In una recente riunione pubblica tenuta dalla nostra organizzazione, dedicata all’analisi delle prospettive che si aprivano per la lotta di classe dopo il gennaio scorso, una compagna che vi era intervenuta ci ha posto il quesito di quale ruolo concreto pensavamo di svolgere nella lotta di classe.
Questa domanda, come ci ha confermato la stessa compagna, se la pongono anche altri compagni ed, in una certa forma, gli stessi Nuclei Leninisti Internazionalisti che, attraverso una lettera di un loro militante, ci rimproveravano di esserci troppo rinchiusi nel nostro “milieu” assegnando una scarsa importanza all’intervento nella classe operaia.
La domanda della compagna o il “rimprovero” dei N.L.I. hanno ovviamente una base reale, cioè una nostra diversa impostazione, rispetto alla stragrande maggioranza dei gruppi politici, nei riguardi della lotta di classe.
E’ costume di moltissimi gruppi politici, primi fra tutti quelli che scendono trionfalmente in campo come il partito della classe operaia, avere un timore reverenziale per quest’ultima. Lo dimostrano due cose: la tendenza ad intervenire sotto falsi panni di comitato, gruppo operaio, ecc.[1] e la deleteria tattica del gradualismo, che significa ad esempio denunciare i sindacati come nemici della classe solo quando questa se ne è resa conto.
La spiegazione di questo atteggiamento sta nell’idea che la classe sia un corpo amorfo capace tutt’al più di azioni rivendicative ed ostile alla politica, e che solo col mascheramento da “struttura di base” e con “iniezioni di coscienza a piccole dosi” si possa ottenere qualcosa. Infatti si pensa che, con questo accostamento “morbido”, gli operai possano essere lentamente conquistati all’idea della rivoluzione, ma passo dopo passo, digerendo una posizione alla volta e senza avere lo shock che a procurargli questa evoluzione sia un’organizzazione rivoluzionaria.
Questo modo di concepire l’intervento, rivolto verso l’evoluzione di specifiche situazioni piuttosto che verso l’insieme della classe, ha come necessaria conseguenza il localismo, e quindi l’identificazione del proprio intervento politico o con una fabbrica, o con il movimento dei disoccupati, o altro ancora. E’ sorprendente, a questo proposito, come sia facile in molti casi associare un dato gruppo politico al suo settore preferito di intervento (CIM/disoccupati; AGIT-PROP/Italsider; ecc.). Sempre in questa chiave, sono comprensibili, anche se non accettabili, le reiterate richieste su quanti operai abbiamo e su quale settore controlliamo.
La questione per noi si pone in tutt’altri termini. Pur non sottovalutando l’importanza della continuità dell’intervento in certi settori, il nostro obiettivo non è comunque ritagliarci una fetta di classe operaia da conquistare. La questione non si pone al livello di far maturare dei singoli operai propinandogli le nostre posizioni, ma piuttosto far sì che la classe nel suo insieme tragga tutte le conseguenze della sua attuale collocazione sociale ed economica nella società, si liberi delle false alternative e dei falsi tutori e rompa col quadro della società borghese.
Questo obiettivo fondamentale non si può conseguire cercando dì convincere gli operai uno ad uno. I tempi della storia non ce lo consentono. D’altra parte la dinamica con cui si sviluppa la coscienza di classe rende inefficace una tale pratica.
La classe, corpo collettivo vivente, vive oggettivamente già tutte le contraddizioni risolvendo le quali perverrà alla coscienza della necessità di abolire il capitalismo. Ma è nel cammino tortuoso fatto di lotte aperte e di fasi di riflusso che le contraddizioni si risolveranno, non gradualmente, una dopo l’altra, ma un po’ alla volta tutte quante assieme, contestualmente. In questo processo di maturazione ogni nuovo elemento di comprensione non rimarrà isolato, ma servirà a rimuovere ambiguità ed errori su altri piani della coscienza di classe. Così il rifiuto della politica dei sacrifici, la sensazione che questa crisi non ha termine, il ruolo apertamente antioperaio dei sindacati ufficiali e l’idea che ci voglia qualcosa di diverso per difendere i propri interessi costituiscono un insieme compatto su cui la classe sta attualmente riflettendo e maturando.
Conseguentemente il nostro intervento non solo si rivolge alla classe nel suo insieme, ma ricopre l’intera gamma di problemi che si pongono oggi nella lotta di classe. Contrari ad ogni gradualismo, il nostro intervento si caratterizza per denunciare con chiarezza i limiti e gli errori delle lotte presenti e prospettare la via che c’è da percorrere per il futuro. Convinti sostenitori dell’esistenza di più gruppi rivoluzionari, siamo molto critici verso le ammucchiate fatte per “meglio intervenire”, verso gli “intergruppo”, le “azioni in comune”, che dovendo esprimere il minimo comune denominatore delle posizioni politiche dei vari gruppi, finiscono per tagliare le gambe un po’ a tutti.
Vediamo adesso come questi due diversi modi di intendere l’intervento nella classe si sono tradotti praticamente durante le lotte degli ultimi mesi.
Durante gli scioperi dell’ottobre ’82 a Napoli, seguiti dall’introduzione in massa della cassa integrazione all’Italsider, un compagno di Programma Comunista che lavora in questa fabbrica ci ha rimproverato di aver venduto tra gli operai il nostro opuscolo “I sindacati contro la classe operaia”. Questo compagno, che era stato alla testa di quelle lotte, diceva che il nostro intervento provocava una radicalizzazione immatura.
A parte il fatto che questo giudizio sul nostro intervento getta una certa ombra su quello di Programma (in fabbrica non si era mai parlato del ruolo dei sindacati?), il compagno comunque si sbagliava. Nella successiva fase calda di gennaio, nella manifestazione del 12 in cui i sindacalisti non riuscivano a parlare per le urla della folla inferocita, gli operai sotto il palco hanno colto nel titolo del nostro opuscolo ciò che enucleava e spiegava la situazione del momento e in parecchi insieme a noi hanno sbandierato “I sindacati contro la classe operaia” contro i sindacati.
Una grande vittoria della nostra organizzazione? Gli operai aderivano alle nostre posizioni? Niente di tutto questo, nella maniera più assoluta. Solo la dimostrazione, viceversa, che oggi si può e si deve osare; non si può più essere timorosi nei confronti della classe. Il compagno di Programma sicuramente sarà riconosciuto dai suoi compagni dì lavoro come un grande combattente della classe. Ma qual è il ruolo di avanguardia politica che Programma svolge attraverso di lui?
Ma c’è di più. Nello stesso sciopero di gennaio i vari gruppi politici presenti a Napoli (Programma, CIM, … autonomi ... e trotzkisti della LSR) più l’area di compagni che fanno capo ad alcuni collettivi politici, hanno pensato, dopo la prima manifestazione del 12 che era stata caratterizzata da una decisa combattività, di coordinarsi fra di loro per un intervento comune attraverso un manifesto, un volantino ed uno striscione dietro al quale raggrupparsi. Ora, se il manifesto e il volantino, con la pretesa di mettere tutti assieme, finiva per essere generico e poco efficace, quel che è peggio è che il compattarsi tutti dietro lo stesso striscione nella successiva manifestazione del 18 ha comportato un auto isolamento nei confronti degli stessi operai. Tanto che, quando un gruppo di operai si è separato dal corteo per dar luogo a una propria manifestazione alternativa, questo coordinamento di gruppi lo ha seguito fin sotto la Prefettura dove però lo ha abbandonato per andare a fare una riunione come ... prendere contatti con gli operai. C’è da non crederci!
La nostra organizzazione, che pur dando un contributo di analisi sullo stato dalla lotta di classe in Italia in una prima riunione di questo coordinamento ha ribadito il proprio rifiuto di farvi parte, è intervenuta alla manifestazione con un volantino dal significati titolo “4 ore di sciopero ‘generale’ non servono a niente”. Il fatto che in questo volantino si ponevano le domande a cui ognuno degli operai presenti bene o male stava pensando è stato dimostrato sia dai commenti numerosissimi che abbiamo raccolto, sia dal fatto che ognuno dei militanti della nostra organizzazione ha potuto coagulare intorno a sé parecchi capannelli di operai che discutevano con noi dei problemi del momento e su come andare avanti.
Per ironia della sorte, nelle ultime due occasioni del l° maggio e della giornata di sciopero del 27 maggio a Napoli, la nostra organizzazione, quella che “non si sporcherebbe le mani intervenendo nella lotta di classe” è stata l’unica organizzazione rivoluzionaria presente con un suo volantino e la sua stampa politica, mentre un compagno di Programma, presente il 1° maggio, distribuiva un insulso volantino del ... “Comitato familiari detenuti politici”.
Ancora una volta quindi rispondiamo a quelli che ci chiedono guanti operai abbiamo nella nostra organizzazione (quasi si trattasse di trofei di caccia) che il nostro obiettivo principale non è acquisire qualche operaio in più nella nostra organizzazione (non che la cosa ci dispiaccia, naturalmente), ma svolgere un intervento efficace nei confronti di tutta la classe. Ed i nostri volantini, le riviste che vendiamo, le discussioni che sviluppiamo tra gli operai alle manifestazioni e sotto le fabbriche, pur costituendo solamente un minimo di intervento, ci sembrano tuttavia quanto mai concreti, almeno per le centinaia di operai che, leggendo i titoli dei nostri volantini o parlando con noi hanno detto: “è quello che pensavo anch’io”.
La questione quindi non è intervento nella classe sì, intervento no, ma quale intervento. Le recenti lotte in Italia hanno dimostrato che sono presentì nella classe un processo di riflessione e una serie dì nodi politici da risolvere; per noi l’intervento dei rivoluzionari deve cercare di favorire la maturazione di questa coscienza piuttosto che cercare facili, ma effimeri, successi immediati. Che ci sia molto da fare è evidente, ma si tratta anche di farlo bene.
Ezechiele
[1] Vedi su questo
argomento il nostro articolo “A proposito del ... Comitato di difesa
proletaria” pubblicato sul n°24 di Rivoluzione Internazionale, disponibile
anche come “volantone”.
Grazie ai Consigli ed alla falsa opposizione vertici-consigli, il sindacato è riuscito per una decina di anni a tenere la situazione sotto controllo, recuperando quasi tutte le minoranze che in questa o quella occasione mettevano in discussione il suo ruolo.
Quando poi la crisi ha stretto i freni e lo spazio di contrattazione disponibile per i Consigli di Fabbrica, la parola d’ordine della Sinistra Sindacale è stata: “Solo difendendo la democrazia dei Consigli, gli operai saranno capaci di ritrovare la via della lotta di massa”.
Questa storia è riuscita ad imbrogliare gli operai finché non hanno lottato. Il Gennaio 1983, con la sua ondata di lotte a livello nazionale, rappresenta uno spartiacque netto rispetto a tutto questo, segnando l’inizio della fine dei mito dei Consigli. Nonostante tutte le declamazioni “rivoluzionarie” dei delegati dei CdF (“il sindacato siamo noi operai!”), gli operai hanno visto con i loro occhi che non sono stati i consigli di fabbrica a scatenare l’esplosione operaia, ma l’iniziativa operaia a costringere molti CdF alla corsa al recupero. I Consigli non sono stati la testa e il cuore della sfida operaia all’apparato sindacale, ma la lunga mano dell’apparato sindacale, pesantemente calato sulle lotte operaie.
Che cosa significa tutto questo, che il sindacalismo di base ha ormai fatto il suo tempo? Sarebbe una gran bella cosa, ma non è il caso di farsi illusioni: quanto più gli operai imparano dalle sconfitte e si fanno furbi, tanto più il capitalismo ha bisogno di servi capaci di farsi passare per difensori degli operai e di riportare la lotta operaia nelle secche del sindacalismo. Tutto quello che succederà - ed è importante averlo ben chiaro - è che per acquistare credibilità di fronte agli operai i sindacalisti di base saranno sempre più costretti a lavorare sia dentro che fuori i sindacati ufficiali e, se necessario, anche fuori e contro i sindacati ufficiali.
Basta guardare all’evoluzione di una forza come D.P., nata per portare a votare anche quei compagni che si schifavano di votare PCI. Oggi D.P. continua in questo suo nobile compito di raccattapalle del tennis parlamentare, ma la sua vera funzione non la svolge al Parlamento (dove non è stata neanche presente in questa legislatura) ma in organismi come il Comitato Cassa Integrati dell’Alfa[1].
In che modo con questo comitato si sono ingabbiati gli operai? Separandoli dagli altri, facendogli credere che ci possano essere interessi di settori di operai diversi da quelli di tutti gli altri. Ma se la trappola ha funzionato, è solo perché esso si è presentato come totalmente autonomo ed indipendente rispetto alla stessa ala sinistra dei sindacato, classica dimostrazione di come quando gli operai sono incazzati con il sindacato ufficiale, c’è quello di riserva pronto a presentargli una nuova trappola.
Oggi non è raro trovare militanti di DP che, senza battere ciglio, dichiarano che il sindacato attuale “si è fatto istituzione” (è un modo elegante di dire che si è integrato nello Stato) e che non ci si può fare nessuna illusione di recuperarlo.
Quello che ci preoccupa veramente è che nell’attuale situazione, che vede un grande risveglio di attività da parte della classe e un crescente distacco dai sindacati ufficiali, anche se portandosi tuttavia appresso ancora tante debolezze, anche i gruppi proletari si trovano in ritardo rispetto ai tempi, ed invece di rispondere alle reali esigenze della lotta di classe ne raccolgono ed esaltano le illusioni, finendo per fare un ottimo servizio alla borghesia.
Un giornale come Operai Contro[2] è un buon esempio della tendenza a sbandare per l’illusione di poter acchiappare più operai con un’organizzazione più formalizzata:
“Perché non associare i primi operai che si sono resi conto che non possono fare più affidamento su nessuno in un’organizzazione con propri statuti, regole di partecipazione, un proprio sistema di finanziamento, un metodo di lavoro comune in cui le poche ore che ogni operaio può mettere a disposizione per l’attività rendono al massimo la possibilità di esprimere il modo di vedere degli operai su ogni questione sociale con precisione e continuità?” (Operai Contro n°11).
Dopo tante chiacchiere sulla “organizzazione politica degli operai”, quello che si finisce per proporre è un’organizzazione che faccia il lavoro che il sindacato non fa più, e cioè un nuovo sindacato di classe. A parte gli aspetti caricaturali di tessere e bollini, additando come prospettiva il fatto che “gli operai che eletti entreranno a far parte dei CdF non andranno più scoperti in modo individuale a sostenere lo scontro, ma si saranno prima accordati con gli altri ed avranno deciso la posizione da tenere” (O.C. n.9). Operai Contro non fa che dare nuova vita alle declinanti illusioni degli operai sulla possibilità di difendere i loro interessi all’interno dei CdF. Nel momento in cui tutta una serie di avanguardie di fabbrica inizia a porsi delle domande sui limiti di una lotta che non rompa con il sindacato, Operai Contro li richiama indietro, agli eterni progetti di una “forza organizzata” che a livello nazionale faccia “sentire il suo peso” nei CdF. In altre parole un’ennesima edizione dell’Opposizione Operaia, come se non ci bastassero tutte quelle già proposte da DP e soci.
La tendenza a “coprire gli spazi” lasciati liberi dal sindacato trova una delle sue espressioni più chiare e consapevoli nel giornale Agit-Prop[3].
“Senza una rete nazionale di comitati, senza una educazione a condurre in termini di classe la lotta sindacale - si, compagni, anche quella manca o è limitata a causa del riformismo straccione e l’insipienza dei rivoluzionari - la spontaneità delle masse mostra la corda e non è in grado di opporre niente (...) Per noi rivoluzionari, per noi operai di avanguardia si apre uno spazio enorme: la difesa degli interessi elementari rimane sempre più affidata a noi, e noi dobbiamo assumerla come uno dei nostri compiti necessari oggi. Chi non capisce questo è inutile che si tinga le penne di rosso violetto. Non serve a nessuno e meno che mai al proletariato.” (Agit Prop III, n°0, Marzo-Aprile 83).
In questo caso l’illusione consiste nel fatto che ci si possa inserire in una logica di lotta sindacale, mantenendo però la capacità di delimitarsi rispetto alla sinistra del capitale, DP inclusa, cogliendo ogni “occasione per mostrare ai lavoratori quale razza nefasta di conciliatori piccolo-borghesi essi siano”. Ancora una volta si procede recitando versetti di Lenin tipo Vangelo, attribuendo ai sindacati una natura operaia immutabile, appena guastata da “l’esercito di 50.000 funzionari che hanno una precisa base sociale nell’aristocrazia operaia”. Gli operai non avrebbero che da strapparsi alla influenza di questo manipolo di “aristocratici!” e la via al sindacato di classe sarebbe aperta. Il fatto che negli ultimi 60 anni non si sia riusciti a costruire un solo sindacato che non si integrasse immediatamente nelle strutture dello Stato, non turba minimamente i redattori di Agit-Prop. Se Lenin ha detto che funziona, prima o poi deve funzionare.
Per quanto grandi siano i limiti e ritardi dei gruppi provenienti dalla tradizione della Sinistra Comunista, ed in particolare della Sinistra Italiana, bisogna riconoscere che l’accelerazione del movimento sociale non è stata senza effetto per loro. Se si fa una panoramica su questa corrente si vede che nel giro di due o tre anni non è rimasto più nessuno a sostenere la riconquista dei sindacati confederali sia pure come ipotesi improbabile. Se per alcuni di questi gruppi questo riconoscimento (con 60 anni di ritardo) sembra essere venuto un po’ come una subitanea folgorazione (Rivoluzione Comunista ha scoperto la definitiva integrazione dei sindacati nell’economia di guerra dello Stato borghese in data 22 gennaio 1983), per altri si è accompagnato con lo sforzo di elaborare un’analisi credibile del cambiamento di natura dei sindacati. In particolare i Nuclei Leninisti Internazionalisti hanno cercato di trovare un nuovo equilibrio integrando le posizioni classiche della Sinistra Comunista Italiana con le osservazioni di Trotskij sulla natura dei sindacati nell’epoca della decadenza del capitalismo[4].
Piccole revisioni di questo tipo potrebbero mantenere la barca a galla, se la controrivoluzione fosse così gentile da restare ferma dove era mezzo secolo fa. Ma anche i gruppi della sinistra del capitale sentono il vento e si adeguano. Chi - in particolare Programma Comunista -pensa di avere fatto chissà quale audace salto rivoluzionario dichiarando che “in prospettiva” il suo lavoro si svolgerà sempre fuori dai sindacati attuali, non ha che da andarsi a leggere le Tesi sindacali di un gruppo chiaramente controrivoluzionario come il trotzkista GOR[5]:
“Quando soltanto una minuscola parte degli operai di avanguardia vive nei sindacati, allora la lotta per una tendenza sindacale costituisce una parte quasi insignificante della nostra battaglia complessiva”. (Il Comunista n.10, marzo 83) con tutti gli scossoni ed i riarrangiamenti subiti in questi anni, le posizioni della maggioranza dei gruppi rivoluzionari in Italia (e nel mondo) non sono sufficienti a costituire una chiara barriera contro 1’infiltrazione nel movimento operaio di un nuovo sindacalismo di base, cento volte più pericoloso di quello precedente, perché capace di vestire panni anti-sindacali, quando occorra. Perché questa manovra della borghesia sia sventata è indispensabile che dovunque la voce dei comunisti possa raggiungere settori operai, si esprima già da oggi con una denuncia implacabile di quello che domani apparirà chiaro agli occhi di milioni di operai.
Beyle
[1] Vedi “II Comitato Cassintegrati Alfa... facente funzioni di sindacato” in Rivoluzione Internazionale n°29.
[2] Operai Contro, c.p. 17168, 20170, Milano Leoncavallo.
[3] “Agit-Prop, giornale per l’organizzazione comunista operaia rivoluzionaria”, c/o Centro di Documentazione via D’Aquino 158, 74100 Taranto.
[4] Vedi l’articolo su “I Nuclei e la questione sindacale” in Rivoluzione Internazionale n. 26 e 28.
[5] Gruppo Operaio Rivoluzionario c/o L. Fucchi, C.P. 1022, 10100 Torino. La sua natura controrivoluzionaria è definita dallo spartiacque decisivo del disfattismo rivoluzionario: il GOR è per la difesa incondizionata dell’URSS e per il sostegno critico dell’invasione dell’Afghanistan.
Dall’inizio del secolo, la tattica della lotta di classe quotidiana e rivendicativa non è variata in niente.
Sempre alla caccia del minimo incidente tra salariati e padroni, i militanti hanno cercato soprattutto di stabilire una scala di rivendicazioni economiche che potessero essere comprese dalle “pance operaie”.
Ci spiegheremo meglio. Per i militanti i lavoratori possono comprendere solo i problemi legati alla sopravvivenza quotidiana, mentre non sentono nessun problema sociale o politico.
Poiché questo stadio della lotta di classe non supererà mai la fase capitalista della società attuale - dato che le rivendicazioni non esprimono in realtà che una contrattazione tra chi possiede la forza lavoro, gli operai, e chi la compra, i padroni, mercato normale in un’economia di scambio capitalista - sembra non esistere alcun mezzo per far comprendere alla massa operaia la relazione che deve fare tra la lotta economica quotidiana e il suo scopo politico e sociale.
I nostri bravi militanti si rifanno allora, come ad una formula magica, al principio secondo il quale attraverso delle lotte quotidiane, fatalmente, la classe arriverà a capire - sempre attraverso la sua “pancia” - i problemi politici di classe.
Questa tattica non solo esprime un’incomprensione della lotta di classe, ma non riesce nemmeno a tener conto né dei periodi di lotta né delle situazioni contingenti.
La lotta quotidiana contiene in se tutti gli elementi che permettono di denunciare gli abusi della società capitalista attuale, ma soprattutto di rivelare e far comprendere alla classe operaia sia le leggi dell’economia borghese che quelle che la condurranno a scavare la propria fossa. Nella lotta quotidiana molto spesso si mettono avanti solo gli elementi che denunciano gli abusi della presente società. Insistendo su questo piano, nel lavoro di propaganda giornaliero, non si va oltre il livello delle “pance operaie”.
Ciò che è comprensibile per i lavoratori è la loro condizione di vita. Ogni giorno essi si rendono conto della propria miseria. Se ci si limita a mostrare loro solo l’aspetto esteriore dell’abuso che causa la loro miserabile condizione, essi saranno sì portati a riflettere con la propria testa, ma non coglieranno il fatto che, e qui non c'è nessuna fatalità che potrà guidarli, nella società capitalista la loro condizione resterà sempre misera quali che possano essere gli aggiustamenti dei soprusi.
Engels aveva ragione nel dire che il servo era capace di riconoscere la parte del suo lavoro che spettava al signore, mentre all’operaio, quando alla fine di una giornata di lavo ro riceve il salario, risulta impossibile sapere se è stato pagato per otto o quattro ore.
Questo aspetto del sistema capitalista è una vera arma contro il proletariato, soprattutto quando è lo Stato a diventare il capitalista. Se 1’avanguardia si piega al livello della lotta sindacale, si batte e si difende sul terreno capitalista. E su questo terreno è sicuramente battuta perché la borghesia, attraverso i suoi partiti, è capace di offrire di più sul piano verbale e nominale (aumento dei salari, lavoro a cottimo, efficienza, nel sistema capitalistico sono sinonimi di aumento del costo della vita ad un valore superiore).
Un’arma temibile contro la borghesia è al contrario l’azione dell’avanguardia quando, pur denunciando in ogni lotta gli abusi del sistema di produzione e mettendo avanti la necessità di lottare contro la condizione di miseria degli operai, spiega - a chiare lettere e con forza - che il sistema attuale è gravido di nuove miserie per i lavoratori, e non per il solo spirito di lucro dei padroni ma perché il sistema prepara la propria tomba dal punto di vista economico, e quindi sociale e politico; quando spiega che il compito della classe operaia non è quello di lasciarsi trascinare nella voragine capitalista, ma al contrario quello di reagire contro la miseria ponendo la sola soluzione di classe: la Rivoluzione.
E’ su quest’ultimo aspetto della lotta quotidiana che 1’avanguardia deve basare il suo lavoro di propaganda e di agitazione. Il proletariato è pienamente capace di comprendere sia la portata politica della sua lotta che quella economica. Questa comprensione non è funzione del livello intellettuale delle masse, ma di due fattori ugualmente importanti, benché il seconde dipenda dal primo:
Ecco perché diciamo che i militanti oggi non tengono affatto conto del periodo e della congiuntura del momento.
Da tempo conosciamo organizzazioni, quali il PCInternazionalista, l’Union Communiste e la Frazione Francese della Sinistra Comunista[1], che fanno l’esperienza quotidiana di raccattare qualche operaio su delle parole d’ordine economiche per vederli poi disinteressarsi e sparire quando queste organizzazioni si svelano politicamente. Un fatto dunque dovrà essere acquisito: se gli operai non comprendono l’aspetto politico delle loro lotte, può darsi che il nostro metodo sia sbagliato, ma il loro lo è sicuramente dato che attraverso delle semplici rivendicazioni economiche non sono riuscite a radicalizzare i pochi operai che vi si sono avvicinati.
Certo, “il nostro metodo poteva essere sbagliato” soprattutto se non si tiene conto della situazione oggettiva presente. Il problema attuale - e ogni lotta politica è assurda e opportunista se non ne tiene conto - non può essere quello di disputare l’influenza sulle masse lavoratrici ai partiti che hanno tradito la classe, ma di organizzare e formare gli elementi più avanzati nella classe operaia.
Non è un desiderio che noi esprimiamo, ma una conseguenza di un fatto da nessuno ignorato: la classe operaia si trova in una situazione di riflusso che la consegna, legata mani e piedi, alla borghesia.
Si può non accettare questa situazione, gettarsi contro la corrente e tentare di far sentire la voce rivoluzionaria in ogni lotta del proletariato.
Si può anche credere di avere molta volontà ed essere molto forti per dare il colpo di timone alla situazione di riflusso. Così ragionano i gruppi trozkisti e simili.
Poiché la loro influenza sulle masse è quasi nulla, utilizzano delle astuzie da Sioux, nascondendosi, rivelandosi il meno possibile, addolcendo le loro parole d’ordine politiche, credendo così di essere ascoltati dalla classe e all’ultimo momento si rivelano ... davanti a una sala vuota. Con pazienza, ricominciano da capo, ma addolcendo ancora di più l'azione politica e quotidiana, fino al giorno in cui, senza rendersene conto, invece di raddrizzare il timone, si ritrovano piuttosto trascinati dalla corrente in riflusso.
Il risultato, nel primo caso, è la formazione di nuclei di operai coscienti che si raggruppano e si organizzano in ogni fabbrica: la loro azione alla luce del giorno può, alla lunga, risvegliare le masse dalla loro apatia, grazie al lavoro di propaganda politica nelle lotte economiche.
Nel seconde caso, si è così pressati nel tentativo di trasformare i propri desideri in realtà, che si cade nell’opportunismo.
Tra queste due vie noi scegliamo la prima, la sola rivoluzionaria.
Pertanto la nostra azione quotidiana deve orientarsi verso l’analisi economica e politica degli avvenimenti e della situazione in generale.
Il problema delle cosiddette tappe che dovremmo far superare agli operai è un falso problema. Noi non siamo degli educatori e la classe operaia non è un’immensa classe di bambini. Soni i gruppi opportunisti che si danno come compito di sperimentare questa o quella parola d’ordine transitoria, un po’ alla maniera degli istituti Gallup. Questi gruppi riempiono i loro giornali di parole d’ordine di azione per darsi l’illusione di dirigere vasti movimenti di classe che esistono solo nella loro immaginazione. Illusione che continua ad esistere solo in ragione del loro accresciuto opportunismo.
Seconde noi questo metodo non fa avanzare di un passo il movimento operaio nel periodo attuale e non risolve nessuno dei problemi che sono alla base di ogni maturità storica delle masse lavoratrici.
Alla Renault o in qualsiasi altra fabbrica, se si dovessero presentare dei movimenti rivendicativi degli operai, noi metteremo 1’accento sull’aspetto politico del problema, piuttosto che lottare, demagogicamente, per giocare al rialzo sulle rivendicazioni economiche.
Il nostro è un lavoro di propaganda; dobbiamo dimostrare agli operai che il regime capitalista non può che ridurre sempre di più il loro livello di vita. Le rivendicazioni, anche soddisfatte, provocano, a breve scadenza, delle manovre finanziarie che le riduco no a niente.
La lotta degli operai diventa non una lotta per una soddisfazione immediata, ma una volontà costante di opporsi alla fame che la borghesia, malgrado la sua “filantropia”, non può non offrire ai lavoratori.
Questa opposizione in se stessa sarà sterile se al contempo non si fa comprendere la necessità per la classe operaia di passare dalla opposizione difensiva all’offensiva rivoluzionaria.
Il lavoro è lungo e duro: si tratta di tessere il piano della propaganda rivoluzionaria. Questo piano non si può affettare come un salame, ma forma un tutto indivisibile. E’ la sola garanzia di un lavoro effettivo e positivo.
Sadi
[1] L’Union Communiste, scissione del trotzkismo, visse fino alla fine della guerra con alterne vicende politiche. La Frazione Francese della S.C. era l’affiliata francese del PCInt. subito dopo la sua fondazione. Per ulteriori notizie vedi “La Sinistra Comunista d’Italia”, disponibile al nostro indirizzo (n.d.r.).
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Cari compagni, dal vostro documento emergono alcune ben precise critiche al Gruppo Operaio Fiat su cui siamo in buona parte d’accordo e che si possono cosi puntualizzare:
1. il coordinamento dei gruppi operai di fatto non esiste; ogni gruppo non sa cosa fa o che pensa un altro gruppo. Questo coordinamento esiste solo a livello di alcuni individui che lavorano nei vari gruppi. Non è un caso, aggiungiamo noi, che questi individui fanno parte di “Operai e Teoria”;
2. il giornale “Operai Contro”, gestito ufficialmente dal Coordinamento, “sta sempre più diventando il posto dove i compagni più preparati politicamente ci fanno gli articoli teorici sulle grandi questioni, mentre gli altri ci scrivono le corrispondenze dalle fabbriche”;
3. esiste una forte disomogeneità politica nel gruppo operaio Fiat che “viene a galla con chiarezza non appena nel giornale cominciano ad apparire articoli che non sono solo più la critica alla piattaforma sindacale ma arrivano a prendere posizioni più générali, tipo le lotte in Polonia, in cui si afferma che l’ala radicale di Solidarnosc è quella marxista-leninista e di fatto si appoggia questo sindacato attaccando solo l’ala moderata di Walesa. Oppure l’articolo sulla Palestina in cui di fatto si appoggia l’O.L.P. (...);
4. “il problema della crescita politica dei compagni è una questione di cui tutto il coordinamento deve farsi carico, perché non si tratta di studiare e di sapere delle cose, si tratta soprattutto di confronto, di discussione, ecc.”;
5. “non deve più succedere che su avvenimenti così importanti, come le lotte nazionali, una parte dei compagni non sa che posizione prendere, altri invece lo sanno benissimo e infatti prendono posizione sul giornale, ma è una posizione che non fa gli interessi degli operai, ma entra nelle fabbriche e fa agli operai stessi un pessimo servizio.”;
6. “di fatto si agisce come uno dei tanti e tanto disprezzati gruppi politici con la differenza che al nostro interno non c'è la stessa omogeneità che esiste in un gruppo a cui la gente aderisce sulla base di una piattaforma”.
Dalle riflessioni che voi sviluppate appare chiaro un elemento: c'è chi campa sull’isolamento dei vari gruppi operai e sulla disomogeneità che esiste all’interno di ognuno di essi, e si tratta per l’appunto degli individui che fanno capo ad “Operai e Teoria”. Questo gruppo, nato col vessillo della difesa intransigente della classe operaia ma inquinato da pesanti eredità staliniste, ha finito per imporre la propria dominazione gerarchica su questi gruppi soffocandone la discussione interna: in questo modo i gruppi operai che facevano capo al “Coordinamento di Sesto S. Giovanni”, o almeno quello che ne rimane, costituiscono la divisa mimetica con cui “Operai e Teoria” si presenta all’esterno, riproponendo l’ennesimo mascheramento di un gruppo politico dietro una struttura “di base”. Ma attenzione. Non ci si può limitare a criticare 1’atteggiamento opprimente di Operai e Teoria e continuare a difenderne le posizioni politiche. L’operaismo sfrenato con cui si è presentato questo gruppo, le contorsioni sugli strati bassi del proletariato, ecc. hanno finito per essere, bene o male, le vostre posizioni. Qual è il bilancio che ne tirate? Intanto una cosa possiamo dire ai compagni: di andarsi a rileggere le posizioni sviluppate da Operai e Teoria sull’aristocrazia operaia e sul ruolo centrale ed insostituibile degli operai come artefici in prima persona della loro teoria e della loro organizzazione, alla luce del vergognoso “appello agli intellettuali” (intellettuali tra 1’altro di matrice “autonomia”) che appare nel manifesto di convocazione del suddetto convegno (1). Che passi da gigante hanno fatto gli accaniti difensori degli “strati bassi del proletariato” nel giro di qualche anno!
Ma al di là di Operai e Teoria, come potrebbe realmente funzionare un gruppo operaio e un coordinamento di gruppi operai? La vostra risposta appare molto chiara: una struttura operaia, per poter lavorare seriamente, ha bisogno che ogni singolo compagno sappia coprire i vari piani, dallo scrivere “un articolo sulla guerra alla ciclostilatura”. Occorre quindi un processo di maturazione e di omogeneizzazione sui punti politici fondamentali (e citate quasi tutti i punti della nostra piattaforma). In più, perché sia possibile il massimo di discussione e di interazione fra vari gruppi operai, proponete delle riunioni di coordinamento ogni uno o due mesi e la stampa di un regolare bollettino interno. Tutto ciò nella prospettiva “che non ci siamo mai nascosti, di mirare all’unificazione di tutti i gruppi operai in un’unica organizzazione, certo questo non sarà nell’immediato, sarà frutto della discussione, del confronto e della chiarificazione che ci sarà tra i gruppi e all’interno dei vari gruppi”.
Ora, cari compagni, forse non ve ne rendete conto, ma avete fornito tutti gli elementi per caratterizzare “uno dei tanti e tanto disprezzati gruppi politici”: criterio stretto di militante che deve rispondere su tutti i piani; omogeneità politica all’interno del coordinamento su tutte le questioni fondamentali, che corrisponde all’acquisizione di una piattaforma politica comune; strumenti di discussione interna quali bollettini e riunioni periodiche; strumenti di intervento politico quali il giornale, i volantini, ecc. Tutto ciò corrisponde esattamente alla definizione formale di un gruppo politico. Dove sta la differenza dagli altri gruppi politici? Nel fatto che questo sarebbe costituito tutto da operai a partire da esperienze operaie. In questo modo compromettete tutte e due le cose: il concetto di gruppo operaio e quello di gruppo politico.
Se per gruppo operaio si intende una struttura che serve agli operai per incontrarsi, discutere, chiarirsi le idee sui problemi della loro vita di salariati e delle loro lotte, questa struttura non può che essere aperta a tutti gli operai e non può soffrire la restrizione che di fatto voi ponete con la richiesta di una omogeneità politica globale. Ammesso che venga raggiunta questa omogeneità fra tutti voi, infatti, un nuovo compagno a quel punto potrebbe fare parte effettiva del gruppo solo dopo aver raggiunto la stessa omogeneità.
Quindi il vostro concetto di gruppo operaio è niente altro che quello di un gruppo politico col marchio DOC della classe operaia, tradendo invece l’esigenza che ha la classe di propri momenti e luoghi di confronto e dibattito per sviluppare la propria azione di lotta o decantare alcuni elementi di riflessione. Non è una caso che in occasione dei momenti caldi a Torino, Milano, ecc., questi gruppi operai sono stati sistematicamente ignorati e ricoperti dall’onda della lotta operaia.
Ma lo stesso concetto di gruppo politico cui voi volete giungere è falsato in partenza da una pericolosa impronta operaista. Intanto, per coerenza, che ci fa tra di voi un ben noto personaggio, di professione insegnante di scuola? Forse che i professori sono negli strati bassi del proletariato? D’altra parte, per chi si rifà al marxismo e a Marx, tenga presente che il buon Federico Engels era un padrone di industria e il bravo Marx è stato a lungo mantenuto dal primo, e che nessuno dei due è mai stato operaio. Non parliamo poi di Lenin e di tutti gli altri... Tutti i migliori rivoluzionari della storia hanno fatto di tutto tranne che gli operai. Viceversa gli operai tipo Walesa in Polonia o lo storico Noske in Germania risultano essere tra i più infami traditori della classe operaia. Il problema a livello di una singola persona o anche di un insieme limitato di persone (come nel caso di un gruppo politico) non si pone mai a livello di collocazione sociale dei singoli individui, che in sé non costituisce alcuna garanzia, ma di adesione ad un programma politico.
Tiriamo allora le somme. La struttura operaia che voi avete sperimentato, come tante altre, ha avuto, nella sua fase iniziale, una vita reale ed ha costituito un’occasione effettiva di incontro e di discussione tra compagni con esperienze diverse. Ma con 1’andare del tempo, inevitabilmente, questa struttura ha finito col perdere i connotati iniziali per trasformarsi via via in un mezzo gruppo politico.
Adesso voi vi rendete conto di stare a metà strada e volete giustamente portare a termine il processo con la costituzione di una vera organizzazione politica omogenea e con le idee chiare sul da farsi. Sta bene, ma siete sicuri che con le divergenze che vi caratterizzano riuscirete a costituire tutti un’unica organizzazione politica? O ancora, è proprio certo che tutte le persone adatte o disponibili a costituire questa organizzazione si trovino nel gruppo Fiat o anche nel Coordinamento dei gruppi operai? Ma soprattutto, è proprio certo che non si può attingere nulla dai “tanti e tanto disprezzati gruppi politici”, del presente e del passato?
Un requisito preliminare di serietà politica che si impone a chi si accinge a costituire un nuovo gruppo politico è una critica politica precisa dell’inadeguatezza dei gruppi già esistenti. L’avete già svolto questo lavoro? Non ci pare. E se il carattere di novità che volete introdurre sta tutto nel fatto della composizione esclusivamente operaia del gruppo politico, non solo vi legate mani e piedi ad una formula sbagliata, ma compromettete tutto il vostro lavoro.
Noi crediamo infatti che esista una differenza profonda tra gli operai considerati singolarmente e la classe operaia nel suo movimento storico e reale all’interno della società. Chi vive nelle fabbriche sa bene qual è il grigiore e l’apatia, a volte 1’opportunismo, che caratterizzano tanti operai. Eppure sono questi stessi operai grigi, apatici e opportunisti che sono destinati a fare la rivoluzione, e non solo questo, ma anche a dirigerla politicamente e a creare una nuova società. Come si spiega questo miracolo? Che in un caso gli operai atomizzati vivono da soli tutto il peso della società borghese, nell’altro trovano nella lotta e nell’unità della classe la forza di contrapporvisi. Nella costituzione della nostra organizzazione politica noi abbiamo fatto riferimento alla classe come insieme, alle lezioni che ci ha lasciato la sua lotta storica, ed oggi operiamo per la sua riunificazione, processo che può realizzarsi solo nella lotta e attraverso un graduale riconoscimento dei propri unici interessi di classe. Nel fare questo non ci siamo curati di quanti operai fossero presenti nella nostra organizzazione, ma solo del fatto che la nostra piattaforma e il nostro lavoro fossero inseriti nel solco degli interessi immediati e storici del proletariato.
Viceversa sembra che voi nutriate il progetto di formare un’organizzazione politica che si dice operaia perché contiene solo operai. E’ chiaro che voi intendete reclutare non i grigi, gli apatici, ecc., ma quelli dinamici, politicizzati. Va bene. E quand’anche 1’avete fatto cos’è che vi caratterizzerà politicamente: l’estrazione sociale dei singoli membri o non piuttosto una piattaforma politica? E questa piattaforma politica, qualunque essa sia, è forse oggi patrimonio dei singoli operai? Non ci pare, anzi tra gli operai è possibile trovare le posizioni politiche più disparate e, per lo più, questi risultano influenzati dalla ideologia borghese. Per cui dire oggi che la garanzia per un’organizzazione politica proletaria sta nella estrazione sociale operaia dei suoi militanti significa da una parte nascondere i veri problemi (definizione di una piattaforma, di un’analisi politica della situazione attuale, dei compiti del momento) e dall’altra alimentare la falsa illusione, presente tra alcuni di voi, che attraverso un’opera di lento convincimento questo primo nucleo politico di operai possa allargarsi fino a coprire la quasi totalità della classe operaia.
Il processo di unificazione seguirà viceversa una dinamica travolgente che si farà beffe di tutti gli schemi e i piani preparati a tavolino dai più arguti pensatori.
Sia ben chiaro, per finire, che la nostra posizione non ha nulla a che vedere con la calata di braghe di Operai e Teoria nei confronti degli intellettuali dell’autonomia. Nel caso nostro i militanti “intellettuali” hanno tradito la loro classe di origine per schierarsi politicamente e praticamente all’interno del fronte proletario. Nel caso di Operai e Teoria, degli operai rincoglioniti da anni di militanza stalinista, dopo averci recentemente rotto le scatole con il loro fanatismo operaista, propongono una collaborazione a degli intellettua1i non per farli aderire al fronte proletario, ma per utilizzarli come tali, come piccolo borghesi detentori di cultura. La classe operaia non sa che farsene della cultura della borghesia e dei suoi scrivani piccolo-borghesi. La classe operaia non scende a patti con nessuno, se la vuole spuntare.
O troverà al suo interno, con le sue avanguardie, la forza per spezzare la rete che le ha stretto intorno la borghesia, o non ci sarà alleanza tattica che tenga alla sconfitta definitiva.
Marzo ’83 Ezechiele
Da quando la crisi economica e la conseguente perdita di illusioni da parte operaia hanno reso impossibile ai sindacati organizzare a scadenze fisse manifestazioni nazionali di massa “per le riforme di struttura” o “per il Mezzogiorno”, nell’ambiente politicizzato sono andate sviluppandosi due tipi di reazioni. Da una parte il rimpianto per quelle belle manifestazioni di massa, che dagli “orfani” della sinistra sindacale sembra estendersi fino a qualche gruppo rivoluzionario. Dall’altra, nelle ali estreme del sindacalismo di base, si ha una specie di crisi di rigetto, per cui si rifiuta qualsiasi intervento nelle manifestazioni convocate dal sindacato[1] e si addita al pubblico disprezzo chi “ancora” vi interviene.
La polemica che ha recentemente opposto Operai Contro (n°29 e 30) e l’OCI (Che Fare n°5), polemica nata dalla critica su Operai Contro di un volantino dell’OCI che chiamava a partecipare ad una manifestazione sindacale, ci offre un buon punto di partenza per cercare di mettere un po’ d’ordine nella intricata materia. In questa prima parte dimostreremo essenzialmente il carattere demagogico dell’antisindacalismo di facciata con cui tanti sindacalisti di base cercano di rifarsi una verginità. Nei fatti la loro rottura col sindacato non è altro che la rottura con la necessità di fare i conti col sindacalismo, l’illusione che sia possibile evitare lo scontro frontale col sindacato. Nella seconda parte mostreremo come l’OCI sia ottimamente capace di criticare il falso antisindacalismo di quest’area, ma sia totalmente incapace di criticare il suo vero opportunismo verso i sindacati. Vedremo inoltre come la radice di entrambe le deviazioni si trovi nell’incapacità di comprendere che nella fase di decadenza del capitalismo il sindacato non è un alleato dello Stato borghese, ma una sua parte integrante. Ogni altra visione non può portare che a concezioni opportuniste e devianti (come organismi “operai-borghesi” o difensori di “aristocrazia operaia” o “ceti emergenti”) che - come vedremo - sono del tutto incapaci di recidere il cordone ombelicale con la piovra sindacale.
La dinamica attuale della lotta di classe: dalla dispersione alla unificazione
Tutta questa gente che fa l’estremista a chiacchiere, proclamando che non si deve andare a manifestazioni convocate dal sindacato, si guarda poi bene dal mettere in discussione il sindacalismo in quanto tale. Tutto quello che fa è allinearsi pecorescamente alla realtà immediata (i sindacati non organizzano più grandi manifestazioni sindacali e quindi noi ci disinteressiamo delle manifestazioni sindacali), senza fare il minimo sforzo per capire che cosa significa questa realtà, al di là dell’apparenza immediata.
Nei fatti ci si allinea alla propaganda padronale che da tre anni fa ogni sforzo per convincerci:
1) che l’economia sta uscendo dal tunnel e che la prosperità è alle porte;
2) che questo dipende dal fatto che gli operai hanno voltato le spalle alla “mania scioperaiola” dei sindacati.
Questo è quello che dicono i padroni. La verità è esattamente l’opposto: la più grave recessione economica degli ultimi venti anni è alle porte[2] ed i padroni lo sanno e sanno anche che il pericolo numero uno per loro resta un proletariato meno che mai in ginocchio e pronto a reagire violentemente contro i piani accelerati di tagli della spesa pubblica.
Scottati dalle prima risposte operaie dell’’83-84 i capitalisti hanno cambiato tattica cercando di evitare gli attacchi generali frontali, scaglionandoli il più possibile, disperdendoli nel tempo e nello spazio. Dal canto suo il sindacato ha fatto perno su questa manovra per organizzare la dispersione della risposta operaia, per frammentarla fabbrica per fabbrica, settore per settore, “evitando come la peste” ogni occasione che potesse mettere insieme proletari di differenti settori. L’esempio migliore di questa doppia tattica di dispersione padroni-sindacati ci è dato dall’Inghilterra, in cui i sindacati per un anno hanno impedito che lo sciopero dei minatori si estendesse ad altri settori, mentre lo Stato ha bloccato per tutta la durata dello sciopero ogni progetto di licenziamenti in altri settori, giungendo fino a concedere consistenti aumenti salariali ai ferrovieri per essere sicuro che non unificassero la loro lotta con quella dai minatori.
Queste tattiche, unite alla effettiva - e comprensibile - riluttanza operaia a “scioperare per niente”, hanno permesso ai borghesi di subissarci con fiumi di statistiche sui record negativi della lotta di classe, sul “numero più basso di ore di sciopero da 20 anni a questa parte”. Ma queste fanfaronate non debbono ingannarci. In primo luogo queste tattiche non sono riuscite ad impedire l’ondata mondiale di lotte, dall’Inghilterra alla Danimarca, dalla Spagna al Brasile. In secondo luogo il delicato gioco di equilibrismi per diluire la risposta operaia agli attacchi era possibile fin tanto che gli attacchi stessi erano diluiti. Questo è stato possibile finora, ma non lo è più: la degradazione sempre più evidente dell’economia guida USA mostra che il mito della ripresa non è più sostenibile e che il capitale non può più perdere tempo attaccando un pezzetto alla volta. Ancora tocca al Belgio servire da banco di prova per un attacco frontale (“Una operazione senza precedenti in un paese industrializzato” secondo il rapporto dalla Banca Mondiale), costi quel che costi. Tre mesi di lotte “senza precedenti” degli operai belgi hanno dimostrato che costa caro, molto caro. Ma il costo economico di un’ulteriore dilazione degli attacchi sarebbe tale che il capitale è ormai costretto ad accettare lo scontro aperto con gli operai.
Gli antisindacali di facciata, con le loro frasi tronfie di vuoto estremismo, proprio perché non hanno capito niente di quello che è successo negli ultimi tre anni, sono del tutto incapaci di vedere il cambiamento che sta per verificarsi sotto i loro occhi. L’esplodere di movimenti di massa come quello belga obbligherà i sindacati a organizzare manifestazioni imponenti per recuperare la combattività operaia, come quella di 200.000 operai il 31 Maggio a Bruxelles. Con quest’ira di dio che si prepara, i nostri ultraestremisti continuano a pontificare: “tanto alle manifestazioni sindacali non ci va nessuno”. Contenti loro …
L’intervento dei rivoluzionari non ha niente in comune con quello delle mosche cocchiere del sindacato
Per quello che ci riguarda, la nostra opposizione al sindacato poggia sulla base granitica della sua denuncia in quanto ingranaggio essenziale dello Stato borghese e non ha quindi bisogno di estremismi di facciata per risultare credibile. Forte di questa chiarezza, la CCI non solo interviene regolarmente nelle diverse manifestazioni sindacali, ma non esita a prendersi la responsabilità di invitare gli operai a parteciparvi in massa, quando ritiene che esista una dinamica operaia reale, che i sindacati vorrebbero cercare di controllare, e che può viceversa cogliere l’occasione della manifestazione per esprimersi e rafforzarsi. Ma già a questo punto si sentono le grida di sdegno dei nostri critici, più o meno in buona fede: “Trasformare le manifestazioni sindacali in reali momenti di lotta? Ma questa è la solita lagna di DP e degli altri reggicoda del sindacato!”. No, cari signori, si può fare confusione fra noi e DP solo se si vuole creare confusione fra gli operai e screditare le organizzazioni rivoluzionarie.
Per prima cosa il motivo per cui noi e DP interveniamo a queste manifestazioni è del tutto opposto. DP e soci della sinistra sindacale intervengono per cercare di modificare la “linea suicida” dei vertici sindacali, in modo da rafforzare il sindacato facendone “un sindacato combattivo. Questo è il miglior modo di combattere l’antisindacalismo” (volantino dei delegati di base delle miniere del Limburgo del 31/5/86). Noi comunisti interveniamo per far sì che le tendenze omicide degli operai verso il sindacato non siano un fuoco di paglia, ma si rafforzino e si consolidino attraverso il collegamento e l’unione dei vari settori proletari.
Noi non interveniamo nelle lotte accusando gli operai di non essere abbastanza radicali ed esigendo come primo passo la rottura definitiva col sindacato. Noi interveniamo prima di tutto per appoggiare la lotta, e per sostenere i mezzi e le scelte che permetterebbero di allargarla e rafforzarla, ma a questo punto non ci nascondiamo dietro un dito, facendo la proposta giusta ed aspettando poi che siano gli operai a rendersi conto da soli che il sindacato non la metterà mai in pratica. Fin dal primo momento diciamo apertamente ai lavoratori che la lotta si può estendere solo se si organizzano loro stessi per farlo, senza aspettare i sindacati, anzi accettando la realtà inevitabile di uno scontro tanto più duro coi sindacati, quanto più la lotta arriva ad allargarsi e a rafforzarsi.
A parte la denuncia aperta del ruolo controrivoluzionario dai sindacati, quello che permette di distinguere immediatamente le mosche cocchiere del sindacato dai rivoluzionari è che i primi vogliono applicare fino in fondo le consegne sindacali, vogliono percorrere fino in fondo la via indicata dai vertici, mentre i secondi indicano ai proletari una via diversa che scavalchi e demolisca le indicazioni smobilitanti dei vertici.
I comunisti non cercano di sfinire i settori più combattivi esaurendoli in scioperi isolati “ad oltranza”, ma dal primo momento danno ai settori più combattivi l’indicazione di andare a chiamare gli altri, di rafforzare la propria lotta estendendola ad altri settori, sottoposti al medesino attacco capitalista. E’ quello che hanno fatto i minatori dal Limburgo che, appena scesi in sciopero, sono andati in 300 ad un’assemblea di massa di ferrovieri di Bruxelles per difendere la necessità di scioperare insieme. Invece di esaurire le energie degli scioperanti in picchetti, fosse anche di massa, bloccati davanti alle fabbriche a guardarsi in faccia con la polizia, quello che ci serve sono dei picchetti di massa volanti, che si spostano da una parte all’altra, facendo partire in sciopero sempre nuovi settori (così all’inizio dello sciopero i minatori inglesi del Nord estesero il movimento ai pozzi del Galles, nel sud del paese; così i lavoratori del pubblico impiego di Bruxelles in sciopero si sono recati in massa a sostenere le fabbriche private che stavano entrando in lotta, come la FN-Liegi). Il rifiuto di estendere una lotta o l’estensione fatta solo a chiacchiere sono 1’indizio più sicuro per smascherare delle pretese avanguardie operaie cene veri sindacalisti di base.
I pochi esempi fatti finora bastano a chiarire che il nostro intervento alle manifestazioni sindacali non ha niente a che vedere con atteggiamenti opportunisti. E se qualche critico in mala fede fa finta di non saper distinguere tra comunisti rivoluzionari e mosche cocchiere del sindacato, i sindacati sanno invece distinguere benissimo e infatti non esitano a scatenare i loro servizi d’ordine non appena ci vedono.
Partecipare sì, partecipare no: un esempio concreto a Bruxelles
Di fronte all’enorme spinta all’unificazione delle lotte che si manifestava in tutto il paese i sindacati hanno deciso di utilizzarla, incanalando la combattività operaia in una mega-manifestazione il 31 Maggio a Bruxelles, in modo da sotterrare la lotta subito dopo. La CCI ha preso posizione denunciando il piano del sindacato e contemporaneamente chiamando gli operai a parteciparvi in massa per combattere in nodo organizzato le manovre di smobilitazione del sindacato. Questo appello ha ovviamente suscitato lo sdegno dell’intero ambiente rivoluzionario belga, che ci ha accusato di collaborare col sindacato per mettere fine agli scioperi. Allora vediamo un po’ che si doveva fare: boicottare la manifestazione, come qualcuno ha proposto apertamente e tutti hanno fatto nella pratica?
Ma questa manifestazione si teneva per volontà non del sindacato, ma dalle centinaia di migliaia di lavoratori che l’avevano votata all’unanimità in innumerevoli manifestazioni ed assemblee. Il fatto che il sindacato cercasse - ovviamente - di trasformarla in un funerale, non toglie niente al fatto che la manifestazione nasceva dalla volontà operaia di lottare insieme. Di fronte a questa volontà, espressione di una dinamica profonda all’unificazione, lanciare la parola d’ordine del “statevene a casa vostra” significava appoggiare, non combattere, la manovra di smobilitazione dei sindacati.
Non a caso, i sindacalisti di base di Cherleroi hanno raccomandato al settore di punta del movimento locale, i ferrovieri, di non andare a Bruxelles per protestare contro la moderazione dei vertici. Dietro il radicalismo di facciata si intravede chiaramente l’accordo di fatto con la preoccupazione dei vertici di impedire che i settori più combattivi si incontrassero alla manifestazione.
Contro queste manovre concentriche noi abbiano chiamato i lavoratori a scontrarsi apertamente con il piano di ripresa in mano sindacale e ad approfittare dell’occasione per stabilire contatti diretti fra operai di diversi settori e regioni. Alla prova dei fatti gli operai non sono arrivati ad organizzare autonomamente il collegamento fra i settori in lotta, ma la combattività da loro mostrata è stata più che sufficiente a sbriciolare i sogni di recuperare tutto da parte dei sindacati, come può ben testimoniare l’oratore ufficiale della manifestazione, che ha concluso il suo discorso gocciolante di coca cola tiratagli in faccia da un operaio.
Se gli operai più combattivi avessero lasciato campo libero ai sindacati, se i comunisti non fossero intervenuti con tutte le loro forze a sostenere le tendenze più avanzate fra i lavoratori, i sindacati avrebbero potuto contare su tutt’altro risultato.
Ma tutto questo è incomprensibile agli anti-sindacali di facciata, a coloro che odiano il none del sindacato, non la sua funzione antioperaia. Questa gente è dispostissima a battersi in prima fila per sostenere la tendenza operaia all’unificazione delle lotte, ma a condizione che i sindacati non si facciano vedere, che non contaminino con la loro presenza la purezza delle lotte operaie.
Aspettano la ripresa delle lotte, fiduciosi che questa si svilupperà liberamente ed autonomamente, senza mai dover fare i conti con le gabbie sindacali. Tutto il loro estremismo si riduce a questo, all’illusione di poter evitare uno scontro col sindacato che invece è inevitabile. Il Belgio ha appena dimostrato che il sindacato, invece di essere così gentile da scomparire alla ripresa delle lotte, si scatena letteralmente, moltiplicandosi per quattro e per trentadue, pur di mantenere un controllo ossessivo su ogni movimento della classe. Sarà capace di denunciarlo e combatterlo chi lo fa già da adesso, chi già da adesso non perde occasione per smascherare non solo i vertici sindacali, ma anche e soprattutto quelle tendenze sindacaliste che già oggi anticipano il comportamento del sindacato “radicalizzato” in periodo di lotte.
L’antisindacalismo di facciata come espediente per evitare lo scontro col sindacalismo di base
Difendere fino in fondo gli interessi della classe operaia significa scontrarsi, prima di tutto, con l’apparato di controllo statale sulla classe, il sindacato. Scontrarsi con i vertici sindacali è ancora rimanere a mazza strada: è anche e soprattutto con i loro “agenti nelle fila del movimento operaio” che bisogna scontrarsi, è con DP e soci, con la fitta rete di delegati “combattivi” che mantengono il contatto ed il controllo del vertice sulla base operaia. E qui cominciano i guai perché fare i conti con quest’area, per molte avanguardie, significherebbe fare i conti con se stessi. Il radicalismo di facciata con cui ad esempio le Rappresentanze sindacali di Base si dichiarano estranee al “falso dilemma se stare dentro o fuori del sindacato senza considerare che i lavoratori oggi, nel nostro paese, non hanno più il sindacato” (NOI, n°11, marzo ‘85) può, a prima vista, impressionare, ma solo “se non si considera” che sindacato non è solo CISL-UIL-CGIL, ma anche comitati cassintegrati, comitati per il SI al Referendum e tutta la multiforme realtà del sindacalismo di base. Da questa realtà sindacale le RdB, e tanti altri gruppi falsamente proletari, non stanno “fuori” per il semplice motivo che ne sono parte integrante. Sono gli stessi “estremisti” (Operai Contro, RdB, ecc.), che boicottano con disprezzo gli scioperi indetti dal sindacato, che poi corrono a quattro zampe a partecipare ai referendum-truffa indetti dal PCI per sviare gli operai dalla lotta. Si vede che l’unità fra gli operai è impossibile a realizzarsi in piazza, durante manifestazioni indette dal sindacato, ma è invece possibile, anzi scontata, quando gli operai sono isolati uno per uno nel chiuso di un seggio, ciascuno con il suo bravo pezzo di carta in mano. Gli stessi Gruppi Operai, che fanno riferimento ad Operai Contro, che sparano a zero sull’opportunismo dell’OCI, messa sullo stesso piano di DP, non trovano poi di meglio che organizzare manifestazioni congiunte con DP, quando si tratta di trascinare a forza gli operai a votare, votare, votare[3]. Non parliamo poi dei mangia sindacalisti che continuano regolarmente a scavarsi la loro nicchia di delegati nei CdF … per mettere in crisi il sindacato, ovviamente.
In conclusione, buona parte delle rotture col sindacato oggi in circolazione sono in realtà rotture con la necessità di fare chiaramente i conti con ogni forma di sindacalismo, sono alibi per riciclare lo stesso veleno sindacale sotto una facciata diversa.
A questo proposito è importante sottolineare che il logico complemento della falsa idea che ogni movimento in cui si immischi il sindacato sia anti-proletario, è l’altrettanto falsa idea che ogni organismo fermamente autonomo dal sindacato sia automaticamente proletario. Il risultato di queste illusioni è che molti compagni che arrivano finalmente a rendersi conto che “oggi è profondamente arretrato ed inutile militare nel sindacato”, pensano poi di aver fatto chissà quale passo avanti annunciando che d’ora in poi: “è necessario essere politicamente presenti in ogni tentativo di percorso organizzativo esterno al sindacato, anche se egemonizzato dalla sinistra sindacale e dai revisionisti”[4]. Ma questo modo di porre la questione rischia di falsarla fin dall‘inizio: gli operai intruppati in questi organismi sindacali alternativi, laddove esistono, non sono più proletari di quelli intruppati nei sindacati ufficiali. Il nostro lavoro militante deve tendere a strappare questi e quelli all’influenza borghese veicolata dalle varie forme di sindacalismo. L’alternativa per i comunisti non è dunque lavorare nei sindacati ufficiali o in quelli alternativi, l’alternativa rivoluzionaria al sindacato è stare fuori da entrambi, e lavorare verso i proletari che vi sono imprigionati. Come non c’è bisogno di essere delegati per intervenire alle assemblee e manifestazioni convocate dal sindacato, così non c’è bisogno di aderire alle RdB o ad altre formazioni parasindacali per difendere le posizioni di classe fra i proletari che le seguono.
Nei fatti l’incapacità di vedere che il sindacalismo di base è una semplice appendice al sindacato è strettamente legata all’incapacità di comprendere che il sindacato stesso non è che un’appendice dello Stato borghese. E’ quanto cercheremo di dimostrare in modo più approfondito nel seguito di questo articolo.
Beyle
[1] Vedi affermazioni tipo “uno dei pochi mezzi per far sentire la voce di chi dissente ... è di non partecipare agli scioperi per il contratto” o “molti operai hanno espresso la loro volontà di rompere col sindacato non collaborando in eventuali scioperi” (Operai Contro n°83, pp. 2 e 3).
[2] Vedi articolo sulla crisi economica mondiale in questo numero.
[3] Dibattito per il SI al Referendum organizzato da DP e Gruppo Operaio FIAT Trattori a Modena. Il manifesto di convocazione è orgogliosamente riprodotte su Operai Contro n°26.
[4] Intervento di “alcuni compagni di Firenze sul n°20 del Bollettino del Coordinamento Comitati contro la repressione”, citato nel che Fare n°5.
Nella prima parte di quest’articolo abbiamo mostrato il carattere demagogico dell’antisindacalismo di facciata con cui tanti sindacalisti di base cercano di rifarsi una verginità. Nei fatti la loro rottura col sindacato non é altro che la rottura con la necessità di fare i conti con il sindacalismo, l’illusione che sia possibile evitare lo scontro frontale con il sindacato (é il caso ad esempio di Operai Contro). Abbiamo anche mostrato come, invece, i rivoluzionari devono intervenire all’interno delle lotte (anche quelle gestite dal sindacato) per combattere il sabotaggio che di esse fa il sindacato e spingerle verso l’estensione, l’unificazione e l’autorganizzazione.
In questa seconda parte mostreremo come l’OCI sia ottimamente in grado di criticare il falso antisindacalismo di gruppi come Operai Contro o altri, ma sia totalmente incapace di criticare il suo vero opportunismo verso i sindacati. Vedremo inoltre come la radice di entrambe le deviazioni si trovi nell’incapacità di comprendere che nella fase di decadenza del capitalismo il sindacato non é un alleato dello stato borghese, ma una sua parte integrante. Ogni altra visione non può portare che a concezioni opportuniste e devianti (come organismi “operai-borghesi” o difensori di “aristocrazia operaia” o di “ceti emergenti”) che sono del tutto incapaci di recidere il cordone ombelicale con la piovra sindacale.
In fabbrica, in piazza, opposizione AL sindacato, non opposizione DEL sindacato
Il fatto che Democrazia Proletaria, le varie sette trotzkiste, le miriadi di circoli e collettivi locali stagnanti nella palude fra DP ed i resti dell’Autonomia, contribuiscano in vario modo a fiancheggiare lo sforzo di irreggimentazione sindacale, può stupire solo chi non ha ancora capito che quest’area esiste proprio per questo e che, giustamente, cerca di fare bene il proprio mestiere. E’ invece lecito stupirsi quando anche i gruppi effettivamente proletari, come l’Organizzazione Comunista Internazionalista, non si vergognano di confondersi con questa gente, grazie ad una politica di sostanziale codismo verso i sindacati. In effetti, se si legge l’ampia risposta dedicata nel giornale “Che fare”[1] alla redazione di Operai Contro ed a un gruppo di compagni di Firenze[2], a prima vista non si può che essere d’accordo con la massa di argomentazioni ed esempi tendenti a dimostrare la follia di ogni politica che abbandoni al suo destino la massa che ancora segue – bestemmiando - il sindacato, per dedicarsi all’esclusivo compito di “organizzare le avanguardie” che col sindacato hanno già rotto (ammesso e non sempre concesso che lo abbiano fatto veramente). Si critica inoltre l’illusione - condivisa dai compagni fiorentini, ma anche da molti compagni che fanno riferimento ad Operai Contro - che smettendo di lavorare nei CdF per lavorare in organismi parasindacali, ma formalmente indipendenti dal sindacato, si faccia chissà quale passo avanti.
Purtroppo i compagni dell’OCI non ne traggono la conclusione che “l’alternativa per i comunisti non é dunque lavorare nei sindacati ufficiali o in quelli alternativi, l’alternativa rivoluzionaria al sindacato é stare fuori da entrambi e lavorare verso i proletari che vi sono imprigionati” (Rivoluzione Internazionale n°46). La conclusione dell’OCI é che bisogna stare in tutti i sindacati, quelli ufficiali e quelli alternativi, in modo da “stare in contatto” con i proletari. In una parola, se i compagni di Firenze si illudono di stare con un piede fuori dal sindacato, i compagni dell’OCI sono perfettamente coscienti di starci ben piantati dentro con tutti e due i piedi, e sono felici di starci. Vedremo dopo come questa scelta abbia radici profonde, basate sull’idea che il sindacato resti in ogni caso un organismo “operaio-borghese”, che almeno in parte difende gli interessi di classe.
Occupiamoci invece subito di come questa visione d’insieme trasformi la giusta idea che non ci si può astenere per principio dal partecipare agli scioperi convocati dal sindacato, in una pratica di codismo bello e buono verso il sindacato.
Nella prima parte di quest’articolo abbiamo chiarito che, in certe condizioni, i rivoluzionari possono e debbono chiamare i proletari a partecipare a scioperi indetti dal sindacato. La prima condizione é che le manifestazioni offrano a lavoratori di diverse fabbriche e diversi settori la possibilità di lottare insieme e prendere direttamente contatto fra loro. Tutto questo é evidentemente possibile se esiste una tendenza da parte dei proletari, almeno quelli di avanguardia, ad organizzarsi, a porsi come punto di riferimento, a darsi i mezzi per prendere in prima persona questi contatti. Ovviamente questo non vuol dire che non si può intervenire se prima non é stata costituita una “organizzazione operaia” alternativa, magari nazionale! Vuol dire invece che chi si prende la responsabilità politica di invitare gli operai ad intervenire alle manifestazioni sindacali, deve anche prendersi la responsabilità di dire chiaro e tondo agli operai che parteciparci non deve significare accodarsi alle processioni sindacali, ma darsi da fare, organizzarsi per, nella manifestazione stessa, prendere contatto con gli altri lavoratori, discutere con loro su come proseguire insieme quella lotta, e che pertanto lo scontro col sindacato sarà inevitabile. E’ dunque chiaro che l’invito all’unificazione delle lotte ed all’organizzazione diretta dei lavoratori costituisce la sola base possibile per intervenire nelle iniziative sindacali.
Come si comporta l’OCI? Nel supplemento speciale de “II Lavoratore Comunista” dedicato al rinnovo dei contratti dell’auto, l’OCI dà agli operai le seguenti indicazioni:
Invece di chiamare i lavoratori a muoversi per prendere contatto con lavoratori di altri settori, li si chiude nel quadro sindacale di categoria. Invece di chiamare i lavoratori ad organizzarsi autonomamente a lottare contando solo sulle proprie forze, li si invita a far conto sulle strutture di base del sindacato, a sostenerle nella loro azione. In queste condizioni, l’invito a partecipare alle manifestazioni sindacali, significa consegnare gli operai mani e piedi legati al sindacato.
Ma, come si sa, “anno nuovo, vita nuova!”, e così dopo che i ferrovieri francesi hanno bloccato per un mese mezza Europa con uno sciopero diretto dai coordinamenti sorti spontaneamente dalle assemblee operaie, ecco che l’OCI si presenta con un volantino dove si afferma che “i ferrovieri francesi insegnano che non manca ai proletari la capacità di organizzarsi, anche quando il sindacato non li organizza” (dal volantino dell’11/1/87). Parole sante, ma quanto stonate in bocca a chi per mesi e mesi ha detto esattamente il contrario!
Con questo ennesimo zig-zag, l’OCI non dimostra di non essere alla coda del sindacato, dimostra solo che, oltre che alla coda del sindacato, é anche alla coda degli avvenimenti, incapace di dare una linea politica coerente ai proletari che pretende di influenzare in senso rivoluzionario.
Sindacato “riformista ed operaio-borghese” o ingranaggio dello Stato borghese?
“Noi pensiamo che il sindacato riformista dell’epoca imperialista (...) è si legato al capitalismo (...) ma vi é legato in maniera diversa dal padronato, dal governo e dall’esercito (...). Esso é e resta un’organizzazione operaio-borghese, costretta a riferire i termini della difesa reale del capitalismo a quelli di una difesa (resa oggettivamente sempre più improbabile) degli interessi immediati della classe”.
Questa citazione, presa dall’articolo sul “Che Fare” n°5, mostra chiaramente le radice teorica della confusione dell’OCI sulla questione sindacale. L’errore di fondo consiste nel parlare della “epoca imperialista” come se l’imperialismo fosse una particolare politica di questo o quel paese e non invece la fase conclusiva del capitalismo stesso, entrato nel suo periodo finale di decadenza a partire dalla I Guerra Mondiale[3]. In termini concreti, il fatto che il capitalismo sia un sistema sociale decadente significa che non é più capace di assicurare miglioramenti durevoli alla classe operaia. I temporanei miglioramenti che la classe ha strappato in certi periodi di questo secolo sono legati ai periodi di ripresa economica basata sulla ricostruzione dopo le distruzioni sempre più enormi delle varie guerre imperialiste. Finito il respiro del ciclo di ricostruzione, la crisi torna immancabile ad inghiottire i modesti ed illusori miglioramenti conseguiti dagli operai.
In una parola, il capitalismo non é più in grado di concedere che migliorino effettivamente le condizioni di vita della classe operaia. Allora, se il riformismo non può più esistere, come fa ad esistere un sindacato (o un partito) che sia riformista effettivamente e non solo a chiacchiere? Le riforme (tranne quelle antioperaie) sono scomparse e sono rimaste solo le chiacchiere sulle “riforme di struttura”, la cui unica ragione di essere é quella di fare fessi gli operai, convincendoli che con un voto ben dato, un piano di investimenti ben studiato, si può uscire dalla crisi e modificare il capitalismo nella direzione di una “società giusta”.
E’ vero che il sindacato é legato al capitalismo “in maniera diversa”, dalla magistratura o dalla polizia, ma questo dipende appunto dalla funzione specifica del sindacato (e delle forze di opposizione in generale) che é quella di ostacolare la lotta operaia dall’interno della lotta stessa, utilizzando un linguaggio “operaio” e se occorre “rivoluzionario” per deviare la combattività operaia. Il sindacato non deve quindi “riferire ai termini di una difesa degli interessi immediati della classe” la difesa reale del capitalismo facendo un po’ l’una, un po’ l’altra, come afferma l’OCI. Più semplicemente il sindacato é costretto dalla sua funzione specifica a nascondere, camuffare, abbellire la sua difesa del capitalismo sotto la maschera di una difesa degli interessi immediati della classe. Non é dunque un organismo operaio-borghese, ma un ingranaggio essenziale dello Stato borghese, essenziale perché capace di presentarsi agli operai con un “volto operaio”.
Se ci si rifiuta di accettare questa realtà di fatto, bisogna necessariamente concludere - come fa l’OCI - che se il sindacato in quanto borghese si scontra con gli operai, in quanto operaio “si espone anche sull’altro fianco: quello della reazione borghese” contro la quale gli operai debbono essere pronti a difenderlo. Infatti, nel momento in cui il sindacato stava strangolando nell’isolamento lo sciopero dei minatori inglesi, i compagni dell’OCI si sono presi la briga di andare fino in Inghilterra per diffondere fra i minatori un documento che li invitava a difendere dall’attacco borghese il sindacato (che li stava strangolando) ed il Partito Laburista (che quando era al governo aveva inaugurato la ristrutturazione delle miniere, poi portata avanti dalla Tatcher)! Questo miserabile episodio – che i compagni dell’OCI non amano affatto ricordare – non è una clamorosa, ma casuale sbandata: è la conclusione logica di un’analisi teorica che mira solo a nascondere il dato di fatto della totale integrazione di tutti i sindacati nello Stato borghese.
Il sindacato difende gli “strati alti” dei lavoratori o l’interesse dell’economia nazionale?
Se l’OCI arriva almeno a concedere che il sindacato è per metà apparato borghese e per metà organismo di difesa economica, il composito schieramento dei falsi anti-sindacali e veri sindacalisti di base non arriva neanche a questo. Per la Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base discutere su quale é oggi la natura dei sindacati é una perdita di tempo: l’unico problema é che “i lavoratori oggi, nel nostro paese, non hanno più il sindacato” (NOI-RdB, n°11, marzo ‘85). Il problema, ad esempio, che in tutti i paesi i sindacati sono contro gli operai non esiste: é solo nel nostro paese che, chissà perché, il sindacato ha tradito. Bisogna dunque costruirne un altro, aderendo alle RdB che sono state già riconosciute ufficialmente dalla Federazione Mondiale dei Sindacati che fa capo ai padroni del Kremlino, partecipando al suo Congresso Mondiale fianco a fianco con sindacati come la CGT francese. Su questo tipo di “critica del sindacato” non é il caso di spendere ulteriori parole …
Abbastanza diversa é la posizione del giornale Operai Contro per cui il sindacato che già difendeva gli strati alti degli operai (l’aristocrazia operaia), oggi difende anche “i quadri ed i tecnici, considerati ‘ceti emergenti’” (Operai Contro n°35, novembre '86). Come si vede, il centro di questa posizione è che il sindacato, lungi dall’essere diventato un apparato borghese per il controllo della classe operaia, é e rimane un organismo di difesa economica, il cui unico problema é che per una disgraziata circostanza (il tradimento dei capi? Una linea sbagliata?) invece di difendere gli operai difende qualcun altro.
Un tentativo di rendere più credibile questa tesi, iniziando ad ammettere che fra sindacato e Stato c'é forse qualche punto di contatto, si trova nell’articolo “Che cosa sono oggi i sindacati” in Operai Contro n°33, luglio '86. Senza mai menzionare la parola tabù di capitalismo di Stato, si parte comunque dall’idea generale che la fase attuale del capitalismo sia caratterizzata dal crescente intervento dello Stato nell’economia. Di conseguenza “lo Stato assorbe e surroga funzioni dapprima gestite sia da singoli capitalisti sia dai sindacati, sia da entrambi congiuntamente. Ai sindacati viene lasciata la rappresentanza della forza-lavoro” che però é “delimitata dalla sua compatibilità con la sfera generale di competenza statale”. Ora, queste frasi o non significano niente, oppure significano che lo Stato ha integrato al suo interne l’attività sindacale e che quest'ultima si limita al controllo ed alla gestione della merce forza-lavoro in modo da farne rientrare i costi nella “sfera generale” della programmazione statale. In parole povere, il sindacato è l’agenzia statale incaricata del settore operaio. Invece l’articolista, non si sa come, ne tira la conclusione-premessa che “il sindacato difende tutt’ora gli interessi immediati dei lavoratori, ma ... dal punto di vista del capitale”. A questo punto bisogna finirla con i giri di parole e le frasi ad effetto, ed essere chiari: questa frase vuol dire che nei fatti ... non li difende, oppure vuol dire che li difende effettivamente, ma non fino in fondo (cioè il sindacato é “esitante”, “inconseguente” come da sempre sostiene la sinistra sindacale)? Per fare un esempio concreto, le 113.000 lire medie in tre anni che i sindacati hanno contrattato per gli statali, sono l’espressione di una difesa reale del salario, con il solo limite della compatibilità col bilancio statale, oppure é la cifra che Stato e sindacati sono stati costretti a spendere per far passare in cambio il blocco per due anni degli scatti di anzianità ed un forte aumento dello sfruttamento (mobilità, produttività , ecc.)? Per Operai Contro, un organismo responsabile di simili contratti anti-operai è un “organismo di difesa immediata degli interessi operai”. Ma allora, scusate, le altre Agenzie Statali che distribuiscono ai proletari pensioni e sussidi di cassaintegrazione senza neanche chiedere niente in cambio, che cosa sono, organismi di difesa immediata dei pensionati e cassintegrati? O sono direttamente il partito di classe? No, sono dei semplici ingranaggi dello Stato, funzionali alla conservazione della pace sociale, esattamente come i sindacati che, non a caso, sono per legge alla direzione di molte di queste agenzie (per esempio, l’INPS).
La crisi mondiale del capitalismo lavora a distruggere le illusioni sui sindacati
Tutta una serie di elementi che collaborano con Operai Contro pensano di affermare una posizione radicale sostenendo che “oggi, il sindacato non difende più neanche gli interessi immediati degli operai” e non si rendono conto che così riaffermano che fino a qualche anno fa invece li difendeva! La verità è che il sindacato che oggi firma contratti totalmente antioperai è lo stesso che nella prima metà degli anni ‘70 firmava contratti con consistenti aumenti salariali. Quello che é cambiato é la gravita della crisi, che riduce le briciole disponibili per tenere buoni gli operai e rende più difficile mascherare la natura borghese ed antioperaia dei sindacati.
Questa é la realtà di fatto. Questa é la conclusione cui l’insieme delle avanguardie operaie dovrà necessariamente arrivare, se vuole rompere effettivamente con la paralizzante palude del sindacalismo di base.
Beyle
[1] “Una discussione con Operai Contro ed altri compagni”, Che Fare n°5.
[2] Vedi i loro contributi apparsi sul n°20 del Bollettino dei Coordinamenti dei Comitati contro la Repressione.
[3] L’entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza e la conseguente integrazione nello Stato dei sindacati, sono analizzati negli opuscoli “La decadenza del capitalismo” ed “I sindacati contro la classe operaia”, che possono essere richiesti al nostro indirizzo.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/1/23/rivoluzione-internazionale
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/interventi
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/2/30/la-questione-sindacale
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/7/109/sinistra-comunista
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/corrispondenza-con-altri-gruppi
[9] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/lettere-dei-lettori
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/2/39/organizzazione-rivoluzionaria