Ottobre 2021
La pandemia globale di Covid-19 continua, di fronte all’incapacità di tutti gli Stati di coordinare i loro sforzi, a devastare ogni continente. E i principali eventi degli ultimi due mesi confermano la dinamica mortale in cui il capitalismo sta precipitando la civiltà.
Cataclismi climatici a ripetizione
Sul piano climatico, l’estate del 2021, la più calda mai registrata, è stata punteggiata dal moltiplicarsi e dall’accumularsi di catastrofi ai quattro angoli del pianeta: immensi incendi in aumento in diverse regioni del globo, piogge torrenziali in Cina e in India, inondazioni nell’Europa nord-occidentale, smottamenti in Giappone, uragani e inondazioni anche mortali, ondate di calore e siccità estrema negli Stati Uniti, una cupola di calore in Canada...
La scala, la frequenza e la simultaneità degli effetti estremi del riscaldamento globale hanno raggiunto livelli senza precedenti negli ultimi mesi, devastando letteralmente intere aree, causando nella maggior parte dei casi centinaia di morti (anche in paesi sviluppati come Stati Uniti, Germania e Belgio) e precipitando milioni di persone nel caos e nella desolazione. In mezzo a questo scenario da cataclisma, il nuovo rapporto dell’IPCC, pubblicato all'inizio di agosto 2021, che mette ancora una volta in guardia rispetto all’accelerazione dello sconvolgimento del clima e all’aumento senza precedenti degli eventi meteorologici estremi, arriva come una evidenza di quello che accade.
Anche se i media hanno ampiamente riportato le spaventose conclusioni dell’IPCC, si sono subito affrettati a minimizzarle, indicando che la situazione non era disperata, poiché la presunta salvezza del pianeta stava, secondo il rapporto, nella messa in atto di una “economia verde” e nella generalizzazione di comportamenti individuali “eco-responsabili”. Tutte bugie che mirano a una sola cosa: mascherare le responsabilità del modo di produzione capitalista nella carneficina ambientale e l’incapacità della borghesia di affrontare la situazione, visto che “gli Stati e i servizi di emergenza, sotto il peso di decenni di tagli di bilancio, sono sempre più disorganizzati e fallimentari”[1].
Ma la catena di disastri delle ultime settimane è solo un piccolo assaggio di ciò che attende l’umanità negli anni e nei decenni a venire se non si ferma la spirale negativa in cui il capitalismo in decadenza sta facendo precipitare l’umanità. Tanto più che altri eventi, anch’essi aggravanti questo caos senza fine, si sono aggiunti.
Il caos afgano
La partenza disorganizzata dell’esercito americano dall’Afghanistan dopo 20 anni e il ritorno al potere dei talebani è un ulteriore segno dell’incapacità delle grandi potenze a garantire la stabilità mondiale, in particolare nelle zone in cui imperversano tensioni e rivalità tra Stati. Come possiamo già vedere, il ritorno di una fazione reazionaria e delirante come i talebani al potere in Afghanistan non fa che aggravare il disordine mondiale e l’instabilità a tutti i livelli. Di nuovo, i media hanno concentrato l’attenzione sul cosiddetto ritorno al potere dei sanguinari talebani. Tuttavia, la crudeltà e il terrore che questa cricca, con le sue idee medievali e oscurantiste, eserciterà sulla popolazione, rivaleggia ampiamente con i crimini di cui i paesi “democratici” e i loro alleati sono colpevoli da decenni, in Afghanistan e altrove.
La miseria si diffonde ulteriormente
Oltre a queste due grandi manifestazioni della putrefazione della società capitalista, c’è naturalmente l’aggravamento significativo della crisi economica, soprattutto da quando la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto importante in questo ambito: “gli effetti della decomposizione, l’accentuazione del ciascuno per sé e la perdita di controllo, che fino ad ora avevano colpito principalmente la sovrastruttura del sistema capitalista, ora tendono a colpire direttamente la base economica del sistema, la sua capacità di gestire gli shock economici nell’affondamento della sua crisi storica.”[2] Dietro i falsi annunci di una “fiorente ripresa economica”, milioni di persone vengono licenziate, sfrattate dalle loro case e restano incapaci di “sbarcare il lunario”. Le giovani generazioni della classe operaia sono sempre più vittime di una precarietà abissale, con molti di loro costretti a fare la fila per degli aiuti alimentari. La carestia è esplosa soprattutto in Africa, ma ora anche negli Stati Uniti, dove un numero record di americani soffre la fame...
Chi può offrire una prospettiva all’umanità?
La barbarie della guerra, il disastro ecologico, le epidemie e le molteplici calamità economiche e sociali non sono semplici fenomeni indipendenti l’uno dall’altro. Essi formano, con la loro accumulazione, la loro simultaneità, la loro compenetrazione e la loro ampiezza, un insieme significativo dello “sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione”.[3]
Mentre la borghesia continua a sfruttare tutte le atrocità e gli abomini di questo periodo, mirando a terrorizzare e paralizzare la classe operaia minando la sua fiducia in un futuro diverso, non si deve concludere che ormai non ci sono più speranze. Certamente, la classe operaia non ha finito di superare il profondo rinculo subito dalla sua coscienza per quasi tre decenni. Essa rimane infatti oggettivamente l’unica classe rivoluzionaria all’interno della società capitalista. In altre parole, l’unica forza sociale capace di guidare l’umanità su un cammino diverso da quello dell’inferno capitalista. Durante questi tre decenni, il proletariato ha mostrato ripetutamente la sua capacità di affrontare lo Stato borghese, rifiutando la degradazione delle sue condizioni di lavoro e di vita. Anche se queste lotte hanno avuto uno sviluppo limitato, sono comunque un’esperienza preziosa per il futuro. La rivoluzione proletaria non è una bella idea che cadrà dal cielo per opera dello Spirito Santo. Al contrario, è una lotta concreta, lunga e tortuosa attraverso la quale la classe operaia prende coscienza del suo potenziale rivoluzionario attraverso l’esperienza e le lezioni delle sue sconfitte.
In effetti, le lotte contro gli attacchi alle condizioni di lavoro costituiscono il terreno privilegiato attraverso il quale la classe operaia può organizzarsi con i suoi propri metodi e sviluppare così la sua solidarietà internazionale. Nel capitalismo morente, più che mai, il futuro appartiene alla classe operaia!
Vincent, 2 settembre 2021
[1] Vedi il nostro precedente articolo Inondazioni, siccità, incendi... Il capitalismo sta portando l’umanità verso un cataclisma planetario! [2] (luglio 2021).
[2] Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione [3], (luglio 2021).
[3] La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo [4], Rivista Internazionale n°14.
In poche settimane, in tutto il pianeta, le catastrofi climatiche si sono susseguite a un ritmo spaventoso. Negli Stati Uniti, in Pakistan, in Spagna o in Canada, le temperature si aggiravano intorno ai 50°C, nel nord dell'India il caldo ha causato diverse migliaia di morti. 800.000 ettari di foreste siberiane, in una delle regioni più fredde del mondo, sono già andati in fumo. Nel Nord America l’ormai tradizionale stagione degli incendi delle foreste giganti è già iniziata: nella sola Columbia Britannica sono già bruciati più di 150.000 ettari! Nel sud del Madagascar una siccità senza precedenti ha fatto precipitare 1,5 milioni di persone nella carestia. Centinaia di migliaia di bambini muoiono perché non hanno né da mangiare né da bere, nella pressoché totale indifferenza! Il Kenya e molti altri paesi africani stanno vivendo la stessa drammatica situazione.
Ma, mentre una parte del mondo soffoca, piogge torrenziali hanno colpito Giappone, Cina ed Europa causando inondazioni senza precedenti e frane mortali. In Europa occidentale, in particolare in Germania e Belgio, le inondazioni, hanno causato la morte di più di 200 persone e migliaia di feriti. Migliaia di case, interi villaggi, paesi, strade sono stati spazzati via dall’acqua. Nell'ovest della Germania la rete stradale, le linee elettriche, le condutture del gas, le reti di telecomunicazioni e le ferrovie sono state devastate. Molti ponti ferroviari e stradali sono crollati. Mai prima d’ora questa regione era stata colpita da inondazioni di tale portata.
In Cina, nella città di Zhengzhou, capitale della provincia centrale dell’Henan e popolata da 10 milioni di abitanti, è caduto in tre giorni l'equivalente di un anno di precipitazioni! Strade trasformate in torrenti impetuosi, con scene allucinanti di devastazione e caos: strade crollate, asfalto frantumato, veicoli spazzati via... Migliaia di utenti della metropolitana si sono trovati bloccati nelle stazioni, nei convogli o nei tunnel, spesso con l'acqua fino al collo. Almeno 33 sono stati i morti e molti i feriti. 200.000 persone sono state evacuate. La fornitura di acqua, elettricità e cibo è stata improvvisamente interrotta. Nessuno era stato avvertito. I danni all’agricoltura ammontano a milioni. Nel sud dell’Henan, la diga del bacino idrico di Guojiaju ha ceduto e altre due rischiano di crollare da un momento all’altro.
Le spaventose conclusioni della relazione preliminare dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) “trapelate” sulla stampa bastano a farci gelare il sangue: “La vita sulla Terra può riprendersi dai grandi cambiamenti climatici evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi. L’umanità non può”. Per decenni, gli scienziati hanno messo in guardia sui pericoli del cambiamento climatico. Ci siamo arrivati! Non si tratta più solo di scomparsa di specie o di disastri localizzati; i cataclismi sono ormai permanenti... e il peggio deve ancora venire!
La negligenza della borghesia di fronte alle catastrofi
Da molti anni si sono moltiplicati ondate di calore, incendi, uragani e immagini di distruzione. Ma se le carenze e le incompetenze degli Stati più poveri nella gestione dei disastri purtroppo non sorprendono più nessuno, la crescente incapacità delle grandi potenze di farvi fronte è particolarmente significativa del livello di crisi in cui sta sprofondando il capitalismo. Non solo i fenomeni climatici sono sempre più devastanti, numerosi e incontrollabili, ma gli Stati e i soccorsi, sotto il peso di decenni di tagli di bilancio, sono sempre più disorganizzati e carenti.
La situazione in Germania è una chiara espressione di questa tendenza. Mentre il Sistema europeo di allarme alluvioni (Efas), istituito dopo le alluvioni del 2002, ha diramato in anticipo l’avviso delle piene del 14 e 15 luglio, come ha affermato l’idrologa Hannah Cloke, “gli avvertimenti non sono stati presi sul serio e i preparativi sono stati insufficienti”[1]. Lo Stato centrale si è infatti sbarazzato dei sistemi di allerta affidandoli agli Stati federali, o addirittura ai Comuni, senza procedure standardizzate né validi strumenti di intervento. Risultato: mentre le reti elettriche e telefoniche erano crollate, impedendo l’allerta e l’evacuazione della popolazione, la protezione civile ha potuto solo suonare le sirene ... dove ancora funzionavano! Prima della riunificazione, la Germania occidentale e quella orientale avevano circa 80.000 sirene; solo 15.000 sono ora funzionanti[2]. Per mancanza di mezzi di comunicazione e coordinamento, anche le operazioni delle forze di soccorso si sono svolte nel più grande disordine. In altre parole, i tagli e l'incompetenza burocratica hanno largamente contribuito a questo fiasco!
Ma la responsabilità della borghesia non si esaurisce con i fallimenti dei sistemi di sicurezza. In queste regioni urbanizzate e densamente popolate la permeabilità del suolo è notevolmente ridotta, aumentando il rischio di inondazioni. Per decenni, per concentrare meglio la forza lavoro per incrementare la redditività delle aziende, le autorità non hanno mai esitato ad autorizzare la costruzione di numerose abitazioni in aree soggette a inondazioni!
La borghesia impotente di fronte alle sfide del cambiamento climatico
Ovviamente una parte importante della borghesia ha dovuto ammettere il legame tra il riscaldamento globale e il moltiplicarsi dei disastri. Tra le macerie, la Cancelliera tedesca ha dichiarato solennemente: “Dobbiamo sbrigarci. Dobbiamo andare più veloci nella lotta ai cambiamenti climatici”[3]. Una vera ipocrisia! Dagli anni '70, quasi ogni anno si sono svolti vertici internazionali e altre conferenze con una serie di promesse, obiettivi, impegni. Ogni volta, gli “accordi storici” si sono rivelati un pio desiderio, poiché le emissioni di gas serra continuano ad aumentare anno dopo anno.
In passato la borghesia ha saputo mobilitarsi su temi specifici nell’ottica di salvaguardare la sua economia, come la drastica riduzione dei clorofluorocarburi responsabili del “buco” nello strato di ozono. Questi gas sono stati utilizzati in particolare nei condizionatori d’aria, nei frigoriferi e nelle bombolette spray. Uno sforzo certamente importante di fronte ai rischi ancora posti dalla degradazione dello strato di ozono, ma che non ha mai comportato un drastico sconvolgimento dell’apparato produttivo capitalistico. Le emissioni di anidride carbonica, CO2, e di altri gas ad effetto serra rappresentano un problema molto più grande in questo senso!
I gas serra vengono prodotti dai veicoli che trasportano lavoratori e merci, nei processi di produzione dell’energia necessaria per far funzionare le fabbriche, ma c’è da mettere in conto anche la dispersione in atmosfera di metano, un gas con una capacità di trattenere calore 23 volte superiore all’anidride carbonica, e la distruzione delle foreste indotta dall'agricoltura intensiva, che invece blocca il naturale sequestro di CO2 dall’atmosfera operato dalla vegetazione. In breve, le emissioni di gas serra toccano il cuore della produzione capitalistica: la concentrazione della manodopera in una sola grande metropoli, l’anarchia che domina la produzione, lo scambio di merci su scala planetaria, l’industria pesante… Ecco perché la borghesia non riesce a trovare soluzioni reali alla crisi climatica. La ricerca del profitto, la massiccia sovrapproduzione di beni, così come il saccheggio delle risorse naturali, non sono un’“opzione” per il capitalismo: sono la conditio sine qua non della sua esistenza. La borghesia può promuovere solo l’aumento della produzione in vista dell’espansione dell’accumulazione del suo capitale, altrimenti mette a repentaglio i propri interessi e profitti di fronte a un’esasperata concorrenza mondiale. Base vergognosa di questa logica è “dopo di me il diluvio”! Gli eventi meteorologici estremi non riguardano più solo le popolazioni dei paesi più poveri, ma perturbano direttamente il funzionamento dell’apparato produttivo industriale e agricolo nei paesi centrali. La borghesia è così presa nella morsa delle sue contraddizioni insolubili!
Nessuno Stato può rinnovare radicalmente il proprio apparato produttivo in senso “ecologico” senza subire un brusco arretramento di fronte alla concorrenza di altri paesi. La cancelliera Merkel può benissimo affermare che bisogna “andare più veloci”, resta il fatto che il governo tedesco non ha mai voluto sentire parlare di normative ambientali troppo rigide per tutelare settori strategici come quello siderurgico, chimico o automobilistico. La Merkel è riuscita anche a rimandare per anni l’abbandono (per quanto molto graduale) del carbone: l’estrazione a cielo aperto del carbone della Renania e della Germania dell’Est rimane una delle maggiori fonti di inquinamento in Europa. In altre parole, il prezzo della forte competitività dell’economia tedesca è la spudorata distruzione dell’ambiente! La stessa logica implacabile vale per i quattro angoli del pianeta: smettere di emettere CO2 nell’atmosfera o di distruggere foreste sarebbe per la Cina, “laboratorio del mondo”, come per tutti i paesi industrializzati, scavarsi la fossa.
La “green economy”, una mistificazione ideologica
Di fronte a questa evidente espressione dell’impasse del capitalismo, la borghesia strumentalizza le catastrofi per difendere meglio il suo sistema. In Germania, dove la campagna per le elezioni federali di settembre è in pieno svolgimento, i candidati competono con proposte per combattere il cambiamento climatico. Ma tutto questo è fumo negli occhi! La “green economy”, che dovrebbe creare milioni di posti di lavoro e promuovere la cosiddetta “crescita verde”, non rappresenta in nessun modo una soluzione per il capitale, né sul piano economico né su quello ecologico. Agli occhi della borghesia, la “green economy” ha soprattutto un valore ideologico, fingere che ci sia la possibilità di riformare il capitalismo. Se emergono nuovi settori green, come la produzione di pannelli fotovoltaici, biocarburanti o veicoli elettrici, questi non solo non potranno mai fungere da vera locomotiva per l’intera economia, visti i limiti dei mercati solvibili, ma in più e contrariamente a quanto vogliono farci credere, hanno un impatto catastrofico sull’ambiente: massiccia distruzione di foreste per estrarre terre rare, deplorevole riciclaggio di batterie, agricoltura intensiva di colza, ecc.
La “green economy” è anche un’arma scelta contro la classe operaia, giustificando chiusure di impianti e licenziamenti[4], come dimostrano le parole di Baerbock, il candidato ambientalista alle elezioni tedesche: “Non potremo eliminare gradualmente i combustibili fossili [e i lavoratori del settore] se non avendo il cento per cento di energie rinnovabili”([5]). Va detto che in tema di licenziamenti e sfruttamento della forza lavoro, i Verdi ne sanno molto, loro che, da sette anni, hanno contribuito attivamente alle ignobili riforme del governo Schröder!
L’impotenza della borghesia di fronte agli effetti sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico del cambiamento climatico non è, tuttavia, una fatalità. Poiché è presa nella morsa delle contraddizioni del proprio sistema, la borghesia non può che condurre l’umanità al disastro. Ma la classe operaia, attraverso la sua lotta contro lo sfruttamento per il rovesciamento del capitalismo, è la risposta a questa evidente contraddizione tra, da un lato, l’obsolescenza dei metodi di produzione del capitalismo, la sua completa anarchia, la sovrapproduzione generalizzata, l’insensato saccheggio delle risorse naturali e, dall’altro, la pressante necessità di razionalizzare la produzione e la logistica per far fronte ai bisogni umani urgenti e non a quelli del mercato. Liberando l’umanità dal profitto e dallo sfruttamento capitalista, il proletariato avrà infatti la possibilità materiale di realizzare un programma radicale di protezione ambientale. Sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga, il comunismo è necessario più che mai per la sopravvivenza dell’umanità.
EG, 23 luglio 2021
[1] “Germania: dopo le alluvioni, primi tentativi di spiegazione [9]”, Liberation.fr (17 luglio 2021). in francese
[2] “Perché le sirene non hanno suonato ovunque prima dell’alluvione? [10]”, N-TV.de (19 luglio 2021) in tedesco
[3] “Sconvolta dai danni “surreali”, Angela Merkel promette di ricostruire [10]”, LeMonde.fr (18 luglio 2021) in francese
[4] Vedi il caso dell’Italsider di Taranto in Italia.
[5] “La protezione del clima non cade dal cielo, bisogna anche farla [11]” Welt.de (22 luglio 2021) in tedesco.
Da diversi mesi i disastri climatici si stanno verificando a un ritmo frenetico in tutto il mondo: siccità, enormi incendi, piogge torrenziali, smottamenti, inondazioni... Mentre le vittime della crisi ambientale si contano a milioni ogni anno e anche gli Stati più potenti si dimostrano sempre più incapaci di affrontare i disastri, l'ultimo rapporto dell'IPCC (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha confermato che il cambiamento climatico raggiungerà proporzioni incontrollabili nel prossimo decennio.
Nella nostra stampa, abbiamo regolarmente sottolineato che le radici del riscaldamento globale si trovano nel funzionamento stesso del capitalismo. Non solo i disastri climatici sono sempre più devastanti, numerosi e incontrollabili, ma gli Stati, sotto il peso di decenni di tagli al bilancio, sono sempre più disorganizzati e non riescono a proteggere la popolazione, come abbiamo visto recentemente in Germania, Stati Uniti e Cina, per esempio. La borghesia non può più negare la portata della catastrofe, ma continua a dirci, soprattutto attraverso i suoi partiti ambientalisti, che i governi dovrebbero finalmente prendere misure forti per l'ambiente. Tutte le fazioni della borghesia hanno la loro piccola soluzione: green economy, decrescita, produzione locale, ecc. Tutte queste cosiddette soluzioni hanno un punto in comune: il capitalismo potrebbe essere "riformato". Ma la corsa al profitto, il saccheggio delle risorse naturali, la sovrapproduzione delirante di merci non sono "opzioni" per il capitalismo, sono le condizioni sine qua non della sua esistenza!
Di fronte alla catastrofe prevista, l'indignazione e la preoccupazione sono immense, come dimostrano le "marce per il clima" del 2019 che hanno riunito milioni di giovani di molti paesi. All'epoca, però, abbiamo fatto notare che queste marce si svolgevano su un terreno totalmente borghese: i "cittadini" erano, infatti, chiamati a fare "pressione" sullo Stato borghese, quella macchina mostruosa la cui ragion d'essere è difendere gli interessi capitalistici all'origine del deterioramento senza precedenti dell'ambiente. In realtà, il problema del clima può essere risolto solo su scala globale, e il capitalismo, dove le nazioni si scontrano senza pietà, è incapace di fornire una risposta che sia all'altezza della posta in gioco: le grandi conferenze sull'ambiente, dove ogni Stato cerca cinicamente di proteggere i propri sordidi interessi con la scusa di difendere l'ambiente, ne sono un esempio lampante. L'unica classe che può affermare un vero internazionalismo e porre fine all'anarchia della produzione è la classe operaia e la società contenuta nelle sua stessa essenza: il comunismo!
Dopo l'estate del 2021, che annuncia disastri futuri, i partiti ambientalisti e della sinistra del capitale (trotzkisti, stalinisti, anarchici, socialdemocratici, ecc.) cercheranno di riportare in primo piano le marce climatiche. Questo è un altro tentativo della borghesia di incanalare la rabbia negli stessi vicoli ciechi politici che abbiamo denunciato nel 2019: la diluizione della classe operaia nel "popolo", le illusioni sulla capacità dello stato "democratico" di "cambiare le cose". Per questo invitiamo i nostri lettori a leggere o rileggere il volantino internazionale che abbiamo distribuito durante le prime marce del 2019 e che conserva oggi tutta la sua validità.
Volantino internazionale della CCI
Dopo la Francia, anche l’Italia manifesta contro il green-pass. Queste manifestazioni sono il prodotto di oltre un anno di sofferenze e di privazioni patite dalla popolazione e cristallizzano assieme, attorno a rivendicazioni multiformi, la sfiducia nello Stato e per larghi versi nei confronti della scienza, con gli appelli alla difesa delle “libertà individuali”. Tutto questo in nome della difesa della “libertà di scelta”, vale a dire sul terreno del diritto borghese che costituisce un vero e proprio veleno per la classe operaia e la sua prospettiva rivoluzionaria, finendo così per essere una manna caduta dal cielo per i media.
È pienamente comprensibile che una parte della popolazione abbia paura per le conseguenze sanitarie dopo quasi due anni di bugie quotidiane delle autorità. È assolutamente vergognoso che il governo stesso rivendichi una visione razionale e scientifica quando in più occasioni ha ignorato le insistenze degli scienziati durante le prime ondate della pandemia, dando spazio mediatico a quelli con posizionamenti più opportunisti, giustificando l’ingiustificabile per l’uso di mascherine, delle protezioni sanitarie sul lavoro, nei trasporti, relativizzando la propria incuria e responsabilità in ipocriti confronti con situazioni più catastrofiche. Tutte queste bugie e le innumerevoli mezze verità e giustificazioni inadeguate del governo hanno ovviamente creato un clima di sospetto nella popolazione.
Ma al di là dei dubbi e dei pregiudizi, la pandemia è stata l'occasione per un proliferare di teorie nebulose e affermazioni deliranti, non solo sui social media, dove i complottisti sono più attivi, ma anche da parte dei media e degli stessi politici.
Il Covid-19 ha ucciso più di 4 milioni e mezzo di persone nel mondo, non certo i vaccini! E il virus continua a mutare, infettare e uccidere, in particolare in quelle parti del mondo senza una campagna vaccinale su vasta scala. Continua inoltre a infettare e indebolire una popolazione sempre più giovane e non vaccinata nei paesi centrali.
Oggi, le dinamiche del processo di decomposizione ideologica della società capitalista, il sentimento di impotenza di fronte alla crisi, il caos in atto, impattano sulla popolazione e non fanno che deteriorare ogni capacità di ragionamento logico, scientifico e politico in un magma di concezioni e visioni reazionarie a volte deliranti.
È in questo contesto di confusione e di smarrimento che si sono svolte le manifestazioni del 9 ottobre a Roma e a Milano, che ci danno dei segnali importanti da leggere adeguatamente. Intanto, in continuità con quanto già riportato sopra, è presente in questa popolazione di no-vax e no-green-pass un sentimento di abbandono da parte dello Stato. Le invettive contro il governo (“governo terrorista”, “Draghi vaffa…”) si accompagnavano a slogan che rivendicavano il proprio ruolo nella società (“noi siamo il popolo italiano”) e allo sventolare di molte bandiere tricolore. Certamente questo sentirsi esclusi che si è manifestato a Roma e a Milano è frutto del malcontento macerato per tutto il periodo di pandemia e che ha finito per produrre la più bassa percentuale di votanti alle ultime elezioni amministrative, con una percentuale a livello nazionale che ha raggiunto il record negativo del 54,69% di votanti e con 5 capoluoghi di regione su 6 in cui si è votato per le comunali con una percentuale al di sotto del 50%, cioè neanche 1 su 2[1]. È in questo stato d’animo, in una situazione in cui la gente non vede prospettive, non vede un chiaro futuro davanti a sé, che prendono corpo e si autoalimentano le fantasie complottiste le più inverosimili. Non c’è da meravigliarsi dunque se queste masse ondeggianti di popolazione possano essere facile preda di mascalzoni trascina-popolo, di destra o di sinistra. La manifestazione di Roma ne è stato un esempio. Lo stato maggiore di Forza nuova, formazione neo-fascista romana da tempo sotto il mirino della stampa e che continua imperterrita la sua propaganda, è stato praticamente alla testa del corteo di Roma e ne ha guidato una parte all’assalto alla sede nazionale della CGIL, il maggiore sindacato italiano, devastandolo da cima a fondo. I commenti di Landini, segretario generale della CGIL, fatti il giorno dopo durante la trasmissione “1/2 ora in più” secondo cui era il mondo del lavoro sotto attacco sono solo una fuga dalla realtà. Le grida “venduti, venduti”, “giù le mani dal lavoro”, “sciopero, sciopero” e le invettive come “sono quelli che hanno firmato l’accordo sui green-pass” che si sono sentite sotto la sede della CGIL, indicano inequivocabilmente che il sindacato è stato riconosciuto non come espressione del mondo del lavoro, ma giustamente come parte del potere.
Un’ultima considerazione va fatta a proposito dei commenti che sono seguiti a questo attacco, che è stato paragonato a quello del partito fascista alle Camere del lavoro, Case del popolo, cooperative e leghe negli anni 1921-22. Chiaramente l’accostamento ha due funzioni precise:
- far credere che ci sia un reale pericolo di ritorno di un regime fascista e dunque polarizzare l’attenzione della popolazione su questo, e in particolare dei proletari, distraendoli dai problemi che sono alla base, anche se inespressi, dei vari malcontenti.
- chiamare i proletari alla difesa dello Stato che sta lavorando per sconfiggere la pandemia e far riprendere l’economia nazionale, e delle sue istituzioni. In questo caso la CGIL viene presentata come una conquista dei lavoratori, loro rappresentanti e difensori dei loro diritti!
Tutto questo è possibile perché manca purtroppo al momento la voce e la presenza della classe operaia sulla scena sociale.
Il rischio in questa situazione è che si creino, all’interno della popolazione, settori schierati l’uno contro l’altro su questioni del tutto futili come quella del vaccino o del green-pass. Infatti, con la sua propaganda, la borghesia cerca di far passare più o meno apertamente tutti gli individui che dubitano o hanno paura dei vaccini per dei complottisti “no-vax” totalmente deliranti, nonché quelli che si oppongono ai vaccini come i responsabili delle nuove ondate di contagi, sdoganando il capitalismo, lo Stato, della loro irresponsabilità che ha portato alla drammatica situazione di oggi. Dall’altro lato i no-vax tendono a vedere quelli che si vaccinano come le “pecore” servili che subiscono le leggi “liberticide” della vaccinazione forzata. Queste divisioni fanno parte di una logica di scontro disastrosa in cui le vere questioni in gioco per porre fine al caos capitalista scompaiono sotto un guazzabuglio di confusione e impotenza.
Perciò queste manifestazioni di malcontento non possono portare nessun vantaggio di alcun tipo ai lavoratori né tantomeno produrre una presa di coscienza del proletariato, alla comprensione del declino crescente e dell'impasse irrimediabile di questo sistema capitalista, nella misura in cui questa opposizione, questo rifiuto si cristallizza in modo epidermico, senza valutazione né riflessione, in una rabbia impotente contro un governo e uno Stato che sono visti e percepiti come i cattivi gestori, incompetenti e inefficienti, di questo sistema, anziché come organismi di un sistema economico e sociale che ne è il primo responsabile.
Il terreno di classe non è quello della difesa dello Stato, della difesa dell'economia nazionale e del tricolore. Né quello della difesa della democrazia e della “Libertà”. La sola libertà che i lavoratori hanno nel capitalismo “democratico” o dittatoriale che sia, è quello di vendere la propria forza lavoro alle condizioni imposte dal mercato, e quando questa merce non serve più, viene gettata via e lasciata a marcire.
La sua autonomia di classe per l’affermazione della sua lotta, l’organizzazione delle sue lotte, dovrà difenderla contro tutte le forze attive dello Stato, al potere o meno, indipendentemente dai movimenti interclassisti o dai falsi amici, generalmente di sinistra, che cercheranno di deviare la sua rabbia. Il proletariato ha bisogno di lucidità e fiducia nelle proprie forze per sventare tutte queste trappole e questo è un bisogno già nell’immediato.
Ezechiele, 15 ottobre 2021
1. Le difficoltà della borghesia italiana di fronte alla pandemia e alla decomposizione
La pandemia da Covid-19, nonostante tutte le notizie rassicuranti dei media secondo cui ne saremmo praticamente fuori, continua a mietere morti in Italia e nel mondo, costituendo una delle più grandi sciagure dei tempi moderni per il genere umano, con quasi 5 milioni di morti di solo Covid - a parte tutti gli altri per le mancate cure di altre patologie dovute alla situazione di emergenza Coronavirus – e un aggravamento della crisi economica senza precedenti. Se si tiene conto del fatto che già la crisi cosiddetta finanziaria del 2008 aveva fatto arretrare la produzione mondiale e dell’Italia in particolare di diversi punti, tanto che il nostro paese all’inizio del 2020 non aveva ancora recuperato la situazione di pre-2008, si capirà come questa seconda botta sia stata il colpo fatale su un sistema che fa acqua da tutte le parti. Peraltro la borghesia italiana si è trovata ad affrontare la crisi pandemica e tutte le sue conseguenze con un governo piuttosto debole, il Conte bis, governo che era stato recuperato dopo la rottura tra i vecchi alleati M5S e Lega mettendo assieme forze che in passato avevano giurato di non voler stare assieme, M5S e PD. Non c’è dunque da meravigliarsi se il governo Conte bis, che ha dovuto gestire la fase più calda e difficile della crisi sanitaria, economica e sociale determinata dal Covid 19, di fatto dalla sua formazione fino al febbraio del 2021, abbia subito tutte le fibrillazioni di un quadro politico privo di unità, ma soprattutto incapace di avere un minimo di coerenza. Così, mentre il presidente della Repubblica, Mattarella, nel discorso di fine anno parlava di responsabilità, Renzi, ritirando i suoi ministri dal governo e creando la crisi di governo di inizio 2021 dopo un lungo periodo di erosione, ha mostrato la piena irresponsabilità dei politici che pretendono di governarci. Il quadro che si è così creato è stato uno dei più pericolosi per la borghesia italiana, ovvero una legislatura interrotta senza speranze di riconciliazione possibile ad opera della “politica”, con un quadro sanitario, economico e sociale completamente fuori controllo e senza nessuna via di uscita percepibile. Che fare?
2. Il governo Draghi e il ruolo dei settori “responsabili” della borghesia
Una soluzione dal punto di vista tecnico naturalmente ci stava, soluzione che le destre hanno invocato già alla caduta del primo governo Conte, cioè ricorrere a nuove elezioni. Ma chiamare la popolazione a votare per rinnovare il parlamento in una situazione di grande crisi, con una forte difficoltà da parte della borghesia ad orientare il voto e con il rischio per questa che i risultati potessero portare al potere delle forze ancora più irresponsabili[1] - dal punto di vista della gestione degli interessi borghesi, beninteso - ha creato un grande imbarazzo e ha richiesto un grande sforzo per mettere le cose a posto. Come è andata a finire lo sappiamo, ma è importante capirne fino in fondo il significato. La scelta di Mattarella non è stata casuale, né il governo da lui auspicato voleva essere un governo tecnico di ripiego. Al contrario, di fronte all’incapacità del mondo della politica di dare un governo all’azienda Italia, il capo dello Stato ha preso lui la decisione di proporre un nome a cui nessuno, o quasi, poteva dire di no, quello di Mario Draghi, il super-Mario della politica economica internazionale, una figura importante al di sopra delle parti, un elemento delle istituzioni italiane ed europee.
Il 13 febbraio 2021 si è così insediato il nuovo governo presieduto da Mario Draghi, ex presidente della BCE. E tutti sono rimasti zitti, nessuno ha fiatato, eccetto Fratelli d'Italia della Meloni, fiero di portare la bandiera dell'opposizione. Unico requisito richiesto ai partiti della maggioranza bulgara è stato appoggiare il governo, composto da un nucleo di ministri tecnici nei ministeri più importanti e lasciando gli altri ai vari partiti. Questa capacità della Presidenza della Repubblica nel gestire la vita politica della Nazione nei momenti decisivi non è una prerogativa di Mattarella, è una caratteristica della componente della borghesia italiana che ha radici storiche e che, nei momenti di maggiore difficoltà, ha saputo dare le risposte adeguate anche sacrificando parte degli interessi personali o di partito[2]. Come abbiamo detto più volte quella che la società attraversa in questo periodo, a livello mondiale, è non solo una fase di forte declino, di crisi permanente e completa decadenza economica, sociale e politica, ma in più questa decadenza si è talmente incancrenita da portare a un vero e proprio disfacimento della società, quello che noi definiamo fase di decomposizione, i cui effetti si fanno risentire sia sulla borghesia che sul proletariato. Per quanto riguarda la borghesia, uno dei segni più significativi è proprio la perdita di controllo sulla situazione politica del proprio paese e internazionale, l’irrazionalità nelle scelte politiche, la perdita di coerenza delle formazioni politiche. Il populismo, che caratterizza particolarmente i partiti di destra, è un’espressione di questa perdita di coerenza e personaggi come Trump negli USA, Johnson in Gran Bretagna o di Salvini in Italia ne sono importanti rappresentanti. È contro questa dinamica incoerente, distruttiva per gli stessi piani della borghesia, che si manifestano spesso in maniera discreta settori della borghesia più responsabili e consapevoli della necessità di sacrificare degli interessi particolari a favore degli interessi della propria classe. In particolare in Italia questi settori sono tradizionalmente ancorati a istituzioni come la presidenza della repubblica o a partiti moderati di sinistra e di centro.
3. Ma i problemi di fondo restano
Naturalmente il fatto che Mattarella sia riuscito a trovare la soluzione rispetto ad una specifica situazione non significa aver sanato il problema una volta per tutte. L’attuale relativa stabilità che la borghesia ha trovato con il governo Draghi è effimera perché, se nell’immediato funziona, nasconde una serie di problemi a livello sanitario, di instabilità politica, a livello di crisi economica e naturalmente a livello sociale. Il governo Draghi non è eterno e l’effetto narcotico sulle intemperanze dei partiti ha dei tempi limitati; già adesso si avvertono rumori di guerra con Salvini che copre sempre più un ruolo di governo e di opposizione in una logica di eterna campagna elettorale, rincorrendo l’alleata-concorrente Meloni che, come dimostrano le ultime elezioni amministrative, drena sempre più voti dalla Lega. Questa turbolenza politica dei partiti della borghesia non tarderà a manifestarsi in un prossimo futuro in forme più radicali, mettendo sempre più in discussione gli interessi del paese, anche quelli strettamente borghesi, con conseguenze disastrose per tutta la popolazione e la classe proletaria in particolare.
3.1 La pandemia è sempre sulla scena
D’altra parte la pandemia non è ancora finita, con i quasi 8000 morti al giorno a livello mondiale, di cui 2000 nella sola Europa, e non abbiamo nessuna garanzia che non riprenda un’ennesima volta a mietere decine di migliaia di morti al giorno, come ha fatto in varie fasi da oltre un anno e mezzo a questa parte. Infatti, nonostante tutti i discorsi di vittoria che si fanno sulle percentuali di dosi di vaccino somministrate in Italia, il problema è che solo un terzo della popolazione mondiale risulta vaccinata, con la conseguenza che la pandemia resta attiva nella maggior parte del pianeta e potrà tornare nei paesi, come l’Italia, dove si presumeva di aver raggiunto l’immunità di gregge, ma che dopo qualche tempo perderanno questa immunità per scadenza dell’efficacia del vaccino. È per questo che già si parla di terza dose … e poi di una quarta dose?... Rispetto a questa realtà, i mass-media del potere non solo trasmettono di continuo false rassicurazioni accompagnate da dati riferiti al giorno precedente e alla sola Italia, che non danno un’idea della dinamica di sviluppo globale della pandemia, ma soprattutto tacciono sul fatto che lo scoppio della pandemia è dovuto da una parte al degrado in cui versa la sanità nazionale e internazionale e dall’altra allo sfruttamento senza limiti della natura che viene letteralmente brutalizzata dal capitalismo decadente di questo periodo[3]. I 130 mila morti in Italia a causa della pandemia non sono dunque morti per caso, ma sono una diretta responsabilità di questo sistema fatiscente. Ma la pandemia non ha prodotto solo morte e danni permanenti a chi è sopravvissuto. L’isolamento sociale - e l’uomo è un animale sociale - è qualcosa che produce danni al cervello, ai rapporti umani, alla capacità di reagire, rafforzando la tendenza al ripiegamento su sé stessi, alla ricerca di un minimo di sicurezza per sé e chi gli sta intorno in un mondo che va a rotoli. A tutto questo bisogna aggiungere, prima di ogni cosa, la situazione disperata di chi faceva lavori marginali, artigianali o in nero, di chi non aveva una famiglia intorno e non è entrato nel circuito di assistenza sociale. Secondo l'osservatorio suicidi, dal primo gennaio di quest'anno se ne contano 413, mentre i tentati suicidi sono 348. “Al di là dei singoli casi, infatti, gli studi scientifici dimostrano che ogni qual volta siamo vittime di epidemie, crisi economiche, emergenze internazionali e cataclismi, assistiamo anche ad un incremento dei disturbi di natura mentale che possono portare, nei casi più estremi, a idee di auto-soppressione”[4].
3.2 La crisi non è scomparsa
Il lavoro di mistificazione svolto a proposito della pandemia continua sul piano dell’economia, dove le notizie trasmesse non smettono di parlare di incrementi vertiginosi della produzione e dei posti di lavoro rispetto ai mesi precedenti e all’anno precedente. La questione è che il miglioramento di cui si vantano è solo un’attenuazione del peggioramento che si è prodotto l’anno precedente. Infatti:
“La Banca mondiale stima che la pandemia da Covid-19 ha dato vita ad una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà. (…) La perdita cumulata per l’economia mondiale, rispetto alle previsioni di crescita se non ci fosse stata la pandemia, ammonta a 11mila miliardi di dollari nel biennio 2020-21 e raggiungerà la somma di 28mila miliardi nel periodo 2020-25. (…) Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quasi 90 milioni di persone potrebbero scendere sotto la soglia di deprivazione estrema quest’anno, cancellando tutti i progressi fatti negli anni precedenti per ridurre le disuguaglianze e la povertà.”[5].
In Italia “la crisi del coronavirus è costata 1,2 milioni di posti di lavoro persi nell’anno più duro delle restrizioni sanitarie e del lockdown. Basandosi sui dati al 30 giugno 2021 sappiamo che di quei posti se ne sono riguadagnati rispetto a 12 mesi prima ben 523 mila e ne mancano all’appello ancora 678 mila (di cui 336 mila al Nord). (…) Hanno perso il lavoro soprattutto i precari del terziario low cost (…), i giovani con contratto a termine, le donne e gli stranieri. Se torniamo ai 678 mila posti ancora da recuperare 570 mila infatti erano di donne e giovani (rispettivamente 370 e 200 mila)”.[6]
D’altra parte, a partire dalla revoca del blocco dei licenziamenti intervenuta il 1 luglio scorso, stiamo assistendo ad una falcidia di posti di lavoro. Le fabbriche chiuse e in lotta per rivendicare di che sopravvivere non si contano: citiamo solo i 150 licenziamenti alla Henkel di Lomazzo, i 350 alla Whirlpool di Napoli, i 422 alla GKN di Campi Bisenzio, il fallimento di Alitalia con 11000 esuberi, di cui Ita, la nuova compagnia, ne assume solo 2200 dimezzando gli stipendi. Almaviva di Palermo, call center di Alitalia, rischia di mandare a casa 570 lavoratori. A maggio Unioncamere e Svimez parlavano del rischio di chiusura di 73200 aziende, soprattutto nel mezzogiorno.
È chiaro che il peggio viene solo ora. Finiti i ristori di vario ordine e grado, è venuto il momento della verità. Lo Stato italiano, come quelli di tutto il mondo, non può continuare a sostenere finanziariamente la nazione come ha fatto finora, pena una procedura di fallimento, (default). Così adesso viene il momento di far ripartire la nazione applicando uno sfruttamento ancora più intenso sulla classe operaia, e se per qualche azienda è più conveniente sfruttare proletari “più docili” in altra parte del mondo, non c’è problema perché si può di nuovo licenziare tranquillamente. In questo i sindacati continuano a svolgere il loro sporco gioco, tenendo soffocata la lotta all’interno della fabbrica o comunque del settore. Ad esempio i lavoratori della Whirlpool sono stati portati a bloccare l'autostrada, poi ad occupare la fabbrica, infine a manifestare a Roma, ma senza mai cercare di allargare la lotta ad altre fabbriche. La CGIL si è spinta a invitare a formare delegazioni per andare a parlare in altre officine, ma solo della stessa azienda, il che, gestito dal sindacato, può significare chiedere di ripartire assieme l’onere dei licenziamenti con i famigerati contratti di solidarietà o cose simili.
3.3 Si accentua la tendenza alla perdita di controllo, da parte della borghesia delle dinamiche sociali
La forte astensione alle recenti elezioni amministrative (meno del 50% in diverse gradi città come Napoli, Torino e Milano) è in generale un segno importante della crescente perdita di fiducia e del malcontento crescente nella popolazione verso lo Stato e i suoi partiti.
Questo abbassamento della partecipazione al voto è anche una conseguenza del fatto che i due partiti populisti (Lega e M5S), che avevano attirato una certa attenzione dei disillusi dai partiti storici della borghesia, tutti e due stanno al governo e uno dei due, il M5S, ha perso, almeno nell’immediato, buona parte dei tratti del suo carattere populista, mentre l’altro, la Lega, è costretto necessariamente a contenerli. Questo scollegamento tra il malcontento rabbioso di certi strati di popolazione e i partiti che si erano posti come riferimento di questo ribellismo ha in un certo senso liberato ancora di più il malcontento della “folla indistinta” e tende a esprimersi in manifestazioni populiste come appunto quella del 9 ottobre a Roma con l’assalto alla sede nazionale della CGIL (vedi l’articolo “Manifestazioni contro il green pass e assalto alla CGIL a Roma” in questo stesso numero). E se le forze populiste sono un problema per la stessa borghesia[7], gestire una situazione sociale di questo tipo lo è altrettanto.
Inoltre, l’introduzione del green pass obbligatorio sui posti di lavoro, pena la sospensione dal lavoro e dal pagamento dello stipendio, rischia di aggravare la situazione e questo direttamente nel mondo del lavoro. I portuali di Trieste (dove sembra che la percentuale dei non vaccinati sia del 40%) hanno indetto uno sciopero No-Green Pass e la stessa protesta si prospetta per i porti di Genova e Gioia Tauro, nonostante il Viminale abbia chiesto alle imprese portuali di mettere a disposizione tamponi gratuiti derogando alla normativa nazionale proprio per scongiurare il blocco dei porti. Una situazione difficile si profila anche per il trasporto delle merci su ruota. Secondo le associazioni di categoria si rischia un blocco dei rifornimenti perché il 30% degli autotrasportatori non è munito di green pass e ben l'80% degli autisti stranieri che portano le materie prime in Italia non è vaccinato oppure ha avuto un vaccino non riconosciuto in Italia. Intanto sulle piattaforme social c’è tutto un proliferare di appelli a rifiutarsi di andare al lavoro.
Questo quadro di difficoltà crescente per la borghesia italiana a gestire gli effetti devastanti della pandemia che accrescono ed accelerano tutti gli aspetti di degrado del sistema capitalistico, non può che ripercuotersi pesantemente sul proletariato. La crisi economica non ha alcuna soluzione reale e porterà a sofferenze e privazioni enormi per la classe operaia. Sul piano politico tutto questo marasma sociale rende ancora più difficile per la classe restare ben salda sul proprio terreno di lotta, ma la situazione contiene oggettivamente tutti gli elementi per una presa di coscienza della crisi profonda del sistema e per una risposta di classe adeguata.
Rivoluzione Internazionale, 15 ottobre 2021
[1] Nuove elezioni avrebbero potuto dare il governo in mano alla Lega e a Fratelli d'Italia che, con il loro populismo, non avrebbero garantito una stabilità governativa, danneggiando pure i rapporti con l'Europa.
[2] Lo abbiamo visto già con lo stesso Mattarella quando col primo governo Conte si è rifiutato di accettare un ministro dell’economia, il prof. Savona, che aveva professato una fede anti-europeista, e prima ancora con Giorgio Napolitano che, alla fine della sua legislatura (semestre bianco) quando al presidente non è più concesso di sciogliere le camere e con un parlamento politicamente bloccato, si è dimesso in anticipo per poi farsi rieleggere ed agire con pieni poteri il tempo necessario per sistemare le cose, per poi dimissionare di nuovo in via definitiva.
[3] Vedi a tale proposito “Pandemia, assalto al Campidoglio a Washington: due espressioni dell’intensificazione della decomposizione capitalista” [14].
[5] https://www.fatebenefratelli.it/blog/crisi-economica-coronavirus-effetti-lavoratori-imprenditori-italiani [16].
In occasione del 20° “anniversario” degli attentati dell’11 settembre a New York, vogliamo ricordare ai nostri lettori il nostro articolo principale sul tema, A New York e dovunque nel mondo il capitalismo semina la morte, pubblicato su Rivoluzione Internazionale n. 122[1]. L’articolo denuncia il massacro di migliaia di civili, soprattutto proletari, come un atto di guerra imperialista, ma allo stesso tempo denuncia le lacrime ipocrite versate dalla classe dominante. Come viene riportato nell’articolo, “l’attacco di New York non era un 'attacco contro la civiltà', ma era l’espressione della 'civiltà' borghese”. I terroristi che hanno distrutto le Torri Gemelle sono dei piccoli assassini insignificanti se paragonati al gigantesco numero di morti che tutti gli Stati legalmente riconosciuti hanno inflitto al pianeta negli ultimi cento anni, in due guerre mondiali e innumerevoli conflitti locali e regionali dal 1945.
In questo senso, l’11 settembre è stato la continuazione dei bombardamenti di Guernica, Coventry, Dresda, Hiroshima e Nagasaki negli anni ‘30 e ‘40, del Vietnam e della Cambogia negli anni ‘60 e ‘70. Ma è stato anche un chiaro segno che il capitalismo decadente era entrato in una nuova fase terminale, quella del vero “disfacimento interno” prevista dall’Internazionale Comunista nel 1919. L’apertura di questa nuova fase fu segnata dal crollo del blocco imperialista russo nel 1989 e dalla conseguente frammentazione del blocco statunitense, e vide l’inevitabile tendenza del capitalismo alla guerra assumere forme nuove e caotiche. Il fatto che l’attacco sia stato condotto da Al Qaida, una fazione islamista che era stata ampiamente sostenuta dagli Stati Uniti nei suoi sforzi per porre fine all’occupazione russa dell’Afghanistan, ma che si è girata per mordere la mano che l’ha nutrita, è una specifica espressione di questo periodo (anche se il coinvolgimento di Al Qaida non era certo al momento in cui l’articolo è stato scritto). Il “nuovo ordine mondiale” proclamato da George Bush padre dopo la caduta dell’URSS si è presto rivelato un mondo sempre più disordinato, dove gli ex alleati e subordinati degli USA, dagli Stati sviluppati d’Europa alle potenze di secondo e terzo ordine come l’Iran e la Turchia, fino ai piccoli signori della guerra come Bin Laden, erano sempre più determinati a perseguire i propri obiettivi imperialisti.
L’articolo mostra quindi come gli Stati Uniti siano stati in grado di usare gli attentati non solo per fomentare il nazionalismo in patria (accompagnato, come divenne presto chiaro, da un brutale rafforzamento della sorveglianza e della repressione statale, incarnato dal Patriot Act approvato il 26 ottobre 2001[2]), ma anche per lanciare il suo attacco all’Afghanistan, i cui primi passi erano già evidenti al momento in cui scrivevamo l’articolo (3 ottobre 2001). Naturalmente, l’Afghanistan occupa da tempo un posto strategico sullo scacchiere imperialista mondiale, e gli Stati Uniti avevano ragioni specifiche per voler rovesciare il regime talebano, che aveva stretti legami con al-Qaeda. Ma l’obiettivo globale dell’invasione degli Stati Uniti (seguita due anni dopo dall’invasione dell’Iraq e dal rovesciamento di Saddam Hussein) era quello di andare verso ciò che i “neo-conservatori” dell’amministrazione Bush Junior chiamavano “Dominio a tutto campo”. In altre parole, si trattava di assicurare che gli Stati Uniti rimanessero l’unica “superpotenza” ponendo fine al crescente caos nelle relazioni imperialiste e impedendo l’emergere di qualunque serio concorrente a livello mondiale. La “guerra al terrorismo” doveva essere il pretesto ideologico di questa offensiva.
20 anni dopo, possiamo constatare che il piano non ha funzionato molto bene. Le ultime truppe americane hanno dovuto lasciare l’Afghanistan e stanno per lasciare l’Iraq. I talebani sono tornati al potere. Lungi dall’arginare la marea del caos imperialista, le invasioni statunitensi ne sono diventate un fattore di accelerazione. In Afghanistan, la vittoria precoce contro i talebani non ha portato a nulla, poiché gli islamisti si sono riorganizzati e, con l’aiuto di altri Stati imperialisti, hanno fatto sì che l’Afghanistan rimanga in uno stato permanente di guerra civile, caratterizzato da atrocità sanguinose da entrambe le parti. In Iraq, lo smantellamento del regime di Saddam ha portato sia all’ascesa dello Stato Islamico che al rafforzamento delle ambizioni iraniane nella regione, alimentando le guerre apparentemente senza fine in Siria e Yemen. L’avanzata della decomposizione a livello planetario è stata il terreno fertile per il ritorno dell’imperialismo russo, e soprattutto per l’ascesa della Cina come principale rivale imperialista degli USA. Le varie strategie per “rendere l’America di nuovo grande”, (« Make America great again »), dai “neo-conservatori” di Bush ai populisti di Trump, non sono state in grado di invertire l’inesorabile declino del potere americano, e Biden, pur sostenendo che “l’America è tornata”, ha dovuto assistere alla più grande umiliazione dell’America dall'11 settembre.
Analizzando come gli Stati Uniti hanno cercato di “trarre profitto dal crimine” dell’11 settembre, l’articolo mostra le somiglianze tra l’11 settembre e il bombardamento giapponese di Pearl Harbour, che fu usato anch’esso dallo Stato americano per mobilitare la popolazione, comprese le sezioni riluttanti della classe dirigente, a favore dell’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale. Esso cita prove ben documentate secondo cui lo Stato americano “permise” all’esercito giapponese di lanciare l’attacco, e ipotizza provvisoriamente che lo Stato americano, a qualche livello, abbia avuto la stessa politica di “lasciar fare” nel periodo precedente l’azione di Al Qaeda, anche se potrebbe non essere stato pienamente consapevole della portata della distruzione che avrebbe comportato. Questo confronto è sviluppato nell’articolo pubblicato in Rivoluzione Internazionale n°124: “Pearl Harbour, le Torri Gemelle e il machiavellismo della borghesia”[3]. Torneremo su questo tema in un altro articolo, dove discuteremo la differenza tra il riconoscimento marxista della borghesia come la classe più machiavellica della storia (naturalmente respinto dalla borghesia stessa come una forma di “teoria del complotto”) e l’attuale pletora di “teorie del complotto” populiste che spesso prendono come articolo di fede l’idea che l’11 settembre sia stato un “lavoro dall’interno” organizzato dagli stessi americani.
WR, sezione della CCI nel Regno Unito (11 settembre 2021)
[1] Si tratta di un articolo della Rivista Internazionale n°107 che si può pertanto leggere anche in lingua inglese In New York and the world over: capitalism sows death [23], francese, A New York comme ailleurs: le capitalisme sème la mort [24], e spagnola, En Nueva York como por todas partes el capitalismo siembra la muerte [25].
[3] Anche questo un articolo della Rivista Internazionale n°108 leggibile nelle tre lingue inglese, Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001: Machiavellianism of the US bourgeoisie [27], francese, Pearl Harbor 1941, Twin Towers 2001 : Le machiavélisme de la bourgeoisie [28], e spagnola, Pearl Harbor 1941, 'Torres Gemelas' 2001: El maquiavelismo de la burguesía [29].
La frettolosa ritirata delle forze statunitensi e di altre forze occidentali dall'Afghanistan è una chiara manifestazione dell'incapacità del capitalismo di offrire qualcosa di diverso dalla crescente barbarie. L'estate del 2021 ha già visto un'accelerazione di eventi interconnessi che dimostrano che il pianeta è già in fiamme: lo scoppio di ondate di calore e di incendi incontrollabili dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla Siberia, inondazioni, le continue devastazioni della pandemia Covid-19 e la tempesta economica che ha causato. Tutto questo è "una rivelazione del livello di putrefazione raggiunto negli ultimi 30 anni"[1]. Come marxisti, il nostro ruolo non è solo quello di commentare questo caos crescente, ma di analizzare le sue radici, che si trovano nella crisi storica del capitalismo, e di mostrare le prospettive per la classe operaia e l'intera umanità.
I talebani sono presentati come i nemici della civiltà, un pericolo per i diritti umani e i diritti delle donne in particolare. Sono certamente brutali e sono guidati da una visione che si rifà ai peggiori aspetti del Medioevo. Tuttavia, non sono una rara eccezione nei tempi che stiamo vivendo. Sono il prodotto di un sistema sociale reazionario: il capitalismo decadente. In particolare la loro ascesa è una manifestazione della decomposizione, lo stadio finale della decadenza del capitalismo.
La seconda metà degli anni '70 vide un'escalation della guerra fredda tra il blocco imperialista statunitense e quello russo, con gli Stati Uniti che piazzavano missili da crociera in Europa occidentale e costringevano l'URSS a impegnarsi in una corsa agli armamenti che poteva permettersi sempre meno. Tuttavia, nel 1979 uno dei pilastri del blocco occidentale in Medio Oriente, l'Iran, crollò nel caos. Tutti i tentativi delle frazioni intelligenti della borghesia di imporre l'ordine fallirono e gli elementi più arretrati del clero approfittarono di questo caos per andare al potere. Il nuovo regime ruppe con il blocco occidentale ma rifiutò anche di unirsi al blocco russo. L'Iran ha una frontiera estesa con la Russia e aveva quindi agito come un attore chiave nella strategia occidentale di accerchiamento dell'URSS. Ora era diventato una mina vagante nella regione. Questo nuovo disordine incoraggiò l'URSS a invadere l'Afghanistan quando l'Occidente cercò di rovesciare il regime filorusso che l’URSS era riuscito a installare a Kabul nel 1978. Invadendo l'Afghanistan, la Russia sperava che in una fase successiva sarebbe stata in grado di ottenere anche l'accesso all'Oceano Indiano.
L’ Afghanistan divenne il teatro di una terribile esplosione di barbarie militare. L’URSS scatenò tutta la potenza del suo arsenale sui Mujahidin ("combattenti per la libertà") e sulla popolazione in generale. Dall'altra parte il blocco degli Stati Uniti armò, finanziò e addestrò i Mujahidin e i signori della guerra afgani che si opponevano ai russi. Questi includevano molti fondamentalisti islamici e anche un crescente afflusso di jihadisti da tutto il mondo. A questi "combattenti per la libertà" furono insegnate tutte le arti del terrore e della guerra dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Questa guerra per la "libertà" uccise tra 500.000 e 2 milioni di persone e lasciò il paese devastato. Fu anche il luogo di nascita di una forma più globale di terrorismo islamico, caratterizzata dall'ascesa di Bin Laden e Al-Qaeda.
Allo stesso tempo gli Stati Uniti spinsero l'Iraq in una guerra di otto anni contro l'Iran, in cui furono massacrati circa 1,4 milioni di persone. Mentre la Russia si esauriva in Afghanistan, cosa che contribuì fortemente al crollo del blocco russo nel 1989, e l'Iran e l'Iraq venivano trascinati nella spirale della guerra, la dinamica nella regione mostrava che il punto di partenza, la trasformazione dell'Iran in uno stato "canaglia", fu una delle prime indicazioni del fatto che le profonde contraddizioni del capitalismo cominciavano a minare la capacità delle grandi potenze di imporre la loro autorità in diverse regioni del pianeta. Dietro questa tendenza c'era qualcosa di più profondo: l'incapacità della classe dominante di imporre la sua soluzione alla crisi del sistema - un'altra guerra mondiale - a una classe operaia mondiale che aveva mostrato la sua riluttanza a sacrificarsi in nome del capitalismo in una serie di lotte tra il 1968 e la fine degli anni '80, senza tuttavia essere in grado di proporre un'alternativa rivoluzionaria al sistema. In breve, un'impasse tra le due grandi classi ha determinato l'entrata del capitalismo nella sua fase finale, la fase della decomposizione, caratterizzata, a livello imperialista, dalla fine del sistema dei due blocchi e dall'accelerazione dell’ “ognuno per sé".
Negli anni '90, dopo la partenza dei russi dall'Afghanistan, i signori della guerra vittoriosi si rivoltarono l'uno contro l'altro, usando tutte le armi e le conoscenze di guerra date loro dall'Occidente, per disputarsi il controllo delle rovine. Il massacro all'ingrosso, la distruzione e lo stupro di massa distrussero quel poco di coesione sociale che la guerra aveva lasciato.
L'impatto sociale di questa guerra non si è limitato all'Afghanistan. La piaga della dipendenza dall'eroina che esplose a partire dagli anni '80, portando miseria e morte in tutto il mondo, fu una delle conseguenze dirette della guerra. L'Occidente aveva incoraggiato le forze di opposizione ai talebani a coltivare l'oppio per finanziare i combattimenti.
Lo spietato fanatismo religioso dei Talebani è quindi il prodotto di decenni di barbarie. Sono stati anche manipolati dal Pakistan, desideroso di imporre una qualche forma di ordine alle sue porte.
L'invasione degli Stati Uniti nel 2001, lanciata con la scusa di sbarazzarsi di Al-Qaida e dei Talebani, insieme all'invasione dell'Iraq nel 2003, furono tentativi dell'imperialismo statunitense di imporre la sua autorità di fronte alle conseguenze del suo declino. Essi cercarono di convincere le altre potenze, specialmente gli europei, ad agire in risposta all'attacco contro uno dei suoi membri. A parte il Regno Unito, tutte le altre potenze furono tiepide. In effetti, la Germania aveva già tracciato un nuovo percorso "indipendente" nei primi anni '90, sostenendo la secessione della Croazia che a sua volta provocò l'orribile massacro nei Balcani. Nei due decenni successivi, i rivali dell'America si sono ulteriormente incoraggiati mentre guardavano gli Stati Uniti invischiati in guerre senza possibilità di vittoria in Afghanistan, Iraq e Siria. Il tentativo degli Stati Uniti di affermare il proprio dominio come unica superpotenza rimasta avrebbe rivelato sempre di più il vero e proprio declino della "leadership" imperialista americana; e lungi dal riuscire a imporre un ordine monolitico al resto del pianeta, gli Stati Uniti erano ormai diventati il principale vettore del caos e dell'instabilità che segna la fase di decomposizione capitalista.
La politica di ritiro dall'Afghanistan è un chiaro esempio di realpolitik. Gli Stati Uniti devono liberarsi di queste guerre costose e debilitanti per concentrare le loro risorse nel rafforzare i loro sforzi per contenere e minare la Cina e la Russia. L'amministrazione Biden si è dimostrata non meno cinica di Trump nel perseguire le ambizioni statunitensi.
Allo stesso tempo, le condizioni del ritiro degli Stati Uniti hanno significato che il messaggio dell'amministrazione Biden, "L'America è tornata" - che l'America è un alleato affidabile - ha subito un duro colpo. A lungo termine l'amministrazione sta probabilmente facendo affidamento sulla paura della Cina per costringere paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l'Australia a cooperare con gli USA come "puntello a est", finalizzato a contenere la Cina nel Mar Cinese Meridionale e altrove nella regione.
Sarebbe un errore concludere da questo che gli Stati Uniti hanno semplicemente abbandonato il Medio Oriente e l'Asia centrale. Biden ha chiarito che gli Stati Uniti perseguiranno una politica "Over the Horizon" in relazione alle minacce terroristiche (in altre parole, attraverso attacchi aerei). Questo significa che userà le sue basi militari in tutto il mondo, la sua marina e la sua forza aerea per infliggere distruzione agli Stati di queste regioni se mettono in pericolo gli Stati Uniti. Questa minaccia è anche legata alla situazione sempre più caotica in Africa, dove Stati falliti come la Somalia potrebbero essere raggiunti dall'Etiopia, devastata dalla guerra civile e con i suoi vicini a sostegno dell'una o dell'altra parte. Questa lista si allungherà man mano che i gruppi terroristici islamici in Nigeria, Ciad e altrove si sentiranno incoraggiati dalla vittoria dei talebani a intensificare le loro campagne.
Se il ritiro dall'Afghanistan è motivato dalla necessità di concentrarsi sul pericolo rappresentato dall'ascesa della Cina e dalla rinascita della Russia come potenze mondiali, i suoi limiti sembrano evidenti, offrendo persino all'imperialismo cinese e russo una via d'accesso allo stesso Afghanistan. La Cina ha già investito massicciamente nel suo progetto della Nuova Via della Seta in Afghanistan ed entrambi gli Stati hanno avviato relazioni diplomatiche con i talebani. Ma nessuno di questi Stati può sentirsi al di sopra di un disordine mondiale sempre più contraddittorio. L'ondata di instabilità che si diffonde in Africa, in Medio Oriente (il crollo dell'economia libanese è il più recente), in Asia centrale e in Estremo Oriente (Myanmar in particolare) è un pericolo per la Cina e la Russia tanto quanto gli Stati Uniti. Cina e Russia sono pienamente consapevoli che l'Afghanistan non ha un vero Stato funzionante e che i talebani non saranno in grado di costruirne uno. La minaccia al nuovo governo da parte dei signori della guerra è ben nota. Parti dell'Alleanza del Nord hanno già detto che non accetteranno il governo, e l'ISIS, che è stato anche coinvolto in Afghanistan, considera i Talebani degli apostati perché sono pronti a fare accordi con l'Occidente infedele. Parti della vecchia classe dirigente dell'Afghanistan possono cercare di lavorare con i Talebani, e molti governi stranieri stanno aprendo dei canali, ma questo perché sono terrorizzati dal fatto che il paese diventi di nuovo preda dei signori della guerra e del caos che si riverserà in tutta la regione.
La vittoria dei talebani può solo incoraggiare i terroristi islamici uiguri che sono attivi in Cina, anche se i talebani non li hanno sostenuti. L'imperialismo russo conosce il costo amaro dell'ingarbugliamento in Afghanistan e può temere che la vittoria dei talebani darà un nuovo impulso ai gruppi fondamentalisti in Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, Stati che formano un cuscinetto tra i due paesi. Approfitterà di questa minaccia per rafforzare la sua influenza militare su questi Stati e altrove, ma ha sperimentato che anche la potenza della macchina da guerra degli Stati Uniti non riesce a schiacciare una tale insurrezione se questa ottiene abbastanza sostegno da altri Stati.
Gli Stati Uniti non sono stati in grado di sconfiggere i Talebani e stabilire uno Stato coeso. Si sono ritirati sapendo che, mentre hanno dovuto subire una vera umiliazione, hanno lasciato una bomba a orologeria di instabilità nella loro scia. La Russia e la Cina devono ora cercare di contenere questo caos. Qualsiasi idea che il capitalismo possa portare stabilità e qualche forma di futuro a questa regione è una pura illusione.
Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e tutte le altre potenze hanno usato lo spauracchio dei Talebani per nascondere il terrore e la distruzione che hanno inflitto alla popolazione dell'Afghanistan negli ultimi 40 anni. I mujahidin sostenuti dagli USA hanno massacrato, stuprato, torturato e saccheggiato tanto quanto i russi. Come i Talebani, hanno condotto campagne di terrore nei centri urbani controllati dai russi. Tuttavia, questo è stato accuratamente nascosto dall'Occidente. È stato lo stesso negli ultimi 20 anni. La terribile brutalità dei Talebani è stata evidenziata dai media occidentali, mentre le notizie delle vittime, delle uccisioni, degli stupri e delle torture inflitte dal governo "democratico" e dai suoi sostenitori sono state cinicamente nascoste. In qualche modo l'esplosione di giovani e vecchi, donne e uomini, da parte delle granate, bombe e proiettili del governo sostenuto dai "democratici", amanti dei "diritti umani", Stati occidentali, non sono degni di menzione. In effetti, anche l'intera portata del terrore che i Talebani hanno inflitto non è stata riportata. È visto come non "degno di notizia", a meno che non possa aiutare a giustificare la guerra.
I parlamenti d'Europa hanno fatto eco ai politici statunitensi e britannici nel lamentare il terribile destino delle donne e degli altri in Afghanistan sotto i Talebani. Gli stessi politici hanno imposto leggi sull'immigrazione che hanno portato migliaia di rifugiati disperati, tra cui molti afgani, a rischiare la vita per cercare di attraversare il Mediterraneo o la Manica. Dov'è il loro pianto per le migliaia di persone che sono annegate nel Mediterraneo negli ultimi anni? Che preoccupazione mostrano per quei rifugiati costretti a vivere in campi che sono poco meglio dei campi di concentramento in Turchia o in Giordania (finanziati dall'UE e dalla Gran Bretagna) o venduti nei mercati di schiavi della Libia? Questi portavoce borghesi che condannano i talebani per la loro disumanità incoraggiano la costruzione di un muro di acciaio e cemento intorno all'Europa dell'Est per fermare il movimento dei rifugiati. Il fetore dell'ipocrisia è quasi opprimente.
Il panorama della guerra, della pandemia, della crisi economica e del cambiamento climatico è davvero spaventoso. È per questo che la classe dominante ne riempie i suoi media. Vuole che il proletariato sia sottomesso, che si rannicchi nella paura di fronte alla triste realtà di questo sistema sociale in decomposizione. Vogliono che siamo come bambini aggrappati alle gonne della classe dominante e del suo Stato. Le grandi difficoltà che il proletariato ha avuto nella lotta per difendere i suoi interessi negli ultimi 30 anni permettono a questa paura di prendere più piede. L'idea che il proletariato sia l'unica forza capace di offrire un futuro, una società completamente nuova, può sembrare assurda. Ma il proletariato è la classe rivoluzionaria e tre decenni di riflusso non lo hanno cancellato, anche se la lunghezza e la profondità di questo riflusso rendono più difficile per la classe operaia internazionale recuperare la fiducia nella sua capacità di resistere ai crescenti attacchi alle sue condizioni economiche. Ma è solo attraverso queste lotte che la classe operaia può sviluppare di nuovo la sua forza. Come disse Rosa Luxemburg, il proletariato è l'unica classe che sviluppa la sua coscienza attraverso l'esperienza delle sconfitte. Non c'è garanzia che il proletariato possa essere all'altezza della sua responsabilità storica di offrire un futuro al resto dell'umanità. Questo certamente non avverrà se il proletariato e le sue minoranze rivoluzionarie soccomberanno alla schiacciante atmosfera di disperazione e senza speranza promossa dal nostro nemico di classe. Il proletariato può svolgere il suo ruolo rivoluzionario solo guardando in faccia la triste realtà del capitalismo in decomposizione e rifiutando di accettare gli attacchi alle sue condizioni economiche e sociali, sostituendo l'isolamento e l'impotenza con la solidarietà, l'organizzazione e la crescente coscienza di classe.
CCI 22-08-2021
[1] 24° Congresso della CCI: Rapporto su pandemia e sviluppo della decomposizione, https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione [3]
Non è la prima volta che Hamas o altri gruppi jihadisti fanno piovere razzi sui civili nelle città israeliane, uccidendo indiscriminatamente. Tra le prime vittime vi sono un padre arabo e sua figlia, residenti nella città israeliana di Lod, polverizzati nella loro auto. Né è la prima volta che le forze armate israeliane rispondono con devastanti attacchi aerei e fuoco di artiglieria, prendendo di mira i dirigenti di Hamas e i depositi di armi, ma che causano anche la morte tra i civili negli edifici e nelle affollate strade di Gaza, con un numero di vittime decine di volte maggiori ai "danni" dei razzi di Hamas. Non è nemmeno la prima volta che Israele è sul punto di un'invasione militare della Striscia di Gaza, che sicuramente provocherà ulteriori morti, senzatetto e traumi per le famiglie palestinesi. Abbiamo già visto le stesse scene nel 2009 e nel 2014.
Ma è la prima volta che uno sforzo militare così massiccio è stato accompagnato in varie città israeliane da un'ondata di violenti scontri tra ebrei e arabi israeliani. Si tratta essenzialmente di pogrom: bande di estrema destra che brandendo la stella di David e gridando "morte agli arabi", danno la caccia agli arabi, li picchiano e li uccidono. Allo stesso tempo, sono aumentati gli attacchi contro gli ebrei e le sinagoghe bruciate da folle "ispirate" dall'islamismo e dal nazionalismo palestinese. Tutto fa venire in mente i cupi ricordi dei Centoneri della Russia zarista o della Notte dei cristalli in Germania nel 1938!
Il governo israeliano di Netanyahu ha, in larga misura, gettato i semi di questa nefasta dinamica: attraverso nuove leggi che rafforzano la definizione di Israele come Stato ebraico e attraverso la politica di annessione dell'intera Gerusalemme come sua capitale. Quest'ultima è una chiara affermazione che la "soluzione dei due Stati" è morta e sepolta e che l'occupazione militare della Cisgiordania è oramai una realtà permanente. La scintilla immediata delle rivolte arabe palestinesi a Gerusalemme (la minaccia di espellere i residenti arabi da Gerusalemme e sostituirli con coloni ebrei) deriva da questa strategia di occupazione militare e di pulizia etnica.
Le "democrazie" dell'Europa e degli Stati Uniti stanno versando le loro solite lacrime di coccodrillo di fronte all'escalation dei conflitti militari e dei disordini civili (persino Netanyahu ha chiesto la fine della violenza di strada tra ebrei e arabi). Ma gli Stati Uniti sotto la presidenza di Trump avevano precedentemente approvato le politiche apertamente annessioniste di Israele che fanno parte di un più ampio progetto imperialista per riunire Israele, Arabia Saudita e altri stati arabi in un'alleanza contro l'Iran (oltre che contro grandi potenze come la Russia e Cina). Se ad esempio, Biden ha preso le distanze dal sostegno acritico di Trump al regime saudita, la sua prima preoccupazione nell'attuale crisi è stata quella di insistere sul fatto che "Israele ha il diritto di difendersi", perché lo Stato sionista, nonostante tutte le sue aspirazioni a portare avanti il proprio gioco in Medio Oriente, rimane un elemento chiave della strategia degli Stati Uniti nella regione.
Ma lo Stato israeliano non è il solo ad agire in modo provocatorio. Hamas ha risposto alla repressione delle sommosse di Gerusalemme lanciando una raffica ininterrotta di razzi contro i civili in Israele, ben sapendo che ciò avrebbe determinato una pioggia di ferro e fuoco sulla popolazione indifesa di Gaza. Ha anche fatto tutto il possibile per incoraggiare la violenza etnica in Israele. È una caratteristica della guerra, nell'era della decadenza del capitalismo, che le prime vittime siano le popolazioni civili, soprattutto la classe operaia e gli oppressi. Sia Israele che Hamas operano nella logica barbara della guerra imperialista. Di fronte alla guerra imperialista, i rivoluzionari hanno sempre fatto appello alla solidarietà internazionale degli sfruttati contro tutti gli Stati e proto-Stati capitalisti. La solidarietà è l'unico baluardo possibile contro lo sprofondamento della società nella guerra e nella barbarie.
Ma le classi dominanti in Medio Oriente, con i loro più potenti sostenitori imperialisti, hanno alimentato da tempo le fiamme della divisione e dell'odio. Ci furono pogrom contro i coloni ebrei in Palestina nel 1936, alimentati da una leadership politica palestinese che cercò di allearsi con la Germania nazista contro il potere dominante della regione, la Gran Bretagna. Ma questi eventi sono stati oscurati dalla massiccia pulizia etnica della popolazione araba che ha accompagnato la "guerra di indipendenza" del 1948, creando l'insolubile problema dei profughi palestinesi che è stato sistematicamente strumentalizzato dai regimi arabi. Una successione di guerre tra Israele e gli Stati arabi circostanti, le incursioni israeliane contro Hamas e Hezbollah, la trasformazione di Gaza in una vasta prigione ... Tutto questo ha approfondito l'odio tra arabi ed ebrei al punto di apparire come niente più che “buon senso” da entrambi i lati della barricata. In questo contesto, gli esempi di solidarietà tra lavoratori arabi ed ebrei in lotta sono estremamente rari, mentre le espressioni politiche organizzate dell'internazionalismo sono state quasi inesistenti.
Le azioni provocatorie dello Stato israeliano sono anche il prodotto di altri elementi contingenti. Netanyahu, il primo ministro ad interim, non è stato in grado di formare un governo dopo una serie inconcludente di elezioni generali e deve ancora affrontare una serie di accuse di corruzione. Potrebbe certamente trarre vantaggio dal suo ruolo di uomo forte in questa nuova crisi nazionale. Ma sono in atto tendenze più profonde che potrebbero sfuggire al controllo di chi cerca di trarre vantaggio dalla situazione attuale.
Le grandi guerre arabo-israeliane degli anni '60 e '70 furono combattute sullo sfondo del dominio del pianeta da parte di due blocchi imperialisti: Israele sostenuto dagli Stati Uniti, gli Stati arabi sostenuti dall'URSS. Ma dal crollo del sistema dei blocchi alla fine degli anni '80, la tendenza innata alla guerra imperialista nel capitalismo decadente ha assunto una forma molto più caotica e potenzialmente incontrollata. Il Medio Oriente, in particolare, è diventato il terreno di gioco di una serie di potenze regionali i cui interessi non coincidono necessariamente con i piani delle grandi potenze mondiali: Israele, Turchia, Iran, Arabia Saudita ... Queste potenze sono già pesantemente coinvolte nei sanguinosi conflitti che stanno devastando la regione: l'Iran sta usando la sua pedina, Hezbollah, nel multiforme conflitto in Siria, e l'Arabia Saudita è profondamente coinvolta nella guerra in Yemen contro gli alleati Houthi dell'Iran. La Turchia ha esteso la sua guerra contro i Peshmerga curdi di Siria e dell'Iraq (mantenendo l'intervento militare nella Libia dilaniata dalla guerra). Oltre a ridurre interi paesi alla rovina e alla fame, queste guerre comportano il rischio reale di andare fuori controllo e di propagare la distruzione in tutto il Medio Oriente
Questo caos crescente a livello militare è un'espressione della decomposizione globale del sistema capitalista. Così, un altro elemento strettamente correlato si sta giocando a livello sociale e politico, attraverso l'intensificarsi degli scontri tra fazioni politiche borghesi, tensioni tra gruppi etnici e religiosi, pogrom contro le minoranze. Si tratta di una tendenza globale caratterizzata, ad esempio, dal genocidio in Ruanda nel 1994, dalla persecuzione dei musulmani in Myanmar e in Cina, dall'aggravarsi del divario razziale negli Stati Uniti. Come abbiamo visto, le divisioni etniche in Israele e Palestina hanno una lunga storia, ma sono aggravate dall'atmosfera di disperazione e impotenza generata dall'apparentemente insolubile “problema palestinese”. E mentre i pogrom sono spesso scatenati come strumenti della politica degli Stati, nelle condizioni attuali possono intensificarsi oltre gli obiettivi degli organismi statali e accelerare uno slittamento generale verso il collasso sociale. Il fatto che ciò stia cominciando ad accadere in uno Stato altamente militarizzato come Israele è un segno che i tentativi del capitalismo di Stato totalitario di frenare il processo di disintegrazione sociale potrebbero finire per peggiorare ulteriormente le cose.
Guerre e pogrom sono il futuro che il capitalismo ha in serbo per noi ovunque se la classe operaia internazionale non ritrova i propri interessi e la propria prospettiva: la rivoluzione comunista. Se i proletari del Medio Oriente sono, per il momento, troppo sopraffatti da massacri e divisioni etniche, spetta alle frazioni centrali del proletariato mondiale riprendere la via della lotta, l'unica via che conduce fuori dall'incubo di questo ordinamento sociale putrefatto.
Amos, 14 maggio 2021
Nei recenti articoli[1], abbiamo mostrato come il movimento Black Lives Matter (BLM) si situa su un terreno completamente borghese, con vaghe rivendicazioni come "la parità dei diritti", "trattamento equo" o alcune più specifiche come "non finanziare la polizia". In nessuna maniera, neanche minimamente, questo movimento di protesta è stato capace di mettere in discussione i rapporti di produzione capitalistici che stabiliscono la subordinazione e l'oppressione della classe operaia come uno dei pilastri del dominio capitalista.
Ma questo significa forse che la classe operaia non può offrire alcuna alternativa ad altri strati non sfruttatori o a minoranze discriminate nella società capitalista che sono soggette a forme di oppressione particolarmente violente? Al contrario, nel corso della sua storia, la classe operaia, negli Stati Uniti come in altre parti del mondo, ha dimostrato la sua capacità di compiere passi significativi per superare le barriere della divisione etnica, a condizione che essa lotti sul proprio terreno di classe e con le proprie prospettive proletarie.
Una delle prime manifestazioni di vera solidarietà operaia con una minoranza etnica si ebbe nel 1892 a New Orleans, quando tre sindacati chiesero migliori condizioni di lavoro. Il "Bureau del commercio di New Orleans" tentò di dividere i lavoratori sulla base di criteri razziali invitando a negoziare i due sindacati a maggioranza bianca, respingendo invece quello a maggioranza nera. In risposta a questa manovra del Bureau, i tre sindacati lanciarono un appello allo sciopero comune che fu seguito all'unanimità.
Un altro momento importante fu la difesa organizzata della classe operaia in Russia contro i pogrom antisemiti nell'ottobre 1905, durante l'anno della prima rivoluzione in Russia. Durante quel mese, i cosiddetti Cento Neri, bande organizzate sostenute dalla polizia segreta dello Zar, uccisero migliaia di persone e mutilarono altre decine di migliaia in circa 100 città in tutto il paese. In risposta a questi massacri, il Soviet di Pietrogrado lanciò un appello agli operai di tutto il paese a imbracciare le armi per difendere i distretti operai contro i successivi pogrom.
Un altro eroico esempio di solidarietà proletaria avvenne nel febbraio 1941 nei Paesi Bassi, 80 anni fa. La causa immediata fu l'arresto di 425 ebrei ad Amsterdam e la loro deportazione in un campo di concentramento in Germania. Questo primo raid nei Paesi Bassi su una frangia della popolazione perseguitata e terrorizzata provocò una forte indignazione tra gli operai di Amsterdam e delle città vicine. L'attacco agli ebrei fu vissuto come un attacco all'intera popolazione proletaria di Amsterdam. L'indignazione superò la paura. La risposta fu: "Scendiamo in sciopero!"
Nei Paesi Bassi gli ebrei non erano visti come stranieri. In particolare ad Amsterdam, dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione ebraica, erano visti come parte integrante della popolazione. Inoltre, Amsterdam aveva il più grande proletariato ebraico dell'Europa occidentale, paragonabile solo a quello di Londra dopo i pogrom russi. L'orientamento di una parte significativa di questo proletariato ebraico era verso il movimento operaio e all'inizio del secolo molti di loro abbracciarono il socialismo. Nella prima metà del ventesimo secolo, molti di questi proletari svolsero un ruolo importante nelle organizzazioni operaie olandesi. Come indichiamo nel libro La Gauche hollandaise (La sinistra olandese)[2], nelle settimane che precedettero lo sciopero, un gruppo internazionalista, il Fronte Marx-Lénine-Luxemburg (MLL-Front) aveva già chiaramente espresso le sue posizioni in merito alle atrocità commesse dalle bande fasciste e chiamato i lavoratori a difendersi. “In tutti i quartieri operai dovranno essere formate milizie di autodifesa. La difesa contro la brutalità dei banditi nazionalsocialisti deve essere organizzata. Ma gli operai dovranno usare le loro armi anche sul terreno economico. Agli atti scandalosi dei fascisti si deve rispondere con scioperi di massa”. (Spartacus n.2, metà febbraio 1941; citato da Max Perthus, Henk Sneevliet)
Lo sciopero che scoppiò il martedì 25 febbraio fu una manifestazione esemplare di solidarietà con gli ebrei perseguitati. Avvenne sotto il completo controllo degli operai e la borghesia non aveva alcuna possibilità di usarlo per i suoi scopi bellici, come fece con lo sciopero dei ferrovieri nel 1944. Lo sciopero non era diretto alla liberazione del popolo olandese dall'occupazione tedesca. La posizione del MLL-Front non era che lo sciopero fosse orientato al sabotaggio della macchina da guerra tedesca o all'allineamento con la Resistenza Nazionale. Doveva essere una dichiarazione della classe operaia, una dimostrazione della sua forza e per questo di tempo limitato. Dopo due giorni, gli operai decisero all'unanimità di porre fine allo sciopero.
In mezzo alla barbarie della seconda guerra mondiale e in un contesto di sconfitta storica della classe operaia, lo sciopero non poteva portare a una mobilitazione generale della classe operaia in Olanda o a reazioni proletarie nel resto d'Europa, ma nonostante ciò ebbe un significato politico internazionale, andando ben oltre i confini dei Paesi Bassi. La resistenza degli operai nel febbraio 1941 contro la deportazione degli ebrei nei campi di concentramento ci mostra che il proletariato non è in alcun modo impotente o condannato all'inazione quando particolari gruppi etnici vengono presi come capri espiatori e diventano di conseguenza vittime di pogrom e persino di genocidi.
L’MLL-Front comprese pienamente questo. Pertanto, salutò calorosamente lo sciopero come espressione di autentica indignazione proletaria contro la persecuzione di ebrei, uomini, donne e bambini. Per l’MLL-Front, lo sciopero contro la brutalità antiebraica era incondizionatamente legato alla lotta generale contro l'intero sistema capitalista. Lo sciopero olandese del febbraio 1941 dimostrò che per difendere i gruppi etnici perseguitati la classe operaia deve rimanere sul proprio terreno e non può permettersi di essere trascinata nel terreno borghese, come è accaduto ad esempio con il movimento BLM. Il terreno della classe operaia è quello in cui la solidarietà non è limitata dalle divisioni che il capitalismo ha imposto alla società ma quello dove essa diventa veramente universale. La solidarietà proletaria è per definizione l'espressione della classe la cui lotta autonoma è destinata a sviluppare un'alternativa fondamentale al capitalismo.
Nella misura in cui annuncia la natura della società per la quale lotta, è capace di abbracciare e integrare la solidarietà di tutta l'umanità. È questo che oggi rende per noi così importante la solidarietà proletaria e lo sciopero del febbraio 1941 nei Paesi Bassi.
CCI, aprile 2021
[1] I gruppi della sinistra comunista di fronte al movimento Black Lives Matter: l'incapacità di identificare il terreno della classe operaia [35]
[2] La Sinistra Olandese, “Capitolo X: Scomparsa e rinascita del comunismo dei consigli - Dal “Fronte Marx-Lenin-Luxemburg” al “Comunistenbond Spartacus” (1939-1942)”, pagine 246-249. Questo opuscolo, disponibile in inglese e francese può essere acquistato scrivendo al seguente indirizzo: [email protected] [36]
Links
[1] https://it.internationalism.org/files/it/rivoluzione_internazionale_n_187.pdf
[2] https://it.internationalism.org/content/1625/inondazioni-siccita-incendi-il-capitalismo-sta-portando-lumanita-verso-un-cataclisma
[3] https://it.internationalism.org/content/1617/rapporto-su-pandemia-e-sviluppo-della-decomposizione
[4] https://it.internationalism.org/content/la-decomposizione-fase-ultima-della-decadenza-del-capitalismo
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/3/42/ambiente
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/46/decomposizione
[7] https://it.internationalism.org/en/tag/3/48/guerra
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/6/106/afganistan
[9] https://www.liberation.fr/international/europe/inondations-le-nombre-de-morts-atteint-133-en-allemagne-153-en-europe-20210717_AAKJJWRYWZEGNJIQ3KKNNKBDQY/
[10] https://www.n-tv.de/politik/Warum-warnten-nicht-ueberall-Sirenen-vor-der-Flut-article22692234.html
[11] https://www.welt.de/politik/deutschland/article232656933/Annalena-Baerbock-Klimaschutz-faellt-nicht-vom-Himmel.html
[12] https://it.internationalism.org/content/1461/il-capitalismo-minaccia-il-pianeta-e-la-sopravvivenza-dellumanita-solo-la-lotta
[13] http://www.lastampa.it/politica/2021/10/04/news/affluenza-elezioni-2021-alle-urne-il-54-69-degli-italiani-nelle-grandi-citta-record-negativo
[14] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwilqMyb1s7zAhUM16QKHYpeDpQQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fen%2Fnode%2F1584&usg=AOvVaw3c7FWG7pUjf0tM0iiXrV9g
[15] https://www.fondazionebrf.org/osservatorio-suicidi/
[16] https://www.fatebenefratelli.it/blog/crisi-economica-coronavirus-effetti-lavoratori-imprenditori-italiani
[17] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwidj_W31c7zAhWG66QKHeEXALYQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Feconomia%2Fopinioni%2F21_settembre_16%2Flavoro-covid-ha-cancellato-12-milioni-posti-ne-abbiamo-recuperati-per-ora-523-mila-095bfae4-1522-11ec-87fe-df13c0096efb.shtml&usg=AOvVaw3TipBH38DXFEjJzLgzKkk6
[18] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwips5uM187zAhWMM-wKHQn1Dn0QFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fcontent%2F1419%2Felezioni-italia-il-populismo-un-problema-la-borghesia-un-ostacolo-il-proletariato&usg=AOvVaw2hXD2oKOVF-8c48ZOvxPCy
[19] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj1za6f187zAhWMqqQKHZWEB0QQFnoECAMQAQ&url=https%3A%2F%2Fit.internationalism.org%2Fcontent%2F1492%2Fcome-si-e-arrivati-al-governo-conte-bis-ovvero-la-italiana-al-contrasto-del-populismo&usg=AOvVaw3mGE0a0UdddHLfZYVVTEwH
[20] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[21] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/economia-italiana
[22] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[23] https://en.internationalism.org/ir/107_new_york.html
[24] https://fr.internationalism.org/french/rint/107_new_york.html
[25] https://es.internationalism.org/revista-internacional/200510/222/en-nueva-york-como-por-todas-partes-el-capitalismo-siembra-la-muert
[26] https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiKn-nds5XzAhWPCOwKHQdyDvAQFnoECCQQAQ&url=https%3A%2F%2Fmedium.com%2F%40redazione_sconfinare%2F26-ottobre-2001-george-w-bush-firma-lo-usa-patriot-act-b619d0b956c8%3Fsource%3Drss-------1&usg=AOvVaw2ockISf4DTp1480ULgH1tg
[27] https://en.internationalism.org/ir/108_machiavel.htm
[28] https://fr.internationalism.org/french/rint/108_machiavel.htm
[29] https://es.internationalism.org/revista-internacional/200510/233/pearl-harbor-1941-torres-gemelas-2001-el-maquiavelismo-de-la-burgue
[30] https://it.internationalism.org/en/tag/4/90/stati-uniti
[31] https://it.internationalism.org/en/tag/3/49/imperialismo
[32] https://it.internationalism.org/en/tag/3/54/terrorismo
[33] https://it.internationalism.org/en/tag/4/92/afganistan
[34] https://it.internationalism.org/en/tag/4/83/medio-oriente
[35] https://it.internationalism.org/content/1557/i-gruppi-della-sinistra-comunista-di-fronte-al-movimento-black-lives-matter-lincapacita
[36] mailto:[email protected]
[37] https://it.internationalism.org/en/tag/4/76/olanda
[38] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[39] https://it.internationalism.org/en/tag/3/50/internazionalismo