per contribuire alla sua presa di coscienza. E ciò suppone che essi siano in grado di discutere al meglio possibile di queste analisi e di imparare a presentarle nell'insieme della classe e agli elementi in ricerca avendo la preoccupazione di tenere conto delle preoccupazioni e problematiche che questi hanno. In effetti, nella misura in cui la CCI è confrontata, tanto nelle proprie fila che nell'insieme della classe, all'emergere di una nuova generazione di militanti o di elementi che si iscrivono alla lotta per il capovolgimento del capitalismo, è suo compito fare tutti gli sforzi necessari per riappropriarsi e comunicare a questa generazione uno degli elementi più preziosi dell'esperienza del movimento operaio, indissociabile dal metodo critico del marxismo: la cultura del dibattito.
La presentazione e la discussione di questa questione hanno messo in evidenza che, in tutte le scissioni conosciute nella storia della CCI, una tendenza al monolitismo aveva giocato un ruolo fondamentale. Appena apparivano delle divergenze, certi militanti cominciavano a dire che non era più possibile lavorare insieme, che la CCI era diventata o stava diventando un'organizzazione borghese, ecc., laddove queste divergenze potevano, in gran parte, essere discusse in seno ad un'organizzazione non monolitica. Tuttavia, la CCI aveva appreso dalla Frazione italiana della Sinistra comunista che anche quando ci sono delle divergenze che riguardano principi fondamentali, è necessario prima di ogni separazione organizzativa il più profondo chiarimento collettivo. In questo senso, queste scissioni erano in gran parte alcune delle più estreme manifestazioni di una mancanza di cultura del dibattito ed anche di una visione monolitica. Tuttavia questi problemi non sono stati eliminati dall'uscita dei militanti. Essi sono l'espressione di una difficoltà più generale della CCI su questo aspetto, perché c'erano delle confusioni nelle proprie fila che possono condurre a scivolamenti verso il monolitismo, che tendono ad addormentare il dibattito piuttosto che a svilupparlo. E queste confusioni continuano ad esistere. Non vogliamo esagerare sull’entità di questi problemi. Queste confusioni, questi scivolamenti appaiono in modo puntuale. Ma la storia ci ha mostrato, la storia della CCI e del movimento operaio, che piccoli slittamenti e piccole confusioni possono divenire grandi e pericolosi slittamenti se non si comprendono le radici dei problemi.
Nella storia della Sinistra comunista, esistono delle correnti che hanno difeso e teorizzato il monolitismo. La corrente bordighista ne è una caricatura. Al contrario, la CCI è l'erede della tradizione della Frazione italiana e della Sinistra comunista di Francia (GCF) che sono state le più risolute avversarie del monolitismo e che hanno messo in pratica in modo molto determinato la cultura del dibattito. La CCI è stata fondata su questa comprensione che è ripresa nei suoi statuti. Per tale ragione, è chiaro che, se restano ancora problemi nella pratica con questa questione, in genere nessun militante della CCI si pronuncia contro lo sviluppo di una concezione di cultura del dibattito. Tuttavia è necessario segnalare la persistenza di un certo numero di debolezze. La prima di queste è una tendenza a porre ogni discussione in termini di conflitto tra il marxismo e l’ opportunismo, tra il bolscevismo ed il menscevismo o anche della lotta tra il proletariato e la borghesia. Un tale comportamento non avrebbe senso se avessimo la concezione dell'invarianza del programma comunista. E in questo almeno il bordighismo è conseguente: l'invarianza ed il monolitismo a cui questa corrente si rivendica vanno insieme. Ma se accettiamo che il marxismo non è un dogma, che la verità è relativa, che non è stereotipata ma costituisce un processo e che dunque noi non smettiamo mai di apprendere perché la stessa realtà cambia continuamente, allora è evidente che il bisogno di approfondire, ma anche le confusioni ed anche gli errori, sono delle tappe normali, addirittura necessarie, per arrivare alla coscienza di classe. Sono decisivi l'impulso collettivo, la volontà e la partecipazione attiva verso il chiarimento.
Bisogna notare che un atteggiamento che tende a vedere ovunque, in tutti i dibattiti, la presenza dell'opportunismo, in altri termini una tendenza verso posizioni borghesi, può condurre ad un tipo di banalizzazione del pericolo dell'opportunismo, a mettere tutte le discussioni sullo stesso livello. L'esperienza ci mostra proprio che, nelle rare discussioni dove i principi fondamentali sono stati rimessi in causa, abbiamo provato spesso delle difficoltà ad individuarlo: se tutto è allora opportunismo, in fin dei conti, niente è opportunismo.
Un'altra conseguenza di un tale comportamento consistente nel vedere l'opportunismo e l'ideologia borghese ovunque ed in tutti i dibattiti, è l'inibizione del dibattito. I militanti "non hanno più il diritto" di avere delle confusioni, di esprimerle o fare degli errori perché, immediatamente, verranno visti o vedranno sé stessi come potenziali traditori. Certi dibattiti hanno effettivamente un carattere di confronto tra posizioni borghesi e posizioni proletarie: è l'espressione di una crisi e di un pericolo di degenerazione. Ma nella vita del proletariato non è la regola generale. Se si mettono tutti i dibattiti su questo piano, si può finire con l'idea che lo stesso dibattito è espressone di una crisi.
Un altro problema che, ancora una volta, esiste più nella pratica che in teoria, consiste nell'adottare un comportamento nella discussione che mira a convincere gli altri il più rapidamente possibile della posizione corretta. È un atteggiamento che conduce all'impazienza, ad un tentativo di monopolizzare la discussione, a volere schiacciare in qualche modo "l'avversario" in quest'ultima. Un tale comportamento conduce ad una difficoltà ad ascoltare ciò che gli altri dicono. È anche vero che in generale nella vita, in una società segnata dall'individualismo e dalla concorrenza, è difficile imparare ad ascoltare gli altri. Ma non ascoltare conduce ad un atteggiamento di chiusura nei confronti del mondo, ciò che è completamente all'opposto di un atteggiamento rivoluzionario. In questo senso, è necessario comprendere che la cosa più importante in un dibattito, è che esso abbia luogo, che si sviluppi, che ci sia una partecipazione la più larga possibile e che possa emergere un vero chiarimento. In fin dei conti, la vita collettiva del proletariato, quando è capace di svilupparsi, determina un chiarimento. La volontà di chiarimento è una caratteristica del proletariato in quanto classe; è il suo interesse di classe. In particolare, esige la verità e non la falsificazione. È perciò che Rosa Luxemburg ha sostenuto che il primo compito dei rivoluzionari è dire ciò che è. Gli atteggiamenti di confusione non sono la regola, neanche dominanti nella CCI, ma esistono e possono essere pericolosi ed hanno bisogno di essere superati. In particolare, bisogna imparare a sdrammatizzare i dibattiti. La maggior parte delle discussioni in seno all'organizzazione, e molte che abbiamo verso l'esterno, non sono dei confronti tra posizioni borghesi e posizioni proletarie. Sono discussioni dove, sulla base di posizioni condivise e di uno scopo comune, approfondiamo in modo collettivo in una tendenza che va della confusione verso la chiarezza.
In effetti, la capacità di sviluppare una vera cultura del dibattito nelle organizzazioni rivoluzionarie è uno dei maggiori segni della loro appartenenza alla classe operaia, della loro capacità a restare viventi ed in fase coi bisogni di quest'ultima. Un tale comportamento non è solo delle organizzazioni comuniste, appartiene anche al proletariato come un tutto: è proprio attraverso le sue discussioni, in particolare nelle sue assemblee generali, che l'insieme della classe operaia è capace di trarre le lezioni dalle sue esperienze e di avanzare nella sua presa di coscienza. Il settarismo ed il rifiuto del dibattito che, oggi, caratterizzano purtroppo un certo numero di organizzazioni del campo proletario non sono per niente una prova della loro "intransigenza" di fronte all'ideologia borghese o di fronte alla confusione. Sono al contrario una manifestazione della loro paura a difendere le proprie posizioni e, in ultima istanza, la prova di una mancanza di convinzione nella validità di queste.
Questa cultura del dibattito ha attraversato l'insieme dei lavori del congresso. Ed è stata salutata come tale dalle delegazioni dei gruppi invitati che hanno allo stesso tempo espresso la loro esperienza e le loro riflessioni:
E' così che uno dei compagni della delegazione venuta dalla Corea ci ha reso partecipi della sua "sorprendente impressione di fronte allo spirito di fraternità, di dibattito, di relazioni di cameratismo verso cui la sua esperienza precedente non lo aveva abituato e che c'invidia". Un altro compagno di questa delegazione ha espresso la convinzione che "la discussione sulla cultura del dibattito sarebbe fruttuosa per lo sviluppo della loro attività e che sarebbe importante che la CCI, come il suo gruppo, non si considerassero ognuno come “il solo al mondo”.
Da parte sua, la delegazione di Opop ha tenuto ad "esprimere con la più grande fraternità un saluto a questo congresso" e la sua "soddisfazione di partecipare ad un avvenimento di una tale importanza". Per la delegazione: "Questo congresso non è soltanto un avvenimento importante per la CCI ma anche per tutta la classe operaia. Apprendiamo molto con la CCI. Abbiamo appreso molto in questi ultimi tre anni attraverso i contatti che abbiamo avuto, i dibattiti che abbiamo condotto insieme in Brasile. Abbiamo partecipato già al precedente congresso [quello della sezione in Francia, lo scorso anno] ed abbiamo potuto constatare con quale serietà la CCI tratta il dibattito, la sua volontà di essere aperta per il dibattito, di non avere paura del dibattito e di non avere paura di confrontarsi con posizioni differenti dalle sue. Al contrario, il suo comportamento è quello di suscitare il dibattito e vogliamo ringraziare la CCI per averci fatto conoscere questo approccio. Parimenti, salutiamo il modo con cui la CCI considera la questione delle nuove generazioni, attuali e future. Apprendiamo di questa eredità a cui si riferisce la CCI e che ci è stata trasmessa dal movimento operaio da quando esiste". Allo stesso tempo, la delegazione ha espresso la sua convinzione che "anche la CCI aveva appreso da Opop", in particolare quando la sua delegazione in Brasile ha partecipato affianco ad Opop ad un intervento in un'assemblea operaia dominata dai sindacati.
Anche, il delegato di EKS ha sottolineato l'importanza del dibattito nello sviluppo delle posizioni rivoluzionarie nella classe, principalmente per le nuove generazioni:
"Per cominciare desidero sottolineare l'importanza dei dibattiti per la nuova generazione. Abbiamo dei giovani elementi nel nostro gruppo e ci siamo politicizzati attraverso il dibattito. Abbiamo appreso molto proprio attraverso il dibattito, in particolare tra i giovani elementi con cui siamo in contatto... Penso che per la giovane generazione il dibattito sarà nell'avvenire un aspetto molto importante del suo sviluppo politico. Abbiamo incontrato un compagno che veniva da un quartiere operaio molto povero di Istanbul e che era più vecchio di noi. Ci ha detto che nel quartiere da dove veniva gli operai volevano sempre discutere. Ma i gauchisti che facevano lavoro politico nei quartieri operai provavano sempre a liquidare molto rapidamente il dibattito per passare alle 'cose pratiche', come ci si può aspettare. Penso che la cultura proletaria che, adesso, si discute qui e che ho sperimentato in questo congresso è una negazione del metodo gausciste di discussione visto come una competizione. Vorrei fare alcuni commenti sui dibattiti tra i gruppi internazionalisti. Innanzitutto penso che è evidente che tali dibattiti dovrebbero essere per quanto possibile costruttivi e fraterni e che dovremmo sempre ricordare che i dibattiti sono uno sforzo collettivo per arrivare ad un chiarimento politico tra i rivoluzionari. Non è assolutamente una competizione o qualche cosa che dovrebbe creare dell'ostilità o delle rivalità. Questo è la negazione totale dello sforzo collettivo per arrivare a nuove conclusioni, per avvicinarsi alla verità. È anche importante che il dibattito tra i gruppi internazionalisti sia per quanto possibile regolare perché ciò aiuta molto nel chiarimento tutti coloro che sono coinvolti internazionalmente. Penso che è anche necessario per il dibattito di essere aperti a tutti gli elementi proletari che sono interessati. Penso anche che è significativo che i dibattiti siano pubblici per gli elementi rivoluzionari che sono interessati. Il dibattito non è limitato a coloro che sono implicati direttamente. Lo stesso dibattito, ciò di cui si discute, è di grande aiuto anche per qualcuno che semplicemente legge. Per esempio mi ricordo che per un certo tempo avevo molto paura di dibattere ma ero molto interessato a leggere. Questa idea di leggere i dibattiti, i risultati, aiuta enormemente e dunque è molto importante che i dibattimenti siano pubblici per tutti gli interessati. È un modo molto efficace di svilupparsi teoricamente e politicamente".
Gli interventi molto calorosi delle delegazioni dei gruppi invitati non avevano alcun atteggiamento di adulazione verso la CCI. Infatti i compagni della Corea hanno portato un certo numero di critiche ai lavori del congresso, dispiacendosi particolarmente che non sia stato più possibile ritornare all'esperienza del nostro intervento all'epoca del movimento contro il CPE in Francia o che l'analisi della situazione economica della Cina non tenga conto di più della situazione sociale e le lotte della classe operaia in questo paese. L'insieme dei delegati della CCI ha prestato una grande attenzione a queste critiche che permetteranno sia alla nostra organizzazione di tenere meglio in conto le preoccupazioni e le attese degli altri gruppi del campo proletario che stimolare il nostro sforzo per approfondire le nostre analisi di una questione tanto importante come quella in Cina. Evidentemente, elementi ed analisi che potranno portare gli altri gruppi su questa questione, particolarmente dei gruppi dell'Estremo Oriente, saranno preziosi per il nostro lavoro.
Del resto, durante lo stesso congresso, gli interventi delle delegazioni hanno costituito un apporto importante alla nostra comprensione della situazione mondiale, particolarmente quando hanno dato degli elementi precisi concernente la situazione del loro paese. Non possiamo nel contesto di quest'articolo riprodurre integralmente gli interventi delle delegazioni i cui elementi figureranno ulteriormente negli articoli della nostra stampa. Ci accontenteremo di segnalare gli elementi più ragguardevoli. Sulla lotta di classe, il delegato di EKS ha insistito sul fatto che dopo la sconfitta delle lotte di massa del 1989, oggi c'era una ripresa delle lotte operaie, un'ondata di scioperi con occupazioni di fabbriche, a seguito di una situazione economica che è drammatica per i lavoratori. Davanti a questa situazione, i sindacati non si accontentano solo di sabotare le lotte come fanno ovunque, ma provano anche a sviluppare il nazionalismo tra gli operai conducendo una campagna sul tema della "Turchia secolare".
La delegazione di Opop ha segnalato che, a causa del legame tra i sindacati e il governo attuale (essendo stato il presidente Lula il principale dirigente sindacale del paese) esiste una tendenza alle lotte all'infuori della cornice sindacale ufficiale, una "ribellione della base", come si era autonominato il movimento nel settore delle banche, nel 2003. I nuovi attacchi economici che il governo Lula prepara vanno a spingere evidentemente la classe operaia a proseguire le sue lotte, anche se i sindacati adottano un atteggiamento molto più "critico" nei confronti di Lula.
Un altro contributo importante delle delegazioni di Opop ed EKS al congresso ha riguardato la politica imperialista della Turchia e del Brasile. Opop ha dato degli elementi che permettono di comprendere meglio il ruolo di questo paese che, si mostra da un lato un fedele alleato della politica americana in quanto "gendarme del mondo" (in particolare con una presenza militare a Timor ed Haiti, paese dove esso assicura il comando delle forze straniere) ma che, allo stesso tempo, tende a sviluppare la propria diplomazia, con accordi bilaterali, specialmente verso la Russia (da cui acquista aerei), l'India e la Cina (i cui prodotti industriali sono concorrenti della produzione brasiliana). Peraltro, il Brasile sviluppa una politica di potere imperialista regionale dove tenta di imporre le sue condizioni ai paesi come la Bolivia o il Paraguay.
Il compagno di EKS ha fatto un intervento molto interessante sui comportamenti ed i risultati della vita politica della borghesia turca (particolarmente la posta in gioco del conflitto tra il settore "islamico" ed il settore "laico") e delle sue ambizioni imperialiste. Ripetiamo che non possiamo riprodurre quest'intervento in tale articolo. Vogliamo tuttavia sottolineare l'idea essenziale che questo intervento raffigura nella sua conclusione: il rischio che, in una regione vicina ad una delle zone in cui si scatenano con più violenza i conflitti imperialisti, particolarmente in Iraq, la borghesia turca si imbarchi in una spirale militare drammatica, facendo pagare ancora di più alla sua classe operaia il prezzo delle contraddizioni del capitalismo.
Gli interventi delle delegazioni dei gruppi invitati hanno costituito, accanto a quelli delle delegazioni delle sezioni della CCI, un apporto di primo piano ai lavori dell'insieme del congresso ed alla sua riflessione su tutte le questioni, permettendogli di "sintetizzare la situazione mondiale" come è stato notato dalla delegazione del SPA della Corea. In effetti, come abbiamo segnalato all'inizio di questo articolo, una delle chiavi dell'importanza di questo congresso è stata la partecipazione dei gruppi invitati; questa partecipazione ha costituito uno degli elementi maggiori della sua riuscita e dell'entusiasmo che era condiviso da tutte le sue delegazioni al momento della sua chiusura.
Con l'intervallo di alcuni giorni si sono svolte due riunioni internazionali: il vertice del G8 ed il congresso della CCI. Evidentemente, esistono delle differenze in quanto all'ampiezza ed all'impatto immediato di questi due incontri ma vale la pena di sottolineare quanto sia sorprendente il contrasto tra loro, tanto sulle circostanze, che sugli scopi ed il modo di funzionamento. Da un lato c'era una riunione dietro i fili di ferro spinato, un dispiegamento poliziesco senza precedenti e la repressione, una riunione dove le dichiarazioni sulla "sincerità dei dibattiti", sulla "pace" e su "l'avvenire dell'umanità" erano solamente un schermo destinato a mascherare gli antagonismi tra Stati capitalisti, a preparare nuove guerre ed a preservare un sistema che non offre nessun avvenire all'umanità. Dall'altro, c'era una riunione di rivoluzionari di 15 paesi che combattono tutti gli schermi, tutte le false parvenze, che conducono dei dibattiti realmente fraterni, con un profondo spirito internazionalista, per contribuire all'unica prospettiva capace di salvare l'umanità: la lotta internazionale ed unita della classe operaia in vista del rovesciamento del capitalismo e l'instaurazione della società comunista.
Sappiamo che la strada che conduce là è ancora lunga e difficile ma la CCI è convinta che il suo 17° congresso costituisce una tappa molto importante su questa strada.
CCI
1. Vedere il nostro articolo "I trent'anni della CCI: appropriarsi del passato per costruire l'avvenire", presente sul sito internet.
2. Opop: Opposizione Operaia. Si tratta di un gruppo presente in diverse città del brasile che si è costituito all’inizio degli anni novanta, in particolare con elementi che hanno rotto con la CUT (Centrale sindacale) e il Partito dei lavoratori di Lula (attuale presidente di questo paese) per raggiungere le posizioni del proletariato, in particolare sulla questione vitale dell’internazionalismo, ma anche sulla questione sindacale (denuncia di questi organi come strumenti della classe borghese) e parlamentare (denuncia della mascherata “democratica”). È un gruppo attivo nelle lotte operaie (in particolare nel settore delle banche) con cui la CCI conduce delle discussioni fraterne da qualche anno (il nostro sito in lingua portoghese ha in particolare pubblicato un resoconto del nostro dibattito sul materialismo storico). Peraltro, le nostre due organizzazioni hanno organizzato parecchie riunioni pubbliche comuni in Brasile (vedere in proposito Quattro interventi pubblici della CCI in Brasile: Un rafforzamento delle posizioni proletarie in Brasile, in Revolution Internationale n°365) e hanno pubblicato una presa di posizione comune sulla situazione sociale di questo paese. Una delegazione di Opop era già presente all'epoca del 17° congresso della nostra sezione in Francia, nella primavera 2006 (vedere il nostro articolo: "17° congresso di Révolution Internationale: l'organizzazione rivoluzionaria alla prova della lotta di classe" in Révolution Internationale n° 370).
3. SPA: Socialist Political Alliance, Alleanza Politica Socialista. È un gruppo che si è dato come compito di fare conoscere in Corea le posizioni della Sinistra comunista, particolarmente attraverso la traduzione di alcuni dei suoi testi fondamentali, e di animare in questo paese, ed anche internazionalmente, le discussioni tra gruppi ed elementi intorno a queste posizioni. Il SPA ha organizzato nell'ottobre 2006 una conferenza internazionale a cui la CCI, che intratteneva discussioni con questa organizzazione all'incirca da un anno, ha mandato una delegazione (vedere il nostro articolo "Rapporto sulla conferenza in Corea - ottobre 2006" nella Révue Internazionale n° 129). Bisogna notare che i partecipanti a questa conferenza, che si è tenuta appena dopo le prove nucleari della Corea del Nord, hanno adottato una" Dichiarazione internazionalista dalla Corea contro la minaccia di guerra" (vedere sito internet).
4. EKS: Enternasyonalist Komünist Sol, Sinistra Comunista Internazionalista; gruppo costituito recentemente in Turchia che si trova risolutamente sulle posizioni della Sinistra comunista e di cui abbiamo pubblicato delle prese di posizione.
5. Su queste conferenze internazionali vedere il nostro articolo "Le conferenze internazionali della Sinistra Comunista (1976-1980) - Lezioni di un'esperienza per il campo proletario" nella Revue Internationale n° 122. Il sabotaggio di queste conferenze da parte dei gruppi che andavano a costituire il Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario (BIPR) non aveva impedito tuttavia alla CCI di invitare questa organizzazione al suo 13° congresso, nel 1999. Infatti, avevamo pensato che la gravità del gioco imperialista al centro dell'Europa (era il momento dei bombardamenti della Serbia da parte degli eserciti della NATO) meritava che i gruppi rivoluzionari lasciassero da parte i loro risentimenti per ritrovarsi in uno stesso luogo ad esaminare insieme le implicazioni del conflitto ed, eventualmente, produrre una dichiarazione comune. Purtroppo, il BIPR aveva declinato questo invito.
6. Poiché Internasyonalismo era politicamente presente, anche se non era stato possibile alla sua delegazione di essere fisicamente presente.
7. Vedere su questo argomento i nostri articoli "Conferenza straordinaria della CCI: La lotta per la difesa dei principi organizzativi" e "15° Congresso della CCI: Rafforzare l'organizzazione di fronte alla posta in gioco del periodo" nei numeri 110 e 114 della Révue Internationale.
8. Vedere "La fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato" e " Marxismo ed etica" nei numeri 111, 112, 127 e 128 della Révue Internationale.
Decadenza e decomposizione del capitalismo
1. Tra gli elementi che determinano la vita della società capitalistica di oggi uno dei più importanti è il fatto che essa è entrata nella sua fase di decomposizione. Dalla fine degli anni ottanta, la CCI ha dimostrato le cause e le caratteristiche di questa fase di decomposizione. In particolare ha messo in evidenza le seguenti questioni:
a) la fase di decomposizione è parte integrante della decadenza del sistema capitalistico, iniziata con la prima Guerra mondiale (come sottolinearono la maggior parte dei rivoluzionari del tempo). Per questo essa conserva le caratteristiche principali della decadenza, con l’aggiunta di nuovi elementi;
b) essa costituisce la fase finale della decadenza, nella quale oltre a trovare accumulati tutti i segni più catastrofici delle fasi precedenti, possiamo vedere rovinare l’intero edificio sociale;
c) in pratica tutti gli aspetti della società sono affetti da decomposizione, in modo particolare quelli decisivi per la sopravvivenza dell’umanità come le guerre imperialiste e la lotta di classe. In questo senso, intendiamo usare la fase di decomposizione come punto di partenza dal quale esaminare gli aspetti più significativi dell’attuale situazione internazionale: le crisi economiche del sistema capitalistico, i conflitti all’interno della classe dominante, specialmente quelli su terreno imperialista, e infine la lotta tra le classi principali della società: borghesia e proletariato.
2. Paradossalmente, l’economia del capitalismo è l’aspetto della società meno affetto da decomposizione. Questo è fondamentale, perché è proprio la situazione economica che, in ultima istanza, determina gli altri aspetti della vita del capitalismo, incluso quelli che concernono la decomposizione. Il modo di produzione capitalistico, proprio come gli altri modi di produzione precedenti, ha avuto una sua fase ascendente giunta al suo massimo alla fine del XIX secolo, dopo di che è entrato nel suo periodo di decadenza all’inizio del XX. All’origine di questa decadenza sta, come per gli altri sistemi economici, il crescente conflitto tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Concretamente, nel caso del capitalismo, il cui sviluppo è stato condizionato dalla conquista dei mercati extra-capitalisti, la prima Guerra mondiale costituì la prima manifestazione significativa della sua decadenza. Con la fine delle conquiste economiche e coloniali nel mondo da parte degli Stati capitalisti, questi ultimi furono portati a confrontarsi in una disputa per accaparrarsi il mercato gli uni a spese degli altri. Da allora, il capitalismo è entrato in un nuovo periodo della sua storia, definito dall’Internazionale Comunista nel 1919 come epoca di guerre e rivoluzioni. Il fallimento dell’ondata rivoluzionaria scoppiata durante la prima guerra mondiale generò le crescenti convulsioni della società capitalistica: la grande depressione degli anni ’30 e le sue conseguenze, una seconda guerra mondiale ancor più sanguinaria e barbara della prima. Il periodo che seguì, descritto da alcuni “esperti” borghesi come i “gloriosi anni trenta”, videro il capitalismo alle prese con l’illusione di sopravvivere alle sue contraddizioni mortali, una illusione ancora cullata da alcune correnti che si dicono a favore della rivoluzione comunista. In realtà, questo periodo di prosperità, permesso dalla congiunzione di elementi circostanziali e dallo sviluppo di misure per dissimulare gli effetti delle crisi economiche, finì ancora una volta nelle crisi aperte del modo di produzione capitalista della fine degli anni ’60, che crebbero vigorosamente a metà dei ’70. Queste crisi aperte del modo di produzione capitalistica aprirono ancora una volta il varco all’alternativa già annunciata dall’Internazionale Comunista: la guerra mondiale, o lo sviluppo delle lotte operaie dirette verso l’abbattimento del capitalismo. La guerra mondiale, contrariamente a quanto possano pensare alcuni gruppi della sinistra comunista, in nessun caso rappresenta una “soluzione” alle crisi del capitalismo, incapace di rigenerarsi e riavviare una crescita dinamica. Questo è il circolo vizioso del sistema: inasprimento delle tensioni tra settori nazionali del capitalismo, che danno vita ad una crescita senza freni del livello militare, che infine sfocia nella guerra mondiale. In effetti, come conseguenza dell’aggravamento delle convulsioni economiche del capitalismo, ci fu un netto acuirsi delle tensioni imperialiste agli inizi degli anni ’70, ma che comunque non era possibile culminassero in una guerra mondiale. Il motivo è la rinascita della lotta di classe dal 1968 in poi, come reazione ai primi effetti della crisi. Allo stesso tempo, la classe operaia, anche se fu capace di bloccare l’unica prospettiva possibile della borghesia (se è possibile chiamarla “prospettiva”), e nonostante un livello di combattività che non si vedeva da decenni, non fu capace di affermare la propria prospettiva, la rivoluzione comunista. Fu proprio questa situazione, in cui nessuna delle due classi decisive nella vita della società era in grado di imporre la propria prospettiva, una situazione in cui la classe dominante si è ridotta a vivere alla giornata, a segnare l’inizio dell’entrata del capitalismo nella sua fase di decomposizione.
3. Una delle manifestazioni maggiori di questa assenza di prospettiva storica è lo sviluppo dell’”ognuno per sé”, che affligge la società a tutti i livelli, dagli individui allo Stato. Comunque, a livello della vita economica del capitalismo, non possiamo riscontrare un cambiamento considerevole con l’ingresso nella fase di decomposizione. Infatti, l’“ognuno per sé” e la “guerra di tutti contro tutti” sono caratteristiche congenite del modo di produzione capitalista. Sin dall’inizio del suo periodo di decadenza, il capitalismo ha dovuto temperare queste sue caratteristiche attraverso il massiccio intervento dello Stato nell’economia, mezzo usato durante la prima Guerra mondiale e riattivato negli anni ’30, in particolare attraverso il fascismo e le politiche keynesiane. L’intervento da parte dello Stato fu completato, nel corso della seconda guerra mondiale, dalla messa a punto di organismi internazionali come il FMI, la Banca Mondiale e l’OCSE, e infine la Comunità Economica Europea (antenata dell’Unione Europea) al fine di prevenire le contraddizioni del sistema economico che lo guidavano verso il disastro generale, come fu col Giovedì Nero del 1929. Oggi, a dispetto di tutti i discorsi sul liberalismo e il libero mercato, gli Stati non hanno rinunciato ad intervenire nelle economie dei rispettivi paesi, o ad usare strutture atte a prolungare per quanto possibile le relazioni tra essi, o a crearne di nuove come il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio). Tuttavia, nessuna di queste politiche, o di questi organismi, pur avendo messo un freno significativo allo scivolare del capitalismo verso le crisi, è riuscita nell’intento di superare le contraddizioni, a dispetto di tutti i sermoni sul livello di crescita “storico” dell’economia mondiale e sulle performance straordinarie dei giganti asiatici, l’India e soprattutto la Cina.
Crisi economica: una lunga scivolata nel debito
4. La base del livello dei tassi di crescita del PIL globale dei recenti anni, che ha provocato l’euforia della borghesia e dei suoi insulsi intellettuali, non è proprio nuova. E’ la stessa che ha permesso di assicurare che la saturazione del mercato, alla radice della crisi aperta alla fine degli anni ’60, non soffocasse l’economia mondiale. Ma i tassi di crescita vanno sommati come debito crescente. Allo stato attuale, la “locomotiva” principale della crescita economica mondiale è costituita dalla massa di debiti dell’economia americana, sia a livello di bilancio statale che a livello commerciale. Proprio in questi giorni la minaccia del boom edilizio negli USA, che è stato propulsivo per l’economia sollevandola dal pericolo di un catastrofico fallimento bancario, ha causato un considerevole allarme tra gli economisti. Questo allarme è stato causato dalla prospettiva di un altro fallimento che ha colpito i cosiddetti "hedge funds" (fondi spazzatura) a seguito del collasso di Amaranth nell’Ottobre 2006. La minaccia è abbastanza seria perché questi organismi, la cui ragione di esistere è trarre grossi profitti a breve termine dalla variazione dei tassi di scambio e del prezzo delle materie prime, sono ormai parte integrante del sistema finanziario internazionale. Infatti, sono le più “serie” istituzioni finanziarie che hanno messo una parte del proprio assetto in questi fondi speculativi. Inoltre, le somme investite in questi organismi sono considerevoli, pari al PIL annuale di un paese come la Francia; e agiscono come una leva per ancor più considerevoli movimenti di capitale (prossimi a 700.000 miliardi di dollari nel 2002, cioè 20 volte superiore alle transazioni dei beni e dei servizi, i prodotti “reali”). E niente di tutto ciò sarà cambiato dalle lamentele degli alter-mondialisti o dai critici della finanziarizzazione dell’economia. Queste correnti politiche vorrebbero vedere un capitalismo più pulito e giusto che rinunci alla speculazione. In realtà, la speculazione non è soltanto il prodotto di un “cattivo” tipo di capitalismo che ha dimenticato le proprie responsabilità di investire in settori realmente produttivi. Come Marx già dimostrava nel XIX secolo, la speculazione è il risultato del fatto che, quando si affaccia una prospettiva di scarsità o insufficienza di sbocchi per gli investimenti produttivi, i detentori di capitale preferiscono cercare profitti a breve termine in una enorme lotteria, un casinò planetario, proprio come quello in cui oggi è stato trasformato il capitalismo. Volere che oggi il capitalismo rinunci alla speculazione è realistico come una tigre vegetariana o un dragone che non sputa fiamme.
5. Gli eccezionali tassi di crescita osservabili in paesi come India e Cina non provano assolutamente la presenza di nuova linfa nell’economia mondiale, anche se hanno contribuito considerevolmente agli alti tassi di crescita dell’ultimo periodo. Alla base dei tassi di crescita eccezionali c’è, paradossalmente, ancora una volta la crisi del capitalismo. La crescita deve la sua dinamica essenzialmente a due fattori: l’esportazione e l’investimento di capitali provenienti da paesi più sviluppati. Se le reti commerciali sono più inclini alla distribuzione dei beni made in China è perché possono venderli a prezzi molto più bassi, cosa che è diventata una assoluta necessità data la crescente saturazione dei mercati e la oltremodo esacerbata competizione commerciale; allo stesso tempo, questo processo abbassa i costi della forza lavoro nei paesi più sviluppati. La stessa logica è riscontrabile nel fenomeno della ”delocalizzazione” (outsourcing), il trasferimento delle attività industriali di grandi imprese verso i paesi del terzo mondo, dove la forza lavoro è incomparabilmente più economica che nei paesi sviluppati. Va ancora notato che l’economia cinese, beneficiaria della delocalizzazione nel proprio territorio, tende a sua volta a fare lo stesso verso i paesi dove i salari sono ancora più bassi, come in Africa.
6. Dietro la “crescita a due cifre” della Cina, specialmente per l’industria, vi è un sfruttamento forsennato della classe operaia che spesso sopravvive in condizioni analoghe a quelle della classe operaia inglese della prima metà del XIX secolo, come Engels ha denunciato nel suo notevole lavoro del 1844. In sé e per sé questo non è un segno della bancarotta del capitalismo perché era sulla base di quel barbaro sfruttamento che questo sistema si lanciava alla conquista del globo. Detto questo, ci sono differenze fondamentali tra lo sviluppo del capitalismo e le condizioni della classe operaia nei primi paesi capitalisti e nella Cina di oggi:
Quindi, lungi dal rappresentare un soffio di aria buona per l’economia capitalista, il “miracolo” in Cina e in alcuni paesi del terzo mondo è solo una rappresentazione della decadenza del capitalismo. Inoltre, la totale dipendenza dell’economia cinese verso le esportazioni è fonte di una considerevole vulnerabilità ad ogni calo della domanda degli attuali clienti. Cosa che potrebbe verificarsi duramente dato che l’economia americana è obbligata a fare fronte ai colossali debiti, che attualmente gli permettono di giocare il ruolo di locomotiva per la domanda mondiale. Quindi, proprio come il miracolo delle crescite a due cifre delle tigri e dragoni asiatici del 1997 giunse ad una spiacevole fine, l’attuale miracolo cinese, anche se non ha le stesse origini ed ha margini di gran lunga maggiori a propria disposizione, dovrà presto o tardi confrontarsi con l’impasse storica del modo di produzione capitalistico.
Aggravamento del caos e delle tensioni imperialiste
7. La vita economica della società borghese non trova scampo dalle leggi della decadenza capitalista, e per diverse ragioni: è a questo livello che la decadenza si manifesta prima e soprattutto. Tuttavia, per le stesse ragioni, le maggiori espressioni della decomposizione hanno fino ad ora risparmiato la sfera economica. La stessa cosa non si può dire per la sfera politica della società capitalistica, e in particolare per l’area degli antagonismi tra i settori della classe dominante e soprattutto l’area degli antagonismi imperialisti. Infatti, la prima grande espressione dell’ingresso del capitalismo nella fase di decomposizione concerne precisamente l’area dei conflitti imperialisti: il collasso del blocco imperialista dell’est alla fine degli anni ’80, che portò rapidamente anche alla sparizione del blocco occidentale.
E’ a livello delle relazioni politiche diplomatiche e militari degli Stati che vediamo chiaramente il fenomeno dell’”ognuno per sé”, caratteristica importante della fase di decomposizione. Il sistema dei blocchi portava con sé il pericolo di una terza Guerra mondiale, che senza dubbio avrebbe avuto luogo se il proletariato mondiale non avesse rappresentato un ostacolo sin dalla fine degli anni sessanta. Ciononostante esso rappresentava una certa “organizzazione” delle tensioni imperialiste, principalmente attraverso la disciplina imposta all’interno dei blocchi dalla potenza dominante. La situazione che si impose nel 1989 è leggermente diversa. Certamente, lo spettro di una Guerra mondiale non ha ossessionato ulteriormente il pianeta, ma allo stesso tempo, abbiamo visto il liberarsi degli antagonismi imperialisti e delle guerre locali in cui sono implicate direttamente le grandi potenze, in particolare la più potente, gli USA.
Gli USA, che per decenni sono stati i “gendarmi del mondo”, hanno dovuto tentare di proseguire e rinvigorire questo ruolo a seguito del “nuovo disordine mondiale” che è fuoriuscito dalla fine della Guerra Fredda. Ma nonostante abbiano certamente assunto questo ruolo sulla Terra, essi non l’hanno fatto per puntare a contribuire alla stabilità del pianeta, ma per conservare fondamentalmente la loro leadership mondiale, messa in questione più volte dal fatto che non esisteva più il cemento che manteneva insieme i due blocchi imperialisti – la minaccia del blocco rivale.
Con la definitiva scomparsa della “minaccia Sovietica”, il solo modo con cui la potenza americana poteva imporre la propria disciplina era di contare sulla propria forza, l’enorme superiorità a livello militare. Ma facendo ciò, la politica militare degli USA è diventata uno dei principali fattori dell’instabilità mondiale. Ne abbiamo diversi esempi dagli inizi degli anni ’90: la prima guerra del Golfo, nel 1991, con cui si tentò di riannodare i legami logori che tenevano gli ex alleati del blocco occidentale (e non per obbligare a rispettare le leggi internazionali, ritenute non rispettate dall’invasione dell’Iraq del Kuwait, che fu in effetti un pretesto). Poco tempo dopo, in Iugoslavia, l’unità tra i vecchi alleati del blocco occidentale andava in pezzi: la Germania dà fuoco alla miccia spingendo la Slovenia e la Croazia a dichiarare la loro indipendenza; la Francia e l’Inghilterra ritornavano all’Entente Cordiale degli inizi del XX secolo sostenendo gli interessi imperialisti della Serbia mentre gli stessi Usa si presentavano come guardiani dei musulmani bosniaci.
8. Il fallimento della borghesia Americana, durante gli anni ’90, nell’ imporre la propria autorità in ogni direzione, anche grazie ad una serie di operazioni militari, la condusse a cercare un nuovo nemico del “mondo libero” e della “democrazia”, così da riuscire ancora una volta ad allineare le potenze mondiali e specialmente i vecchi alleati: il terrorismo islamico. Gli attacchi dell’11 settembre, che sembra sempre di più (anche a più di un terzo della popolazione USA e a tà dei cittadini di New York) che fossero voluti se non effettivamente preparati dall’apparato statale americano, sono stati il punto di partenza per questa nuova crociata. Cinque anni dopo questa politica si è dimostrata fallimentare. Se gli attacchi dell’11 settembre permisero agli USA di trascinare nell’intervento in Afghanistan paesi come Francia e Germania, questo non gli riuscì nell’avventura irachena del 2003; provocò addirittura la nascita di una alleanza di circostanza contro l’intervento in Iraq tra questi due paesi e la Russia. Ed infine, alcuni tra i maggiori alleati della “coalizione” intervenuta in Iraq, come Spagna e Italia, hanno abbandonato la nave che affondava. La borghesia americana ha fallito ognuno degli obiettivi preposti per la guerra in Iraq: l’eliminazione delle armi di distruzione di massa, l’instaurazione di una democrazia pacifica; la stabilità e un ritorno alla pace nella regione sotto l’egida dell’America; la sconfitta del terrorismo; l’adesione della popolazione americana agli interventi militari del nuovo governo.
La questione delle armi di distruzione di massa fu subito sistemata: divenne chiaro che le uniche armi del genere in Iraq erano quelle portate dalla coalizione. Questo dimostrò rapidamente le menzogne architettate dalla amministrazione Bush per invadere l’Iraq.
Per quanto riguarda la battaglia contro il terrorismo, è chiaro che con l’invasione dell’ Iraq non si è andati nella giusta direzione ma al contrario si sono ottenuti effetti contrari, sia in Iraq che negli altri paesi, come abbiamo visto a Madrid nel marzo 2004 e a Londra nel luglio 2005.
L’instaurazione di una democrazia pacifica in Iraq prese la forma della nascita di un governo fantoccio che non avrebbe potuto mantenere il minimo controllo su paese senza il massiccio supporto delle truppe americane – un controllo in ogni caso limitato a poche “zone di sicurezza”, lasciando il resto del paese esposto al massacro tra sciiti e sunniti e agli attacchi terroristici che hanno causato decine di migliaia di vittime dalla caduta di Saddam Hussein.
Pace e stabilità nel Medio Oriente non sono mai sembrate così lontane: nei 50 anni di conflitto tra Israele e Palestina, gli ultimi 5 anni hanno visto un continuo aggravamento della situazione, fattasi ancora più drammatica con gli attriti tra Hamas e Fatah e dal discredito crescente del governo israeliano. La perdita di autorità nella regione da parte del gigante USA, a seguito della disastrosa disfatta in Iraq, chiaramente non è estranea a questa caduta e al fallimento del “processo di pace” di cui era il maggior sostenitore.
La perdita di autorità è anche responsabile delle crescenti difficoltà delle forze NATO in Afghanistan e della perdita di controllo del governo Karzai nel paese di fronte ai Talebani.
Inoltre, la crescente sfrontatezza dell’Iran nei suoi preparativi per costruire armi nucleari è una diretta conseguenza dell’impantanamento degli Stati Uniti nelle sabbie mobili dell’Iraq, che per il momento impediscono un simile massiccio uso di truppe altrove.
Infine, l’intento della borghesia americana di seppellire una volta per tutte “la sindrome del Vietnam”, cioè la reticenza della popolazione americana a supportare le proprie truppe inviate sui campi di battaglia, ha avuto l’effetto opposto. Sebbene, in un periodo iniziale l’emozione provocata dagli attacchi dell’11 settembre ha reso possibile un forte sentimento nazionalista all’interno della popolazione, promuovendo il desiderio di unità nazionale e la determinazione a dichiarare la “guerra al terrore”, negli anni recenti si è manifestata con forza la reazione alla guerra e l’opposizione all’invio di truppe USA lontano da casa.
La borghesia statunitense oggi in Iraq si trova di fronte ad un vero vicolo cieco. Da una parte, sia dal punto di vista strettamente militare che da quello economico e politico, non ha i mezzi per reclutare una forza che eventualmente potrebbe permettere di “ristabilire l’ordine”. Dall’altra, non può ritirarsi semplicemente dall’Iraq senza ammettere apertamente il totale fallimento della propria politica, aprendo così le porte alla disgregazione dell’Iraq e alla totale destabilizzazione della regione.
9. Perciò il bilancio del mandato di Bush junior è di certo uno dei più disastrosi della storia USA. L’ascesa dei Neocon alla testa dello Stato rappresenta una vera catastrofe per la borghesia americana. La questione posta è la seguente: come è possibile che la borghesia leader del mondo faccia appello a questa banda di irresponsabili e avventurieri incompetenti per prendere in carico la difesa dei propri interessi? Cosa c’è dietro questa cecità della classe dominante del paese dal capitalismo più avanzato? Nei fatti, l’arrivo del gruppo di Cheney, Rumsfeld e Co. alle redini dello stato non è stato semplicemente il risultato di un monumentale errore nel casting da parte della classe dominante. Mentre ha considerevolmente peggiorato la situazione degli Stati Uniti a livello imperialista, ha anche rappresentato l’espressione dell’impotenza degli Usa rispetto al crescente indebolimento della sua leadership e più in generale di fronte allo sviluppo dell’”ognuno per sé” nelle relazioni internazionali che caratterizza la fase di decomposizione.
La migliore prova di questo fatto è che la borghesia più intelligente e abile del mondo si è fatta trascinare in questa avventura suicida in Iraq. Un altro esempio della inclinazione per scelte imperialiste catastrofiche da parte dei borghesi più efficienti, che fino ad ora erano riusciti ad usare con maestria la propria potenza militare, è visibile a scala minore nell’avventura catastrofica di Israele in Libano nell’estate del 2006, un’offensiva condotta col lasciapassare degli “strateghi” di Washington. Questa mirava ad indebolire Hezbollah ed ha avuto come risultato il suo rafforzamento.
La distruzione accelerata dell’ambiente
10. Il caos militare che si sviluppa nel mondo, che spinge vaste regioni in una malsana desolazione, in modo notevole nel Medio Oriente ma soprattutto in Africa, non è la sola manifestazione del vicolo cieco storico raggiunto dal capitalismo, e neanche la più pericolosa per la specie umana. Oggi appare chiaro che il perdurare del capitalismo porta con sé la minaccia della distruzione dell’ambiente che rende possibile la vita umana. Le continue emissioni di gas serra al livello attuale, col risultato del surriscaldamento del pianeta, annunciano l’arrivo di catastrofi senza precedenti (ondate di caldo, uragani, desertificazione, alluvioni…) con la conseguenza di una sfilza di terrificanti disastri umani (carestie, migrazioni di centinaia di milioni di esseri umani, sovrappopolazione nelle aree meno afflitte dai cambiamenti climatici…). Rispetto ai primi effetti visibili del degrado ambientale, i governi e i circoli dirigenti della borghesia non possono a lungo nascondere alla popolazione mondiale la gravità della situazione e il futuro catastrofico che si annuncia. D’ora in avanti, le borghesie più potenti e tutti i partiti politici si vestono di bianco promettendo di prendere le misure necessarie per salvare l’umanità dal disastro incombente. Ma con la distruzione delle risorse è come col problema della guerra: tutti i settori della borghesia dichiarano di essere contro la guerra, ma da quando il sistema è entrato nella fase di decadenza questa classe è stata incapace di garantire la pace. E questo non ha niente a che vedere con le buone o le cattive intenzioni (anche se si possono trovare i più sordidi interessi dietro quei settori che spingono fortemente per la guerra). Anche i leader borghesi più “pacifisti” non possono sfuggire alla logica oggettiva che metterà a repentaglio tutte le loro pretese “umaniste” e “razionali”. Allo stesso modo, le buone intenzioni frequentemente sventolate dai leader della borghesia che hanno a cuore la protezione dell’ambiente, anche quando non sono soltanto dirette alla vittoria elettorale, contano poco contro le costrizioni dell’economia capitalistica. In effetti affrontare il problema dell’emissione di gas serra richiede un migliore struttura della produzione industriale, della produzione energetica , dei trasporti, della casa, quindi un massiccio e prioritario investimento in questi settori. Ciò significherebbe mettere nella questione maggiori interessi economici, sia a livello della grande impresa che statale. Concretamente, se uno Stato mettesse mano alle misure necessarie a contribuire effettivamente a risolvere il problema, sarebbe immediatamente punito con crudeltà dalla competizione del mercato mondiale. Quando si tratta di decidere come gli Stati dovrebbero combattere il riscaldamento globale, si ha lo stesso problema che ogni borghesia affronta rispetto agli aumenti salariali. Sono tutti per prendere le giuste disposizioni… purché siano gli altri a prenderle. Finchè il modo di produzione capitalista sopravvive, l’umanità è condannata a subire catastrofi crescenti che questo sistema in disgregazione impone, minacciando la sua stessa sopravvivenza.
Perciò, come la CCI mostra da 15 anni, la decomposizione del capitalismo porta con sè serie minacce per l’esistenza umana. L’alternativa annunciata da Engels alla fine del XIX secolo, socialismo o barbarie, è stata una sinistra verità per tutto il XX secolo. Cosa ci offre il XXI secolo come prospettiva è abbastanza semplice: socialismo o distruzione dell’umanità. Questa è la vera posta in gioco cui è confrontata l’unica forza sociale in grado di sovvertire il capitalismo, la classe operaia mondiale.
La continuazione della lotta di classe e la maturazione della coscienza
11. Il proletariato, come abbiamo visto, si è già trovato di fronte a questa posta in gioco per alcuni decenni, sin dalla storica ripresa dopo il 1968 che mise fine alla più profonda contro-rivoluzione delle storia, e che impedì al capitalismo di mettere in atto la propria risposta alla aperta crisi economica: la Guerra mondiale. Per due decenni si susseguirono le lotte dei lavoratori, con alti e bassi, con conquiste e perdite, che permisero ai lavoratori di acquisire una grande esperienza di lotta, in particolare sul ruolo di sabotaggio dei sindacati. Allo stesso tempo, la classe operaia fu soggetta sempre più al peso della decomposizione, come si nota in particolare nella reazione al sindacalismo classico che scade nel corporativismo, come è testimoniato dal peso dello spirito dell’ognuno per sè all’interno delle lotte. Fu infine la decomposizione del capitalismo a dare il colpo di grazia alla prima serie di lotte proletarie con la più spettacolare manifestazione possibile, il collasso del blocco dell’est e del regime stalinista nel 1989. Le assordanti campagne della borghesia sul “fallimento del comunismo”, la “vittoria definitiva del capitalismo liberale e democratico”, la “fine della lotta di classe” e della classe operaia stessa, portò ad un importante arretramento del proletariato, sia a livello della coscienza che della combattività. Questo arretramento fu profondo è durò più di dieci anni segnando un’intera generazione di lavoratori che si trovarono disgregati e demoralizzati. Questo disgregamento fu provocato non solo dagli eventi che avvennero alla fine degli anni ottanta, ma anche da quelli che ne conseguirono, come la guerra del Golfo nel 1991 e la guerra nella ex Jugoslavia. Questi eventi costituirono una stridente refutazione delle parole di George Bush senior, che aveva annunciato che con la fine della Guerra Fredda si entrava in un “nuovo ordine” di pace e prosperità; ma nel contesto generale di disorientamento della classe, quest’ultima non fu in grado di riacquistare la propria coscienza di classe. Al contrario, questi eventi aggravarono il senso profondo di impotenza di cui già soffriva, erodendo ulteriormente la propria fiducia in se stessa e lo spirito di lotta.
Nel corso degli anni novanta la classe operaia non ha rinunciato completamente alla lotta. I continui attacchi capitalisti obbligavano a resistere con lotte salariali, ma queste lotte non avevano né la portata, né la coscienza e neanche la capacità di confronto con i sindacati che avevano segnato le lotte del precedente periodo. Fu così fino al 2003, quando, con grandi mobilitazioni contro gli attacchi alle pensioni in Francia ed Austria, il proletariato cominciò realmente ad uscir fuori dal riflusso iniziato nel 1989. Da allora, questa tendenza al ritorno delle lotte di classe e allo sviluppo della coscienza di classe è stata ulteriormente verificata. Le lotte operaie hanno riguardato molti paesi centrali, inclusi quelli più importanti come gli Usa (Boeing e trasporti di New York nel 2005) la Germania (Daimler e Opel nel 2004, medici ospedalieri nella primavera del 2006, Deutche Telekom nella primavera del 2007), l’Inghilterra (aeroporti di Londra nell’agosto 2005), la Francia (il notevole movimento degli studenti universitari contro il CPE nella primavera 2006), in Bangldesh (i lavoratori tessili nella primavera del 2006) e l’Egitto (tessile, trasporti ed altri settori del lavoro nella primavera del 2007).
12. Engels scrisse che la classe operaia conduce le proprie lotte su tre livelli: economico, politico e teorico. Per comparare le differenze a questi tre livelli tra l’ondata di lotte iniziate nel 1968 e quelle nel 2003 bisogna tracciare la prospettiva posta da queste ultime.
L’ondata di lotte del 1968 ebbe una considerevole importanza politica: in particolare, esse rappresentano la fine del periodo di controrivoluzione. Allo stesso tempo, hanno dato impulso alla riapparizione della corrente della sinistra comunista, di cui la formazione della CCI nel 1975 fu una delle espressioni più importanti. Le lotte del Maggio francese nel 1968, l’”autunno caldo” in Italia nel 1969, per le preoccupazioni politiche espresse, diedero vita all’idea che si andava verso una politicizzazione significativa della lotta operaia internazionale durante le lotte che seguirono. Ma questo potenziale non fu realizzato. L’identità di classe sorta all’interno del proletariato nel corso di quelle lotte fu più una categoria economica che una forza politica all’interno della società. In particolare, il fatto che con le proprie lotte si impedì alla borghesia di avviarsi verso la terza guerra mondiale passò completamente inosservato dalla classe (inclusi la maggior parte dei gruppi rivoluzionari). Allo stesso tempo, l’emergere dello sciopero di massa in Polonia nel 1980, che fino ad ora rappresenta la più alta espressione (dalla fine del periodo rivoluzionario seguito alla prima guerra mondiale) delle capacità organizzative del proletariato, dimostrò una considerevole debolezza politica. L’unica “politicizzazione” che fu possibile realizzare fu l’aderenza ai temi democratici borghesi nonché al nazionalismo.
Queste situazioni trovano le proprie ragioni in una serie di fattori che la CCI ha già analizzato:
13. La situazione in cui si sviluppa oggi la nuova ondata di lotta di classe è molto differente:
Queste condizioni comportano una serie di differenze tra la presente ondata di lotte e quelle terminate nel 1989.
Così, anche se rappresentano una risposta agli attacchi economici per molti versi molto più forti e generalizzati di quelli che hanno provocato la spettacolare e massiccia insorgenza della prima ondata, le attuali lotte non hanno raggiunto, almeno nei paesi centrali del capitalismo, lo stesso carattere di massa. Alla base di questo abbiamo essenzialmente due motivi:
Comunque, quest’ultimo aspetto della situazione non è il solo fattore che frena i lavoratori dall’intraprendere lotte massicce. Questo richiede anche la possibilità di un profondo sviluppo della coscienza sulla bancarotta definitiva del capitalismo, che è un presupposto per capire che bisogna abbatterlo. In un certo senso, anche se in modo molto confuso, è la mole dell’obiettivo della lotta di classe, che non è niente di meno che la rivoluzione comunista, che frena la classe operaia a intraprendere le lotte.
Perciò, anche se le lotte economiche della classe sono per il momento meno massicce che durante la prima ondata, contengono implicitamente una dimensione politica molto più importante. E questa dimensione politica ha già assunto una sua forma esplicita, come dimostrato dal fatto che sono pervase molto di più da una dimensione di solidarietà. Questo è di vitale importanza perché costituisce per eccellenza l’antidoto all’”ognuno per sé”, atteggiamento caratteristico della decomposizione sociale, e soprattutto è al cuore della capacità del proletariato mondiale non solo di sviluppare le lotte presenti ma soprattutto di abbattere il capitalismo:
14. Questa questione della solidarietà è stata al cuore del movimento contro il CPE in Francia nella primavera del 2006 che, nonostante coinvolse principalmente gli studenti medi e universitari, si pose su un terreno di classe:
15. Questo movimento fu anche esemplare per la capacità della classe di prendersi carico delle proprie lotte attraverso assemblee e comitati di lotta responsabili di fronte a queste (capacità già vista nelle lotte dei metallurgici di Vigo in Spagna nella primavera del 2006, quando un alto numero di fabbriche si sono unite in assemblee giornaliere in strada). Questo fu possibile principalmente per il fatto che i sindacati sono molto deboli in ambiente studentesco e non poterono giocare il ruolo tradizionale di sabotare la lotta, ruolo che continueranno a giocare fino alla rivoluzione. Una controprova del ruolo antioperaio che i sindacati continuano a giocare è il fatto che le lotte di massa che abbiamo visto nascere fino ad oggi hanno colpito principalmente i paesi del terzo mondo, dove i sindacati sono molto deboli (come in Bangladesh) o totalmente identificati allo Stato (come in Egitto).
16. Il movimento contro la CPE, che ha luogo nello stesso paese dove si combatterono le prime e più spettacolari lotte della ripresa proletaria, lo sciopero generale del Maggio 1968, ci fornisce un’altra lezione sulle differenze tra la presente ondata di lotte e quella precedente:
17. Quest’ultima questione ci fa tornare al terzo aspetto della lotta proletaria citato da Engles: la lotta teorica, lo sviluppo della riflessione all’interno della classe sulle prospettive generali della lotta e sullo sviluppo di elementi e organizzazioni come prodotto e fattori attivi di questo sforzo. Oggi, come nel 1968, la ripresa della lotta di classe è accompagnato da una profonda riflessione, e l’apparizione di nuovi elementi che si avvicinano alle posizioni della sinistra comunista è solo la punta dell’iceberg. In questo senso ci sono notevoli differenze tra il presente processo di riflessione e quello sviluppato nel 1968. La riflessione avviata a quel tempo seguiva le massicce e spettacolari lotte, mentre il processo presente non ha aspettato che la classe operaia conducesse lotte di quella portata prima di innescarsi. Questa è una delle conseguenze della differenza delle condizioni poste di fronte al proletariato in confronto a quelle della fine degli anni ’60.
Una delle caratteristiche dell’ondata di lotte del 1968 è che, a causa della sua portata, ricompariva la possibilità della rivoluzione proletaria, possibilità sparita dalle menti a causa della profondità della controrivoluzione e dell’illusione nella “prosperità” del capitalismo seguita alla seconda Guerra mondiale. Oggi non è la possibilità della rivoluzione che è al centro del processo di riflessione ma, in vista della prospettiva catastrofica che il capitalismo ha in serbo per noi, la sua necessità. Nei fatti questo processo, anche se meno rapido e meno visibile che negli anni ’70, è molto più profondo e non sarà intaccato dai momenti di riflusso nella lotta di classe.
Infatti l’entusiasmo espresso per l’idea di rivoluzione nel 1968 e negli anni seguenti, date le basi che lo avevano determinato, favorì il reclutamento della maggior parte degli elementi che aderirono ai gruppi gauchistes. Solo una minoranza molto piccola di questi elementi, quelli meno segnati dalla ideologia piccolo borghese e dall’immediatismo professato dai movimenti studenteschi, si avvicinarono alle posizioni della sinistra comunista e divennero militanti delle organizzazioni proletarie. Le difficoltà a cui andò incontro il movimento della classe operaia, specialmente a seguito alle differenti controffensive della classe dominante e in un contesto in cui era forte il peso delle illusioni in una possibilità per il capitalismo di migliorare la situazione, favorì un ritorno significativo all’ideologia riformista promossa dai gruppi “radicali” a sinistra dello stalinismo ufficiale, sempre più discreditato. Oggi, a seguito del crollo storico dello stalinismo, le correnti gauchistes tendono sempre più a prendere il posto lasciato vacante da quest’ultimo. La tendenza di queste correnti a voler diventare un partecipante ufficiale delle politiche borghesi tende a provocare una reazione tra i più sinceri militanti che iniziano una ricerca di autentiche posizioni di classe. Per questo motivo, lo sforzo di riflessione all’interno della classe operaia è dimostrato non solo dall’emergere di elementi molto giovani che si rivolgono alla sinistra comunista ma anche da elementi più vecchi che hanno avuto un esperienza all’interno delle organizzazioni dell’estrema sinistra della borghesia. Il fenomeno in sé è molto positivo e porta la promessa che le energie rivoluzionarie, che sorgeranno necessariamente man mano che la classe sviluppa le proprie lotte, non saranno risucchiate e sterilizzate facilmente e allo stesso modo in cui avvenne negli anni ’70, e che si uniranno alle organizzazioni della sinistra comunista in quantità modo molto maggiore.
É responsabilità delle organizzazioni rivoluzionarie, e della CCI in particolare, essere parte attiva del processo di riflessione già avviato in seno alla classe, non solo intervenendo attivamente nelle lotte quando queste iniziano a svilupparsi, ma anche stimolando lo sviluppo di gruppi ed elementi che cercano di unirsi alla lotta.
CCI, Maggio 2007Anche il più breve esame della storia dell'Estremo Oriente è sufficiente a rivelare l'immensa importanza di questa iniziativa. L'abbiamo messo in evidenza nel nostro "Saluto alla Conferenza": "Nel 1927, il massacro degli operai di Shangai è stato l'episodio finale di una lotta rivoluzionaria che, a partire dalla Rivoluzione d'ottobre in Russia del 1917, ha scosso il mondo per circa dieci anni. Negli anni successivi la classe operaia mondiale e l'insieme dell'umanità hanno subito i peggiori orrori della più terribile delle controrivoluzioni che la storia abbia mai conosciuto. In Oriente, la popolazione ha dovuto sopportare le premesse della Seconda Guerra mondiale con l'invasione della Manciuria da parte del Giappone; poi la stessa Guerra mondiale culminata con la distruzione di Hiroshima e Nagasaki; la guerra civile in Cina e la guerra della Corea; la terribile carestia in Cina durante il preteso "Grande balzo in avanti" sotto Mao Zedong, la guerra del Vietnam...
Tutti questi terribili avvenimenti che hanno scosso il mondo, hanno sottomesso un proletariato che, in Oriente, era ancora giovane ed inesperto e poco in contatto con lo sviluppo della teoria comunista in Occidente. Per quanto sappiamo, nessuna espressione della Sinistra comunista è potuta sopravvivere, né tanto meno è apparsa tra gli operai d'Oriente.
Perciò, il fatto che oggi, in Oriente, una conferenza dei comunisti internazionalisti sia stata voluta da un'organizzazione che si identifica esplicitamente alla Sinistra comunista è un avvenimento d'importanza storica per la classe operaia. Contiene la promessa - forse per la prima volta nella storia - dell'elaborazione di una vera unità tra gli operai d'Oriente e quelli d'occidente. Non è neanche un avvenimento isolato: esso fa parte di un lento risveglio della coscienza del proletariato mondiale e delle sue minoranze politiche". La delegazione della CCI ha dunque assistito alla Conferenza con l'obiettivo, non solo di contribuire per il meglio delle sue capacità all'emergere di una voce internazionalista della Sinistra comunista in Estremo Oriente, ma anche di apprendere: quali sono le domande più importanti degli operai e dei rivoluzionari in Corea? Quali forme prendono in questo paese le questioni che toccano l'insieme degli operai? Quali lezioni l'esperienza degli operai coreani può offrire altrove agli operai, specialmente in Estremo Oriente ma anche, in modo più generale, nell'insieme del mondo? Ed infine, il proletariato coreano quali lezioni può trarre dall'esperienza dei suoi fratelli di classe del resto del mondo?
La Conferenza si proponeva fin dall'inizio di discutere dei seguenti argomenti: la decadenza del capitalismo, la situazione della lotta di classe e la strategia che devono adottare i rivoluzionari nella situazione attuale. Tuttavia, nei giorni che hanno preceduto la Conferenza, l'importanza politica a lungo termine degli obiettivi che si era fissata è stata eclissata dall'esacerbazione drammatica delle tensioni imperialiste nella regione causata dall'esplosione della prima bomba nucleare della Corea del Nord e dalle manovre che hanno seguito, in particolare da parte delle differenti potenze presenti nella regione (Stati Uniti, Cina, Giappone, Russia, Corea del Sud). In una riunione che ha preceduto la Conferenza, la delegazione della CCI ed il gruppo della SPA di Seul sono stati d'accordo nel ritenere che, per gli internazionalisti, era importantissimo prendere pubblicamente posizione su questa situazione e hanno deciso di presentare congiuntamente alla Conferenza una Dichiarazione internazionalista contro la minaccia di guerra. Come vedremo, la discussione che questa Dichiarazione ha provocato ha costituito una parte importante dei dibattiti della Conferenza.
In questo Rapporto, ci proponiamo di esaminare alcuni dei temi principali che sono stati dibattuti alla Conferenza, nella speranza non solo di dare la sua più larga espressione alla stessa discussione, ma anche di contribuire alla riflessione dei compagni coreani offrendo una prospettiva internazionale alle domande alle quali oggi essi sono confrontati.
Prima di parlare della Conferenza, è necessario porre brevemente la situazione coreana nel suo contesto storico. Durante i secoli che hanno preceduto l'espansione del capitalismo in Estremo Oriente, la Corea ha beneficiato e sofferto contemporaneamente della sua posizione geografica in quanto piccolo paese posto tra due grandi potenze storiche: la Cina ed il Giappone. Da un lato, essa è servita da ponte e da catalizzatore culturale per i due paesi: non c'è dubbio per esempio che l'arte della ceramica in Cina e specialmente in Giappone deve molto agli artigiani vasai della Corea che hanno sviluppato le tecniche, oggi scomparse, della verniciatura delle porcellane verde pallido 1. Dall'altro, il paese è stato vittima di invasioni frequenti e brutali da parte dei suoi due potenti vicini, e per gran parte della sua storia recente, l'ideologia dominante è stata sotto il controllo di una casta di eruditi confuciani che lavoravano in lingua cinese e che hanno resistito all'influenza delle idee nuove che hanno corredato l'arrivo delle potenze europee nella regione. Durante il diciannovesimo secolo, la rivalità accanita e crescente tra la Cina, il Giappone e la Russia - questa potenza coloniale estendeva la sua influenza fino alle frontiere della Cina e sull'Oceano Pacifico - ha portato ad una competizione intensa per sviluppare la loro influenza nella stessa Corea. Tuttavia, l'influenza che ricercavano queste potenze era essenzialmente di ordine strategico: dal punto di vista di un rientro sull'investimento, le possibilità che offrivano la Cina ed il Giappone erano molto più importanti di quelle di cui disponeva la Corea, soprattutto considerando l'instabilità politica causata dalle lotte intestine tra le differenti fazioni delle classi dirigenti coreane, divise sui benefici dell' "ammodernamento", e dai tentativi di ciascuna di utilizzare l'influenza dei vicini imperialisti della Corea per rafforzare il proprio potere. All'inizio del ventesimo secolo, la Russia ha intensificato i suoi tentativi per porre una base navale in Corea, ciò che fu, e non poteva essere altrimenti, percepito dal Giappone come una minaccia mortale alla sua indipendenza: questa rivalità doveva condurre nel 1905 allo scoppio della guerra russo-giapponese durante la quale il Giappone annientò la flotta russa. Nel 1910, il Giappone invase la Corea stabilendo un regime coloniale che è durato fino alla sconfitta del Giappone nel 1945.
Lo sviluppo industriale, prima dell'invasione dei giapponesi, era dunque estremamente modesto e l'industrializzazione che seguì fu largamente dipendente dai bisogni dell'economia di guerra del Giappone: verso il 1945, c'erano circa due milioni di operai dell'industria in Corea, largamente concentrata nel Nord. Il Sud del paese restava essenzialmente rurale e soffriva di una grande povertà. E, come se la popolazione operaia della Corea non avesse sofferto sufficientemente del dominio coloniale, dell'industrializzazione forzata e della guerra 2, essa si trovò sulla zona frontiera del nuovo conflitto imperialista che ha dominato il mondo fino al 1989: la divisione del pianeta tra i due grandi blocchi imperialisti: Stati Uniti e URSS. L' URSS aveva deciso di sostenere l'insurrezione scatenata dal "Partito operaio coreano", stalinista, per sondare le nuove frontiere del dominio imperialista americano, proprio come aveva fatto in Grecia dopo il 1945. Il risultato fu lo stesso, sebbene molto più importante e ad una scala più distruttrice: una guerra civile crudele tra il Nord ed il Sud della Corea in cui le autorità coreane di ogni campo - anche se si battevano per difendere i propri interessi di borghesia - non erano niente altro che pedine tra le mani di potenze ben più grandi che si affrontavano per il dominio del mondo. La guerra è durata tre anni (1950-53). In questo periodo, tutta la penisola è stata devastata da un estremo all'altro dalle avanzate e dagli indietreggiamenti dei due eserciti rivali. La guerra si è conclusa con la divisione definitiva in due paesi separati: la Corea del Nord e la Corea del Sud. Gli Stati Uniti fino ad oggi, mantengono una presenza militare in Corea del Sud, con più di 30.000 uomini stazionati nel paese.
Anche prima della fine della guerra, gli Stati Uniti erano già giunti alla conclusione che la sola occupazione militare non avrebbe stabilizzato la regione 3 e decisero di mettere in opera l'equivalente di un piano Marshall per il Sud-est asiatico e l'estremo Oriente. "Sapendo che la miseria economica e sociale è il principale fattore su cui si appoggiano le frazioni nazionaliste filo sovietiche per arrivare al potere in certi paesi dell'Asia, gli Stati Uniti incominciano a trasformare le zone che si trovano nelle vicinanze immediate della Cina (Taiwan, Hongkong, Corea del Sud e Giappone) in avamposti della "prosperità occidentale". La priorità per gli Stati Uniti sarà di stabilire un cordone sanitario rispetto all'avanzamento del blocco sovietico in Asia" 4. Questa politica ebbe delle implicazioni importanti per la Corea del Sud: "Privo di materie prime e con l'essenziale dell'apparato industriale ubicato al Nord, questo paese all'indomani della guerra si ritrovò esangue: la caduta della produzione raggiunse il 44% e quella dell'impiego il 59%, i capitali, i mezzi di produzione intermediari, le competenze tecniche e le capacità di gestione erano quasi inesistenti. (...) Dal 1945 al 1978, la Corea del Sud ha ricevuto circa 13 miliardi di dollari, 600 per abitante, e Taiwan 5,6 miliardi, 425 per abitante. Tra il 1953 ed il 1960, l'aiuto straniero contribuisce per circa il 90% alla formazione del capitale fisso della Corea del Sud. L'aiuto fornito dagli Stati Uniti raggiungeva il 14% del PNL nel 1957. (...) Ma gli Stati Uniti non si sono limitati a fornire aiuto e sostegno militari, aiuto finanziario ed assistenza tecnica; hanno in effetti preso in carico nei differenti paesi tutta la direzione dello Stato e dell'economia. Nell'assenza di vere borghesie nazionali, il solo corpo sociale che poteva stare alla testa dell'impresa di ammodernamento voluto dagli Stati Uniti era rappresentato dagli eserciti. Un capitalismo di Stato particolarmente efficace sarà instaurato in ciascuno di questi paesi. La crescita economica sarà stimolata da un sistema che unirà strettamente il settore pubblico e privato, attraverso una centralizzazione quasi militare ma sotto il controllo del mercato. Contrariamente alla variante est europea di capitalismo di Stato che genererà delle caricature di derive burocratiche, questi paesi hanno unito la centralizzazione ed il potere statale con la sanzione della legge del valore. Sono stati messi in opera numerose politiche interventiste: la formazione di conglomerati industriali, il voto di leggi di protezione del mercato interno, il controllo commerciale alle frontiere, l'adozione di una pianificazione ora imperativa, ora incitante, una gestione statale dell'attribuzione dei crediti, un orientamento dei capitali e risorse dei differenti paesi verso i settori portanti, la concessione di licenze esclusive, di monopoli di gestione, ecc. E' così che in Corea del Sud, grazie alla relazione tessuta coi "chaebols" (equivalenti dei "zaibatsus" giapponesi) grandi conglomerati industriali spesso fondati per iniziativa o con l'aiuto dello Stato, i poteri pubblici di questo paese hanno orientato lo sviluppo economico"5.
La classe operaia della Corea del Sud si doveva dunque scontrare con una politica di sfruttamento feroce e con un'industrializzazione forsennata, eseguita da una successione di regimi militari instabili, semi-democratici e semi-autoritari che mantenevano il loro potere attraverso la repressione brutale degli scioperi e delle rivolte operaie, in particolare il sollevamento massiccio di Kwangju, all'inizio degli anni 19806. In seguito agli avvenimenti di Kwangju, la classe dirigente coreana ha provato a stabilizzare la situazione sotto la presidenza del generale Chun Doo-hwan, precedentemente alla testa della CIA coreana, dando una vernice democratica a quello che essenzialmente rimaneva un regime militare autoritario. Questo tentativo fallì penosamente: l'anno 1986 ha visto l'assembramento di un'opposizione di massa a Seul, Inch'on, Kwangju, Taegu e Pusan, mentre nel 1987 "Più di 3300 conflitti mobilitarono i lavoratori dell'industria che richiedevano salari più alti, migliori trattamenti e migliori condizioni di lavoro, costringendo il governo a fare delle concessioni cedendo su alcune loro rivendicazioni" 7. L'incapacità del regime militare corrotto del generale Chun di imporre la pace sociale con la forza condusse ad un cambiamento di direzione; il regime Chun adottò il "programma di democratizzazione" proposto dal generale Roh Tae-woo, leader del Partito Democratico della Giustizia, partito governativo che vinse le elezioni presidenziali a dicembre 1987. Le elezioni presidenziali del 1992 portarono al potere un leader di lunga data dell'opposizione democratica, Kim Young-Sam, e fu portata a termine la transizione della Corea verso la democrazia. O, come hanno detto i compagni della SPA, la borghesia coreana è riuscita finalmente ad edificare una facciata democratica sufficiente per nascondere il perseguire del dominio dell'alleanza tra gli apparati militari, i "chaebols", e l'apparato di sicurezza.
Conseguenze del contesto storico
Per quello che riguarda l'esperienza recente delle sue minoranze politiche, il contesto storico della Corea presenta delle analogie con quello di altri paesi della periferia, in Asia come in America latina8. Esso ha avuto delle conseguenze importanti per l'emergere di un movimento internazionalista nella stessa Corea.
A livello di ciò che potremmo chiamare "la memoria collettiva" della classe, è chiaro che esiste una differenza importante tra le esperienze politiche ed organizzative accumulate dalla classe operaia in Europa - che cominciava già nel 1848 ad affermarsi come forza indipendente nella società (la frazione "forza fisica" del movimento cartista in Gran Bretagna) - e quelle della classe in Corea. Se ci ricordiamo che le ondate di lotta di classe in Europa negli anni 1980 hanno visto il lento sviluppo di una diffidenza generale nei riguardi dei sindacati e la tendenza degli operai ad auto-gestire le loro lotte, è particolarmente sorprendente constatare che, durante lo stesso periodo, i movimenti in Corea erano segnati da una tendenza a fondere le lotte operaie per le rivendicazioni specifiche alla loro classe con rivendicazioni del "movimento democratico", e per una riorganizzazione dell'apparato statale. Perciò, l'opposizione fondamentale tra gli interessi della classe operaia e quelli delle frazioni democratiche non era immediatamente evidente per quei militanti che cominciavano un’ attività politica in quel periodo.
Non dobbiamo neanche sottovalutare le difficoltà create dalle barriere di lingua. La "memoria collettiva" della classe operaia è più forte quando prende una forma scritta e teorica. Mentre le minoranze politiche che sono sorte in Europa negli anni 1970 hanno avuto accesso, in testo originale o nella loro traduzione, agli scritti della sinistra della Seconda Internazionale (Lenin, Luxemburg), poi della sinistra della Terza Internazionale e della Sinistra comunista che ne è emersa (Bordiga, Pannekoek, Gorter, il gruppo della Sinistra italiana intorno a Bilan e la Sinistra comunista di Francia), in Corea, il lavoro di Pannekoek (I Consigli operai) e quello di Luxemburg (L'accumulazione del Capitale) cominciano appena ad essere pubblicati grazie agli sforzi congiunti del Seul Group for Workers'Councils (SGWC) e del SPA al quale il SGWC è associato strettamente9.
Più specifico alla situazione coreana, è stato l'effetto della spartizione del paese tra il Nord ed il Sud imposto dal conflitto imperialista tra i blocchi americano e russo, la presenza militare americana in Corea del Sud ed il sostegno che hanno portato gli Stati Uniti ai regimi militari successivi spariti nel 1988. La combinazione dell'inesperienza generale della classe operaia in Corea e dell'assenza al suo interno di una voce chiaramente internazionalista, alla quale bisogna aggiungere la confusione tra il movimento operaio e le opposizioni democratiche borghesi che abbiamo citato sopra, hanno condotto ad una contaminazione che ha pervaso la società globalmente di un nazionalismo coreano insidioso, spesso travestito in "anti-imperialismo" in cui sono solo gli Stati Uniti ed i loro alleati a sembrare forza imperialista. L'opposizione al regime militare, o addirittura al capitalismo, tende ad essere identificata con l'opposizione agli Stati Uniti.
Infine, una caratteristica importante dei dibattiti in seno al campo politico coreano è la questione dei sindacati. Per la generazione attuale di militanti l'esperienza dei sindacati risale in particolare, alle lotte degli anni 1980 e all'inizio degli anni 1990, nel corso delle quali i sindacati erano in gran parte clandestina, non ancora "burocratizzati" e certamente animati e diretti da militanti profondamente devoti, includendo compagni che, oggi, fanno parte della SPA e del SGWC. A causa delle condizioni di clandestinità e di repressione, i militanti implicati in questa epoca non vedevano chiaramente che il "programma" dei sindacati non solo non era rivoluzionario, ma non poteva difendere neanche gli interessi degli operai. Durante gli anni 1980, i sindacati erano legati strettamente all'opposizione democratica al regime militare la cui ambizione non era di rovesciare il capitalismo, ma proprio l'opposto: rovesciare il regime militare ed appropriarsi dell'apparato di capitalismo di Stato. In compenso, la "democratizzazione" della società coreana, dagli anni 1990, ha messo in evidenza l'integrazione dei sindacati nell'apparato di Stato, e ciò ha provocato uno smarrimento profondo tra i militanti sul modo di reagire a questa nuova situazione: come ha dichiarato un compagno, "i sindacati si sono trasformati al punto di diventare i migliori difensori dello Stato democratico". Ne risulta un'impressione generale di "delusione" rispetto ai sindacati e la ricerca di un altro metodo per l'attività militante in seno alla classe operaia. E' stato a più riprese che abbiamo potuto ascoltare, negli interventi durante la Conferenza e nelle discussioni informali, a che punto sia urgente per i compagni coreani avere accesso alla riflessione sulla natura dei sindacati nella decadenza del capitalismo, che ha costituito una parte tanto importante della riflessione nel movimento operaio europeo dalla rivoluzione russa e, in particolare, dall'insuccesso della rivoluzione in Germania.
Il nuovo millennio è dunque testimone dello sviluppo di uno sforzo reale da parte di numerosi militanti coreani per rimettere in questione le basi della loro attività passata che è stata, come abbiamo visto, fortemente influenzata dall'ideologia stalinista e da quella della democrazia borghese. Allo scopo di preservare una certa unità e fornire uno spazio di discussione per quelli che sono impegnati in questo processo, un certo numero di gruppi ed elementi hanno preso l'iniziativa di creare una "Rete di rivoluzionari marxisti", più o meno formale 10. E' inevitabile che la rottura con il passato sia estremamente difficile e che sia presente una grande eterogeneità tra i differenti gruppi della Rete. Le condizioni storiche che abbiamo descritto brevemente sopra implicano che la differenziazione tra i principi dell'internazionalismo proletario e la prospettiva borghese, essenzialmente nazionalista, che caratterizza lo stalinismo ed il trotskismo, è solo cominciata in questi ultimi anni, sulla base dell'esperienza pratica degli anni 1990 e, per larga parte, grazie agli sforzi della SPA per introdurre le idee e le posizioni della sinistra comunista in seno alla Rete.
In questo contesto, ci sono, a nostro avviso, due aspetti assolutamente fondamentali nell'introduzione che ha fatto la SPA della Conferenza:
- Innanzitutto, la dichiarazione esplicita secondo la quale è necessario per i rivoluzionari in Corea porre l'esperienza degli operai coreani nel contesto storico e teorico più largo della classe operaia internazionale: "Lo scopo della Conferenza internazionale è di aprire largamente l'orizzonte del riconoscimento della teoria e la pratica delle prospettive della rivoluzione mondiale. Speriamo che nel corso di questa importante Conferenza, i rivoluzionari marxisti cammineranno mano nella mano, nel senso della solidarietà, dell'unità e del compimento del compito storico di cristallizzazione della rivoluzione mondiale con il proletariato mondiale".
- Secondo, ciò non può essere realizzato che sulla base dei principi della Sinistra comunista: "La Conferenza internazionale dei marxisti rivoluzionari in Corea costituisce la riunione preziosa, il campo di discussione tra i comunisti di sinistra del mondo ed i rivoluzionari marxisti della Corea, e la prima manifestazione per esporre le posizioni politiche [cioè dei comunisti di sinistra] in seno al campo rivoluzionario".
I dibattiti e la Conferenza
Non c'è spazio in quest'articolo per fare un resoconto esauriente delle discussioni della Conferenza. Cercheremo piuttosto di sottolineare quelli che ci sono sembrati i punti più importanti che sono emersi, nella speranza di contribuire al proseguimento dei dibattiti cominciati durante la Conferenza, tra gli stessi compagni coreani e, in generale, in seno al movimento internazionalista del mondo intero.
Era il primo argomento sottoposto alla discussione. Prima di esaminare il dibattito, abbiamo il dovere di affermare che sosteniamo totalmente la preoccupazione che sottende il passo della SPA: cominciare la Conferenza dando una base teorica solida alle altre questioni in dibattito, la situazione della lotta di classe e la strategia dei rivoluzionari. Inoltre, salutiamo gli sforzi eroici dei compagni della SPA per presentare una breve sintesi dei differenti punti di vista presenti su questa questione in seno alla Sinistra comunista. Considerando la complessità della questione - che è stata oggetto di dibattito in seno al movimento operaio dall'inizio del ventesimo secolo e sulla quale si sono impegnati i suoi più grandi teorici - questa iniziativa è estremamente ardita.
Col senno di poi, si può tuttavia ritenere che eravamo stati troppo audaci! Mentre era particolarmente sorprendente vedere come il concetto della decadenza del capitalismo riceveva "istintivamente" un'accoglienza favorevole (se ci si può esprimere così), è apparso altrettanto chiaramente, dalle domande poste sia nella discussione formale che all'infuori di questa visto che alla maggior parte dei partecipanti mancavano le basi teoriche per affrontare in profondità la questione 11. Questa non vuole assolutamente essere una critica: numerosi testi di base non sono disponibili in Corea, il che è da solo un'espressione, come abbiamo detto sopra, dell'inesperienza obiettiva del movimento operaio coreano. Speriamo in ogni caso che le domande sollevate, ed anche i testi introduttivi presentati in particolare dalla SPA e dalla CCI, permetteranno ai compagni di cominciare a inserirsi nel dibattito ed anche, cosa altrettanto importante, di comprendere perché questa questione teorica non si pone all'infuori della realtà e delle preoccupazioni concrete della lotta, ma che è il fattore determinante fondamentale della situazione nella quale viviamo oggi12.
Vale la pena riprendere una questione di un giovane studente che ha espresso, in poche parole, la contraddizione flagrante tra l'apparenza e le realtà nel capitalismo di oggi: "Numerose persone sentono la decadenza, noi - studenti senza diploma - siamo sottomessi all'ideologia borghese, abbiamo la sensazione che esiste una società opulenta, come possiamo esprimere la decadenza con parole più concrete?" È vero che un aspetto dell'ideologia borghese (almeno nei paesi industrializzati) è la pretesa che viviamo in un mondo di "consumismo abbondante" - ed è vero che nelle vie di Seul, i negozi strapieni di prodotti elettronici sembrano dare una parvenza di realtà a questa ideologia. Tuttavia, è di un'evidenza sorprendente che la gioventù coreana incontra oggi gli stessi problemi dei giovani proletari dappertutto nel mondo: disoccupazione, contratti di lavoro precario, difficoltà generale a trovare del lavoro, prezzo elevato dell'alloggio. Fa parte dei compiti dei comunisti mostrare chiaramente alla classe operaia di oggi il legame tra la disoccupazione di massa di cui è vittima e la guerra permanente e generalizzata che è l'altro aspetto fondamentale della decadenza del capitalismo, come abbiamo provato a mettere in evidenza nella nostra breve risposta a questa domanda.
Certamente una delle questioni tra le più importanti in discussione, non solo alla Conferenza ma nel movimento in Corea in generale, è quella della lotta di classe e dei suoi metodi. Come abbiamo capito, attraverso gli interventi durante la Conferenza ed anche nelle discussioni informali, la questione sindacale pone un reale problema ai militanti che hanno preso parte alle lotte della fine degli anni 1980. In un certo modo, la situazione in Corea è analoga a quella della Polonia, in seguito alla creazione della sindacato Solidarnosc ed essa costituisce, fino ad oggi, un'altra dimostrazione della profonda verità dei principi della Sinistra comunista: nella decadenza del capitalismo, non è più possibile creare organizzazioni di massa permanenti della classe operaia. Anche i sindacati formati nel fuoco della lotta, come in Corea, non possono che diventare strumenti dello Stato, dei mezzi non per rafforzare la lotta operaia ma il controllo dello Stato su questa. Perché è così? La ragione fondamentale è che è impossibile per la classe operaia ottenere dal capitalismo, nel suo periodo di decadenza, riforme durature. I sindacati perdono la funzione che avevano all'origine e restano addetti alla preservazione del capitalismo. Hanno acquistato un punto di vista nazionale, ristretto inoltre spesso ad un solo settore di mestiere o di industria, e non un punto di vista internazionale comune a tutti i lavoratori: sono sottomessi inevitabilmente alla logica del capitalismo e delle sue richieste come "è questo che il paese può permettersi"?, o "che cosa è meglio per l'economia nazionale"? È in effetti un rimprovero che abbiamo sentito inviare ai sindacati in Corea - questi ultimi erano arrivati anche a spingere gli operai a limitare le loro rivendicazioni a quello che i padroni erano pronti a pagare, piuttosto che basarsi sui propri bisogni13.
Di fronte a questo inevitabile tradimento dei sindacati ed alla loro integrazione all'apparato dello Stato democratico, i compagni coreani hanno cercato una risposta nelle idee della Sinistra comunista. Perciò, la nozione di "consigli operai" ha sollevato tra loro un grande interesse. Il problema è che si tende a vedere i consigli operai non come l'organo del potere operaio in una situazione rivoluzionaria, ma come un nuovo tipo di sindacato, capace di esistere continuamente in seno al capitalismo. In effetti, quest'idea è stata teorizzata anche su un piano storico in una presentazione su "La strategia del movimento dei consigli nel periodo attuale in Corea del Sud, e come metterla in pratica", da parte del Militants Group for Revolutionary Workers' Party. Dobbiamo dire che questa presentazione ribalta completamente la storia quando proclama che i consigli operai creati nel 1919, durante la rivoluzione tedesca, si sono sviluppati a partire dai sindacati! 14. Secondo noi, non si tratta qui di una semplice inesattezza storica che potrebbe essere corretta da un dibattito universitario. Più profondamente il problema deriva dal fatto che è estremamente difficile accettare che all'infuori di un periodo rivoluzionario, è semplicemente impossibile agli operai essere in lotta in modo permanente. I militanti che sono presi in questa logica, indipendentemente dalla sincerità del loro desiderio di lavorare per la classe operaia, ed anche indipendentemente dalle stesse posizioni politiche proletarie che possono difendere in modo autentico, corrono il rischio di cadere nella trappola dell'immediatismo, di correre continuamente appresso ad un'attività "pratica" che non ha niente a che vedere con ciò che è concretamente possibile nella situazione storica esistente.
Secondo la visione proletaria del mondo, porre la domanda in questo modo rende la risposta impossibile. Come ha detto un delegato della CCI: "Se gli operai non sono in lotta, è allora impossibile metter loro una pistola sulla tempia e di dire 'Voi dovete combattere!'". Non è neanche possibile per i rivoluzionari lottare "in nome della classe operaia". I rivoluzionari non possono provocare la lotta di classe: non è un principio, è un semplice fatto storico. Ciò che possono fare, è contribuire allo sviluppo della presa di coscienza della classe operaia della sua identità di classe, del suo posto nella società in quanto classe che ha i propri interessi e soprattutto obiettivi rivoluzionari che vanno al di là della lotta immediata, al di là della situazione immediata degli operai nelle fabbriche, negli uffici o nelle file di attesa per il sussidio disoccupazione. È una delle chiavi per comprendere dei sollevamenti in apparenza "spontanei", come quello del 1905 in Russia: malgrado il fatto che i rivoluzionari di quell'epoca non abbiano giocato un grande ruolo nell'esplosione improvvisa della lotta, il campo era stato preparato da anni dall'intervento sistematico della Socialdemocrazia (i rivoluzionari dell'epoca) che ha giocato un ruolo decisivo sviluppando la coscienza dell'identità di classe degli operai15. In poche parole, all'infuori dei periodi di lotte operaie aperte, uno dei compiti essenziali dei rivoluzionari è fare la propaganda per lo sviluppo delle idee che rafforzeranno la lotta a venire.
C'è un'altra questione, sollevata nella presentazione fatta da Loren Goldner e dal delegato di Perspective Internationaliste che non deve restare senza risposta: l'idea che la "ricomposizione" della classe operaia - in altri termini, da un lato, la tendenza verso la scomparsa delle gigantesche fabbriche caratteristiche della fine del 19° e del 20° secolo in unità di produzione geograficamente disperse e, dall' altro, lo sviluppo crescente delle condizioni di lavoro precario per gli operai, specialmente per i giovani lavoratori (contratti a breve termine, disoccupazione, lavoro a tempo parziale, ecc.) - ha condotto alla scoperta di "nuovi metodi di lotta" che vanno "al di là del posto di lavoro". Gli esempi più notevoli di questi "nuovi metodi di lotta" sono i "picchetti volanti", che si pretende siano stati inventati nel 2001 dal movimento dei piqueteros in Argentina e dagli insorti delle periferie francesi nel 2005. Non ci proponiamo in questo articolo di rispondere all'entusiasmo dei compagni per le sommosse francesi e per il movimento dei piqueteros che, a nostro avviso, è profondamente erroneo16. Tuttavia, pensiamo veramente che sia necessario controbattere un errore politico più generale che è espresso in queste posizioni e secondo cui la coscienza rivoluzionaria degli operai dipende dalla loro esperienza immediata, giorno per giorno, sul loro posto di lavoro.
In realtà, non solo le condizioni di lavoro precario ed i "picchetti volanti" non sono una novità storica17, ma le pretese "nuove forme di lotte" che sono offerte in generale alla nostra ammirazione non sono niente altro che l'espressione dell'impotenza degli operai in una situazione data: le sommosse dei ragazzini delle periferie francesi nel 2005 ne sono un esempio classico. La realtà è che, nel periodo di decadenza del capitalismo, ogni volta che la lotta operaia acquista una certa indipendenza, tende ad organizzarsi non nei sindacati ma nelle assemblee di massa con elezione di delegati; in altri termini, in una forma organizzata che, al tempo stesso, viene dai soviet e li prefigura. Il più sorprendente esempio storico recente è probabilmente quello delle lotte in Polonia nel 1980; un'altra esperienza, sempre negli anni 1980, è stata quella dei COBAS (comitati di base), formati durante le lotte massicce degli insegnanti in Italia nel 1987, non un settore industriale "tradizionale". Più vicino a noi nel tempo, possiamo segnalare gli scioperi a Vigo (Spagna) nel 2006 18. Qui, gli operai delle costruzioni meccaniche che hanno cominciato lo sciopero, lavoravano coi contratti precari nei piccoli laboratori industriali. Poiché non c'era una sola grande fabbrica sulla quale la lotta poteva accentrarsi, hanno tenuto delle assemblee massicce, non sui posti di lavoro, ma nelle piazze cittadine. Queste assemblee massicce si riferivano ad una forma di organizzazione che era stata utilizzata già nel 1972, in questa stessa città.
Dunque la domanda è questa: perché, alla fine del diciannovesimo secolo, lo sviluppo di una forza di lavoro massiccio e precario ha condotto alla formazione dei primi sindacati di massa di operai non specializzati, mentre nel ventunesimo secolo ciò non accade più?
Perché gli operai della Russia, nel 1905, hanno inventato i consigli operai - i soviet - che Lenin ha chiamato "La forma infine trovata della dittatura del proletariato?" Perché sono diventate le assemblee massicce la forma di organizzazione operaia tipica per la lotta, ogni volta che gli operai riescono a sviluppare la loro autonomia e la loro forza?
A nostro parere, come avevamo detto all'epoca della Conferenza, la risposta si trova non nei paragoni sociologici, ma in una comprensione politica molto più profonda del cambiamento del periodo storico che ha avuto luogo all'inizio del ventesimo secolo, cambiamento che è stato descritto dalla Terza Internazionale come l'apertura di una "epoca di guerre e di rivoluzioni".
Inoltre, la visione sociologica della classe operaia difesa da Pi e da Loren Goldner è sorprendente nel fatto che rivela una sottovalutazione totale delle capacità teoriche e politiche del proletariato: è quasi come se gli operai non fossero capaci di pensare al di là di ciò che può arrivare loro sul posto di lavoro, come se il loro cervello si spegnesse non appena lasciano il loro lavoro, come se non si sentissero coinvolti dall'avvenire dei loro figli (problemi di scuola, educazione, decomposizione della società) dalla solidarietà con quelli che sono vecchi o malati, con le generazioni future (problemi rispetto al declino dei servizi sanitari, dei regimi di pensioni), come se fossero incapaci di avere uno sguardo critico sui problemi dell'ambiente naturale o sulla barbarie senza fini della guerra e di fare il legame tra ciò che sentono su quello che accade nel mondo e la loro esperienza diretta rispetto allo sfruttamento capitalista sul posto di lavoro.
Questa comprensione politica e storica ampia del mondo non è necessaria solo per la lotta immediata. Se il proletariato mondiale riesce a rovesciare il capitalismo, dovrà costruire al suo posto una società interamente nuova, una società che non è mai esistita nella storia dell'umanità. Per compiere un tale compito, deve potere sviluppare la comprensione più profonda della storia dell'umanità, deve potere rivendicarsi come l'erede delle più grandi realizzazioni dell'umanità in materia di arte, di scienza e di filosofia. È proprio per questo motivo che esistono le organizzazioni politiche della classe operaia: sono un mezzo attraverso cui gli operai accedono ad un pensiero più generale sulla loro condizione e sulle prospettive che sono loro aperte20.
Abbiamo già pubblicato sul nostro sito Web e nella nostra stampa il testo della Dichiarazione, e non ripeteremo qui il suo contenuto20. Il dibattito intorno a questa Dichiarazione si è incentrato sulla proposta, avanzata da un membro dell'Ulsan Labour Education Committee, di attribuire la responsabilità maggiore delle tensioni crescenti nella regione alla presenza americana e, di conseguenza, presentare la Corea del Nord come una "vittima" della politica americana di "isolamento". Pensiamo che questa proposta, così come il sostegno che essa ha ricevuto da parte di alcuni membri della Conferenza più influenzati dal trotskismo, sono significative della difficoltà che incontrano numerosi compagni coreani per rompere con l'ideologia "anti-imperialista" degli anni 1980, e cioè essenzialmente anti-americana, e di un attaccamento persistente alla difesa della Corea del Nord e dunque al nazionalismo coreano, malgrado il loro rigetto senza dubbio sincero dello stalinismo.
La CCI e parecchi membri della SPA hanno argomentato vigorosamente contro il fatto di volere alterare ciò che costituiva la forza principale della Dichiarazione. Come abbiamo sottolineato nel dibattito su questa Dichiarazione, sia a Seul che ad Ulsan, l'idea che, in un conflitto imperialista, un paese è più da "condannare" rispetto ad un altro è esattamente quella stessa che ha permesso ai traditori della Socialdemocrazia di chiamare gli operai a sostenere "la loro" nazione nel 1914: gli operai tedeschi contro la "barbarie zarista", gli operai francesi contro il "militarismo prussiano", gli operai britannici in sostegno al "piccolo coraggioso Belgio" e così via. Per noi, il periodo di decadenza del capitalismo ha dimostrato tutta la profondità della comprensione di Rosa Luxemburg secondo cui l'imperialismo non è l'errore di questo o quel paese, ma che è una caratteristica fondamentale del capitalismo in sé: in questo periodo, tutti gli Stati sono imperialisti. La sola differenza tra il gigante americano ed il nano nord coreano sta nella dimensione dei loro appetiti imperialisti e nella loro capacità a soddisfarli.
Due altre obiezioni che, a nostro avviso, valgono la pena di essere menzionate, sono apparse durante la discussione. La prima è stata la proposta di un compagno del gruppo Solidarity for Workers' Liberation di includere un punto che denuncia il fatto che il governo della Corea del Sud ha preso pretesto della situazione di tensione per rafforzare le misure di repressione. Questo suggerimento pienamente giustificato è stato formulato durante la discussione a Seul, e la versione finale dibattuta ad Ulsan il giorno successivo (e dopo pubblicata) è stata di conseguenza modificata.
Nella seconda obiezione, un compagno del gruppo Sahoejueo Nodongja21 ha affermato che la situazione presente non era così grave e denunciandola adesso, accrediterebbe l'idea di una guerra spaventosa orchestrata dalla borghesia per perseguire i suoi obiettivi. A nostro parere, quest'obiezione non è irragionevole, ma è tuttavia erronea. Che sia imminente o non, questa minaccia di guerra in Estremo Oriente aleggia proprio su questa regione e non c'è alcun dubbio che le tensioni tra i principali attori sulla scena imperialista (Cina, Taiwan, Giappone, Stati Uniti, Russia) si stanno aggravando. Riteniamo che, in questa situazione, è di grande importanza che gli internazionalisti riescano a denunciare la responsabilità di tutti i campi imperialisti: agendo così, seguiamo le orme di Lenin, di Luxemburg e della Sinistra della Seconda Internazionale che si batterono affinché la risoluzione internazionalista fosse votata al Congresso di Stoccarda nel 1907. È una responsabilità primordiale delle organizzazioni rivoluzionarie prendere posizione, in seno al proletariato, sugli avvenimenti cruciali dei conflitti imperialisti o della lotta di classe22.
Per concludere su questo punto, vogliamo salutare il sostegno internazionalista fraterno portato alla Dichiarazione dalla delegazione di Pi e da altri compagni presenti alla Conferenza in forma individuale.
Alla riunione finale, prima della partenza della nostra delegazione, la CCI e la SPA si sono trovate totalmente d'accordo sulla valutazione generale della Conferenza. I punti più significativi sono stati i successivi:
1. Il fatto che questa Conferenza abbia potuto avere luogo costituisce in sé un avvenimento di importanza storica, poiché per la prima volta, le posizioni della Sinistra comunista sono difese e cominciano ad attecchire in un paese altamente industrializzato dell'Estremo Oriente.
2. La SPA ha considerato che le discussioni che hanno avuto luogo durante la Conferenza sono state di un'importanza particolare poiché hanno messo in evidenza in modo concreto la differenza fondamentale tra la Sinistra comunista ed il Trotskismo. Agendo così, la Conferenza ha rafforzato la determinazione della SPA di sviluppare la sua comprensione dei principi della Sinistra comunista e di renderli più largamente disponibili per il movimento operaio coreano.
3. La Dichiarazione sulle prove nucleari della Corea del Nord è stata l'espressione delle posizioni internazionaliste della Sinistra comunista, in particolare della SPA e della CCI. Il dibattito sulla Dichiarazione ha rivelato il problema delle tendenze nazionaliste che rimangono nel movimento operaio coreano. Nella "Rete", ci sono delle divergenze su questa questione che rimangono non risolte e la SPA è determinata ad operare per, alla fine, superarle.
4. Una delle più importanti questioni per i dibattiti futuri è quella dei sindacati. Sarà necessario per i compagni in Corea analizzare la loro storia, particolarmente dagli anni 1980, alla luce dell'esperienza storica del proletariato mondiale come la si trova concentrata nelle posizioni difese dalla Sinistra comunista.
Allo stesso tempo, pur tenendo conto dell'importanza che riveste questa Conferenza, siamo molto coscienti che questa non rappresenta che un primo passo nello sviluppo della presenza dei principi della Sinistra comunista in Estremo Oriente e di un lavoro comune tra i rivoluzionari dell'est e dell'ovest. Detto ciò, consideriamo che la stessa tenuta della Conferenza, così come i dibattiti che si sono avuti, hanno confermato due punti su cui la CCI ha sempre insistito e che saranno fondamentali per la costruzione del futuro partito comunista mondiale della classe operaia.
Il primo è il fondamento politico su cui una tale organizzazione sarà costruita. Su tutte le questioni fondamentali (la questione sindacale, la questione parlamentare, la questione del nazionalismo e delle lotte di liberazione nazionale) lo sviluppo di un movimento internazionalista nuovo non può avverarsi che a partire dalle basi stabilite dai piccoli gruppi della Sinistra comunista tra gli anni 1920 e 50 (in particolare da Bilan, il KAPD, il GIK, la GCF) da cui la CCI trae la sua filiazione23.
Per il secondo, la conferenza in Corea e l'appello esplicito della SPA a "realizzare la solidarietà del proletariato mondiale" costituiscono già una nuova conferma che il movimento internazionalista non si sviluppa sulle basi di una federazione di partiti nazionali esistenti, ma direttamente ad un livello internazionale 24. Ciò rappresenta un avanzamento storico rispetto alla situazione nella quale si è creata la Terza Internazionale, in piena rivoluzione e sulla base delle frazioni di sinistra che erano uscite dai partiti nazionali della Seconda Internazionale. Ciò è anche il riflesso della natura della classe operaia oggi: una classe che, più che mai nella storia, è unita in un processo di produzione mondiale ed in una società capitalista globale le cui contraddizioni non possono essere superate che dal suo capovolgimento a scala mondiale, per essere sostituita da una comunità umana mondiale.
John Donne / Heinrich Schiller
1. Dovremmo menzionare anche l'invenzione, nel quindicesimo secolo, dell'alfabeto hangeul (han-gûl), forse il primo tentativo di trascrizione di una lingua sulla base di uno studio scientifico della sua fonologia.
2. Questo include la prostituzione imposta alle migliaia di donne coreane nei bordelli dall'esercito giapponese e la distruzione della vecchia economia agraria, nella misura in cui la produzione coreana era sempre più dipendente dalle esigenze del Giappone.
3. "Gli Stati Uniti sono interessati alla creazione di barriere militari tra le regioni non comuniste e le regioni comuniste. Affinché questa barriera sia efficace, le regioni divise devono essere stabili (…). Gli Stati Uniti devono determinare le cause particolari dell'instabilità e devono contribuire, in modo intelligente ed audace, alla loro soppressione. La nostra esperienza in Cina ha mostrato che è inutile temporeggiare con le cause dell'instabilità, che una politica che cerca una stabilità temporanea è condannata all'insuccesso quando il desiderio generale è di un cambiamento permanente". Melvin Conant Jnr, "JCCR: an object lesson", in Far Eastern Survey, 2 Maggio 1951.
4. "I dragoni asiatici si sgonfiano", Révue Internationale n. 89 (1997).
5. "La prima e la più importante fonte di finanziamento è stata l'acquisizione dai "chaebols" dei beni assegnati, a prezzi nettamente sottovalutati. All'indomani della guerra essi rappresentavano il 30% del patrimonio sud-coreano anticamente detenuto dai giapponesi. Inizialmente posti sotto la tutela dell'Ufficio americano dei beni assegnati, sono stati distribuiti dallo stesso Ufficio ed in seguito dal governo". Ibid., Révue Internationale n. 89.
6. Non ci proponiamo, in quest'articolo, di trattare la situazione della classe operaia in Corea del Nord che ha dovuto soffrire tutti gli orrori di un regime stalinista ultra militarista.
7. Andrew Nahm, A history of the Korean people.
8. I casi delle Filippine e del Brasile sono esempi che vengono immediatamente in testa.
9. Alcuni compagni del SGWC hanno preso parte alla Conferenza in modo individuale.
10. Oltre alla SPA, i seguenti gruppi coreani appartenenti alla "Rete" hanno fatto delle presentazioni alla Conferenza: Solidarity for Workers' Liberation, Ulsan Labour Education Committee, Militants group for Revolutionary Workers' Party. Una presentazione sulla lotta di classe è stata anche fatta, a titolo individuale, da Loren Goldner.
11. Ciò è stato particolarmente vero per la discussione sulla decadenza che si è tenuta a Seul: questa parte della Conferenza era aperta al pubblico ed includeva la presenza di un certo numero di giovani studenti che avevano poca o addirittura nessuna esperienza politica.
12. In questo articolo non ci proponiamo di esaminare la posizione del gruppo Perspective Internationaliste sul "dominio formale e reale del capitale". Abbiamo già abbastanza a lungo trattato quest'argomento nella Révue Internationale n. 60, pubblicata nel 1990, un'epoca in cui Pi continuava ancora a chiamarsi la "Frazione Esterna della CCI". È tuttavia interessante menzionare che i primi sforzi di Pi per dimostrare nella pratica la superiorità della sua "nuova" comprensione teorica hanno convinto poco, poiché Pi continuava ad affermare, due anni dopo la caduta del Muro di Berlino, che gli avvenimenti dell'Europa dell'Est rappresentavano un vero rafforzamento della Russia!
13. Questo resoconto resta inevitabilmente molto schematico e suscettibile di essere corretto e precisato. Ci può dispiacere solamente che la presentazione del compagno di ULEC, Ulsan Labour Education Committee, sulla storia del movimento operaio coreano sia stata troppo lunga per essere tradotta in inglese e sia dunque inaccessibile. Speriamo che sia possibile ai compagni preparare e tradurre una versione più breve del loro testo riassumendo i punti principali.
14. In effetti, i sindacati sono stati, durante la rivoluzione tedesca, i peggiori nemici dei soviet. Per un resoconto della rivoluzione tedesca, vedere gli articoli pubblicati nella Révue Internationale nn. da 80 a 82.
15. Vedere la nostra serie sulla rivoluzione del 1905 pubblicata nei nn. 120, 122, 123, 125 della Révue Internationale.
16. Per maggiori dettagli su questi argomenti, vedere, per es., "Sommosse nelle periferie francesi: di fronte alla disperazione, solo la classe operaia è portatrice di avvenire", https://fr.internationalism.org/icconline/2005_ [6] banlieues_emeutes.htm, e "Argentina:la mistificazione dei piqueteros" pubblicati nella Révue Internationale n. 119.
Dobbiamo anche dire che il sostenere l'idea della "scomparsa" dell'industria a mano d'opera massiccia è apparsa come qualche cosa di surrealista nella città di Ulsan dove la fabbrica Hyundai impiega lei sola 20.000 operai!
17. Se prendiamo per esempio l'idea che il "lavoro precario" ha determinato l'invenzione dei "picchetti volanti" come "nuova forma di lotta", possiamo vedere che essa è semplicemente priva di fondamento storico. Il picchetto volante, ovvero una delegazione di operai in lotta che va in altri posti di lavoro per coinvolgere gli altri operai nel movimento, è qualche cosa che esiste da molto: basta considerare l'esempio della Gran Bretagna, dove il picchetto volante è stato ben utilizzato in due lotte importanti degli anni 1970: gli scioperi dei minatori nel 1972 e nel 1974, quando i minatori hanno mandato dei picchetti alle centrali elettriche, o lo sciopero degli operai edili nel 1972 in occasione del quale mandarono dei picchetti per estendere lo sciopero su differenti cantieri. La stessa esistenza di una forza di lavoro "precario" non ha niente di nuovo. È precisamente l'apparizione di una forza lavoro non qualificata e precaria (specialmente nei docks) che ha portato alla formazione della "General Labourers' Union" da parte del sindacalista rivoluzionario Tom Mann, nel 1889 (anche Engels ed Eleonor, la figlia di Marx, sono stati implicati nello sviluppo di questo sindacato).
18. Vedere l'articolo pubblicato in Révolution Internationale, "Grève de la métallurgie à Vigo en Espagne : Une avancée dans la lutte prolétarienne [7]".
19. I comunisti "non stabiliscono dei principi particolari con cui dovrebbero plasmare il movimento operaio. I comunisti si distinguono dagli altri partiti operai solo su due punti: 1. Nelle differenti lotte nazionali dei proletari, sostengono e fanno valere gli interessi indipendenti dalla nazionalità e comuni a tutto il proletariato. 2. Nelle differenti fasi che caratterizzano la lotta tra proletari e borghesi, rappresentano sempre gli interessi del movimento nella sua totalità. Praticamente, i comunisti sono dunque la frazione più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, la frazione che stimola tutti gli altri; teoricamente, hanno sul resto del proletariato il vantaggio di un'intelligenza chiara delle condizioni, del percorso e dei fini generali del movimento proletario". Il Manifesto comunista.
20. La Dichiarazione può essere trovata sul nostro sito Internet
21. "Operaio socialista". Malgrado il suo nome, questo gruppo non ha niente a che vedere col Socialist Workers' Party della Gran Bretagna. Presentiamo in anticipo le nostre scuse al compagno se abbiamo sbagliato sulla sua linea di pensiero. La barriera della lingua ci ha probabilmente portato ad un errore di interpretazione.
22. Il fatto che, in questa Conferenza, gli internazionalisti non siano rimasti senza voce di fronte alla minaccia di guerra costituisce, a nostro avviso, un vero passo avanti, se lo si paragona alle Conferenze della Sinistra comunista della fine degli anni 1970 dove i partecipanti - e particolarmente Battaglia Comunista e la CWO - hanno rifiutato ogni dichiarazione comune sull'invasione dell'Afghanistan da parte dell'URSS.
23. Secondo Pi, dobbiamo andare "al di là della Sinistra comunista". Nessuno dei gruppi che abbiamo citato avrebbe preteso avere l'ultima parola su queste questioni: la storia va avanti e giungiamo ad una migliore comprensione dell'esperienza storica. Ma è impossibile costruire una casa senza avere posto prima di tutto le fondamenta e, a nostro avviso, le sole fondazioni su cui è possibile costruire sono quelle poste dai nostri predecessori della Sinistra comunista. La logica della posizione di Pi è gettare via la storia da dove proveniamo - e dichiarare che "la storia comincia con noi". Per quanto detestabile questa idea possa sembrare a Pi, essa non è niente altro che una variante della posizione bordighista secondo la quale "il Partito" (o, per il BIPR, il "Bureau ") è l'unica fonte di saggezza e non ha niente da apprendere da alcun altro.
24. Quest'aspetto dello sviluppo della futura organizzazione internazionale è stato materia di polemica tra la CCI ed il BIPR negli anni 1980, con il BIPR che sosteneva che un'organizzazione internazionale non può essere costruita che sulla base di organizzazioni politiche che preesistono nei differenti paesi. La pratica reale del movimento internazionalista di oggi invalida totalmente questa teoria del BIPR.
Perché presentare oggi un testo sull'etica? Da più di due anni, la CCI porta avanti un dibattito interno sulla questione della morale e dell'etica proletaria a partire da un testo di orientamento di cui pubblichiamo larghi brani.
Se abbiamo ritenuto necessario affrontare un tale dibattito teorico, è principalmente perché la nostra organizzazione si è dovuta confrontare al suo interno, all'epoca della sua crisi del 2001, con comportamenti particolarmente distruttori e totalmente estranei alla classe portatrice del comunismo. Questi comportamenti si sono manifestati attraverso metodi da teppisti utilizzati da alcuni elementi che intanto fondavano la pretesa "frazione interna" della CCI (FICCI)1: furto, ricatto, menzogne, campagne di calunnie, delazione, molestia morale e minacce di morte contro i nostri compagni. È dunque a partire da un problema concreto di un'estrema gravità e che costituisce una minaccia per il campo politico proletario, che abbiamo preso coscienza della necessità di armare l'organizzazione di fronte ad una questione che ha sempre preoccupato ed attraversato il movimento operaio dalle sue origini, quella della morale proletaria. Abbiamo sempre affermato, in particolare nei nostri Statuti, che la questione del comportamento dei militanti è a pieno titolo una questione politica. Ma la CCI non era stata fin'ora ancora in grado di condurre una riflessione più approfondita su questa questione ricollegandola a quella della morale e dell'etica del proletariato. Per comprendere le origini, gli scopi e le caratteristiche dell'etica della classe operaia, la CCI ha dovuto volgere la sua attenzione sull'evoluzione della morale nella storia dell'umanità riappropriandosi delle esperienze teoriche del marxismo che si sono basate sui progressi della civiltà umana, in particolare nel campo della scienza e della filosofia. Questo testo d’orientamento non si è dato come obiettivo la costituzione di un'elaborazione teorica compiuta, ma tracciare alcune linee di riflessione per permettere all'insieme dell’organizzazione di approfondire un certo numero di questioni fondamentali, come l’origine e la natura della morale nella storia dell’umanità, la differenza tra morale borghese e morale proletaria, la degenerazione dei costumi e dell’etica nel periodo di decomposizione del capitalismo, ecc.). Dal momento che questo dibattito interno non è ancora compiuto, pubblichiamo solo i brani del testo d’orientamento che ci sono sembrati più accessibili al lettore non esperto. Per il fatto che si tratta di un testo interno le cui idee sono estremamente condensate e fanno talvolta ricorso a concetti teorici abbastanza complessi, siamo coscienti che certi passaggi potranno sembrare difficili al lettore. Tuttavia, essendo arrivati a maturità certi aspetti del nostro dibattito, abbiamo giudicato utile riportare i brani di questo testo d’orientamento all’esterno affinché la riflessione iniziata dalla CCI possa avviarsi e proseguire nell’insieme della classe operaia e del campo politico proletario.
Fin dall'origine, la questione del comportamento politico dei militanti, e dunque della morale proletaria, ha avuto un ruolo centrale nella vita della CCI. La concretizzazione vivente della nostra visione su questa questione si trova nei nostri statuti, adottati nel 1982.2
Abbiamo sempre insistito sul fatto che gli statuti della CCI non sono un elenco di regole che definiscono ciò che è permesso e ciò che non lo è, ma un orientamento per il nostro atteggiamento e la nostra condotta, includendo un insieme coerente di valori morali (in particolare per ciò che riguarda i rapporti tra gli stessi militanti e tra questi e l'organizzazione). E' per tale motivo che esigiamo da tutti quelli che vogliono diventare membri della nostra organizzazione un accordo profondo su questi valori. I nostri statuti sono una parte integrante della nostra piattaforma, e non servono solamente a stabilire chi può diventare membro della CCI ed in quali condizioni. Essi condizionano il quadro e lo spirito della vita militante dell'organizzazione e di ciascuno dei suoi membri. Il significato che la CCI ha sempre dato a questi principi di comportamento è dimostrato dal fatto che essa si è sempre impegnata a difenderli, anche a rischio di subire delle crisi organizzative. Per tale motivo, la CCI si è ritrovata in modo cosciente ed incrollabile nella tradizione di lotta di Marx ed Engels in seno alla Prima Internazionale, dei Bolscevichi e della Frazione italiana della Sinistra comunista. È perciò che è stata capace di superare tutta una serie di crisi e mantenere i principi fondamentali di un comportamento di classe.
Tuttavia, è in modo più implicito che esplicito che la CCI ha difeso il concetto di una morale e di un'etica proletaria; essa lo ha messo in pratica in modo empirico piuttosto che generalizzato da un punto di vista teorico. Di fronte alle grandi reticenze della nuova generazione di rivoluzionari sorta alla fine degli anni ‘60 verso ogni concetto di morale, considerato come necessariamente reazionario, l'atteggiamento sviluppato dall'organizzazione è consistito nell'accordare più importanza a che fossero accettati gli atteggiamenti ed i comportamenti della classe operaia piuttosto che a condurre questo dibattito in modo generale in un momento in cui quest'ultimo non era ancora maturo.
Le questioni di morale proletaria non sono il solo campo in cui la CCI ha proceduto in tale maniera. Nei primi anni della sua esistenza, esistevano delle riserve similari riguardanti la necessità della centralizzazione, il carattere indispensabile dell'intervento dei rivoluzionari ed il ruolo dirigente dell'organizzazione nello sviluppo della coscienza di classe, la necessità di combattere il democraticismo o il riconoscimento dell'attualità della lotta contro l'opportunismo ed il centrismo.
I grandi dibattiti che abbiamo condotto, come le crisi che abbiamo attraversato, hanno rivelato che l'organizzazione è sempre stata non solo capace di alzare il suo livello teorico ma anche di chiarire quelle questioni rimaste confuse all’inizio. Per tale motivo, sulle questioni organizzative, la CCI ha sempre saputo cogliere la sfida approfondendo ed allargando la sua comprensione teorica sui problemi posti.
La CCI ha già analizzato le sue crisi recenti così come il pericolo latente della perdita delle acquisizioni del movimento operaio, come manifestazioni dell'entrata del capitalismo in una fase nuova e terminale, quella della sua decomposizione. In questo senso, il chiarimento di una questione tanto cruciale qual'è la morale proletaria è una necessità di questo nuovo periodo storico e riguarda l'insieme della classe operaia. "La morale è il risultato dello sviluppo storico, è il prodotto dell'evoluzione. Trova le sue origini negli istinti sociali della specie umana, nella necessità materiale della vita sociale. Dato che gli ideali della socialdemocrazia sono diretti interamente verso un ordine superiore della vita sociale, essi devono necessariamente essere ideali morali".3Il problema della decomposizione e la perdita di fiducia nel proletariato e nell'umanità
Per l'incapacità delle due principali classi della società - borghesia e proletariato - ad imporre la rispettiva risposta alla crisi dell'economia capitalista, il capitalismo è entrato nella sua fase terminale di decomposizione, caratterizzata non solo dal degrado graduale dei valori sociali ma della stessa società.
Oggi, di fronte al "ciascuno per sé", alla tendenza al disfacimento del tessuto sociale e al degrado di tutti valori morali, sarà impossibile per le organizzazioni rivoluzionarie - e più in generale per la nuova generazione di militanti che sta sorgendo - rovesciare il capitalismo senza chiarire le questioni di morale e di etica. Non solo lo sviluppo cosciente delle lotte operaie ma anche una lotta teorica specifica su queste questioni, verso una riappropriazione del lavoro del movimento marxista, è diventata una questione di vita o di morte per la società umana. Questa lotta non solo è indispensabile per la resistenza proletaria alla decomposizione delle manifestazioni del capitalismo ed all'amoralismo ambientale, ma serve anche a riconquistare la fiducia del proletariato nel futuro dell'umanità attraverso il suo progetto storico.
La forma particolare che ha preso la controrivoluzione in URSS - quella dello stalinismo, che viene presentata come il compimento e non come il becchino della rivoluzione di ottobre 1917 - ha già disorientato la fiducia nel proletariato nella sua alternativa comunista. Malgrado la fine del periodo di controrivoluzione nel 1968, il crollo dei regimi stalinisti nel 1989, che ha segnato l'entrata del capitalismo nella sua fase storica di decomposizione, ha ancora una volta colpito la fiducia in sé del proletariato come soggetto della liberazione dell'insieme dell'umanità.
L'indebolimento della fiducia in sé della classe operaia, della sua identità di classe e della sua prospettiva rivoluzionaria, risultante dalle campagna della borghesia sul preteso "fallimento del comunismo", ha modificato le condizioni in cui si pone oggi la questione dell'etica. In effetti, i colpi subiti dalla classe operaia (ed in particolare il riflusso della sua coscienza) hanno danneggiato la sua fiducia, non solo in una prospettiva comunista ma nella società nel suo insieme.
Per gli operai coscienti, nel corso del periodo ascendente del capitalismo, e più ancora durante la prima ondata rivoluzionaria del 1917-23, l'affermazione secondo cui i problemi della società contemporanea si spiegherebbero attraverso il carattere fondamentalmente "cattivo" dell'essere umano suscitava solamente disdegno e disprezzo. All'inverso, l'ideologia secondo la quale, fondamentalmente, la società sarebbe incapace di migliorare e di sviluppare forme superiori di solidarietà umana, è diventata oggi un dato della situazione storica. Oggigiorno, i dubbi, profondamente radicati, sulle qualità morali della nostra specie colpiscono non solo le classi dominanti o intermedie, ma minacciano lo stesso proletariato, ivi compreso le sue minoranze rivoluzionarie. Questa mancanza di fiducia nella possibilità di una visione più collettiva e responsabile in vista della costruzione di una vera comunità umana non è unicamente il risultato della propaganda della classe dominante. E' la stessa evoluzione storica ad aver condotto a questa crisi di fiducia generalizzata nell'avvenire dell'umanità.
Viviamo un periodo segnato da:
- un pessimismo estremo nei riguardi della "natura umana";
- uno scetticismo (ed anche un cinismo) sulla necessità o anche della possibilità di valori morali;
- la sottovalutazione o anche il diniego dell'importanza delle questioni etiche.
L'opinione popolare vede confermarsi il giudizio del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679) secondo cui l'uomo sarebbe, per natura, un lupo per l'uomo. Secondo questa visione, l'uomo sarebbe un essere fondamentalmente distruttore, predatore, egoista, irrimediabilmente irrazionale ed il suo comportamento sociale sarebbe inferiore a quello della maggiore parte delle specie animali. Per l'ecologismo piccolo-borghese, ad esempio, lo sviluppo culturale è considerato come un "errore" o un "vicolo cieco". La stessa umanità è vista come un'escrescenza cancerosa della storia nei confronti della quale la natura va a - e deve anche - riprendersi i suoi "diritti".
Evidentemente, non è stata la sola decomposizione del capitalismo a fare nascere tali visioni, ma essa le ha considerevolmente accentuate e rafforzate.
Nei secoli precedenti, la generalizzazione della produzione di merci sotto il dominio del capitalismo ha sciolto progressivamente i legami di solidarietà che erano alla base della società umana, al punto che le loro stesse reminiscenze rischiano di sparire per sempre della memoria collettiva.
La fase di declino delle formazioni sociali, dal comunismo primitivo in poi, è sempre stata caratterizzata dalla dissoluzione dei valori morali stabiliti dalla società e, finché un'alternativa storica non ha cominciato ad affermarsi, da una perdita di fiducia nel futuro.
Ma la barbarie e l'inumanità della decadenza capitalista sono senza precedenti nella storia della specie umana. Per la verità non è facile dopo i massacri di Auschwitz ed Hiroshima, e di fronte ai genocidi, alla distruzione permanente e generalizzata, mantenere la propria fiducia nella possibilità di un progresso morale.
Il capitalismo ha rotto anche l'equilibrio rudimentale che esisteva fino ad ora tra l'uomo ed il resto della natura, demolendo così a lungo termine la base della società umana.
A queste caratteristiche dell'evoluzione storica del capitalismo, dobbiamo aggiungere l'accumulazione degli effetti di un fenomeno più generale dell'ascesa dell'umanità nel contesto delle società di classe: il fatto che l'evoluzione morale e sociale è in ritardo sull'evoluzione tecnologica.
"La scienza naturale è considerata giustamente come il campo in cui il pensiero umano, attraverso una serie continua di trionfi, ha sviluppato potentemente la sua forma di concezione logica... Al contrario all'altro estremo si trova il vasto campo delle azioni e dei rapporti umani in cui l'utilizzazione di attrezzi non gioca un ruolo immediato, e che agisce in una distanza lontana, in quanto fenomeno profondamente sconosciuto ed invisibile. Là, il pensiero e l'azione sono più determinati dalla passione e gli impulsi, dall'arbitrarietà e l'improvvisazione, attraverso la tradizione e le credenze; là, nessuna logica metodologica conduce alla certezza della conoscenza (...) Il contrasto che appare qui, tra la perfezione e l'imperfezione, significa che l'uomo controlla le forze della natura o ci si avvicina va sempre più, ma che egli non controlla ancora le forze di volontà e di passione che sono in lui. Là dove ha fermato il suo avanzare, forse anche regredito, è a livello della evidente mancanza di controllo sulla propria "natura" (Tilney). È chiaro che questa è la ragione per la quale la società è ancora tanto indietro rispetto alla scienza. Potenzialmente, l'uomo ha la padronanza sulla natura. Ma non possiede ancora la padronanza sulla sua propria natura".4
Le cause delle riserve verso il concetto di morale proletaria dopo il 1968
Dopo il 1968, la dinamica delle lotte operaie ha costituito un contrappeso potente allo scetticismo crescente in seno alla società capitalista. Ma nello stesso tempo, la mancanza di assimilazione in profondità del marxismo ha condotto alla visione comune all'interno della nuova generazione di rivoluzionari secondo la quale non ci sarebbe posto per questioni morali o di etica nella teoria socialista. Questo atteggiamento era prima di tutto il prodotto della rottura della continuità organica provocata dalla controrivoluzione che ha fatto seguito all'ondata rivoluzionaria del 1917-23. Fino ad allora, i valori etici del movimento operaio facevano parte di una tradizione che era sempre stata trasmessa da una generazione all'altra. L'assimilazione di questi valori era dunque favorita dal fatto che essi facevano parte di una pratica vivente, collettiva ed organizzata. La controrivoluzione ha spazzato via, in grande misura, la conoscenza di quest'esperienze, proprio come ha spazzato via quasi completamente le minoranze rivoluzionarie che l'incarnavano.
Questa perversione dell'etica del proletariato ha, a sua volta, rafforzato l'impressione che la morale, per sua stessa natura, è un affare intrinsecamente reazionario delle classi dominanti e sfruttatrici. La storia mostra, evidentemente, che in tutte la società divise in classi la morale dominante è sempre stata quella della classe dominante. E ciò a tal punto che morale e Stato, come anche morale e religione, sono diventati quasi sinonimi nell'opinione popolare. I sentimenti morali della società nel suo insieme sono sempre stati utilizzati dagli sfruttatori, dallo Stato e dalla religione, per santificare e perpetuare lo status quo affinché le classi sfruttate si sottoponessero alla loro oppressione. Il "moralismo" grazie al quale le classi dominanti si sono sempre sforzate di rompere la resistenza delle classi lavoratrici attraverso l'instillazione di un senso di colpevolezza, è uno dei grandi flagelli dell'umanità. È anche una delle più sottili ed efficaci armi delle classi dominanti per assicurare il loro dominio sull'insieme della società.
Il marxismo ha sempre combattuto la morale delle classi dominanti proprio come ha combattuto il moralismo filisteo (gretto e retrivo) della piccola borghesia. Contro l'ipocrisia degli apologeti morali del capitalismo, il marxismo ha sempre sostenuto, in particolare, che la critica dell'economia politica deve basarsi su una conoscenza scientifica e non su un giudizio etico.
Tuttavia, la perversione della morale del proletariato da parte dello stalinismo non costituisce una ragione per abbandonare la concezione della morale proletaria (come il proletariato non deve rigettare il concetto di comunismo con il pretesto che è stato recuperato e pervertito dalla controrivoluzione in URSS). Il marxismo ha mostrato che la storia morale dell'umanità non è solamente lo storia della morale della classe dominante. Ha dimostrato che le classi sfruttate hanno i loro propri valori etici e che questi valori hanno sostenuto un ruolo rivoluzionario nel progresso dell'umanità. Ha dimostrato che la morale non è neanche identica alla funzione di sfruttamento, dello Stato o della religione e che il futuro - se ci sarà un futuro - appartiene ad una morale che supera lo sfruttamento, lo Stato e la religione.
"… gli uomini si abitueranno gradatamente a rispettare le regole elementari della vita in società conosciute da secoli, ripetute per millenni in tutte le prescrizioni morali, a rispettarle senza violenza, senza costrizioni, senza sottomissione, senza quest'apparto speciale di coercizione che si chiama Stato".5
Il marxismo ha rivelato che il proletariato è l'unica classe della storia che possa, liberandosi dell'alienazione, sviluppando la sua coscienza, la sua unità e la sua solidarietà, liberare la morale, e dunque l'umanità, dal flagello della "cattiva coscienza" basata sulla colpevolezza e la sete di vendetta e punizione.
Inoltre, eliminando il moralismo piccolo-borghese dalla critica dell'economia politica, il marxismo è stato capace di dimostrare scientificamente il ruolo dei fattori morali nella lotta di classe del proletariato. Ha scoperto così per esempio che la determinazione del valore della forza lavoro - contrariamente a tutte le altre merci - contiene una dimensione morale: il coraggio, la determinazione, la solidarietà e la dignità degli sfruttati.
Le resistenze al concetto di morale proletaria esprimono anche il peso dell'ideologia della piccola borghesia fortemente segnata dal democraticismo. Rivelano l'avversione della piccola borghesia verso i principi di comportamento che, come ogni principio, costituiscono altrettanti ostacoli alla sua "libertà individuale". L'infiltrazione in seno al movimento operaio contemporaneo di quest'ideologia di una classe senza avvenire storico è una debolezza che ha rafforzato l'immaturità della generazione generata dal movimento del maggio 68.
La natura della morale
La morale è una guida indispensabile di comportamento nel mondo culturale dell'umanità. Permette di identificare i principi e le regole di vita comune dei membri della società. La solidarietà, la sensibilità, la generosità, il sostegno ai bisognosi, l'onestà, l'atteggiamento amichevole e la benevolenza, la modestia, la solidarietà tra generazioni sono dei tesori che appartengono all'eredità morale dell'umanità. Sono delle qualità senza le quali la vita in società diventa impossibile. E' per tale motivo che gli esseri umani ne hanno sempre riconosciuto il valore, proprio come l'indifferenza verso gli altri, la brutalità, l'avidità, l'invidia, l'arroganza e la vanità, la disonestà e la menzogna hanno sempre provocato la loro disapprovazione ed indignazione.
Come tale, la morale compie la funzione di favorire le pulsioni sociali in opposizione alle pulsioni antisociali dell'umanità, nell'interesse della coesione della comunità. Canalizza l'energia psichica nell'interesse di tutti. Il modo con cui quest'energia è canalizzata varia a seconda del modo di produzione, la costellazione sociale, ecc.
In seno ad ogni società, norme di comportamento e valutazione sono state edificate sulla base dell'esperienza vivente, e corrispondenti ad uno stile di vita dato. Questo processo fa parte di ciò che Marx ne Il Capitale chiama l'emancipazione relativa nei confronti dell'arbitrarietà e del semplice caso attraverso lo stabilirsi dell'ordine.
La morale ha un carattere imperativo. È un'appropriazione del mondo sociale attraverso i giudizi sul "bene" ed il "male", su ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Questo approccio della realtà utilizza dei meccanismi psichici specifici, come la buona coscienza ed il senso delle responsabilità. Questi meccanismi influenzano la presa di decisione ed il comportamento generale e, spesso, li determinano. Le esigenze della morale contengono una presa di coscienza di ciò che è la vita sociale, una coscienza che è stata assorbita ed assimilata al livello emozionale. Come ogni mezzo d'appropriazione e di trasformazione della realtà, ha un carattere collettivo. Attraverso l'immaginazione, l'intuizione e la valutazione, permette al soggetto di entrare nel mondo mentale ed emozionale degli altri esseri umani. È dunque fonte di solidarietà umana e mezzo di arricchimento e di sviluppo spirituale reciproco. Non può evolversi senza interazione sociale, senza trasmissione delle acquisizioni e dell'esperienza tra i membri della società, tra la società e gli individui e da una generazione all'altra.
Una delle caratteristiche della morale risiede nel fatto che si appropria della realtà usando come strumento di misura ciò che dovrebbe essere. Il suo percorso è teleologico piuttosto che causale. La collusione tra ciò che è e ciò che deve essere è caratteristica dell'attività morale; essa ne fa un fattore attivo e vitale.
Il marxismo non ha mai negato la necessità né l'importanza del contributo di fattori non teorici e non scientifici nell'ascesa della specie umana. Al contrario, ha sempre compreso il loro carattere indispensabile ed anche la loro indipendenza relativa. E' per tale motivo che è stato capace di esaminare le loro connessioni nella storia e riconoscere la loro complementarità.
Nelle società primitive, ma anche nelle società di classi, la morale si sviluppa in modo spontanea. Molto prima che la capacità di codificare i valori morali (o di rifletterci sopra) si sia sviluppata, esistevano tipi di comportamento e una loro valutazione. Ogni società, ogni classe o ogni gruppo sociale ed anche ogni professione (come sottolineato da Engels) ha, in particolare attraverso l'edificazione di codici di deontologia, il suo proprio schema di comportamento morale. Come ha notato Hegel, una serie di atti di un soggetto è il soggetto stesso. La morale è ben più della somma delle regole e dei costumi di comportamento. È una parte essenziale della colorazione che i rapporti umani prendono in una data società.
È al tempo stesso il riflesso ed un fattore attivo del modo con cui l'uomo vede sé stesso e del modo con cui riesce a comprendere gli altri, a penetrare nell'universo mentale dell'altro. La morale è basata sull'empatia che si inserisce nel campo delle emozioni specifiche alla specie umana. È proprio per ciò che Marx affermava: "Niente di ciò che è umano mi è estraneo".
Le valutazioni morali sono non solo necessarie in risposta ai problemi quotidiani, ma come parte di un'attività pianificata e consapevolmente diretta verso uno scopo. Non solo guidano decisioni particolari, ma orientano tutta una vita o tutta un'epoca storica.
Sebbene l'istinto, l'intuizione e l'inconscio costituiscono degli aspetti essenziali del mondo morale dell'uomo, con l'ascesa dell'umanità il ruolo della coscienza cresce anche in questa sfera. Le questioni morali toccano le profondità stesse dell'esistenza umana. Un orientamento morale è il prodotto di bisogni sociali ma anche un modo di pensare in una società o un gruppo dato. Essa necessita di una valutazione del valore della vita umana, del rapporto dell'individuo alla società, una definizione del suo proprio posto nel mondo, delle sue proprie responsabilità verso l'insieme della comunità. Ma qui, la valutazione prende posto non in modo contemplativo ma sotto forma di comportamenti sociali. L'orientamento etico porta il suo contributo specifico - pratico, valutativo, imperativo - sul senso da dare alla vita umana.
Sebbene lo sviluppo dell'universo sia un processo che esiste al di là ed indipendentemente da ogni scopo o "significato" obiettivo, l'umanità è quella parte della natura che si dà degli scopi e lotta per la loro realizzazione.
Ne L'origine della famiglia, della proprietà e dello Stato, Engels mostra che la morale affonda le sue radici nei rapporti socio-economici e negli interessi di classe. Ma mostra anche il suo ruolo regolatore, non solo nella riproduzione delle strutture sociali esistenti, ma anche nell'emergere di nuovi rapporti sociali. La morale può ostacolare o accelerare il progresso storico. La morale riflette frequentemente, prima della filosofia e la scienza, i cambiamenti nascosti sotto la superficie della società.
Il carattere di classe di una morale data non deve farci perdere di vista il fatto che ogni sistema morale contiene degli elementi umani generali che contribuiscono alla preservazione della società ad un stadio del suo sviluppo. Come Engels mette in evidenza nell'Anti-Dühring, la morale proletaria contiene ben più elementi di valore umano generale di quella delle altre classi sociali perché rappresenta il futuro contro la morale della borghesia. Engels insiste, a giusta ragione, sull'esistenza del progresso morale nella storia. Attraverso gli sforzi, da una generazione all'altra, per dominare meglio l'esistenza umana ed attraverso le lotte delle classi storiche, la ricchezza dell'esperienza morale della società è aumentata. Sebbene lo sviluppo etico dell'uomo non sia del tutto lineare, il progresso in questo campo può misurarsi nella necessità e la possibilità di risolvere sempre più problemi umani complessi. Ciò rivela tutto il potenziale di arricchimento del mondo interiore e sociale dell'uomo che, come ha sottolineato Trotsky, è uno dei criteri più importanti del progresso.
Un'altra caratteristica fondamentale della morale risiede nel fatto che, pur esprimendo i bisogni della società nel suo insieme, la sua esistenza è inseparabile dalla vita intima dell'essere umano, dal mondo interiore della sua coscienza e dalla sua personalità. Ogni atteggiamento che sottovaluta il fattore soggettivo, resta necessariamente astratto e passivo. È l'identificazione intima e profonda dell'uomo ai valori morali che, tra l’altro, lo distingue dall'animale e gli dà la forza di trasformare la società. Qui, ciò che è socialmente necessario diventa la voce interna della "buona coscienza", permettendo di collegare le emozioni umane alla dinamica del progresso sociale. La maturazione morale dell'essere umano lo arma contro i pregiudizi ed il fanatismo ed aumenta le sue capacità a reagire consapevolmente ed in modo creativo di fronte ai conflitti morali.
È anche necessario sottolineare che, sebbene la morale trova la sua base biologica negli istinti sociali, la sua evoluzione è inseparabile dalla partecipazione alla cultura umana. La liberazione della specie umana dal regno animale non dipende solamente dallo sviluppo del pensiero, ma anche dall'educazione e dalla raffinatezza delle emozioni. Tolstoj aveva dunque ragione di sottolineare il ruolo, nel progresso umano, dell'arte - in senso lato - accanto a quello della scienza.
"Proprio come, grazie alla capacità degli uomini di comprendere i pensieri espressi in parole, ogni essere umano può conoscere tutto ciò che l'insieme dell'umanità ha realizzato per lui nel campo del pensiero... allo stesso modo, grazie alla capacità umana, attraverso l'arte di essere toccato dai sentimenti degli altri, può accedere alle emozioni dei suoi contemporanei, a quelle che altri esseri umani, di migliaia di anni prima, hanno provato e diventa possibile per lui esprimere i propri sentimenti agli altri. Se gli esseri umani non avessero avuto la possibilità, la capacità di assorbire per mezzo delle parole, tutti i pensieri di quelli che hanno vissuto prima di loro e di comunicare i loro propri pensieri ad altri, sarebbero come animali selvaggi o come un Gaspard Hauser. Se non avessero quest'altra capacità umana di essere colpiti dall'arte, gli esseri umani sarebbero certamente ad un livello ancora molto più basso dei selvaggi e più estranei ed ostili gli uni agli altri".6
L'etica precede il marxismo
L'etica è la teoria della morale, ed ha per obiettivo di comprendere meglio il suo ruolo, di migliorare e di sistematizzare il suo contenuto ed il suo campo di azione. Sebbene l'etica sia una disciplina teorica, il suo scopo è sempre stato pratico. Un'etica che non contribuisce a migliorare i comportamenti umani nella vita reale è per definizione senza valore. L'etica è apparsa e si è sviluppata in quanto scienza filosofica, non solo per ragioni storiche ma anche perché la morale non è un oggetto preciso ma un rapporto che abbraccia l'insieme della vita umana e la coscienza. Dalla filosofia greca classica fino a Spinoza e Kant, l'etica è sempre stata concepita come una sfida essenziale alla quale si sono confrontati i più grandi cervelli dell'umanità.
Malgrado la moltitudine degli orientamenti e delle risposte secondo i differenti tipi di società, uno scopo comune ha sempre caratterizzato l'etica, principalmente da Socrate in poi. È la risposta alla questione: come l'uomo può riuscire a costruire il benessere universale per l'insieme della sua specie? L'etica è sempre stata un'arma di lotta, in particolare un'arma della lotta di classe. Il confrontarsi con la malattia e con la morte, con i conflitti di interesse e con la sofferenza morale, è stato spesso un potente stimolante per lo studio dell'etica. Ma mentre la morale, per quanto rudimentali possano essere le sue manifestazioni, è una condizione molto vecchia dell'esistenza della società umana (ed esisteva già nelle prime società primitive) l'etica è un fenomeno molto più recente ed è apparsa con la società divisa in classi. Il bisogno di orientare consapevolmente il comportamento e la vita di ciascuno è il prodotto della natura della vita sociale che è diventata sempre più complessa con l'apparizione delle classi sociali. Nella società primitiva, la solidarietà tra gli uomini ed il senso della loro attività era dettata direttamente dalla più rude delle penurie. La libertà di scelta individuale non esisteva ancora. È nel contesto della contraddizione crescente tra vita privata e vita pubblica, tra i bisogni degli individui e quelli della società, che una riflessione teorica sul comportamento ed i suoi principi hanno preso corpo. Questa riflessione è inseparabile dall'apparizione di un atteggiamento critico nei confronti della società e della volontà di cambiarla in modo cosciente e ponderata. Così, se la scomparsa della comunità primitiva e l'apparizione della società di classi costituiscono una condizione per un tale percorso, l'apparizione dell'etica - come quella della filosofia in generale - è stimolata in particolare dallo sviluppo della produzione di merci, come avvenne per la Grecia antica. Non solo l'apparizione dell'etica ma la sua evoluzione dipendeva anche e fondamentalmente dallo sviluppo delle forze produttive, in particolare delle basi economiche, materiali della società.
Con la società di classi, le esigenze morali ed i costumi cambiano necessariamente poiché ogni formazione sociale fa apparire una morale che corrisponde ai suoi bisogni. Quando le morali stabilite dalle classi dominanti entrano in contraddizione con lo sviluppo storico, diventano sorgente di una sofferenza terribile, aumentano il ricorso alla violenza fisica e psichica per imporsi e conducono ad un disorientamento generalizzato, ad un'ipocrisia latente, ma anche all'auto-flagellazione, in particolare in seno alle classi sfruttate. Queste fasi di declino delle società costituiscono una sfida particolare per l'etica e quest'ultima si adopera a formulare dei nuovi principi che avranno presa sulle masse e le orienteranno solamente in una fase ulteriore.
Tuttavia, lo sviluppo dell'etica è lungi da essere un riflesso meccanico, passivo, delle basi economici della società. Possiede una propria dinamica interna, come già l'aveva illustrato l'evoluzione del primo materialismo, quello dei materialisti greci i cui contributi all'etica appartengono ancora all'eredità teorica inestimabile dell'umanità. Questa dinamica interna dell'etica si rivela nel perseguimento della sua preoccupazione centrale: l'aspirazione alla felicità per l'insieme dell'umanità. Già Eraclito poneva la domanda centrale dell'etica: il rapporto tra l'individuo e le società, tra ciò che fanno realmente gli individui e ciò che dovrebbero fare nell'interesse generale. Ma questa filosofia "della natura" era incapace di dare una spiegazione materialista delle origini della morale ed in particolare della buona coscienza. Di più, la sua insistenza unilaterale sulla causalità, a detrimento del lato "teleologico" dell'esistenza dell'uomo (attività ponderata in vista di uno scopo cosciente), gli impediva di dare risposte soddisfacenti alle domande etiche tra le più fondamentali per l'avvenire della specie umana (come il rapporto dell'uomo con la propria limitatezza, con la propria morte e con quella dei suoi simili specialmente di fronte alla guerra ed altri conflitti mortali).
E' per tale motivo che l'evoluzione sociale obiettiva, ma anche l'assenza di risposta alle domande morali poste, hanno aperto la via all'idealismo filosofico. Questo idealismo è apparso nello stesso momento in cui una nuova credenza religiosa, il monoteismo, fondata sulla fede in un unico Dio, salvatore dell'umanità ed unico in grado di aprire le porte della felicità universale in un paradiso celeste. L'apparizione della morale idealistica non era più basata sulla spiegazione della natura ma sull'esplorazione della vita spirituale. Questo comportamento non è riuscito a liberarsi totalmente del pensiero animistico e magico delle società primitive ed è culminato nella seguente visione secondo cui l'essenza umana sarebbe divisa in due parti, una spirituale, morale, e l'altra materiale, corporale. L'uomo sarebbe in qualche modo metà-angelo, metà-animale.
È solamente col materialismo rivoluzionario della borghesia ascendente dell'Europa occidentale che il trionfo dell'idealismo morale è stato messo seriamente in discussione. Questo nuovo materialismo postulava che le pulsioni naturali dell'uomo contenevano il germe di tutto ciò che è bene, rendendo il vecchio ordine sociale responsabile di tutto il male. Da questa scuola di pensiero sono generate non solo le armi teoriche della rivoluzione borghese ma anche il socialismo utopico (Fourier nei materialisti francesi, Owen ed il sistema "utilitarista" di Bentham).
Ma questo materialismo della borghesia rivoluzionaria era incapace di spiegare l'origine della morale. Le morali non possono essere spiegate "naturalmente" perché la natura umana contiene già la morale. Questa teoria rivoluzionaria non poteva spiegare neanche la propria origine. Se l'uomo, alla sua nascita, è solamente una pagina bianca, una tabula rasa, come afferma questo materialismo borghese, e se la sua natura di essere sociale è determinata solamente dalla sua impregnazione nell'ordine sociale esistente, da dove vengono le idee rivoluzionarie, quale è l'origine dell'indignazione morale - questa condizione indispensabile per una società nuova e migliore? Il fatto che il materialismo borghese abbia combattuto il pessimismo dell'idealismo (che nega ogni possibilità di un progresso morale nel mondo reale dell'uomo) costituisce il suo grande contributo. Tuttavia, malgrado il suo ottimismo apparentemente senza limiti, questo materialismo fin troppo meccanico e metafisico non offriva che una base poco solida ad una reale fiducia nell'umanità. In definitiva, in questa visione del mondo incarnato dalla filosofia dei lumi, è l'uomo "illuminato" che doveva apparire come la sola sorgente della perfezione morale della specie umana.
Il fatto che il materialismo borghese non sia riuscito a spiegare le origini della morale ha contribuito alla ricaduta di Kant nell'idealismo morale quando cerca di spiegare il fenomeno della buona coscienza. Dichiarando che "la legge morale dentro noi" era una "cosa in sé", esistente a priori, all'infuori del tempo e dello spazio, Kant dichiarava in effetti che non possiamo conoscere le origini della morale.
Così, malgrado tutti questi contributi inestimabili alla storia dell'umanità, che costituiscono i pezzi di un puzzle ancora sparpagliato, è solo il proletariato che sarà in grado, grazie alla teoria marxista, di dare una risposta coerente e soddisfacente a questa questione sulle origini della morale.Per il marxismo, l'origine della morale risiede nella natura interamente sociale, collettiva, della specie umana. Questa morale è non solo il prodotto dei profondi istinti sociali ma anche della dipendenza della specie al riguardo del lavoro collettivo, associato e pianificato, e dell'apparato produttivo sempre più complesso che questo esige. La base, il cuore della morale, è il riconoscimento della necessità della solidarietà di fronte alla fragilità biologica dell'essere umano. Questa solidarietà (che le scoperte scientifiche recenti, in particolare in antropologia e paleontologia hanno messo del resto in evidenza) costituisce il denominatore comune di tutto ciò che è stato positivo e duraturo durante la storia della morale. In quanto tale, la solidarietà è al tempo stesso la misura del progresso morale e l'espressione della continuità di questa storia malgrado tutte le rotture e regressioni.
Questa storia è caratterizzata dal riconoscimento che le probabilità di sopravvivenza sono tanto più grandi quanto la società (o la classe sociale) è più unificata, la sua coesione più solida, e più grande l'armonia tra tutte le sue parti. Ma lo sviluppo della morale attraverso i secoli non è solamente una questione di sopravvivenza per la specie umana. Condiziona sempre più l'apparizione di forme compiute e complesse di collettività umane che sono loro stesse la condizione dello sviluppo delle potenzialità dell'uomo e della società. Peraltro non è che stabilendo rapporti con gli altri che gli esseri umani possono scoprire la loro propria umanità. La ricerca pratica degli interessi collettivi è il mezzo dell'elevazione morale dei membri della società. La vita più ricca è quella che è più ancorata nella società.
La ragione per la quale solo il proletariato poteva rispondere alla domanda dell'origine e della essenza della morale, risiede nel fatto che la prospettiva di una comunità mondiale unificata, una società comunista, costituisce la chiave per apprendere la storia della morale. Il proletariato è la prima classe della storia che non abbia interessi particolari da difendere e che sia unito da una vera socializzazione della produzione, base materiale di un livello qualitativamente superiore della solidarietà umana.
L'etica materialista del marxismo, grazie alla sua capacità di integrare le scoperte scientifiche (specialmente quelle di Darwin a cui Marx voleva dedicare Il Capitale) permette dunque di comprendere che l'uomo, in quanto prodotto dell'evoluzione, non è, in effetti, un tabula rasa alla nascita. Porta con sé, "nel mondo" una serie di bisogni sociali generati delle sue origini animali (per esempio il bisogno di tenerezza e di affetto senza cui il neonato non può svilupparsi ed anche sopravvivere).
Ma i progressi della scienza hanno rivelato anche quanto l'uomo sia un combattente nato. E' proprio ciò che gli ha permesso di partire alla conquista dal mondo, di dominare le forze della natura, di trasformare la sua vita sociale sviluppandola su tutto il pianeta. La storia mostra così come egli non si rassegna in genere di fronte alle difficoltà. La lotta dell'umanità non può che basarsi su una serie di istinti che ha ereditato dal regno animale: quelli dell'auto-conservazione, della riproduzione sessuale, della protezione dei suoi piccoli, ecc. Nella cornice della società, questi istinti di conservazione della specie non hanno potuto svilupparsi che condividendo le sue emozioni con i suoi simili. Se è vero che queste qualità sono il prodotto della socializzazione, non è meno vero che sono queste qualità che, di conseguenza, rendono possibile la sua vita in società. La storia dell'umanità ha dimostrato anche che l'uomo può e deve mobilitare egualmente un potenziale di aggressività senza di cui non può difendersi contro un ambiente naturale ostile.
Ma le basi della combattività della specie umana sono molto più profonde di ciò, e sono ancorate soprattutto nella cultura. L'umanità è l'unica parte della natura che, attraverso il processo del lavoro, si trasforma. Ciò significa che, nel lungo processo di umanizzazione, trasformazione della "scimmia in uomo", la coscienza è diventata il principale strumento della lotta dell'umanità per la sua sopravvivenza. Ogni volta che l'uomo ha raggiunto uno scopo, ha modificato il suo ambiente naturale e si è dato dei nuovi obiettivi più elevati. Ciò che ha necessitato di conseguenza un nuovo sviluppo della sua natura di essere sociale.
Il metodo scientifico del marxismo ha svelato le origini biologiche, "naturali" della morale e del progresso sociale. Poiché ha scoperto le leggi del movimento della storia umana e superato il punto di vista metafisico, il marxismo ha dato risposta a delle domande che il vecchio materialismo borghese era incapace di dare. Facendo ciò, ha dimostrato la relatività, ma anche la validità relativa, dei differenti sistemi morali nella storia. Ha rivelato la loro dipendenza al riguardo dello sviluppo delle forze produttive e, a partire da un certo periodo storico, della lotta di classe. Con essa, ha posto le basi teoriche di un superamento pratico di ciò che fu uno dei più grandi flagelli dell'umanità fino ai nostri giorni: la tirannide fanatica, dogmatica di ogni sistema morale.
Mostrando che la storia ha un senso e forma un tutto coerente, il marxismo ha superato la falsa scelta tra il pessimismo morale dell'idealismo e l'ottimismo ristretto del materialismo borghese. Dimostrando l'esistenza di un progresso morale nella storia dell'umanità, ha allargato le basi della fiducia del proletariato nel futuro.
Malgrado la nobile semplicità dei principi comunitari della società primitiva, le loro virtù erano legate al compimento cieco di riti e di superstizioni che non potevano essere messi in questione, e non sono stati mai il risultato di una scelta cosciente. È solamente con l'apparizione di una società di classi (in Europa, all'apogeo della società schiavistica) che gli esseri umani hanno potuto acquistare un valore morale indipendente dalle relazioni di sangue. Quest'acquisizione è stata il prodotto della cultura, della rivolta degli schiavi e degli altri strati oppressi. È importante notare che le lotte delle classi sfruttate, anche quando non contenevano prospettive rivoluzionarie, hanno arricchito l'eredità morale dell'umanità, attraverso la cultura dello spirito di ribellione e di indignazione, della conquista di un rispetto per il lavoro umano, della difesa della dignità di ogni essere umano. La ricchezza morale della società non è mai il semplice risultato della costellazione economica, sociale, culturale del momento. È il prodotto di un accumulazione storica. Come l'esperienza e la sofferenza di una vita lunga e difficile contribuiscono alla maturazione di quelli che non sono stati abbattuti, così l'inferno della società di classi contribuisce allo sviluppo della nobiltà morale dell'umanità, purché questa società possa essere rovesciata.
Bisogna aggiungere che il materialismo storico ha sciolto la vecchia opposizione che frenava i progressi dell'etica, tra istinto e coscienza, tra causalità e teleologia. Le stesse leggi obiettive dello sviluppo storico sono manifestazioni dell'attività umana. Esse appaiono come esterne solo perché gli scopi che gli uomini si danno dipendono dalle circostanze che il passato ha tramandato al presente. Considerata in modo dinamica, nel movimento del passato verso il futuro, l'umanità è al tempo stesso il risultato e la causa del cambiamento. In questo senso, la morale e l'etica sono contemporaneamente prodotti e fattori attivi della storia.
Rivelando la vera natura della morale, il marxismo è invece capace di influire sul suo corso, affilandolo come un'arma della lotta di classe del proletariato.La morale proletaria si sviluppa combattendo i valori dominanti; essa non si tiene in disparte. Il cuore della morale della società borghese è contenuto nella generalizzazione della produzione di merci. Ciò determina il suo carattere essenzialmente democratico che ha sostenuto un ruolo altamente progressista nella dissoluzione della società feudale ma che rivela il suo lato più irrazionale col declino del sistema capitalista.
Il capitalismo ha sottomesso l'insieme della società, ivi compresa la stessa forza lavoro, alla quantificazione del valore di scambio. Il valore dell'essere umano e della sua attività produttiva non risiede più nella sua qualità umana concreta né nel suo contributo particolare alla collettività. Non può più essere misurato che in modo quantitativo rispetto agli altri ed ad una media astratta che si impone alla società come una forza indipendente e cieca. Introducendo la concorrenza tra gli uomini, obbligandoli a scontrarsi costantemente gli uni agli altri, il capitalismo erode la solidarietà umana alla base della società. Facendo astrazione delle qualità reali degli esseri umani, ivi compreso delle loro qualità morali, sabota anche la base della morale. Sostituendo la domanda "che posso portare come contributo alla comunità?" con la domanda "quale è il mio valore in seno alla comunità"? (ricchezza, potere, prestigio), mette in discussione la possibilità stessa di una comunità umana.
La tendenza della società borghese è di erodere le esperienze morali dell'umanità che si sono accumulate durante migliaia di anni, dalla semplice tradizione di ospitalità e di rispetto degli altri nella vita quotidiana fino al riflesso elementare di portare assistenza a quelli che ne hanno bisogno.
Con l'entrata del capitalismo nella sua fase terminale, quella della decomposizione, questa tendenza inerente al capitalismo prende il sopravvento. La natura irrazionale di questa tendenza, incompatibile a lungo termine con la preservazione della società, si rivela nella necessità per la stessa borghesia, nell'interesse del suo sistema, di ricorrere ai ricercatori che fanno delle investigazioni e sviluppano delle strategie contro il "mobbing", la persecuzione morale, ai pedagoghi incaricati di insegnare agli scolari come gestire i conflitti. Parimenti, la qualità sempre più rara di saper lavorare in equipe è considerata oggi come la qualifica più ricercata per l’assunzione in numerose imprese.
Ciò che è specifico al capitalismo, è lo sfruttamento sulla base della "libertà" e della "uguaglianza" giuridica degli sfruttati. Da cui il carattere essenzialmente ipocrita della morale borghese. Ma questa specificità modifica anche il ruolo che la violenza gioca in seno alla società.
Contrariamente a ciò che proclamano gli apologeti del capitalismo, quest'ultimo non fa meno uso della forza rozza rispetto agli altri modi di produzione, ma va ben oltre. Tuttavia, come lo sviluppo dello stesso processo di sfruttamento è basato ormai sui rapporti economici e non sulla costrizione fisica, il capitalismo ha operato un salto qualitativo nell'uso della violenza indiretta, morale, psichica. La calunnia, la distruzione della personalità individuale, la ricerca di capri espiatori, l'isolamento sociale, la demolizione sistematica della dignità umana e della fiducia in sé, sono diventati degli strumenti quotidiani di controllo sociale. Più ancora, questa violenza è diventata la manifestazione della libertà democratica, l'ideale morale della società borghese. Più la borghesia ricorre a questa violenza indiretta ed al dominio della sua morale contro il proletariato, più rafforza la sua dittatura.
La lotta del proletariato per il comunismo costituisce da tempo e fino ad ora, il punto di arrivo della morale dell'umanità. Ciò significa che la classe operaia ha ereditato dall'accumulazione dei frutti della civiltà, li ha sviluppati ad un livello qualitativamente superiore, salvandoli così dalla liquidazione da parte della decomposizione capitalista. Uno dei principali scopi della rivoluzione comunista, è la vittoria degli istinti sociali sulle pulsioni anti-sociali. Come Engels spiegava ne L'Anti-Dühring, una morale realmente umana, al di là delle contraddizioni di classe, diventerà possibile solamente in una società dove le stesse contraddizioni di classe ma anche la loro memoria saranno sparite nella pratica della vita quotidiana.
Il proletariato integra nel suo movimento antiche regole della comunità come le più recenti e complesse esperienze delle manifestazioni della cultura morale. Si tratta proprio di regole elementari come l'interdizione del furto e dell'omicidio che non sono solo regole d'oro della solidarietà e della fiducia reciproca per il movimento operaio, ma una barriera insostituibile contro l'influenza morale estranea della borghesia e del sottoproletariato.
Il movimento operaio si nutre egualmente dello sviluppo della vita sociale, della preoccupazione per la vita degli altri, della protezione dei bambini, dei vecchi, dei più deboli e di quelli che ne hanno bisogno. Sebbene l'amore dell'umanità non sia appannaggio del proletariato, come ha affermato Lenin, questa riappropriazione da parte della classe operaia è necessariamente un elemento critico che mira a superare l'inesperienza, la grettezza di spirito ed il provincialismo degli strati e delle classi sfruttate non proletarizzate.
L'apparizione della classe operaia come portatrice di progresso morale è una perfetta dimostrazione della natura dialettica dello sviluppo sociale. Dividendo radicalmente i produttori dai mezzi di produzione e con la loro sottomissione completa alle leggi del mercato, il capitalismo ha creato per la prima volta una classe sociale spossessata della sua umanità. La genesi della classe operaia moderna è dunque la storia della dissoluzione della vecchia comunità sociale e delle sue esperienze. Questa dislocazione della comunità umana originaria ha generato lo sradicamento, il vagabondaggio e la criminalizzazione di milioni di uomini, di donne e di bambini. Posti al di fuori della sfera della società, erano condannati ad un processo senza precedenti di abbrutimento e di degradazione morale. All'alba del capitalismo, i quartieri operai nelle regioni industrializzate erano dei campi fertili per l'ignoranza, il crimine, la prostituzione, l'alcolismo, l'indifferenza e la disperazione.
Nel suo studio sulla classe operaia in Inghilterra, Engels era già capace di notare che i proletari che avevano una coscienza di classe costituivano il settore della società più nobile, il più umano e più suscettibile ad essere rispettato. Più tardi, facendo il bilancio della Comune di Parigi, Marx ha messo in evidenza l'eroismo, lo spirito di sacrificio e la passione per il suo compito erculeo della Parigi che si batteva, lavorava e pensava, all'opposto della Parigi parassita, scettica ed egoista della borghesia.
Questa trasformazione del proletariato, dalla perdita alla conquista della propria umanità, è l'espressione della sua natura specifica di classe sfruttata e rivoluzionaria al tempo stesso. Il capitalismo ha dato nascita alla prima classe della storia che non può affermare la sua umanità ed esprimere la sua identità ed i suoi interessi di classe se non attraverso lo sviluppo della solidarietà. Come mai prima, la solidarietà è diventata l'arma della lotta di classe ed il mezzo specifico attraverso cui l'appropriazione, la difesa ed il più grande sviluppo della cultura umana diventano possibili. Come Marx dichiarava nel 1872: "Cittadini! Ricordiamoci il principio fondamentale dell'Internazionale: la solidarietà. Solo quando avremo stabilito questo principio vitale su delle basi sicure presso i lavoratori di tutti i paesi saremo capaci di compiere il grande scopo finale che ci siamo prefissato. La trasformazione deve prendere posto nella solidarietà, è ciò che ci insegna la Comune di Parigi.7
Questa solidarietà del proletariato è il prodotto della lotta di classe. Senza il combattimento costante tra i proprietari delle fabbriche ed i lavoratori, Marx ci dice che: "la classe operaia della Gran Bretagna e dell'Europa intera sarebbe una massa umile, oppressa, dal debole carattere, esausta, la cui emancipazione sulla base della sua forza sarebbe completamente impossibile come quella degli schiavi dell'antica Grecia e di Roma".8
E Marx aggiunge: "per apprezzare correttamente il valore degli scioperi e delle coalizioni, noi non dobbiamo cadere nella delusione per l'apparente inconsistenza dei risultati economici, ma conservare, sopratutto, lo spirito delle conseguenze morali e politiche".
Questa solidarietà va di pari passo con l'indignazione morale dei lavoratori confrontati al degrado delle loro condizioni di vita. Questa indignazione è una condizione, non solo della loro lotta e della difesa della loro dignità ma anche della nascita della loro coscienza. Dopo avere definito il lavoro in fabbrica come un mezzo di abbrutimento degli operai, Engels conclude che se i lavoratori sono "non solo capaci di salvare la loro salute, ma di sviluppare ed affinare anche la loro comprensione ad un livello più elevato rispetto ad altri" 9 ciò avviene solamente attraverso l'indignazione di fronte al loro destino e all'immoralità e la cupidigia della borghesia.
La liberazione del proletariato dalla carcassa paternalista del feudalismo gli ha permesso di sviluppare la dimensione globale, politica di questi "risultati morali" e dunque di prendere a cuore la sua responsabilità al riguardo della società tutta intera. Nel suo libro sulle classi lavoratrici in Inghilterra, Engels ricorda come, in Francia la politica e, in Gran Bretagna, l'economia hanno liberato i lavoratori dalla loro "apatia nei riguardi degli interessi generali dell'umanità", un'apatia che li rendeva "morti spiritualmente".
Per la classe operaia, la sua solidarietà non è uno strumento tra altri da utilizzare quando se ne sente il bisogno. È l'essenza stessa della lotta e dell'esistenza quotidiana della classe operaia. E' per tale motivo che l'organizzazione e la centralizzazione delle sue lotte sono la manifestazione vivente di questa solidarietà.
L'elevazione morale del movimento operaio è inseparabile dalla formulazione del suo scopo storico. Durante i suoi studi sui socialisti utopisti, Marx riconosceva l'influenza etica delle idee comuniste attraverso le quali "si fabbrica la nostra coscienza". Nel suo libro "Il socialismo e le Chiese", Rosa Luxemburg ricordava anche che il tasso di criminalità si era abbassato nei quartieri industriali di Varsavia appena gli operai sono diventati socialisti.
La più alta espressione, da tempo e fino ad ora, della solidarietà umana, del progresso etico della società è l'internazionalismo proletario. Questo principio è il mezzo indispensabile della liberazione della classe operaia che pone le basi della futura comunità umana. Il carattere centrale di questo principio ed il fatto che solo la classe operaia possa difenderlo, sottolinea tutta l'importanza dell'autonomia morale del proletariato nei confronti delle altre classi e strati della società. È indispensabile per gli stessi operai coscienti liberarsi da soli del modo di pensare e dei sentimenti della popolazione in senso largo, in modo da opporre la propria morale a quella della classe dominante.
La solidarietà non è solamente un mezzo indispensabile per realizzare lo scopo comunista, ma è anche l'essenza di questo scopo.
Le rivoluzioni hanno sempre generato un rinnovo morale della società. Non possono sorgere ed essere vittoriose senza che le masse non si siano impossessate, già prima, dei nuovi valori e delle nuove idee che galvanizzano il loro spirito di combattimento, il loro coraggio e la loro determinazione. La superiorità dei valori morali del proletariato costituisce uno dei principali mezzi della sua capacità a trascinarsi dietro gli altri strati non sfruttatori. Sebbene sia impossibile sviluppare completamente una morale comunista in seno alla società di classe, i principi della classe operaia stabiliti dal marxismo annunciano il futuro e contribuiscono a tracciare la sua strada. Attraverso la sua stessa lotta, la classe operaia adatta sempre più i suoi comportamenti ed i suoi valori ai propri bisogni ed ai suoi scopi, acquistando così una nuova dignità umana.
Il proletariato non ha bisogno di illusioni morali, ed egli detesta l'ipocrisia. Il suo interesse è di sbarazzare la morale da tutte le illusioni e da tutti i pregiudizi. In quanto prima classe della società che ha una comprensione scientifica di questa, il proletariato è il solo che possa fare valere quest'altra preoccupazione della morale che è la verità. E non è un caso se il giornale del partito bolscevico si chiamava proprio la "Pravda" (La "Verità").
Come per la solidarietà, questa rettitudine prende un senso nuovo e più profondo. Di fronte al capitalismo che non può esistere senza menzogna ed inganni e che mistifica la realtà sociale, facendo in modo che i rapporti tra gli uomini appaiono come i rapporti tra oggetti, lo scopo del proletariato è fare apparire la verità come il mezzo indispensabile della sua propria liberazione. È per ciò che il marxismo non ha tentato mai di minimizzare l'importanza degli ostacoli sulla via della vittoria, né rifiutato di riconoscere una sconfitta. La prova più dura della rettitudine è di essere vero nei confronti di sé stessi. E ciò che è valido per le classi lo è anche per gli individui. Certamente questa ricerca per comprendere la propria realtà può essere dolorosa e non deve essere intesa in un senso assoluto. Ma l'ideologia e l'auto-mistificazione sono in contraddizione diretta con gli interessi della classe operaia.
In effetti, mettendo la ricerca della verità al centro delle sue preoccupazioni, il marxismo è l'erede di ciò che di meglio l'etica scientifica dell'umanità ha prodotto. Per il proletariato, la lotta per la chiarezza è il valore più importante. L'atteggiamento che consiste nell'evitare e sabotare i dibatti ed il chiarimento è un insulto a questo valore, poiché un tale comportamento spalanca sempre la porta alla penetrazione di ideologie e di comportamenti estranei al proletariato.
Peraltro, la lotta per il comunismo pone al proletariato nuove domande e lo mette di fronte a nuove dimensioni dell'azione etica. La lotta per la presa del potere pone, per esempio, direttamente la questione dei rapporti tra gli interessi del proletariato e quelli dell'umanità nel suo insieme che, in questa tappa della storia, corrispondono gli uni agli altri senza essere tuttavia identici. Di fronte alla scelta tra socialismo e barbarie, la classe operaia deve assumere consapevolmente le sue responsabilità al riguardo dell'umanità come un tutto. Nel settembre-ottobre 1917, quando le condizioni dell'insurrezione erano mature e di fronte al pericolo che l'estensione della rivoluzione poteva fallire e determinare sofferenze terribili per il proletariato mondiale, Lenin sosteneva che bisognava "correre il rischio" perché era la sorte della stessa civiltà che era in gioco. Parimenti, la politica di trasformazione economica dopo la presa del potere mette la classe operaia davanti alla necessità di sviluppare in modo cosciente dei nuovi rapporti tra gli uomini ed il resto della natura nella misura in cui questi rapporti non possono essere più quelli di un "vincitore in campo conquistato" (Engels, Anti-Dühring).
CCI
1. Per un'idea dei comportamenti degli elementi della FICCI, vedere i nostri articoli " Minacce di morte contro i militanti della CCI" in particolare,"Le riunioni pubbliche della CCI vietate agli spioni", "I metodi polizieschi della FICCI", rispettivamente nei nn. 355, 338 e 330 di Révolution Internationale, così come "Conferenza straordinaria della CCI: La lotta per la difesa dei principi organizzativi" nella Révue Internationale n. 110 e "16° Congresso della CCI : prepararsi alla lotta di classe ed alla 'comparsa di nuove forze rivoluzionarie" nella Révue Internationale n. 122.
2. Questa visione è sviluppata in particolare nel testo "La questione del funzionamento dell'organizzazione nella CCI" pubblicato nella Révue Internationale n. 109.
3. Josef Dietzgen: "The Religione of Sociale Democracy - Sermons", 1870, capitolo V.
4. Anton Pannekoek, Anthropogenesis, A study in the Origin of Man, 1944.
5. Lenin: Stato e rivoluzione.
6. Tolstoj: What is art? 1897. In un contributo al Neue Zeit su questo saggio, Rosa Luxemburg ha dichiarato che formulando un tale punto di vista, Tolstoj manifestava più socialismo e materialismo storico rispetto alla maggior parte di ciò che era pubblicato nella stampa del partito.
7. Marx: "Discorso" al Congresso dell'Aia dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), 1872.
8. Marx: "La politica russa rispetto all'Inghilterra" - Il movimento operaio in Inghilterra, 1853.
9. Engels: La condizione delle classi lavoratrici in Inghilterra, 1845. Capitolo: "Le differenti branche di lavoro. L'operaio di fabbrica in senso stretto (Schiavitù, regole di fabbrica)".
Teleologico da teleologia:
Concezione e indirizzo che, presupposta l’esistenza di una legge di finalità che governa e regola lo sviluppo di tutte le cose, analizza e studia il manifestarsi e l’attuarsi di tale legge nel divenire dell’universo.
Deontologia:
L'insieme delle regole morali che disciplinano l'esercizio di una determinata professione o comunque di una funzione.
Utilitarismo:
concezione filosofica che pone l'utilità come motivo fondamentale dell'agire umano: la sua teorizzazione più famosa e significativa è quella fornita da J. Bentham (1748-1832), per cui l'etica, nell'esigenza di superare il limite edonistico o egoistico nella concezione dell'utile, viene impostandosi su un principio quantitativo piuttosto che qualitativo, riassumibile nella formula secondo cui ‘il bene è la maggior felicità del maggior numero’.
Edonistico: da edonismo
Concezione filosofica secondo la quale il piacere è il bene sommo dell'uomo ed il suo conseguimento il fine esclusivo della vita.
Empatia:
In psicologia, la capacità di porsi nella situazione di un'altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva; diverso quindi da simpatia, che implica sempre nel soggetto questa partecipazione.
Animistico: da animismo
Concezione tipica dei popoli primitivi, secondo cui ogni fenomeno o cosa dell'universo sono dotati di anima e vivono di una loro vita, spesso creduta divina e degna di culto.
Links
[1] https://www.mcclatchydc.com/
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/7/109/sinistra-comunista
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/sviluppo-della-coscienza-e-dell-organizzazione-proletaria/corrente-comunista-internazionale
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/risoluzioni-del-congresso
[6] https://fr.internationalism.org/icconline/2005_
[7] https://fr.internationalism.org/isme/326/vigo
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/interventi
[9] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/influenzati-dalla-sinistra-comunista
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/3/50/internazionalismo