Innanzitutto va messa in evidenza l’esagerazione delle reazioni della maggioranza di governo che ha trattato l’azione dimostrativa, un po’ goliardica dei “disobbedienti”, come se si trattasse di un crimine efferato, da condannare senza appello e con la minaccia delle peggiori punizioni: “un’azione criminale” secondo il ministro Maroni, da trattare con “tolleranza zero” secondo il sottosegretario Sacconi, proposta subito raccolta dal ministro dell’interno Pisanu che a caldo ha affermato “la prossima volta pugno di ferro”, e qualche settimana dopo ha promesso l’arresto immediato agli autori di altre bravate simili. Quanto perbenismo, quanto rigore nel rispetto della “legalità” da parte di gente che questa legalità se la mette tutti i giorni sotto i piedi, che ruba e truffa per miliardi e poi si fa delle leggi apposite per evitare la condanna!
Ma che una destra borghese, e per giunta al governo, alzi la voce in difesa della legalità borghese non sorprende nessuno. Meno scontata può sembrare la reazione simile avuta dagli esponenti della sinistra, che anche loro invece si sono subito schierati in difesa della legalità violata: “vandalico e illegittimo” ha commentato Antonio Di Pietro, “bocciatura totale e senza appello” per Walter Veltroni, mentre Bertinotti ci ha tenuto a dire “la condanno senza esitazioni” (1)
Meno scontata questa reazione, ma solo in apparenza. La sinistra borghese è sempre stata in prima fila nella difesa dell’ordine e della legalità, soprattutto di fronte alle possibili reazioni proletarie alla fame e alla miseria, ed ha sempre svolto con zelo questo suo ruolo quando è stata al potere. Basta ricordare cosa diceva il ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti a proposito degli assalti ai forni fatti dalla popolazione affamata nell’immediato dopoguerra:
“Ai primi Presidenti e ai Procuratori Generali delle Corti d’Appello: non sarà sfuggito all’attenzione delle Signorie Loro Illustrissime che, specie in questi ultimi tempi si sono verificate in molte province del Regno manifestazioni di protesta da parte di reduci e disoccupati, culminate in gravissimi episodi di devastazione a danno di Uffici pubblici e di depositi alimentari(…) Questo Ministero, pienamente convinto dell’assoluta necessità che una energica azione intrapresa dalla polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico debba essere validamente affiancata ed appoggiata dall’autorità giudiziaria, si rivolge alle Signorie Loro invitandole a voler impartire ai dipendenti uffici le opportune direttive affinché contro le persone denunciate si proceda con la massima sollecitudine e con estremo rigore. Le istruttorie ed i relativi giudizi dovranno essere esplicati con assoluta urgenza, onde assicurare una pronta ed esemplare repressione, (…)” (Ripreso da Rivoluzione Internazionale n.96, giugno 1996)
Al confronto i vari Veltroni e Bertinotti sono dei ....“buonisti” (o, per meglio dire, meglio che non sono al governo, se no seguirebbero l’esempio del loro grande maestro).
Pur non avendo responsabilità di governo, pur non dovendo prendersi in prima persona il carico di reprimere i movimenti di dissenso, la sinistra ha tenuto comunque a dimostrare la sua natura di strenuo difensore dell’ordine e del sistema capitalista, e questo ad ogni buon conto, onde evitare che i proletari possano pensare di farsi beffe delle leggi borghesi: chi ruba è un criminale! Dicono loro. Ed infatti i capitalisti che rubano plusvalore a milioni di operai sono i peggiori criminali della storia! Diciamo noi.
Ma questa nostra denuncia dell’ipocrisia e del perbenismo borghese e piccolo-borghese, non significa che siamo per il cosiddetto “esproprio proletario”, infatti una cosa è l’azione collettiva della classe che reagisce alla miseria, come appunto nel dopoguerra, un’altra è l’azione dimostrativa isolata da qualsiasi contesto di lotta di classe come in questo caso. Il termine “esproprio proletario” era in voga ai tempi dei movimenti studenteschi degli anni sessanta e settanta che pretendevano di parlare al posto della classe operaia, anzi di dare l’esempio agli operai “imborghesiti” dai sindacati. Con una bella faccia tosta, infatti, Casarini e compagni si sono rivolti ai lavoratori dell’ipermercato assaltato con frasi tipo “ma ti rendi conto che ti sfruttano?” (no, sicuramente non lo sapevano), o, peggio ancora, menando le mani contro i commessi che cercavano di non farli entrare. Nel ‘68, i “radicali dell’epoca andavano fuori alle fabbriche per convincere gli operai a fare sciopero anche quando non ce n’erano le condizioni. E per dare l’esempio di quello che secondo loro era la lotta di classe, organizzavano manifestazioni violente ed “espropri proletari”, vere e proprie provocazioni che per fortuna gli operai non seguivano. E proprio per questo, i teorici di quei movimenti si inventavano nuovi soggetti sociali, destinati a fare la rivoluzione al posto di una classe operaia tradizionale ormai addormentata. Sono di allora le teorie sui “tecnici” come i nuovi soggetti rivoluzionari, e questo solo perché non erano i tradizionali operai con la tuta blu. Oggi ci sono i Francesco Caruso (poveri noi!!) che cercano di rinnovare queste teorie, scoprendo una ”nuova classe sociale” che sarebbero i precari, i lavoratori senza garanzie e sicurezze. Come se fosse il livello di sfruttamento che rende rivoluzionaria una classe o uno strato sociale, e non il posto che occupano all’interno della società. La classe operaia è caratterizzata dal suo ruolo di principale produttore di ricchezza e dal fatto di avere in cambio della ricchezza prodotta solo una sua parte, mentre il resto viene rubato loro dai capitalisti che vivono e riproducono il loro sistema grazie a questo plusvalore estorto agli operai. Questa è la condizione di tutti gli operai del mondo intero, quale che sia il loro grado di sfruttamento, quali che siano le regole che governano il loro lavoro. La precarietà, se costituisce una caratteristica sempre più dominante per i lavoratori del mondo intero è in realtà una situazione che attraversa l’insieme della società: precarietà nella sicurezza del posto di lavoro (che colpisce anche la piccola e media borghesia, vedi i tanti manager finiti in rovina appresso alle aziende di cui si facevano difensori); precarietà nella vita quotidiana (a causa della crescita della criminalità), o nella semplice speranza di vita, visto il dilagare della guerra a sempre più paesi del mondo, ivi comprese le cittadelle del capitalismo, raggiunte anche loro dalla guerra sotto la forma del terrorismo, che minaccia anche la popolazione più inerme ed innocente (si pensi alle vittime dell’attentato ai treni di Madrid, tutti lavoratori pendolari).
Perciò chi crede di individuare una situazione che investe tutti o quasi gli strati sociali come LA condizione per individuare un soggetto rivoluzionario, non solo non capisce niente di marxismo, ma in realtà contribuisce alla campagna che tende a negare la lotta di classe e il ruolo della classe operaia. Spacciando le azioni avventuriste per lotta di classe, tagliando a fette la classe operaia dividendola tra precari e non , tra “garantiti e non”, Caruso, Casarini e compagni si schierano a fianco di tutti i borghesi che lavorano contro la classe operaia e la sua lotta: gli uni (i difensori ufficiali della borghesia) negando ogni possibilità di lotta di classe, gli altri (i presunti sovversivi) facendo passare per lotta di classe quello che non lo è, e contribuendo alla divisione della classe operaia.
Helios
1. Le citazioni sono prese dagli articoli dedicati all’avvenimento dal quotidiano La Repubblica nei giorni 7, 8 e 9 novembre.
Il NCI ha preso conoscenza delle tre “dichiarazioni” del “Circulo de Comunistas Internacionalistas” del 2 ottobre, 12 ottobre e 21 ottobre. Il NCI dichiara solennemente che il contenuto di queste dichiarazioni è una sequela di menzogne e di calunnie vergognose lanciate contro la CCI.
Il NCI si dissocia da queste dichiarazioni del detto “Circolo”, dichiarazioni lanciate, alle sue spalle e senza che esso sia stato consultato, da un individuo che faceva parte del NCI, ma che il Nucleo oggi rigetta.
Il NCI mantiene la sua dichiarazione, fatta nel mese di maggio 2004, che condanna la FICCI ed i suoi comportamenti. Così come mantiene le sue analisi, in particolare sugli avvenimenti in Argentina del 2001 e sulla questione della decadenza del capitalismo.
Il NCI continua la discussione allo scopo di chiarificarsi a livello politico, con il sostegno della CCI.
Le menzogne, le calunnie, sono comportamenti indegni e che non appartengono alla classe operaia.
Il NCI si impegna a fare un riassunto della sua traiettoria dalla sua nascita fino ad oggi.
Il NCI, nella sua riunione del 27 ottobre 2004.
Con la morte di Arafat la borghesia ha perso uno dei suoi. Ed è per questo che i media, i dirigenti non solo arabi ma anche occidentali si sono mobilitati per rendergli un ultimo vibrante omaggio e che la cerimonia funebre al Cairo, poi a Ramallah è stata trasmessa dalle catene televisive del mondo intero, quando nei fatti non si trattava neanche di un capo di Stato.
Arafat, un feroce nemico del proletariatoLui aveva ben altri titoli di “gloria” per i suoi pari. Quello che ci hanno presentato come un “grande uomo”, una grande figura degli ultimi cinquant’anni, e che dopo la sua morte rischia di diventare un eroe leggendario del mondo arabo, era soprattutto un grande procacciatore di carne da cannone, un nemico feroce del proletariato.
Dietro il mito della creazione di uno Stato palestinese ha trascinato e mandato per trent’anni generazioni di operai a farsi massacrare fanaticamente nell’arena delle guerre imperialiste, per la “causa incondizionata”, la più tipicamente borghese, il nazionalismo. E’ stato uno dei pionieri del reclutamento in massa dei ragazzini di una dozzina d’anni o di adolescenti per inviarli al massacro tanto nei ranghi dei “feddayin” o delle forze armate del Fatah, che come martiri kamikaze, portatori di bombe distruttrici. Ha incoraggiato bambini ancora più piccoli a partecipare attivamente all’Intifada. La difesa della “causa palestinese” alla quale avrebbe sacrificato la sua esistenza, ha permesso ad Arafat di ricevere il sostegno di una larga parte della borghesia, nel quadro degli scontri interimperialisti, simboleggiato dall’ammissione ufficiale dell’OLP all’ONU nel 1974, sotto i nutriti applausi dell’assemblea, quando era ancora sotto la protezione dell’URSS. Ha avuto diritto ad un’altra salve d’onore ufficiale, questa volta sotto l’alto padronato diretto della borghesia americana, con l’attribuzione del premio Nobel per la Pace nel 1994, condiviso con il Primo ministro israeliano Izthak Rabin per gli accordi di Oslo del settembre 1993. Ha ricevuto il sostegno ammirato di uomini di destra e di sinistra e soprattutto di tutte le organizzazioni della sinistra “radicale” del capitale per essere stato un indefesso campione nella mistificazione della “lotta di liberazione nazionale”, nel nome della “difesa eroica del popolo palestinese”.
Il suo passato è quello di un volgare capo banda che ha fatto la maggior parte della sua “carriera” commissionando attentati terroristici ciechi e particolarmente sanguinari contro il “nemico israeliano”. Si è imposto come capo guerriero alla testa dell’OLP a colpi di fucilate, di ricatti e di regolamenti di conti. Ha acquisito il suo statuto di uomo politico nella stessa maniera, eliminando senza pietà e spesso col sangue i suoi principali concorrenti. Dispotico, pieno di ambizione, imbevuto di potere, sguazzante in un ambiente corrotto fino al midollo, circondato da cortigiani che diventavano molto presto dei traditori o dei potenziali rivali, i suoi metodi mafiosi da piccolo caid erano il prodotto del capitalismo decadente che lo ha generato. Cumulando le funzioni di leader politico, capo dell’esercito e delle forze di repressione all’interno dell’Autorità palestinese, non ha mai esitato a imprigionare, torturare e far sparare sul quel “popolo palestinese” che pretendeva di “difendere”. È così che non ha mai smesso di rafforzare tutti gli strumenti di oppressione e di sfruttamento delle masse palestinesi. La sua funzione essenziale è stata anche quella di stroncare senza pietà, nel nome del mantenimento dell’ordine e mano nella mano con l’esercito israeliano, ogni tentativo di ribellione e le proteste disperate di una popolazione imbavagliata, ricattata, affamata, che sprofonda in una miseria sempre più nera, mentre viene già decimata, messa a lutto e terrorizzata dai bombardamenti, dai massacri, dal pesante tributo pagato quotidianamente all’Intifada.
Verso un incremento del caos e della barbarieLa morte di Arafat rappresenta per la borghesia un vero sisma non solo per la situazione della Palestina, del Vicino e del Medio-Oriente, ma anche perché va a modificare la situazione per l’insieme degli Stati arabi ed ha delle ripercussioni sull’evoluzione dell’insieme delle relazioni internazionali.
In questo covo di briganti imperialisti, sotto il pretesto della difesa della causa palestinese e del rafforzamento dell’amicizia con i diversi Stati arabi, la Francia ha approfittato dell’occasione per attirare verso di sé i favori dei dirigenti arabi e palestinesi, al fine di mettere la sua zampa imperialista in Medio-Oriente. Essa ha assestato un bel colpo sul piano diplomatico facendo ricoverare Arafat nell’ospedale militare della regione parigina dove poi è morto. Non limitandosi a precipitarsi al suo capezzale, Chirac ha potuto in questo modo attirare un nugolo di dirigenti dell’OLP e dell’Autorità palestinese e moltiplicare le trattative con questi ed altri leader arabi. In esclusiva, il governo francese ha potuto riservare un aereo e rendergli gli onori militari con un cerimoniale degno degli omaggi resi ad un vero capo di Stato prima di farlo trasferire al Cairo e poi a Ramallah. In Palestina, al momento dei funerali, il mondo ha potuto vedere volteggiare dalle finestre le bandiere palestinesi insieme a quelle francesi mentre la folla portava i ritratti di Chirac a fianco a quelle del Raïs. La Francia che pretende di agire in nome della pace non può che gettare olio sul fuoco nel tentativo di ostacolare gli interessi degli Stati Uniti.
Del resto, questo avvenimento favorisce soprattutto il regime di Sharon in Israele il cui principale obiettivo, proclamato in questi ultimi mesi, era di eliminare, anche fisicamente, il leader palestinese. Non è strano che delle voci di un avvelenamento del Raïs da parte dei servizi segreti israeliani, il Mossad, siano circolate con insistenza tra numerosi dirigenti palestinesi e siano condivise dall’80% dell’opinione pubblica da Gaza a Ramallah. L’eliminazione di Arafat che divide ed indebolisce il campo palestinese non può che confortare l’equipe Sharon nella sua politica di accelerare il ritiro delle forze israeliane dalla striscia di Gaza per meglio circondare la Cisgiordania ed isolarla totalmente attraverso la costruzione del muro intorno ad essa. La borghesia israeliana è consapevole di trovarsi in una posizione di forza tale da poter imporre i suoi diktat. Nei fatti è un incoraggiamento ad una fuga in avanti nella politica aggressiva e bellicista di Sharon, che mira allo schiacciamento completo dei Palestinesi da parte dello Stato israeliano.
Ma la scomparsa di Arafat tocca ugualmente gli affari della borghesia americana perché questi ultimi mesi, attraverso le esigenze israeliane che reclamavano la sua eliminazione come condizione per la ripresa di qualsiasi negoziato, il personaggio Arafat era diventato un ostacolo sinonimo di blocco della situazione nel Vicino-Oriente. La Casa Bianca punta così sullo scompiglio, il rischio di caos e le divisioni dei Palestinesi per tentare di riprendere in mano le cose a suo vantaggio.
Ma le dichiarazioni ottimiste e rassicuranti sullo “sblocco” delle negoziazioni, avanzate sia da Israele che dagli Stati Uniti, così come da una larga parte della stampa europea, non devono farci illudere. La prospettiva aperta dalla morte di Arafat non è in alcun modo un passo verso la pace, ma può essere solo una nuova accentuazione delle tensioni imperialiste. Non c’è alcun dubbio che Israele e gli Stati Uniti vogliono spingere al massimo la pressione sui Palestinesi, disorientati e divisi.
Si tratta di un indebolimento considerevole del campo palestinese. Con la sepoltura di Arafat abbiamo assistito, nei fatti alla sepoltura definitiva degli accordi di Oslo del 1993. È la fine della speranza della costituzione di uno Stato palestinese che questi accordi hanno fatto intravedere per dieci anni.
La processione dei dirigenti palestinesi al capezzale di Arafat a Parigi durante la sua lunga agonia, non ha risolto lo spinoso problema della successione. È chiaro che malgrado le divisioni e le rivalità del campo palestinese, la corruzione, la repressione ed il discredito che pesava su di lui, egli era un “capo” storico che concentrava tutte le chiavi del “potere” di questo mezzo-Stato (dell’Autorità palestinese, dell’OLP, del braccio armato del Fatah) ed un simbolo di unità. La sua scomparsa apre il vaso di Pandora e come prima cosa un’aspra guerra tra le differenti frazioni palestinesi. Tra i molteplici clan, nessuno sembra in grado di imporsi. Anche se la “vecchia guardia” ha momentaneamente messo a tacere le sue divisioni per nominare un direttorio provvisorio e decidere sulle elezioni per dotarsi di un “capo” entro gennaio, tutti questi uomini di apparato, ridotti a piccoli burocrati arrivisti, sono assenti sul campo e sono incapaci di controllare sia la popolazione che un’organizzazione militare totalmente divisa e parcellizzata, la cui coesione poteva essere mantenuta solo dall’autorità e la personalità di Arafat. Quanto ai piccoli capi di guerra mafiosi, l’autorità della maggior parte di questi non va al di là di un quartiere o un villaggio. Tre esempi sono sufficienti a dimostrare il carattere ingovernabile della situazione: meno di 48 ore dopo il decesso del Raïs e la nomina di Mahmoud Abbas (conosciuto anche sotto il nome di battaglia di Abou Ammar), come nuovo capo dell’OLP, questo ha subito un tentativo di attentato che si è concluso con due morti durante una cerimonia di condoglianze a Gaza che riuniva dei dirigenti palestinesi. Altro esempio, il primo discorso del nuovo presidente dell’Autorità palestinese, Rawhi Fattouh, per mancanza di esperienza, era qualcosa di incomprensibile e la maggior parte dei commenti è stata “chi è e da dove viene fuori questo?”. Infine, e soprattutto, due dei principali rami militari più influenti, l’Hamas e la Djihad islamica, hanno immediatamente annunciato che boicotteranno le elezioni del capo dell’Autorità palestinese in gennaio. Questi apparati militari sono completamente scoppiati come lo testimoniano le lotte e le rivalità imperialiste latenti tra l’Hamas, l’Hezbollah, la Djihad islamica, le Brigate dei Martiri d’Al-Aqsa (anche ribattezzata Brigate Yasser Arafat), il Fatah (sostenuta da questo o quello Stato), così come le rivalità tra i dirigenti politici Mahmoud Abbas, l’attuale Primo ministro dell’Autorità Ahmed Qoreï, che controlla le forze di sicurezza, il più “popolare” capo del Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghouti, capo del Fahat Farouk Kaddoumi o ancora il vecchio ministro dell’Interno Mohammed Dahlan.
Non solamente la situazione è portatrice di sanguinosi regolamenti di conti per la successione di Arafat, ma questa non può che generare una recrudescenza di attentati suicidi sempre più devastanti in una popolazione palestinese ridotta alla disperazione e resa fanatica dall’odio e dall’isteria nazionalista di cui viene nutrita da decenni. Questa spirale di violenza sempre più incontrollabile rischia di mettere fuoco alle polveri in una parte ben più vasta del Medio-Oriente.
Win (18 novembre 2004)
Il New York Post, giornale conservatore controllato da Murdoch, ha accusato il film di fare una propaganda grossolana. Ed è stata certamente propaganda, così come lo sono state le notizie regolarmente pubblicate e diffuse ogni giorno dai mezzi di comunicazione, che si trattasse del NY Post o del prestigioso New York Times. Nella fase preliminare dell’invasione all’Iraq tutti questi giornali e tutti i network di trasmissioni televisive nelle loro cronache politiche erano stati totalmente favorevoli alla guerra.
Dopo l’estate invece ci sono
stati notevoli contrasti all’interno della classe dominante in America. Non riguardo
alla necessità di invadere l’Iraq, ma essenzialmente sull’efficacia della
gestione della guerra da parte dell’amministrazione di Bush. Sul fatto se
questa avesse combinato guai tali da rendere più difficili gli sforzi
dell’imperialismo americano a dominare il mondo ed a mobilitare la popolazione
americana per future azioni militari. Un contrasto quindi non su guerra si,
guerra no, ma sulle modalità di attuazione di un accordo complessivo su di un
orientamento politico imperialista preciso: fare ciò che è necessario per
mantenere l’America come unica superpotenza e impedire l’avvento di ogni rivale
o blocco potenziale.
In tutto il chiasso su Fahrenheit
9/11 è stato evidente che ciò che dicevano i cronisti dipendeva dalla
frazione della borghesia alla quale facevano riferimento: se cioè sostenevano
le politiche dell’amministrazione Bush, oppure se pensavano che
l’amministrazione aveva fatto un pasticcio che doveva essere riparato.
Comunque, una cosa è chiara. Fahrenheit
9/11 non è né contro la guerra, né anti-imperialista. E’ semplicemente
anti-Bush. Moore fa un ottimo lavoro nel colpire Bush. La pellicola mette in
scena un insieme di immagini efficaci sull’orrore della guerra, e sulla rozza
incapacità di Bush e della sua amministrazione, e si affida essenzialmente ad
una serie di riprese imbarazzanti di cui non era prevista la diffusione pubblica:
per esempio, Paul Wolfowitz, l’architetto della strategia imperialista
americana in Iraq, è ridicolizzato nella scena in cui usa la saliva per
lisciarsi i capelli prima di apparire in un’intervista televisiva. Moore si
avvantaggia delle ben note manchevolezze di Bush quando parla in pubblico per
evidenziarne la stupidità e la pochezza. In una scena, Bush non riesce a
ricordare il vecchio proverbio inglese che dice più o meno “fregami una volta e
sei tu l’imbroglione, fregami due volte e il fesso sono io…”, facendo una ben
magra figura. Da un punto di vista politico più serio, un’altra scena mostra
Bush che di fronte a un pubblico di opulenti sostenitori riuniti per raccogliere
fondi, dice qualcosa tipo “voi siete i ricchi e i molto ricchi, qualcuno vi
chiama élite, io vi chiamo la mia base”. Bella roba!
Il film contiene immagini interessanti, come l’intervista ad una madre di Flint, Michigan, prima a favore della guerra e che ora dopo la morte del figlio vi si oppone, o una scena in cui Moore chiede ai membri del Congresso se sarebbero disposti a mandare i propri figli a combattere in Iraq, ottenendone in cambio solo sguardi di incredulo rifiuto. Il film danneggia la campagna propagandistica di Bush per giustificare la guerra – già abbondantemente discreditata nei mass media – ma decisamente non è contro la guerra. Moore per esempio sostiene chiaramente l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan da parte dell’imperialismo americano, e concretamente accusa Bush di non essere abbastanza bellicoso riguardo all’Afghanistan. Mette in ridicolo la sua amministrazione per aver avuto legami diplomatici con il regime talebano prima dell’invasione e anche per aver ricevuto la visita dei rappresentati talebani nello Stato del Texas, lo stato di Bush. Moore attacca Bush per non aver invaso prima l’Afghanistan. Così come critica il fatto che il presidente abbia aspettato due mesi prima di attaccare – dando a Bin Laden “due mesi di vantaggio”. E anche che abbia inviato troppo poche truppe in Afghanistan.
Il fallimento in Iraq è
attribuito alle mancanze personali e all’avidità di Bush. Secondo Moore infatti
i rapporti d’affari della famiglia di Bush con la famiglia reale saudita, e dunque
i personali interessi economici, hanno guidato la politica estera americana.
Mette in evidenza il fatto che la maggior parte dei terroristi dell’11 settembre
erano sauditi, come Bin Laden. Anche se si astiene appena dal chiedere di
dichiarare guerra contro la famiglia reale saudita, praticamente accusa Bush di
tradimento per aver passato la sera del 13 settembre 2001 in visita
all’ambasciata saudita di New York, e per aver protetto gli interessi sauditi
negli Stati Uniti. Questa “analisi”, che Moore ha
definito “molto forte” nelle interviste televisive sul film, è la tipica
propaganda capitalistica che consiste nell’attribuire la colpe dei mali della
società agli individui e alle loro politiche piuttosto che al sistema
capitalistico in se’. Moore nasconde completamente il fatto che il capitalismo
americano e i suoi interessi imperialistici sono i responsabili della guerra in
Iraq.
Da buon rappresentate della
borghesia Moore vuol farci credere che la situazione attuale è il prodotto
dell’incompetenza e della stupidità di Bush e della sua amministrazione
incapace di stabilizzare l’Iraq. Ma ciò è completamente falso, perché questa
situazione di instabilità è il prodotto della situazione storica del
capitalismo oggi. Evocare l’incompetenza di questo o quel capo di Stato come
causa delle guerre permette alla borghesia di nascondere la spaventosa
responsabilità del capitalismo decadente e dell’insieme della classe borghese.
Una tale logica assolve questo sistema da tutti i crimini trovando dei capri
espiatori: la follia di Hitler sarebbe la causa della Seconda Guerra mondiale;
la mancanza di umanità e l’inconseguenza di Bush sarebbe la causa della guerra
e degli orrori in Iraq. In tutti e due i casi, questi uomini, con il loro
temperamento e le loro specificità, corrispondono agli interessi della classe
che li ha portati al potere.
Hitler fu sostenuto dall’insieme della borghesia tedesca perché si mostrava capace di preparare la guerra resa inevitabile dalla crisi del capitalismo e dalla disfatta dell’ondata rivoluzionaria seguita all’Ottobre 1917. Lo squilibrio mentale di un Hitler –o piuttosto il fatto di mettere un tale squilibrato al potere – non fu nient’altro che l’espressione stessa dell’irrazionalità della guerra nella quale si lanciava la borghesia tedesca. Lo stesso è per Bush e la sua amministrazione. Questi portano avanti la sola politica che oggi è possibile, dal punto di vista capitalista, per difendere gli interessi imperialisti americani, la loro leadership mondiale, cioè quella della guerra, della fuga in avanti nel militarismo.
La pretesa “incompetenza”
dell’amministrazione Bush, in particolare a causa dell’influenza che ha potuto
avere al suo interno la frazione guerrafondaia ed oltranzista di Rumsfeld e
Wolfowitz, la sua incapacità ad agire sulla base di una visione a lungo
termine, sono rivelatrici del fatto che la politica della Casa Bianca è al
tempo stesso la sola possibile e quella votata all’insuccesso. Il fatto che
Colin Powell, appartenente alla stessa amministrazione e certo capace di condurre
una guerra, abbia espresso delle messe in guardia rispetto alla preparazione
del conflitto che non sono state ascoltate, è una conferma ulteriore di questa
tendenza all’irrazionalità.Non bisogna farsi alcuna
illusione: è l’insieme della borghesia americana che sostiene una politica
militarista, perché questa è la sola possibile per difendere gli interessi
imperialisti.
La vera discussione
all’interno della classe dominante statunitense non era se gli USA avrebbero
dovuto invadere l’Iraq, ma su quale fosse il modo più appropriato per preparare
l’invasione – quali giustificazioni ideologiche avrebbero dovuto essere usate
(armi di distruzione di massa e i legami con al Qaeda oppure le violazioni dei
diritti civili), quanto gli USA avrebbero dovuto premere per ottenere il
sostegno internazionale per l’invasione, e quali tattiche e dottrine militari
avrebbero dovuto essere utilizzate nell’invasione e l’occupazione
In secondo luogo Fahrenheit 9/11 non serve solo a nascondere la natura profondamente borghese della politica imperialista americana ed a orientare la gente verso il partito democratico, ma anche quello di ridare tono alla mistificazione elettorale che ha subito un colpo con il disastro delle elezioni del 2000, dove si sono dovuti fare tutti i conteggi perchè si sospettavano imbrogli. In conclusione, si può andare a vedere Fahrenheit 9/11 per ridere di Bush, e per osservare un’abile propaganda politica borghese, ma che non si pensi neanche per un minuto di stare davanti ad una denuncia politica cinematografica contro l’imperialismo e contro la guerra, con una analisi pertinente degli avvenimenti attuali. Quale che sia la frazione della borghesia al governo, l’imperialismo americano continuerà a spargere guerra.Il solo modo per porre fine alla guerra è porre fine al capitalismo.
Da Internationalism, n°131 (settembre-ottobre 2004)
Sezione della CCI negli Stati Uniti
Pubblichiamo qui di seguito una Dichiarazione del “Nucleo Comunista Internacional” (NCI) d’Argentina nella quale questo prende posizione sulle tre dichiarazioni del “Circulo de Comunistas Internacionalistas” che costituiscono un violento attacco contro la CCI [1]. Come si può leggere in questo testo “Il NCI dichiara solennemente che il contenuto di queste dichiarazioni (del “Circulo”) è una sequela di menzogne e di calunnie vergognose lanciate contro la CCI”. Nella misura in cui questo “Circulo” si presenta sul suo sito web come il “continuatore del NCI”, andiamo a vedere brevemente quale legame esiste realmente tra l’uno e l’altro.
Quale legame tra il “Circulo” e il NCI?
Il NCI è un gruppo di elementi in ricerca che avevano rotto con il trotskismo ed hanno scoperto nel 2002 su internet le organizzazioni della corrente della Sinistra comunista. Hanno preso contatto con la CCI nell’ottobre 2003. Durante questo periodo hanno portato avanti delle discussioni sulle posizioni della CCI, e questo li ha portati ad elaborare una piattaforma (che riprendeva per grandi linee quella della CCI) ed a costituire il NCI.
Nell’aprile 2004, una prima delegazione della CCI incontra il NCI a Buenos Aires. Il NCI e la CCI decidono in comune accordo che la stampa della nostra organizzazione (in spagnolo ed in altre lingue) pubblicherà degli articoli redatti dal NCI su differenti aspetti della situazione in Argentina o internazionale (in particolare sul movimento dei “piqueteros”).
Nel maggio 2004 il NCI, che ha preso conoscenza dei Bollettini della pretesa “Frazione interna della CCI” (FICCI), decide all’unanimità di inviare alla CCI una “Presa di posizione” (datata 22 maggio), nella quale esso afferma di “considerare la FICCI come un’organizzazione al di fuori della classe operaia, di cui preconizziamo l’esclusione e l’espulsione dal seno del proletariato, a causa della sua condotta di carattere borghese”. Dei larghi estratti di questa “Presa di posizione” sono stati pubblicati nella nostra stampa in spagnolo ed in francese e sul nostro sito Internet.
Nell’agosto 2004, un secondo incontro ha avuto luogo in Argentina tra il NCI e la CCI. Il 27 agosto la CCI tiene la sua prima riunione pubblica a Buenos Aires (di cui facciamo un resoconto nella nostra stampa territoriale in francese e spagnolo).
All’inizio del soggiorno della delegazione della CCI, un membro del NCI, B., spinge perché la CCI pubblichi immediatamente un comunicato che annunci che il NCI sarà integrato nella CCI. Gli altri compagni del NCI valutano invece (ed era anche la nostra opinione) che non era opportuno precipitare un tale processo di integrazione. Durante tutto il periodo il cui la nostra delegazione è stata sul posto, B. non ha in alcun momento espresso il benché minimo disaccordo con la CCI.
Nel mese di settembre, B. invia alla CCI varie mail provocatrici allo scopo di spingere la CCI a rompere con lui (e con il NCI a nome del quale lui parla, mentre gli altri compagni del NCI non sono neanche al corrente delle lettere scambiate tra B. e la CCI). Non è che alla vigilia della riunione pubblica del BIPR, a Parigi il 2 ottobre, che la CCI ha scoperto per caso, attraverso un legame sul sito Internet del BIPR, l’esistenza di un “Collettivo di Comunisti internazionalisti” che si è accertato poi essere ... il famoso “Circulo”!
Un impostore al di sopra di ogni sospetto
Quindi, mentre la delegazione della CCI era ancora a Buenos Aires alla fine di agosto, il cittadino B. aveva già voltato faccia e non ha avuto né il coraggio, né l’onestà di informarci dei suoi “cambiamenti” di posizione. In più, già da qualche tempo egli discuteva sottobanco con la FICCI, pur continuando ad imbrogliarci fino a voler precipitare l’integrazione del NCI nella CCI. Il doppio (o triplo?) gioco di questo individuo (e la sua incredibile faccia tosta!) è stato scoperto dalla CCI solo dall’inizio di ottobre. In seguito alla pubblicazione da parte della FICCI della sua prima Dichiarazione fatta a nome del NCI, la CCI ha iniziato a rendere pubblico il carattere torbido dei comportamenti di questo preteso “circulo” [2].
Da questi fatti deriva che:
-questo “circulo” non rappresenta che un solo individuo, l’elemento B., che era membro del NCI ed ha rotto con la CCI (senza aver emesso il minimo disaccordo) per avvicinarsi alla FICCI ed al BIPR;
-gli altri membri del NCI non hanno rotto con la CCI, come pretendono la FICCI ed il BIPR sul loro sito Internet.
Ed è proprio per questo che noi abbiamo potuto smascherare questo impostore. Abbiamo saputo attraverso una nostra telefonata (che rivelerebbe “le metodologie nauseabonde della CCI”, secondo i termini usati dal signor B.), che gli altri compagni del NCI non erano assolutamente informati dell’esistenza di questo “Circulo” che pretendeva di rappresentarli! Loro non conoscevano l’esistenza delle sue “Dichiarazioni” nauseabonde contro la CCI le quali, come ripetono con insistenza, sarebbero stare adottate... “collettivamente” a “l’unanimità” e dopo “consultazione” di tutti i membri del NCI! Il che è una pura menzogna.
L’elemento B. aveva redatto DA SOLO (all’unanimità degli assenti!) queste “Dichiarazioni” calunniose contro la CCI.
Come ha potuto agire all’insaputa del NCI?
Nei fatti questo elemento era il solo a detenere le chiavi degli strumenti informatici del NCI (indirizzo e-mail, sito Web), il che gli ha permesso di costituire alle spalle dei compagni del NCI un gruppo fittizio (il famoso “Circulo”) che parlava a nome e al posto del NCI (vedi il nostro articolo su Internet, in lingua francese e spagnola: “Impostura o realtà?”). I militanti del NCI, non avendo i mezzi per accedere a Internet, non potevano scoprire le sue manovre. Nei fatti, questi hanno iniziato a prendere conoscenza dei testi pubblicati a loro nome, così come delle lettere scambiate nel corso dell’ultimo periodo tra la CCI ed il NCI (in realtà il solo B. visto che lui sequestrava la corrispondenza elettronica), solo quando la CCI ha inviato loro questi documenti attraverso la spedizione postale.
Quale significato bisogna dare alle “metodologie nauseabonde” di questo impostore?
In tutta evidenza le sue azioni torbide sono quelle di un elemento manipolatore che non ha nessuna convinzione politica reale e che, come la FICCI, non trova posto nel campo del proletariato. Il carattere grossolano delle sue menzogne, come la sua febbrile agitazione su Internet, ci avevano permesso di affermare, ben prima che il NCI scrivesse la sua Dichiarazione, che “solo quelli che hanno, non un ‘piccolo nucleo’, ma un pisellino al posto del cervello” potevano credere a queste frottole (Vedi sul nostro sito Internet: “Circulo de Comunistas Internacionalistas”: Una nuova strana apparizione).
È quello che è successo alla Ficci ed al BIPR che hanno dato credito alle menzogne del “Circulo” annunciando pubblicamente che il NCI aveva rotto con la CCI e, soprattutto, pubblicando sul loro sito Web (in più lingue) la sua seconda Dichiarazione, del 12 ottobre, che ha la pretesa di “dimostrare” la “nauseabonda metodologia della CCI”. Giocando con il suo computer, il nostro Webmaster (e grande bugiardo!), era riuscito a farsi conferire un posto da superstar internazionale grazie alla chiassosa pubblicità non solamente della FICCI, ma anche del BIPR.
Che la FICCI abbia fatto un’alleanza entusiasta con il cittadino B. non ha niente di sorprendente: chi si somiglia si accoppia. Ma ben più grave è il fatto che una organizzazione della Sinistra comunista, il BIPR, abbia potuto servire a dar valore all’elemento B. e dare una cauzione ai suoi metodi “nauseabondi”.
Questo “circolo di comunisti(a) internazionalisti(a)” non è nient’altro che una gigantesca impostura.
È nostra responsabilità denunciarlo come tale e mettere in guardia l’insieme del campo politico proletario contro le azioni di questo “circolo” particolarmente... vizioso!
La CCI (3 novembre 2004)
1. Le Dichiarazioni del:
- 2 ottobre nella quale il “Circulo” solidarizza con la FICCI (pubblicata sul sito Web della FICCI);
- 12 ottobre “contro la metodologia nauseabonda della CCI” (pubblicata sul sito della FICCI e del BIPR);
- 21 ottobre intitolata “Risposta al supplemento Révolution Internationale de France” che esiste oggi solo in spagnolo sul sito del “Circulo”.
2. Vedi i nostri tre articoli su Internet in lingua francese e spagnola sul “Circulo de Comunistas Internacionalistas”: “Una strana apparizione”, “Una nuova strana apparizione”, “Impostura o realtà?”
Nella prima parte di questo articolo dedicato alla riunione pubblica del BIPR (Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario) che si è tenuta a Parigi il 2 ottobre sul tema "Perché la guerra in Iraq?", e che i nostri lettori possono consultare sul nostro sito Internet, abbiamo messo in evidenza come la politica di raggruppamento senza principio del BIPR ha portato questa organizzazione della Sinistra comunista a lasciarsi prendere in ostaggio da un gruppo parassitario (auto-proclamatosi "Frazione Interna della CCI") ([1]). In questa seconda parte dell’articolo, rendiamo conto del dibattito che si è svolto sulla questione della guerra in Iraq.
Abbiamo sempre affermato (in particolare nella stampa) l'assoluta necessità per le organizzazioni che si richiamano alle correnti della Sinistra comunista di condurre un dibattito pubblico, di confrontare le loro posizioni affinché gli elementi alla ricerca di una prospettiva di classe possano farsi un'idea chiara delle differenti posizioni che esistono all’interno del campo proletario.
Un'analisi a geometria variabile?
Sebbene il BIPR (come il PCint e la CWO che l'hanno costituito) abbia sempre difeso l'internazionalismo proletario, durante i peggiori orrori nazionalisti della borghesia, la sua analisi delle cause dei differenti conflitti durante questi ultimi venti anni, è passata totalmente a fianco dell'essenziale. Anche, per quanto riguarda la guerra attuale in Iraq, il BIPR nella sua esposizione introduttiva ha reiterato l’analisi secondo la quale questa nuova guerra avrebbe una razionalità economica (la rendita petrolifera ed il dominio degli Stati Uniti sulle sorgenti de"l'oro nero"). Il BIPR ha difeso questa stessa analisi già in passato, in particolare all'epoca della guerra in Afghanistan nel 2001: "... gli Stati Uniti hanno bisogno che il dollaro resti la moneta del commercio internazionale se vogliono mantenere la loro posizione di super potenza mondiale. Così, innanzitutto, gli Stati Uniti cercano disperatamente di assicurare che il proseguimento del commercio globale del petrolio si faccia in dollari. Ciò vuole dire avere un'influenza determinante nell'itinerario dei condotti di petrolio e di gas anche prima dell'implicazione commerciale americana nell'estrazione alla loro sorgente. Ciò accade quando delle semplici decisioni commerciali sono determinate dall'interesse dominante del capitalismo americano nel suo insieme e lo Stato americano si impone politicamente e militarmente nell'interesse di obiettivi più vasti, obiettivi che si oppongono spesso agli interessi di altri Stati e sempre più a quelli dei suoi alleati europei. In altri termini, questo è il cuore della concorrenza capitalista nel ventunesimo secolo (…)” (citato nella nostra Révue Internationale, n°108, gennaio 2002, nella nostra polemica col BIPR sulla questione della guerra).
Un'analisi simile veniva difesa all'epoca della prima guerra del Golfo nel 1991: "Nei fatti, la crisi del Golfo è realmente una crisi per il petrolio e per chi lo controlla. Senza petrolio a buon mercato i profitti cadono. I profitti del capitalismo occidentale sono minacciati ed è per questa ragione e nessun’altra che gli Stati Uniti preparano un bagno di sangue in Medio Oriente". (citato nella nostra Révue Internationale n°64).
Di fronte all’evidente evoluzione della realtà, il BIPR è stato costretto tuttavia, a proposito del conflitto attuale in Iraq, ad evolvere un po' nella sua analisi. Nella sua introduzione alla riunione il BIPR ha posto come spiegazione di questa nuova guerra tre questioni:
1) le ragioni geostrategiche;
2) la difesa del dollaro come moneta dominante e la rendita petrolifera;
3) il controllo delle zone di produzione petrolifera per una ventina di anni.
Dopo questa presentazione la CCI è intervenuta per mettere in evidenza che l'offensiva americana in Iraq ha essenzialmente delle cause strategiche. Se la domanda del petrolio gioca un ruolo importante, non è soprattutto per ragioni economiche, ma fondamentalmente per ragioni strategiche e militari. Abbiamo ricordato che l'importanza strategica del petrolio non data né da oggi, né dagli anni 1960, ma da prima della Prima Guerra mondiale, dalla meccanizzazione degli eserciti.
Nei nostri interventi abbiamo in particolare sottolineato che la presentazione fatta mostrava una certo avanzamento del BIPR poiché nell'elenco delle cause dell'offensiva americana in Iraq, si poneva al prima posto l'esistenza di ragioni "geostrategiche". In effetti il compagno che ha fatto la presentazione ha “corretto” il nostro intervento affermando che avevamo sentito male (o capito male) il contenuto di questa presentazione poiché, quale che sia l’ordine in cui le cause sono state presentate ... le “cause strategiche” dell’offensiva americana in Iraq, sono per il BIPR “secondarie”!
Il compagno ha affermato anche che, per evitare ogni "malinteso" da parte nostra, avrebbe dovuto distribuirci l'esposizione scritta. Successivamente, il BIPR ha pubblicato sul suo sito Internet in francese questa esposizione scritta. Così il lettore potrà, collegandosi, vedere che il fatto principale sostenuto è proprio quello che avevamo sentito: "Se l'oro nero figura nei calcoli iracheni di Washington, è come risorsa strategica piuttosto che economica. Con questa guerra si tratta innanzitutto di perpetuare l'egemonia americana - e, in questo senso, di avere delle garanzie per l'avvenire - che gonfiare subito i profitti d’Exxon". Non si potrebbe essere più chiari (e noi siamo completamente d’accordo con questa analisi)!
Questa piccola contorsione che consiste nell'affermare che la CCI avrebbe "sentito male" o "capito male" ha permesso al BIPR, durante la discussione, di determinare un impasse totale sulle "cause strategiche" della guerra in Iraq. In realtà, essa è servita solo a mascherare da una parte che le analisi del BIPR sono a geometria variabile e dall’altra che non tutti i compagni del BIPR sono d’accordo con le analisi "ufficiali" della loro organizzazione.
Gli argomenti della CCI
Nei nostri interventi abbiamo insistito sul fatto che, con l'entrata del capitalismo nel suo periodo di decadenza all'inizio del ventesimo secolo, la guerra ha perso ogni razionalità economica per il capitale globalmente inteso ed anche, e sempre più, per ogni Stato in particolare. Abbiamo ricordato che il concetto di decadenza del capitalismo non è un'invenzione della CCI ma l’analisi adottata dall’'Internazionale Comunista nel 1919. Anche l'analisi dell'irrazionalità della guerra in questo periodo di decadenza non è proprio un'idea strampalata uscita della testa degli "idealisti" della CCI. È la Sinistra Comunista francese (GCF), a cui la CCI si è sempre rivendicata, a sviluppare questa analisi affermando che nel periodo di decadenza del capitalismo "la produzione è essenzialmente mirata alla produzione di mezzi di distruzione, in vista cioè della guerra. La decadenza della società capitalista trova la sua espressione eclatante nel fatto che dalle guerre in vista dello sviluppo economico (periodo ascendente), l'attività economica si riduce essenzialmente alla preparazione della guerra (periodo decadente)" (Rapporto della Sinistra Comunista francese alla Conferenza del luglio 1945, citato nella nostra Révue Internationale n°18,"Il corso storico") ([2]).
Abbiamo messo anche in evidenza che il rigetto del carattere irrazionale, sul piano economico, delle guerre nel periodo di decadenza, e la loro irrazionalità crescente nella fase estrema di questa decadenza (quella della decomposizione del capitalismo) porta il BIPR a non fare nessuna differenza tra la funzione delle guerre coloniali e di costruzione di Stati nazionali nel 19° secolo e le guerre che si sono scatenate dal 1914.
Abbiamo pertanto ricordato la nostra analisi secondo la quale nel 19° secolo le guerre erano "redditizie". Avevano una razionalità economica poiché permettevano l'espansione del capitalismo a scala planetaria, mentre nel 20° secolo le guerre hanno preso un carattere sempre più irrazionale. Ed è ancora più evidente oggi: con l'entrata del capitalismo nel suo periodo di decomposizione (aperto con la disgregazione dei due blocchi imperialistici generati dalla Seconda Guerra mondiale) questa irrazionalità sul piano economico ha raggiunto un livello superiore come si è potuto vedere, per esempio, nei Balcani o in Cecenia.
L'ordine mondiale istituito dalla conferenza di Yalta nel 1945 ha ceduto oggi il posto ad un'era di disordine mondiale caratterizzato dallo scatenamento del “ciascuno per sé” sulla scena imperialista. La miopia del BIPR lo porta a non percepire che la logica imperialistica del capitalismo in periodo di decadenza tende ad ubbidire solo e sempre più alla propria logica: quella della fuga in avanti, sfrenata, nella guerra ed in una barbarie crescente. L'intervento della CCI ha messo anche in evidenza le implicazioni dell'analisi del BIPR secondo cui la guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq avrebbe ancora una razionalità economica (in particolare la famosa "rendita petrolifera"). In realtà, una tale visione conduce il BIPR a sottovalutare l'estrema gravità della situazione storica attuale (segnata da uno sviluppo di un caos sanguinoso) e, dunque, la gravità della posta in gioco per la classe operaia e per l'avvenire dell'umanità.
Abbiamo inoltre ricordato anche il quadro in cui la CCI ha analizzato le cause di questa nuova guerra in Iraq: "Nel contesto del fallimento del capitalismo e di decomposizione della società borghese, la realtà ci mostra che l'unica politica possibile per ogni grande potenza è provare a mettere gli altri in difficoltà per tentare di imporre se stessa. È la legge del capitalismo. Questa instabilità, questa anarchia crescente e questo caos che si estendono non sono la specificità di questa o quella zona esotica ed arretrata, ma sono proprio il prodotto del capitalismo nella sua fase attuale irreversibile di decomposizione. E dato che il capitalismo domina su tutto il pianeta, è il pianeta intero che è sempre più sottoposto al caos" (Révue Internationale n°118).
La mancanza di serietà degli argomenti del BIPR
Il BIPR non è stato in grado di confutare con un minimo di serietà i nostri argomenti. Rispetto all’analisi della decomposizione del capitalismo, il solo "argomento" politico che abbiamo potuto sentire da parte del BIPR è consistito nello stigmatizzare ancora una volta “l'idealismo" della CCI con un sarcasmo fuori luogo: “con la vostra analisi della decomposizione, tutto è in tutto, il caos, Dio, gli angeli, ..."!
Ma non è tutto. Siamo rimasti sbalorditi nel sentire degli argomenti da fare rigirare Marx ed Engels nelle loro tombe:
1) Quando abbiamo posto la domanda: "Il BIPR difende ancora oggi l’analisi secondo la quale se una terza guerra mondiale non è scoppiata prima del crollo del blocco dell'Est è a causa della bomba atomica e de 'l'equilibrio del terrore"? Sulle prime nessun militante del BIPR ha voluto rispondere alla nostra domanda. Solo quando abbiamo ripetuto questa domanda per la terza volta, uno di loro si è degnato di risponderci, in modo molto conciso (e senza nessuna argomentazione): l'equilibrio del terrore è "UNO dei fattori" che spiega perché la borghesia non ha potuto scatenare una terza guerra mondiale... Insomma, l'analisi classica dei settori borghesi dominanti che, per decenni, hanno venduto ai proletari la spaventosa corsa agli armamenti in nome della "preservazione della pace". Nessun commento!
Oltre a vedere che il BIPR faceva sua la pochezza della propaganda borghese, tutti gli elementi in ricerca presenti a questa riunione pubblica sono restati a pancia vuota: sono usciti dalla riunione senza conoscere quali sono gli "altri fattori" (e soprattutto qual'è il fattore determinante) che, secondo il BIPR, hanno costituito un ostacolo ad una terza guerra mondiale. Invece hanno potuto sentire che per la CCI il fattore essenziale sta nel fatto che, dalla fine degli anni 1960, un nuovo corso storico (quello degli scontri di classe) era stato aperto, segnando la fine del lungo periodo di controrivoluzione che si era abbattuto sul proletariato dopo la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del 1917-23. Se una terza guerra mondiale non è esplosa, non è a causa dell'arma atomica e de "l'equilibrio del terrore", ma proprio perché la classe operaia mondiale non era pronta a versare il suo sangue dietro le bandiere nazionali.
2) Per quanto riguarda l'analisi marxista della decadenza del capitalismo, abbiamo sentito un portavoce del BIPR risponderci in questi termini: "sono stanco di discutere da 25 anni con la CCI”. In effetti, la CCI è talmente "limitata" che non vuole mai capire l’ABC del marxismo, il quale avrebbe insegnato (secondo questo rappresentate del BIPR) che "nel capitalismo bisogna distinguere due cose: la formazione sociale ed il modo di produzione. Si può considerare che c'è decadenza della formazione sociale (anche se io non amo la parola 'decadenza'), ma il modo di produzione non è decadente. Perché se una rivoluzione sociale non interviene, avremo sempre i due, con il crollo della società nella barbarie”.
Prendendo tutte le precauzioni d'uso (è vero che se una rivoluzione non interviene avremo un crollo nella barbarie), il BIPR ha affermato tranquillamente che il capitalismo può essere in decadenza in quanto "sistema sociale", al livello della sua sovrastruttura (ideologie dominanti, cultura, svaghi, costume, morale, eccetera..) ma non in quanto "sistema economico", sul piano cioè della sua infrastruttura (a livello del suo modo di produzione e del modo con cui gli uomini sono organizzati per produrre la loro esistenza).
Ed è nel nome del marxismo, del "materialismo" e certamente contro la visione "idealistica" della CCI che è stato assestata una tale lezione di "dialettica"! Preferiamo lasciare a Marx la cura di confutare simili insulsaggini: "un modo di produzione o un stadio industriale determinato è sempre unito con un modo di cooperazione o uno stadio sociale determinato e questo modo di cooperazione è anche esso una ‘forza produttiva’". "La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è in primo luogo direttamente intrecciata all'attività materiale ed alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale". ("L'ideologia tedesca"). Questo "linguaggio della vita reale", il BIPR sembra ignorarlo. Ma, come diceva Spinoza, "l'ignoranza non è un argomento" !
Per il marxismo, la decadenza come l'ascesa di un modo di produzione colpisce tutti gli aspetti della società, perché è lo stato delle infrastrutture (l'economia) che determina quello delle sovrastrutture (la vita sociale), anche se l'evoluzione o l'involuzione di una civiltà non si sviluppa in modo omogeneo in tutti i suoi aspetti. Affermare il contrario non è né materialista, né marxista. E’ cadere nell'idealismo più stupido.
3) Durante la discussione, uno dei nostri simpatizzanti ha chiesto al BIPR: "Se si segue la vostra analisi del ciclo ‘crisi/espansione/nuova crisi, ecc.’, quale è la vostra posizione sulle lotte di liberazione nazionale? Queste sarebbero ancora valide oggi? E ciò vuole dire che i sindacati avrebbero ancora una natura operaia?".
Sulla domanda delle lotte di liberazione nazionale il BIPR non ha dato nessuna risposta. Invece, un compagno del presidium ha affermato che se il BIPR non è per il lavoro nei sindacati è "perché l'esperienza ha mostrato che non serve a niente e non perché il capitalismo sarebbe in decadenza". Noi siamo intervenuti per chiedere al BIPR se rigettava pertanto la posizione difesa dal PCInt nel 1947 citata tuttavia in esergo nelle sue "Tesi sul sindacato oggi e l'azione comunista" (adottate al 4° congresso del PCInt): "Nell'attuale fase di decadenza della società capitalista, il sindacato è chiamato ad essere uno strumento essenziale della politica conservatrice e di conseguenza ad assumere una funzione precisa di organismo dello Stato". (sottolineato da noi).
Il compagno del presidium che ha risposto alla domanda sulla natura dei sindacati, è sembrato allora molto sorpreso che il BIPR o il PCInt. abbiano potuto avere una tale analisi. Visibilmente sembrava scoprire questa posizione programmatica della propria organizzazione (che è comunque pubblicata anche sul sito Web del BIPR)!
Evidentemente la messa in discussione dell'analisi della decadenza del capitalismo elaborata dall'Internazionale comunista, non può che condurre il BIPR a "rivedere" certe posizioni della sua propria piattaforma.
La mancanza di serietà nel dibattito
All'infuori del nostro contributo al dibattito, e delle domande poste dai nostri simpatizzanti (alle quali il BIPR non ha risposto, o ha risposto in modo perlomeno molto confuso) si può segnalare l'intervento di un elemento del campo consiliarista (che noi conosciamo da molto tempo) che è consistito essenzialmente nel criticare la nostra analisi della decadenza del capitalismo (basata sulla teoria della saturazione dei mercati sviluppata da Rosa Luxemburg ne “L'accumulazione del capitale”). Questo elemento è venuto a farci ancora una volta una "lezione di marxismo" difendendo l'idea che il capitalismo globale è ancora oggi in piena fase di accumulazione allargata come dimostrerebbe il formidabile sviluppo economico della Cina!
Quest’analisi (che è oggi molto diffusa tra gli "esperti" della classe dominante) non ha dato adito alla minima critica da parte del BIPR. La CCI è intervenuta quindi per dimostrare che la pretesa "espansione economica" della Cina è costruita sulla sabbia (vedi l’articolo sulla Cina sul n°350 del nostro giornale in Francia, Revolution Internationale)
Inoltre abbiamo dovuto uno dei due supporter della FICCI fare un lungo intervento, incomprensibile e totalmente incoerente, che mirava a "dimostrare" che l'analisi della CCI (e dunque dell'Internazionale Comunista) sulla decadenza del capitalismo è un'assurdità e si situa al di fuori del marxismo.
Altrettanto significativa è stata la "prestazione" dei due "tribuni" della FICCI che si sono agitati non per prendere posizione sull'analisi del BIPR esposta dal presidium, ma per tentare di "demolire" le analisi della CCI ([3]).
La mancanza totale di serietà della FICCI si è ancora una volta manifestata clamorosamente per il comportamento di due dei suoi membri, e dei loro due sostenitori che, invece di prendere la parola per sviluppare un'argomentazione politica, si sono accontentati durante tutta la riunione di adottare un atteggiamento fatto di sogghigni, di sarcasmi (ed anche di applausi di fronte alle critiche portate alle analisi della CCI, come se fossero venuti ad assistere ad una partita di calcio). Questa mancanza di serietà ha del resto profondamente scioccato gli elementi in ricerca che erano presenti. Uno di essi ha chiesto la parola e ha affermato che questo tipo di atteggiamento in una riunione politica non l'aveva “incitato ad iscriversi nella discussione". E’ chiaro quindi che se la CCI non fosse stata presente e se non avesse portato materia alla discussione, non ci sarebbe stato alcun dibattito contraddittorio, alcun confronto delle differenti posizioni. La FICCI, che pretende essere il "vero difensore della piattaforma del CCI", si è, in effetti, guardata bene dall’avanzare la minima divergenza, la minima critica all'analisi del BIPR.
Sul concetto di decadenza del capitalismo (che il BIPR sta "ridefinendo", nei fatti rigettando) i membri della FICCI non hanno speso una parola. Cos’ come hanno evitato pudicamente ogni confronto col BIPR sulla domanda: perché la borghesia non è stata in grado di scatenare una terza guerra mondiale prima del crollo del blocco dell'Est?
La pretesa apertura al dibattito pubblico, per il "chiarimento" ed il "confronto" dei differenti punti di vista in seno al campo proletario a cui si rivendica la FICCI è solamente un bluff adornato da una buona dose di ipocrisia. In realtà, per costituire un "fronte unico anti-CCI", il BIPR e la FICCI preferiscono nascondere i loro disaccordi e discuterli nelle loro riunioni "private"!
Da parte nostra, se ci siamo rifiutati di fare il benché minimo "dibattito" con gli elementi della FICCI (e ciò nonostante i loro interventi provocatori) è perché la CCI è venuto ad una riunione pubblica del BIPR e soprattutto non voleva permettere a questi individui il sabotaggio del dibattito. È per ciò che siamo intervenuti per confutare gli argomenti del BIPR e non quelli di questa autoproclamata "frazione" che si è comportata come una banda di teppisti, rubando del materiale e del denaro alla CCI.
La CCI ha partecipato a questa riunione anche perché non teme il confronto pubblico delle sue divergenze con il BIPR. In questo senso non condividiamo la posizione del BIPR (reiterata alla fine della riunione) secondo la quale il dibattito tra la CCI ed il BIPR "non serve a niente". La nostra concezione del dibattito pubblico non è quella di un braccio di ferro tra i gruppi della Sinistra comunista per sapere che è più “forte", o chi “conquisterà” più elementi. Se siamo interessati alla discussione pubblica di queste divergenze è essenzialmente per permettere agli elementi in ricerca di conoscere non solo le posizioni della CCI ma anche quelle degli altri gruppi del campo proletario. Solo questo comportamento può permettere loro di chiarirsi e di non sbagliare porta se vogliono diventare militanti.
Di fronte agli elementi alla ricerca di una prospettiva di classe, è compito delle organizzazioni rivoluzionarie dare una risposta a tutte le loro domande, convincerli col massimo di chiarezza, di rigore e di serietà nell'argomentazione. Come è loro compito difendere, nelle riunioni pubbliche, la serietà del dibattito politico bandendo ogni atteggiamento parassitario che consiste nell'inquinare questo dibattito attraverso sarcasmi, sogghigni o applausi.
CCI (18 ottobre)
[1] Per ragioni di spazio e di equilibrio del nostro giornale, non pubblichiamo qui la prima parte di questo articolo intitolato "Il BIPR preso in ostaggio da teppisti!”, che il lettore potrà trovare sul nostro sito Web. Chi non avesse la possibilità di consultare il nostro sito Internet, può chiedere questo articolo direttamente al nostro indirizzo. Gli manderemo gratuitamente una copia. Manderemo loro anche la risposta che il BIPR ha pubblicato, sul suo sito Web, sotto i titolo "Risposta ad un'organizzazione in via di disintegrazione".
[2] Un membro della FICCI ha fatto un intervento per tentare di "ridicolizzare" la nostra visione dell'irrazionalità della guerra accusandoci di "revisionismo" ed arrivando ad affermare che siamo "dei Kautsky"! In realtà, sono i tromboni di questa pretesa "frazione" che mostrano di essere i veri "revisionisti", poiché abbandonano oggi l'analisi sviluppata dalla GCF a cui la CCI, per quanto la riguarda, si sempre è rivendicata. Questi rinnegati che pretendono essere i "veri difensori delle posizioni programmatiche della CCI", oggi (per lisciare il BIPR) rigettano questa posizione elementare della nostra piattaforma sulla quale si fonda il nostro quadro di analisi della decadenza del capitalismo.
[3] E per combattere le analisi "kautskiane" e "revisioniste" della CCI, abbiamo ascoltato dalla bocca di quelli che il BIPR chiama i vecchi "dirigenti della vecchia guardia della CCI" (sic!) degli "argomenti" che rasentano il cretinismo. Abbiamo appreso, tra altre "perle" della FICCI, che:
- "La guerra in Iraq rappresenta un guadagno economico maledettamente importante per gli Stati Uniti!"
- Nel pantano iracheno, "l'esercito americano si rinforza" !
- "Prima di comprendere la questione della guerra, il proletariato deve subirla e deve soffrire sulla sua pelle”! Nessun commento.
Pubblichiamo una sintesi della riunione pubblica che la CCI ha potuto tenere a Buenos Aires nell'agosto 2004 grazie al NCI (Nucleo di Comunisti Internazionalisti) d'Argentina di cui abbiamo pubblicato parecchi contributi nella nostra stampa. Malgrado le loro deboli forze e le condizioni estremamente difficili in cui si trovano, questi compagni si sono implicati attivamente nel dibattito per difendere le posizioni di base del campo proletario.
Il 27 agosto la CCI ha tenuto una riunione pubblica a Buenos Aires sul tema della decadenza del capitalismo. Parecchi partecipanti hanno affermato di essere stati piacevolmente sorpresi dalla discussione, viva ed animata, con la partecipazione attiva dei presenti. Hanno visto che questa riunione si trovava agli antipodi di quelle dei gruppi della sinistra o dell'estrema sinistra del capitale in cui un oratore o parecchi oratori a turno scaricano discorsi interminabili che stancano le persone lasciandole demoralizzate. Al contrario, la riunione pubblica della CCI ha dimostrato di essere un luogo dove si può discutere ed opporre argomentazioni diverse con lo scopo della chiarificazione politica che è un'arma della classe operaia. Perché è solo attraverso il fuoco del dibattito che può scaturire la scintilla della chiarezza.
La decadenza del capitalismo minaccia la sopravvivenza dell'umanità
La presentazione ha evidenziato le seguenti questioni: come spiegare le due guerre mondiali, le interminabili guerre regionali e le guerre del caos attuale corredato di un terrorismo cieco e barbaro? Come spiegare la degradazione inesorabile delle condizioni di vita di tutti gli operai del mondo, ivi compreso i "privilegiati" della Germania, della Francia, degli Stati Uniti, ecc.? Come spiegare l'aumento della fame nel mondo, le epidemie e le malattie più spaventose? Come spiegare lo sfaldamento crescente delle relazioni sociali che genera l'insicurezza, il degrado morale, il dilagare delle droghe, la fuga nell'irrazionale, la barbarie più abietta? Come spiegare la minaccia crescente delle enormi catastrofi ecologiche?
La borghesia, in tutte le sue varianti, ci offre ogni sorta di false spiegazioni: ci sarebbe una crisi di ristrutturazione del capitalismo; un capitalismo "riformato" con un intervento dello Stato in grado di corregge le sue tendenze più negative permettere un "altro mondo" possibile, ecc. Di fronte a ciò, la spiegazione data dalla CCI ha messo in evidenza che il capitalismo è un sistema sociale decadente che, dalla Prima Guerra mondiale, si è trasformato in un ostacolo per lo sviluppo dell'umanità. Il proseguire della sua sopravvivenza porta con esso la minaccia di distruzione della specie umana. Come diceva l'Internazionale Comunista al suo primo congresso (marzo 1919): "Il periodo attuale è quello della decomposizione e del crollo di tutto il sistema capitalista mondiale ed sarà quello del crollo della civiltà europea se non si distrugge il capitalismo insieme alle sue insolubili contraddizioni " ([1]).
La classe operaia è l'unica classe sociale capace di distruggere il capitalismo
Questa presentazione, che si è limitata a venti minuti per lasciare il massimo tempo alla discussione, non è stata messa apertamente in questione da nessuno dei partecipanti. La discussione si è incentrata su due questioni:
- Chi può distruggere il capitalismo?
- Che cosa sono veramente la rivoluzione proletaria ed il comunismo?
In generale i partecipanti hanno espresso il loro accordo col fatto che il proletariato è la classe rivoluzionaria che ha nelle proprie mani la lotta per la distruzione del capitalismo. Tuttavia sono stati sollevati dei dubbi, che la discussione ha poi permesso di dissipare:
- il proletariato di oggi è forse completamente differente da quello della fine del diciannovesimo secolo e dell'inizio del ventesimo secolo ed è capace di comprendere la possibilità e la necessità di distruggere il capitalismo visto la sua supposta maggiore "integrazione" alla società capitalista?
- Con la chiusura crescente delle fabbriche, e per il fatto che numerosi operai sono oggi disoccupati, il proletariato non ha perso le sue armi classiche di lotta e, tra le altre, l'arma dello sciopero?
Sebbene non possiamo qui riportare per esteso le risposte date nel corso della riunione pubblica, vogliamo ricordare che dalla discussione è emerso con chiarezza che il proletariato:
- continua ad essere il produttore collettivo delle principali ricchezze della società capitalista la quale non potrebbe esistere senza lo sfruttamento della classe operaia;
- ha come armi principali la sua unità, la sua coscienza e la sua capacità ad organizzarsi massicciamente. È da queste armi che dipende quella dallo sciopero.
Nella discussione si è affrontata anche un’altra questione basilare e cioè che il comunismo non ha mai avuto niente a che vedere con il capitalismo di Stato dell'ex-URSS, di Cuba o della Cina. Rivendicandosi all’"analisi marxista", due partecipanti hanno difeso, il preteso carattere "socialista" (o "come un passo verso il socialismo") dei regimi dell'ex-URSS, della Corea del Nord, di Cuba ecc, affermando che in questi paesi ci sono state delle "rivoluzioni socialiste". Altri compagni hanno risposto loro in modo molto netto con i seguenti argomenti:
- il "socialismo in un solo paese" è un tradimento del proletariato. La sua rivoluzione sarà mondiale o non sarà. Il comunismo non potrà cominciare ad essere costruito che a partire dalla distruzione del capitalismo in tutti i paesi;
- in Russia, in Cina, nella Corea del Nord, ecc., ciò che ha regnato e regna tuttora è solo una forma particolare di capitalismo di Stato, cioè di una tendenza generale che domina tutto il capitalismo mondiale e che si impone sotto diverse forme in tutti i paesi: negli Stati Uniti per esempio, prende la forma "liberale" di una fusione tra la classica borghesia privata e gli interventi molto forti dello Stato in tutti i campi della vita economica, sociale, militare, ecc.;
- la sola rivoluzione proletaria che abbia avuto luogo nel ventesimo secolo, è la rivoluzione russa del ’17 con l'ondata rivoluzionaria che ne è seguita in altri paesi e si è propagata fino in Argentina (la Settimana Tragica). È la sconfitta del proletariato in questi paesi - e principalmente in Germania - che ha posto il bastione proletario in Russia in un tragico isolamento ed in un processo di degenerazione che ha aperto la porta alla controrivoluzione stalinista;
- questa controrivoluzione si è imposta nel nome del "comunismo", della "dittatura del proletariato" e del partito bolscevico che era stato all'avanguardia della rivoluzione. La menzogna del "comunismo" in Russia ha fatto molti danni sulle generazioni proletarie successive. Questi danni hanno provocato una perdita di fiducia di queste nuove generazioni nelle proprie forze ed un dubbio sulla prospettiva comunista.
Per mancanza di tempo la discussione si è dovuta fermare e parecchi partecipanti hanno manifestato la necessità di proseguire il dibattito. In particolare, uno di essi ha proposto di mettere in discussione l’argomento della dittatura del proletariato e come lottare oggi per realizzarla. È stato convenuto anche che una sintesi di questa riunione fosse pubblicata su Internet per permettere il proseguimento della discussione attraverso tale mezzo.
Da Accion Proletaria n° 178, pubblicazione della CCI in Spagna
[1] "Lettera di invito al Partito Comunista tedesco" al primo congresso dell'IC.
Ormai tutti sanno che dire legge Finanziaria e dire stangata è la stessa cosa. E quella 2005 di Berlusconi non smentisce questa convinzione. Dietro la cortina di fumo della riduzione dell’IRPEF, che è irrisoria e tutta a favore dei redditi medio-alti, c’è tutta una serie di aumenti di tasse e bolli (che superano le riduzioni dell’IRPEF) e di tagli di spesa che significheranno servizi sociali sempre peggiori, possibili aumenti di tasse comunali e regionali, e il sicuro licenziamento di decine di migliaia di lavoratori del pubblico impiego mascherato sotto la forma del blocco del turn over o della mancata conferma dei lavoratori precari (in particolare nella scuola).
L’opposizione di sinistra subito strilla che è tutta colpa della natura di questo governo, un governo di destra poco sensibile alle ragioni dei lavoratori e per giunta guidata da uno che pensa solo ai suoi affari e non sa mettere mano all’economia.
Certo, è vero, la sinistra ha dimostrato, in otto e passa anni di governo, di saper difendere gli interessi del capitale nazionale meglio di Berlusconi e compagni, ma a quale prezzo? Sempre e soprattutto a spese dei redditi dei lavoratori, con i tagli ai servizi sociali, con la precarizzazione dei posti e dei contratti di lavoro. Se oggi la sinistra cerca di buttare tutto addosso a Berlusconi non è solo per salvare se stessa, ma, e soprattutto, per cercare di nascondere la vera ragione delle politiche di sacrifici che tutti i governi del mondo, poco importa se di destra o di sinistra, mettono in piedi ormai da anni.
In Germania, per esempio, è il governo socialdemocratico di Schroeder che in un programma di austerità battezzato “Agenda 2010” (il che è praticamente una minaccia) ha cominciato a mettere in atto una diminuzione dei rimborsi per le spese sanitarie, un aumento dei contribuiti per la cassa malattia, l’aumento dei contributi previdenziali e l’abolizione del limite d’età per il pensionamento che già oggi è di 65 anni.
Questo perché la vera ragione di tutti i piani di austerità, delle ristrutturazioni, dei licenziamenti, è la crisi storica del capitalismo, che porta questo sistema a togliere poco alla volta ai lavoratori tutte quelle poche sicurezze che con decenni di lotte e di sacrifici i lavoratori si erano conquistati: la sicurezza di un salario, di un posto di lavoro, di una pensione, di una cassa mutua, e così via.
Né ci si può illudere che prima o poi finirà: questa crisi non ha soluzione e tutti i sacrifici richiesti oggi non servono a una ripresa per domani (quanti decenni sono ormai che cercano di illuderci con questa prospettiva?), ma solo a mantenere un margine di profitto alle aziende e la sopravvivenza dello Stato borghese (nella sua funzione di capitalista collettivo e di garante della pace sociale).
La sola strada per difendersi da tutto questo è la lotta. Una lotta che lentamente sta riprendendo un po’ in tutto il mondo: in Italia, con i ferrotranvieri e gli operai di Melfi nell’inverno scorso; in Germania, dove i lavoratori del settore automobilistico hanno dato luogo a scioperi e manifestazioni contro i piani di licenziamenti e di riduzione salariali, riuscendo a instaurare manifestazioni di solidarietà tra lavoratori contro i tentativi di divisione del sindacato (1); in Spagna, dove sono gli operai dei cantieri navali che si battono contro la riduzione dei posti di lavoro.
Tutte queste lotte si svolgono ancora sotto le costrizioni dei lacci sindacali, e anche per questo non riescono ancora a superare il livello di un solo settore lavorativo (laddove la generalizzazione degli attacchi richiederebbe una risposta unita di tutti i lavoratori). Ma per poter dare una minima efficacia alle loro lotte i lavoratori saranno costretti a liberarsi di questi lacci, di questi agenti sabotatori delle lotte, che vengono sostenuti dallo Stato borghese proprio per questo scopo. E saranno le esigenze stesse della lotta, in primo luogo quello di ritrovare il senso della solidarietà e della unità di classe, che spingerà i lavoratori a riconoscere questo ruolo dei sindacati e cercare strade autonome per evitare nuove sconfitte e nuove delusioni.
Helios, 16/12/2004
1. Nel senso che i lavoratori delle fabbriche che avrebbero dovuto accogliere la produzione delle officine che venivano chiuse, si sono opposti anche essi ai piani di ristrutturazione. Tutto il contrario insomma di quanto fatto dai sindacati italiani che hanno invitato i lavoratori del settore aeronautico della Campania a sollevarsi contro l’intenzione di far costruire il prossimo modello di aereo europeo in Puglia.
Recentemente la CCI ha
inviato una delegazione in Argentina. Essa è stata accolta molto calorosamente
dai membri del NCI che ci hanno confidato che avevano un solo timore: che la
CCI cambiasse idea e che li abbandonasse rinunciando a questo viaggio!
Nel corso di questo nuovo
soggiorno i compagni del NCI hanno preso la decisione di inviare per posta
tradizionale la loro Dichiarazione del 27 ottobre (pubblicata in questo stesso
numero) a tutte le sezioni del BIPR e agli altri gruppi della Sinistra
Comunista allo scopo di ristabilire la verità: contrariamente alle false
informazioni fatte circolare dal BIPR (in particolare nella sua stampa in
italiano), il NCI non ha rotto con la
CCI!
Per due volte i membri del NCI hanno chiesto per telefono all’individuo B. di venire a spiegarsi davanti al NCI e alla delegazione della CCI. Il signor B. ha rifiutato ogni incontro e ogni discussione e ci ha riattaccato il telefono in faccia. Questo comportamento rivela tutta la doppiezza di questo individuo: preso con le mani nel sacco, adesso si nasconde come un coniglio nella sua tana!
I compagni del NCI ci hanno riportato elementi supplementari sul comportamento di questo piccolo avventuriero di provincia. Il signor B. aveva un profondo disprezzo per gli altri membri del NCI. Questi sono operai che vivono nella miseria, mentre B. esercita una libera professione e si era anche vantato di essere il solo membro del NCI a “potersi pagare il proprio viaggio in Europa”. I compagni del NCI ci hanno anche svelato i metodi di B.: egli teneva divisi i militanti del NCI facendo in maniera tale che essi non potessero mai riunirsi tutti assieme. Li tratteneva individualmente o a piccoli gruppi per tenere delle discussioni personali con essi. B. non voleva che i membri del NCI approfondissero le questioni politiche e passava velocemente da un tema all’altro. È perciò che i compagni del NCI avevano stimato che essi non erano pronti ad aderire alla CCI quando B. aveva fatto tutti gli sforzi, nello scorso agosto, per fare integrare il NCI nella CCI in maniera prematura. Infine i compagni del NCI ci hanno detto di aver preso coscienza del fatto che fino ad allora avevano avuto molte difficoltà a criticare i metodi di questo “piccolo capo” stalinista (senza dubbio a causa del peso del loro passato nelle organizzazioni gauchistes).
Questo individuo aveva anche
cercato di seminare zizzania in seno alla CCI. All’inizio di settembre ci aveva
mandato una e-mail nella quale accusava uno dei nostri compagni (che faceva
parte della delegazione che era stata in Argentina nel mese di agosto) di
avere, con i suoi comportamenti, costretto un membro del NCI a traslocare. Nel
corso di questo nostro ultimo viaggio, questo militante del NCI ci ha assicurato
che questa era una menzogna pura e semplice: se lui ha dovuto traslocare è
stato solo perché non poteva più pagare l’affitto! Abbiamo conservato una
traccia scritta di questa ripugnante menzogna del signor B.
Malgrado lo choc subito con
la scoperta delle menzogne e delle manovre messe in atto, a nome loro e a loro insaputa, da questo sinistro personaggio, i
compagni del NCI hanno espresso la loro determinazione a proseguire una
attività politica commisurata alle loro deboli forze. È grazie alla loro accoglienza
molto fraterna e al loro impegno politico che la CCI ha potuto tenere una seconda
riunione pubblica il 5 novembre a Buenos
Aires, il cui tema è stato scelto dal NCI (vedere il nostro sito in spagnolo).
Durante tutto il tempo del suo soggiorno a Buenos Aires la delegazione della CCI è stata ospitata dai compagni del NCI che ci hanno offerto calorosamente questa loro disponibilità nonostante le loro spaventose condizioni di vita. La maggioranza di loro è disoccupata, senza nessun sussidio da parte dello Stato. Un altro compagno (la cui compagna è stata licenziata) ha appena perso il suo alloggio.
Malgrado le terribili
difficoltà materiali che essi incontrano nella vita quotidiana, i membri del
NCI hanno insistito con la nostra delegazione: essi vogliono implicarsi di più
in un attività militante e in particolare continuare la discussione con la CCI.
Quelli che sono disoccupati vogliono ritrovare un lavoro non solo per poter
continuare a sopravvivere e nutrire i loro figli, ma anche per uscire dal sottosviluppo
politico in cui il signor B. li ha mantenuti.
Rompendo con il cittadino B.
e con i suoi metodi borghesi, i compagni del NCI si comportano come dei veri
militanti della classe operaia. Essi hanno tracciato delle prospettive di
lavoro con la delegazione della CCI. In prima istanza hanno deciso di formarsi
nella utilizzazione degli strumenti informatici per potersi servire di Internet
e fornirsi di un indirizzo e-mail (1).
Al momento della partenza
della nostra delegazione, i compagni del NCI ci hanno ringraziato per la nostra
visita. Ci hanno detto che non avevano mai incontrato (nel loro percorso
politico passato) una organizzazione come la CCI, con un tale rispetto dei
militanti. Hanno insistito più volte che la CCI li chiami regolarmente per
telefono.
Così, la CCI non abbandonerà il NCI. Non permetterà al signor B. (e al suo piccolo “circolo” vizioso) di esercitare il minimo ricatto, la minima pressione di qualsiasi natura per cercare di distruggere questo “piccolo nucleo” in un paese isolato. E’ perciò che su richiesta unanime di tutti i militanti del NCI la CCI continuerà ad usare la sua “metodologia” (definita “nauseabonda” dal signor B. e dai suoi complici della FICCI!) consistente nel fare loro dei colpi di telefono regolari (2).
C.C.I. (17 novembre 2004)
1. Per ogni corrispondenza e ogni sostegno finanziario al NCI, scrivere alla casella postale o all’indirizzo e-mail di Accion Proletaria, sezione della CCI in Spagna.
2. È in questi termini che nella sua “Dichiarazione” del 12 ottobre, questo mitomane manipolatore aveva sparso le sue menzogne nauseabonde attribuendo alla CCI le sue proprie turpitudini (come i suoi alleati della FICCI, che gli hanno dato il loro “benvenuto” nel loro Bollettino n.28!): “Noi facciamo questa dichiarazione in seguito a una serie di denunce effettuate dai militanti del Circolo di Comunisti Internazionalisti, e su loro richiesta, che raccontano che essi sono stati oggetto di chiamate telefoniche da parte della CCI. Tuttavia, queste chiamate telefoniche non erano innocenti. Esse avevano la subdola intenzione di distruggere il nostro piccolo nucleo (...). Su loro richiesta unanime, i compagni che la CCI ha chiamato a telefono per seminare i germi della diffidenza e della distruzione del nostro piccolo gruppo, propongono all’insieme dei membri del Circolo dei comunisti internazionalisti il rigetto totale del metodo politico della CCI che essi considerano come tipicamente stalinista” ! (Vedere ugualmente il nostro articolo su Internet: “Circolo di Comunisti Internazionalisti”: impostura o realtà?”
Come abbiamo già detto sulla nostra stampa, la vittoria dell’uno o dell’altro non costituiva la posta in gioco per la borghesia americana. Nondimeno, il fatto che il candidato su cui era caduta la sua scelta non è stato eletto a causa di una difficoltà a canalizzare questa parte dell’elettorato particolarmente permeabile ai temi più arcaici ed oscurantisti, costituisce un’espressione dell’indebolimento della potenza americana. In effetti l’empasse al quale è confrontata la leadership americana sulla scena mondiale si riflette in una certa difficoltà della borghesia americana a controllare il gioco politico.
Di fronte alla politica imperialista degli Stati Uniti che può esprimersi e svilupparsi solo in una direzione militare e guerriera, la conferma dell’equipe Bush per i prossimi quattro anni designa una evoluzione della situazione mondiale ancora più drammatica e barbara. La classe operaia non può aspettarsi niente dalle elezioni negli Stati Uniti, così come in qualsiasi altra parte del mondo. Ha invece tutto da temere dalla caduta del capitalismo nel caos e la barbarie.
Tino (18 novembre 2004).
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/4/95/argentina
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/internazionalisti-argentina
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/4/87/palestina
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/4/85/iraq
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/6/107/iraq
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/7/111/bureau-internazionale-per-il-partito-rivoluzionario
[9] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/parassitismo
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/vita-della-cci/riunioni-pubbliche
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[13] https://it.internationalism.org/en/tag/4/90/stati-uniti