Un affare di gangster imperialistici
Il 30 settembre scorso, il quotidiano danese Jyllands-Posten ha pubblicato dodici caricature che rappresentano il profeta Maometto agghindato di bombe, micce di dinamiti ed altri arnesi terroristici. Questi disegni saranno ripresi nelle settimane successive da numerosi giornali, come France-Soir. Il seguito lo conosciamo. Manifestazioni, talvolta molto violente, esplodono attraverso l'insieme dei paesi cosiddetti musulmani. In Afghanistan, alcuni scontri portano alla morte e al ferimento grave di diverse persone. Come hanno potuto delle semplici caricature generare un tale scoppio di odio? Come e perché dei semplici disegni di un giornale danese si sono ritrovati al centro di una tempesta internazionale?
All’inizio d’ottobre 2005, questo affare aveva avuto delle ripercussioni solo in Danimarca. Fu allora che undici ambasciatori di paesi musulmani chiesero un colloquio con Fagh Rasmussen, primo ministro danese e vicino al giornale Jyllands-Posten. In seguito al rifiuto di quest’ultimo di incontrarli, una delegazione di rappresentanti di associazioni musulmane in Danimarca iniziò un giro in numerose capitali del mondo musulmano, ufficialmente per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo affare. Il risultato non si è fece attendere. Alcune manifestazioni cominciarono ad esplodere in Pakistan. A partire dal mese di gennaio, le manifestazioni andarono a coinvolgere l’insieme del “mondo musulmano” ed in particolare il Medio Oriente. Queste manifestazioni presero velocemente un’ampiezza ed una violenza anti-occidentale sorprendenti rispetto alle banalità apparenti rappresentate da alcune caricature giornalistiche di Maometto. Tuttavia, per comprendere, è necessario ricordarsi che, dalla Seconda Guerra mondiale, questa regione del mondo – ed in particolare il Medio Oriente - ha conosciuto un progressivo sprofondamento nella guerra e la barbarie. Dalla fine degli anni ‘80, le tensioni sono diventate sempre più esplosive ed incontrollabili. Così, la destabilizzazione irreversibile del mondo musulmano in Afghanistan, in Iraq, nel Libano, in Palestina, spesso sotto l’effetto diretto della fuga in avanti militare e guerriera delle grandi potenze imperialiste (tra cui figurano al primo posto gli USA), oggi si traduce inevitabilmente in una montata di radicalismo religioso il più arcaico tra le popolazioni completamente disorientate di queste regioni. Il vicolo cieco in cui si trovano questi paesi non può che spingere al potere al loro interno delle frazioni più retrograde della borghesia. Questo è il senso, per esempio, dell’arrivo al potere in Palestina di Hamas, movimento politico radicale, adepto a tutt'oggi del fanatismo anti-israeliano più caricaturale. È la stessa realtà del fondamentalismo più retrogrado che spiega la presenza al potere in Iran del partito ultraconservatore di Mahmoud Ahmadinejad. Le tensioni tra le varie potenze di questa regione e di ognuna di queste verso gli Stati Uniti si allargano ogni giorno di più. È evidente che in questa situazione di rigurgito dei vari fondamentalismi e del ciascuno per sé, la borghesia e le differenti cricche armate di questa parte del mondo non potevano che impadronirsi di questa opportunità, offerta dalla pubblicazione di queste famose caricature, per rafforzare sul posto le loro posizioni e difendere al meglio i loro interessi nella giungla imperialista generalizzata a livello mondiale. Dietro queste manifestazioni apparentemente spontanee si trova in realtà il braccio armato delle cricche borghesi, locali o statali. Dopo gli attacchi delle ambasciate danesi o francesi, la Libia decide di chiudere la sua ambasciata a Copenaghen. L’ambasciatore della Danimarca in Kuwait viene convocato. I governi siriano ed iracheno si dichiarano pubblicamente particolarmente indignati. Tutto ciò non ha più niente a che vedere con la pubblicazione di alcuni disegni nella stampa borghese occidentale e giordana. Queste caricature sono diventate in realtà armi da guerra nelle mani delle classi borghesi nel mondo musulmano, rispondendo così alla politica imperialista sempre più aggressiva portata avanti particolarmente da Stati Uniti, Francia, Germania ed Inghilterra. Come non fare, per esempio, il legame tra l’utilizzazione di queste vignette e la campagna di minacce portata avanti nei confronti dell’Iran a proposito del suo programma nucleare da parte della Francia o degli Stati Uniti? La manipolazione, a fini di politica imperialista, da parte delle differenti borghesie di popolazioni sempre più ridotte alla miseria, che subiscono in permanenza la guerra, diventa allora un cinico gioco da bambini. Queste manifestazioni violente di masse crescenti di disperati non sorgono dunque così “spontaneamente” o così “naturalmente”. Sono invece il prodotto delle politiche di guerra, di odio e di reclutamento ideologico nazionalista di tutte le borghesie ai quattro angoli del mondo.
Mentre gli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, si erano fatti i campioni della difesa dei valori dell’occidente, i crociati della lotta al fanatismo religioso musulmano e al male che questo è supposto incarnare, rispetto alle caricature di Maometto assistiamo invece ad una sorprendente comprensione da parte dell’amministrazione Bush di fronte alle reazioni in Iran ed altrove. Come mai? Sia chiaro che tutto questo non ha niente a che vedere con la difesa del diritto di ciascuno a scegliere liberamente la sua religione come cercano di far credere. La realtà è molto più cinica. Gli Stati Uniti sono fin troppo soddisfatti nel vedere alcuni paesi imperialisti concorrenti, come la Francia, impantanarsi a loro volta in una situazione di scontro politico con degli Stati del Medio Oriente e del mondo arabo. In questo mondo putrido, in guerra permanente, di tutti contro tutti, ogni Stato capitalista può solo rallegrarsi nel vedere dei concorrenti cadere in una trappola.
E la perfidia delle frazioni borghesi e la loro volontà di utilizzare tutti gli aspetti della vita del capitalismo in decomposizione sono ancora più palesi quando si considera la posizione di Hamas su questo argomento. Hamas, partito radicale religioso, adepto finora della lotta armata e del terrorismo, propone semplicemente i suoi buoni uffici come mediatore in questo affare! Il capo dell’ufficio politico del movimento palestinese Hamas, Khalel Mechaal ha dichiarato a tale proposito: “il movimento è disposto a giocare un ruolo per acquietare la situazione tra il mondo islamico ed i paesi occidentali purché questi paesi si impegnino a mettere fine agli attentati ai sentimenti dei musulmani”. (Le Monde del 9 febbraio 2006). Per farsi riconoscere un poco sul piano internazionale, Hamas è così pronto a ritirare momentaneamente i suoi artigli.
A riguardo di questa vera giungla, in cui ogni nazione o cricca borghese attizza l’odio, tutta la propaganda delle ‘grandi democrazie’ sulla libertà di stampa ed il rispetto delle religioni appare così per ciò che è: solo fumo e basta.
Libertà di stampa e rispetto delle religioni, due veleni al servizio della borghesia
The Independant, giornale inglese citato dal Courrier International, riassume molto bene la campagna ideologica borghese: “Non c’è alcun dubbio che i giornali dovrebbero avere il diritto di pubblicare dei disegni che certe persone stimano offensive”. Ecco qui messo in scena il sacrosanto diritto di libertà di espressione di cui oggi tutta una parte della borghesia ci riempie le orecchie. D’altra parte lo stesso giornale aggiunge subito che: “in una situazione così complessa, è facile rifugiarsi in banali dichiarazioni sul diritto di libertà di stampa. La cosa più difficile non è decidere tra il vero ed il falso, ma prendere una decisione che tenga conto dei diritti degli uni e degli altri. C’è il diritto alla libera espressione di ogni censura. Ma c’è anche il diritto per numerosi musulmani di vivere in una società pluralista e laica senza sentirsi oppressi, minacciati, scherniti. Elevare un diritto al disopra di altri è la maschera del fanatismo”. La trappola ideologica, sviluppata dalla democrazia borghese contro la classe operaia, è qui chiaramente esposta. Si dovrebbe scegliere tra ciò che sarebbe un diritto, la libertà di espressione, ed un dovere morale, il rispetto delle credenze altrui. Ad ogni modo, il proletariato è chiamato a dare prova di moderazione e di comprensione in questo affare per il più grande beneficio dei … suoi padroni borghesi! Ecco quello che pensava Lenin nelle tesi sulla democrazia al primo congresso dell’Internazionale Comunista: «“Libertà di stampa” è un’altra eminente parola d’ordine di “democrazia pura”. Ma i lavoratori sanno, e i socialisti di tutti i paesi l’hanno riconosciuto un milione di volte, che questa libertà è illusoria finché i migliori stabilimenti tipografici e le più grosse forniture di carta sono nelle mani dei capitalisti, e finché il capitale mantiene il proprio potere sulla stampa, un potere che in tutto il mondo si esprime tanto più chiaramente, duramente e cinicamente, quanto più sono sviluppati la democrazia e il regime repubblicano, come ad esempio in America». Da sottolineare che Lenin ed i comunisti della sua epoca non conoscevano i mezzi di martellamento ideologico di oggi come la radio e la televisione.
Per quanto riguarda l’altra scelta, quella del rispetto delle credenze altrui, basti citare una frase di Marx per sapere quello che pensano i comunisti: “La religione è l’oppio del popolo.” Qualunque sia il dio in questione, la fede religiosa come ogni forma di misticismo è un veleno ideologico che viene instillato nella testa degli operai. Essa costituisce anzi uno dei numerosi antidoti che usa la borghesia contro la presa di coscienza del proletariato.
La libertà di stampa dunque non è niente altro che la libertà della borghesia di conficcare la sua ideologia nella testa degli operai! Ed il rispetto delle religioni è il rispetto della classe dominante per tutto ciò che mistifica il proletariato!
È evidente che questa proliferazione di manifestazioni e di violenza a partire da alcune vignette pubblicate nella stampa borghese non può lasciare la classe operaia indifferente. È vitale che la classe operaia non si lasci impressionare da questa levata massiccia di agitazioni anti-occidentali nel mondo musulmano. Tutto ciò non fa che tradurre l’accelerazione del caos nella società capitalista e rendere più urgente lo sviluppo della lotta di classe. La risposta del proletariato non si trova nella falsa scelta proposta dalla borghesia. All’irrazionalità crescente del mondo capitalista, il proletariato deve opporre la razionalità della lotta di classe, dello sviluppo della sua coscienza e del comunismo.
Tino (20/02/2006)
Per rendere più credibile questa mistificazione l’offerta si fa sempre più ampia, non solo di partiti, ma anche di personaggi che hanno il compito di convincere al voto, e alla partecipazione democratica, anche gli indecisi, quelli delusi e finanche quelli che a votare magari non ci pensavano proprio, perché credono che sono le lotte possono portare dei risultati. E’ in particolare a questi ultimi che sono rivolte le candidature di personaggi come il “disobbediente” Caruso e il trotskysta Ferrando (1). Chi potrebbe negare che è democrazia quella che lascia candidare anche quelli che, sulla carta, sono contro il sistema e lo vorrebbero addirittura rovesciare?
Il punto è invece proprio che personaggi come Caruso e Ferrando non sono affatto antitetici al sistema, e alla difesa della mistificazione democratica non ci partecipano in maniera inconsapevole, involontari vittime di manipolatori. No, Caruso e Ferrando alla democrazia e ai vari feticci borghesi ci credono veramente e se ne sentono dei veri difensori. Non lo diciamo noi, ce lo dicono loro:
“Cercare di impedire un raduno fascista non è solo legittimo, ma anche moralmente e costituzionalmente doveroso” (Caruso, su Repubblica del 4/03/06, sottolineatura nostra). E che volete di più: di fronte al ”lassismo” del ministro dell’interno e delle forze dell’ordine, Caruso si fa l’ardente difensore della costituzione borghese, quella che legittima lo sfruttamento e tutti gli abusi che gli sfruttati di questo paese subiscono. Così quelli che pensavano che Caruso volesse andare in Parlamento a difendere i “movimenti” e le esigenze di cui sono portatori sono serviti: Caruso andrà in Parlamento a difendere la Costituzione borghese! Ma è proprio questo il ruolo più prezioso che Caruso può giocare per la borghesia: quello di riportare sul terreno elettorale, sul terreno della difesa della democrazia la nuova generazione di proletari, tutti quei giovani che, di fronte alla barbarie di questa società, di fronte alla mancanza di ogni prospettiva futura, iniziano a porsi delle domande di fondo su questo sistema e la possibilità di creare una società diversa.
Lo stesso ruolo di difensore della democrazia è assunto (anche se per ora come sostegno “esterno” vista la mancata candidatura) dall’altro presunto “impresentabile”, ex candidato del centrosinistra, il trotskysta Ferrando, almeno a giudicare dal rammarico con cui commenta la probabile cancellatura della sua candidatura: “Cinquanta per cento di farcela. L’Abruzzo non è la Liguria, ma certo la possibilità di vedere un risultato positivo erano alte. Aspetto ancora però: la proposta di cassare il mio nome dev’essere approvata.” (Repubblica del 15/02/06). L’aspirazione di Ferrando ad un seggio al Senato della Repubblica non era certo dettata da un tornaconto personale: “In Parlamento la mia busta paga sarebbe stata equivalente a quella di un metalmeccanico. Come i miei compagni argentini, che già siedono in Parlamento.” (ibidem) No, Ferrando in Parlamento ci voleva andare proprio per difendere la democrazia borghese, come dalla Resistenza in poi fanno tutti i suoi compagni trotskysti in giro per il mondo. Famose in questo senso sono le ripetute candidature alla Presidenza della Repubblica francese di Arlette Laguillière, candidatura di bandiera certo, ma che serve ad aprire la strada alla convergenza dei voti trotskysti sui candidati della sinistra al turno di ballottaggio.
Ferrando e la guerra: l’importante è da che parte si sta
Qualcuno ci potrebbe criticare per questa denuncia delle candidature di Caruso e Ferrando, quando soprattutto quest’ultimo è stato giubilato per aver denunciato l’esercito italiano in Iraq come forza occupante. Che Ferrando abbia pronunciato queste parole è vero, ma in quale contesto? “Sono contro la guerra, contro tutte le guerre. Ho aggiunto che il diritto internazionale prevede la resistenza nei confronti degli eserciti occupanti. Il nostro è un esercito occupante” (ibidem)
Che l’esercito italiano in Iraq sia un esercito occupante lo dice anche D’Alema (lo stesso che come Presidente del Consiglio inviò l’esercito italiano a bombardare la Serbia al momento della guerra in Kosovo), il che, quindi, non dimostra che si è contro la guerra. Ed infatti Ferrando aggiunge di giustificare, sulla base del “diritto internazionale”, la “resistenza irachena”, cioè quella frazione della borghesia irachena che si è schierata contro gli americani, e che li “combatte” mettendo autobombe nei mercati e per le strade, facendo strage di civili iracheni, donne e bambini compresi, organizzando posti di blocco dove vengono fermati i pulmini che trasportano operai che lavorano in fabbriche considerate dalla resistenza “collaborazioniste” e che vengono spesso per questo assassinati. Ecco l’opposizione di Ferrando ad “ogni guerra”: schierato mani e piedi con una delle frazioni belligeranti che, come tutte le frazioni borghesi del mondo, considera la popolazione, anche la propria, solo come carne da cannone da sacrificare per raggiungere i propri obiettivi.
E questo suo schieramento “senza se e senza ma” con uno dei belligeranti Ferrando lo giustifica con il “diritto internazionale”. Ma chi lo ha redatto questo diritto, se non l’insieme delle nazioni imperialiste, in primo luogo quelle occidentali che sono le stesse che, a partire dal crollo del blocco sovietico nel 1989, hanno guerreggiato su tutto il pianeta, e questo proprio basandosi sul cosiddetto “diritto internazionale”?
Del resto, se guardiamo alla storia che ha seguito la Prima Guerra Mondiale, l’ultima a cui, anche se con un po’ di fatica, viene riconosciuto perfino dalla borghesia un carattere imperialista, non vediamo forse che la borghesia ha sempre cercato, e trovato o inventato, una “nobile” motivazione per giustificare tutte le sue carneficine imperialiste? Così, la Seconda Guerra Mondiale è stata combattuta per la “difesa della democrazia” contro il nazifascismo; tutte le guerre combattute per interposti paesi dai due blocchi formatisi dopo la Seconda Guerra mondiale sono state giustificate da una parte come guerre di “indipendenza” contro l’imperialismo occidentale, dell’altra come guerre contro l’impero del male stalinista. E dopo il crollo del blocco dell’est tutte le guerre combattute, anche in Europa, non sono forse state giustificate con la necessità di “interventi umanitari”, difesa della democrazia, dal terrorismo barbaro, e così via?
Non è un caso che sia avvenuto così dopo la Prima Guerra Mondiale, perché questa terminò con la rivoluzione proletaria in Russia e il suo tentativo di estensione al resto dell’Europa, cioè con un avvenimento nuovo che rischiava di porre termine non solo alla guerra, ma a tutto il sistema capitalista. Scampato questo pericolo, la borghesia è stata ben attenta a proseguire la sua inevitabile strada verso la guerra dotandosi sempre di giustificazioni ideologiche che indebolissero la capacità dei proletari di prendere coscienza del fatto che la guerra è sempre più il modo naturale di essere del capitalismo decadente, e che se si vuole mettere fine alla guerra bisogna abbattere il capitalismo.
Difendere una frazione in lotta con il “diritto internazionale”, come fa Ferrando, significa partecipare a questa mistificazione ideologica, significa schierarsi a difesa del sistema capitalista, esattamente come lo si fa quando si partecipa alla mistificazione democratica insita nelle elezioni.
2/04/06 Helios
1. Ferrando è il leader di Progetto Comunista, una delle correnti di Rifondazione Comunista su cui abbiamo recentemente pubblicato una miniserie di articoli sul questo giornale (vedi n: 140, 141 e 142) dal titolo: Rifondazione Comunista va a congresso per affilare le armi contro i lavoratori.
Un anno di campagna elettorale è quanto di peggio si possa meritare una popolazione, già afflitta dal doppio flagello di un governo di destra inetto e tracotante - che ha portato la gestione dello stato e del parlamento ai limiti di un uso ad personam - ed un’opposizione di sinistra vacua e priva di iniziativa, apparentemente impotente. Ci sarebbe da chiedersi come fanno i cittadini italiani a dare ancora la fiducia a questa gente e a sprecare un week-end di primavera per rimanere in città e andare a votare. Ora, fermo restando che con i tempi che corrono non tutti possono permettersi di andare fuori città per il week-end, il problema è che la borghesia, con la sua propaganda, riesce a mantenere l’idea che con le elezioni i cittadini, tutti i cittadini, almeno una volta ogni tot anni, hanno il potere di decidere chi eleggere al parlamento e quindi chi deve governare. Da questo punto di vista le elezioni costituiscono una delle mistificazioni più forti che esistano nella fase attuale del capitalismo. Infatti, entrato nella sua fase di decadenza, oggi il capitalismo non ha più davanti a sé alcuna possibilità di sviluppo ulteriore e non è più possibile per il proletariato appoggiare, come era ancora il caso alla fine dell’800, la frazione più avanzata della borghesia la cui affermazione avrebbe permesso un più rapido sviluppo del capitalismo e una più celere maturazione delle condizioni obiettive del comunismo. Oggi l’economia - non solo nazionale ma mondiale - è in completo fallimento e il programma, di destra o di sinistra, di qualunque governo, consiste nell’attutire il più possibile, ritardandolo, il tonfo del tracollo economico. E’ appunto per gestire questo fallimento che un governo ha bisogno di coinvolgere la popolazione e soprattutto la classe dei lavoratori, di renderli corresponsabili della scelta effettuata in modo da creare delle aspettative. Non è un caso che a livello internazionale si stia provando tutta una serie di carte nuove che stanno riscaldando l’animo di tanti giovani, come il governo Lula in Brasile, quello di Chavez in Venezuela (1) o ancora quello dell’indio Evo Morales in Bolivia, che arriva dopo anni di dittatura e di cui fa parte come ministro della giustizia una donna addetta alle pulizie che aveva cominciato a lavorare all’età di 13 anni. Come si può non rimanere colpiti e riprendere fiducia nelle elezioni?! Ma, come stanno cominciando a dimostrare proprio le esperienze di Lula e Chavez, il problema, purtroppo, non è di chi sta a capo del governo ma di quello che bisogna governare: l’economia capitalista. E, al di là della buona o della cattiva volontà dei governanti, la realtà dimostra che non si possono fare delle scelte a favore dei lavoratori rimanendo nella logica del profitto capitalista. Facciamo degli esempi. In occasione della sua recente visita a Napoli, un punto su cui il leader del centro-sinistra Prodi ha insistito è il ruolo strategico dei porti del sud Italia che possono essere - ha detto - una valida alternativa ai porti dei paesi del nord nei confronti dei carghi che fanno servizio verso i paesi orientali e le americhe. Perfetto. In altri termini se noi riusciamo a togliere lavoro ai lavoratori della Germania, della Francia, dell’Olanda, del Belgio, forse riusciremo a darne un po’ ai nostri lavoratori, ma soprattutto, quello che neanche Prodi e i suoi alleati di estrema sinistra dicono, faremo fare tanti tanti soldini alle nostre ditte di trasporto, ai nostri commercianti, al nostro capitalismo. D’altra parte qual è il significato di questo discorso dell’ultima ora sui conti trimestrali, sulla crescita zero rispetto agli altri paesi? Che stiamo andando peggio di Francia e Germania, che in Europa ci stanno superando tutti e che dobbiamo essere più competitivi. Ma, cari signori della sinistra (borghese s’intende!), come è possibile diventare competitivi se non offrendo merci che costino al produttore di meno? E quale strada esiste per abbassare il costo delle merci se non aumentando lo sfruttamento dei lavoratori e riducendo il loro salario? Questo non è il programma della destra, né quello della sinistra, queste sono le condizioni irrinunciabili per qualunque governo voglia governare, in qualunque paese del mondo, in una fase di crisi storica e irreversibile del capitalismo come quella che viviamo oggi. Per cui che c’è di meglio di occultare tutto ciò facendo credere che cambiando governo cambino realmente anche le condizioni di esistenza dei lavoratori?
Ma è proprio vero che destra e sinistra propongono esattamente la stessa cosa? Certamente no! Se entrambi gli schieramenti hanno lo stesso obiettivo di curare gli interessi della Azienda Italia, e quindi di attaccare a fondo le condizioni di vita della classe operaia, come magistralmente ha sempre fatto la sinistra ancor meglio che la destra (2), se entrambi gli schieramenti hanno sempre difeso gli interessi imperialisti dell’Italia nel mondo (3), una differenza tra gli attuali schieramenti ci sta, e si pone a vari livelli. Anzitutto la diversa credibilità dei due schieramenti politici: un governo che è costretto a ritirare uno dopo l’altro i suoi ministri per la loro goffaggine, la loro impresentabilità (vedi in particolare negli ultimi due mesi prima il caso Calderoni con le magliette anti-Maometto, poi Storace con le spie messe in gioco contro gli stessi alleati di destra, ecc.), ed ancora l’intollerabilità di un presidente del consiglio che agisce dicendo tutto quello che gli passa in testa in quel momento e pretende che la gente gli stia a credere, non sono certo una buona credenziale. L’altra questione è l’opzione imperialista. Infatti mentre la coalizione di centro-sinistra si è imposta, anche attraverso Tangentopoli (4), per portare avanti una politica di maggiore autonomia sul piano imperialista, esprimendo comunque una preferenza per l’area imperialista europea, lo schieramento di Berlusconi è quello che visibilmente si colloca come uno zerbino ai piedi degli USA. Questa non è una differenza di secondo ordine ma di quelle che possono fare il risultato. Infatti nella sua globalità il governo Berlusconi appare, nonostante tutti i demeriti della sinistra, come quello peggiore da tutti i punti di vista tranne il fatto che è l’unico che è disposto ancora a sostenere gli USA. E gli USA gli sono stati e gli sono ancora molto grati per questo. Non è un caso che, in questi ultimi giorni, il governo americano si sia fatto promotore di una campagna di destabilizzazione verso l’Italia, lanciando ai propri cittadini presenti in Italia un appello sul pericolo di attentati in occasione della fase elettorale. Questo appello è di un cinismo incredibile: infatti chi è esperto di terrorismo nel senso che lo pratica o ne è connivente sono proprio gli USA (5): l’Italia in particolare è stato un laboratorio di pratiche terroriste non solo e non tanto da parte delle bande di disperati stalinisti delle BR, quanto soprattutto dei servizi segreti americani che hanno appoggiato per oltre quarant’anni fascisti e avventurieri pronti ad ogni colpo di mano per fermare l’avanzata dei “rossi” nel nostro paese (6). A partire dall’episodio di Portella delle Ginestre del 1947 fino alle ultime bombe di matrice americana fatte scoppiare tra il 92 e il 93 (7) è tutta una lunga serie di interferenze nella politica italiana fatta di bombe e di cadaveri. Per cui il recente appello degli americani ha tutto il sapore di una minaccia di nuove bombe laddove gli italiani non dovessero seguire le giuste raccomandazioni.
In conclusione, governo di destra o governo di sinistra, per i lavoratori la prospettiva non cambia. Lo Stato italiano, come ogni Stato capitalista, può solo continuare a spolpare le carni di un proletariato ormai sfinito da tasse, rincari, indigenza, precarietà, disoccupazione, … In una parola, la campagna elettorale prima, le elezioni dopo, sono proprie tutte contro la classe operaia. Ma una alternativa c’è. Certo, ed è la lotta di classe, quella che in vari paesi del mondo sta ritornando sulla scena sociale. Agli scioperi dell’aeroporto di Heatrow a Londra, a quelli in Argentina o alla SEAT in Spagna di qualche mese fa (8), nuovi momenti di lotta si susseguono in Gran Bretagna, India, Svizzera e Francia, come viene mostrato dagli articoli presenti all’interno di questo giornale.
2 aprile 2006 Ezechiele
1. Vedi l’articolo su Chavez in questo stesso numero.
2. Come fece appunto il socialista Craxi eliminando i quattro punti di contingenza nel 1984, come ha fatto il governo di centrosinistra Amato nel 1992 che ha rastrellato 90.000 miliardi delle vecchie lire, come ha fatto il successivo governo Dini che portò a termine la prima famigerata riforma delle pensioni che non era riuscita a Berlusconi.
3. Chi critica oggi Berlusconi per la partecipazione alla guerra in Iraq dovrebbe ugualmente ricordare la guerra condotta dal “comunista” D’Alema contro la popolazione serba.
4. Campagna giudiziaria orientata a combattere il connubio politica-economia che passava attraverso le tangenti, ma di fatto una politica finalizzata a svuotare ed estromettere dal potere i partiti filoamericani, DC e PSI.
5. Vedi nostri articoli su le Twin Towers, su Rivoluzione Internazionale n122 e 123 (vedi anche sul nostro sito www.it.internationalism.org [7]).
6. Su questo la bibliografia è stracolma: oltre alla famosissima Strage di Stato, si suggerisce anche qualche chicca degli ultimi tempi come il libro di Edgardo Sogno: Testamento di un anticomunista, Mondatori.
7. Erano gli anni in cui la borghesia italiana cercava di liberarsi della tutela americana e quella americana reagiva a colpi di bombe tramite la fedele mafia: vedi gli assassini dei giudici Falcone e Borsellino del 1992 e gli attentati di Roma e Firenze del maggio 1993 che fanno 5 vittime e 23 feriti.
8. Sugli scioperi a Londra vedi Rivoluzione Internazionale n.142 e per quelli alla Seat ed in Argentina Rivoluzione Internazionale n.144.
Ciò che ha prodotto la forza di questo movimento, è prima di tutto il rafforzamento della SOLIDARIETÀ attiva nella lotta. E' serrando le fila, costruendo una rete molto stretta, comprendendo che l'unione fa la forza, che gli studenti universitari ed i liceali, hanno potuto mettere in pratica la vecchia parola d'ordine del movimento operaio: "Tutti per uno, uno per tutti"! E' così che hanno potuto trascinare dietro di sè i lavoratori delle università (professori e personale amministrativo) che, anche loro, hanno tenuto Assemblee Generali. In seguito, gli studenti delle facoltà d' Île de France hanno aperto le loro AG ai propri genitori-lavoratori, ad altri lavoratori e anche a pensionati (particolarmente a Parigi 3 – Censier). Li hanno invitati a prendere la parola e a dar loro delle "idee". La "scatola delle idee", l"urna" del movimento è circolata velocemente dovunque, nella strada, nelle AG, nei supermercati, su tutti i posti di lavoro, su tutti i siti Internet, ecc.
All'indomani della manifestazione del 7 marzo, in tutte le facoltà, a Parigi come in provincia, si sviluppano delle AG massicce di studenti: l' "uomo di ferro" Villepin, mantiene la sua politica di fermezza: il CPE sarà votato all'assemblea Nazionale perché è fuori questione che sia "la strada a governare" (come diceva nel 2003, l'ex-primo ministro Raffarin che fece passare la sua riforma del sistema delle pensioni per gettare nella miseria i vecchi lavoratori salariati dopo averli sfruttati per 40 anni). Gli studenti non cederanno a questo braccio di ferro. Le aule dove si tengono le AG sono strapiene. Le manifestazioni spontanee si moltiplicano, in particolare nella capitale. Sono gli stessi studenti ad eliminare il blackout dei media obbligandoli a "sbloccare" la legge del silenzio e della menzogna.
Quelli dall' 8 al 18 marzo sono "dieci giorni che vanno a scuotere il mondo" della borghesia francese. Gli studenti si organizzano sempre più per allargare la risposta in una sola direzione: SOLIDARIETÀ ed UNITÀ di tutta la classe operaia.
Nella capitale, questa dinamica è partita dal sagrato della facoltà di Censier che sarà all'avanguardia del movimento verso l'estensione e la centralizzazione della risposta.
Nelle AG, i lavoratori che "passavano di là" sono accolti in genere a braccia aperte. Sono invitati a partecipare ai dibattiti, a portare la loro esperienza. Tutti i lavoratori che hanno assistito alle AG, a Parigi come in parecchie città di provincia (in particolare a Tolosa), sono stati sbalorditi dalla capacità di questa giovane generazione a mettere la sua immaginazione creatrice al servizio della lotta di classe. Alla facoltà di Censier, in particolare, la ricchezza dei dibattiti, il senso delle responsabilità degli studenti eletti nel comitato di sciopero, la loro capacità ad organizzare il movimento, a tenere la tribuna, a distribuire la parola a tutti quelli che vogliono esprimere il loro punto di vista, a convincere ed a smascherare i sabotatori attraverso il confronto degli argomenti dati nella discussione, tutta questa dinamica ha verificato tutta la vitalità e la forza delle giovani generazioni della classe operaia.
Gli studenti hanno difeso continuamente il carattere sovrano delle AG, con i loro delegati eletti e revocabili (sulla base di un mandato e rimessa dello stesso) attraverso il voto a mano alzata. Tutti i giorni, sono squadre diverse che organizzano il dibattito alla tribuna. In queste squadre, sono rappresentati studenti iscritti e non ad un sindacato.
Per potere ripartire i compiti, centralizzare, coordinare e mantenere la padronanza dal movimento, il comitato di sciopero di Parigi 3 - Censier aveva deciso di eleggere differenti commissioni: stampa, animazione e riflessione, accoglienza ed informazione, ecc.
È grazie a questa vera "democrazia" delle AG ed alla centralizzazione della lotta che gli studenti hanno potuto decidere quali azioni condurre, con principale preoccupazione l'estensione del movimento alle fabbriche.
La dinamica verso l'estensione del movimento a tutta la classe operaia
Gli studenti hanno compreso perfettamente che la riuscita della loro lotta è tra le mani dei lavoratori salariati (come è stato affermato da uno studente in una riunione l'8 marzo "se restiamo isolati, ci facciamo mangiare vivi"). Più il governo Villepin si rifiuta di cedere e più gli studenti sono determinati. Più Sarkozy si riscalda e più rafforza la collera dei salariati e fa "brontolare" i suoi "elettori".
I lavoratori salariati più esperti nella lotta di classe, ed i settori meno stupidi della classe politica borghese, sanno che questo braccio di ferro contiene la minaccia dello sciopero di massa (e non dello "sciopero generale" sostenuto da certi sindacati e dagli anarchici) se i mascalzoni che governano si chiudono nella loro "logica" irrazionale.
E' attraverso questa dinamica verso l'estensione del movimento, verso lo sciopero di massa, che ha caratterizzato fin dall'inizio la mobilitazione degli studenti, che questi ultimi hanno potuto mandare dovunque, ai quattro angoli del paese, delegazioni massicce verso i lavoratori delle imprese vicine ai loro luoghi di studi. Queste sono cozzate contro il "blocco" sindacale: i lavoratori sono rimasti chiusi nei loro luoghi di lavoro senza possibilità di discutere con le delegazioni degli studenti. I "piccoli sioux" delle facoltà di Parigi si sono dovuti immaginare un altro modo per aggirare lo sbarramento sindacale.
Per mobilitare i lavoratori, gli studenti hanno dato prova di una ricca immaginazione. Così a Censier hanno costruito un'urna di cartone chiamata "scatola delle idee". In alcune università (come quella di Jussieu a Parigi) hanno avuto anche l'idea di parlare tranquillamente nella strada, di rivolgersi ai passanti per spiegar loro senza aggressività le ragioni della loro collera. Hanno chiesto a tutti i "curiosi" se avevano delle idee da proporre loro perché "tutte le idee sono buone da prendere". È principalmente grazie al rispetto dei lavoratori che passavano di là o che erano venuti a portar loro solidarietà, che gli studenti hanno potuto raccogliere nella loro "urna" delle idee che hanno messo in pratica. Basandosi sulla loro esperienza, hanno visto quali erano le "buone idee" (quelle che vanno nel senso del rafforzamento del movimento) e quali le "cattive idee" (quelle che vanno nel senso di indebolirlo, di sabotarlo per consegnare gli studenti alla repressione, come è accaduto con "l'occupazione della Sorbona").
Gli studenti di molte facoltà, le più avanzate, hanno aperto le aule in cui si tengono le loro AG ai lavoratori salariati ed agli stessi pensionati. Hanno chiesto a questi di trasmettere la loro esperienza del mondo del lavoro. Avevano sete di apprendere dalle vecchie generazioni. Ed i "vecchi" avevano sete di apprendere dai "giovani". Mentre i "giovani" guadagnavano in maturità, i "vecchi" stavano ringiovanendo! È questa osmosi tra tutte le generazioni della classe operaia che ha dato un impulso nuovo al movimento. La più grande forza della lotta, la più bella vittoria del movimento, è proprio la lotta stessa!
E questa vittoria non è stata guadagnata in Parlamento ma nelle aule universitarie. Purtroppo (per loro) le spie al servizio del governo che erano presenti nelle AG non hanno capito niente. Non sono state capaci di dare delle "idee" al signore Villepin. Il trio infernale Villepin/Sarkozy/Chirac si è ritrovato a corto di "idee". E' stato dunque costretto a mostrare il vero volto della "Democrazia" borghese: quello della repressione.
La violenza dello Stato poliziesco rivela il "no futuro" della borghesia
Il movimento degli studenti va al di là di una semplice protesta contro il CPE. Come diceva un professore dell'università di Parigi-Tolbiac, alla manifestazione del 7 marzo: "il CPE non è solamente un attacco economico reale e puntuale. È anche un simbolo”. Effettivamente, è il "simbolo" del fallimento dell'economia capitalista.
È anche una risposta implicita agli "abusi" polizieschi (quella che, nell'autunno 2005, provocò la morte "accidentale" di due giovani innocenti denunciati come "svaligiatori" da un "cittadino" ed inseguiti dagli sbirri). Mettendo al Ministero dell'Interno un piromane, Sarkozy, la borghesia francese non è stata capace di trarre le lezioni dalla sua storia: ha dimenticato che gli "abusi" polizieschi (come quelli che provocarono la morte di Malik Oussékin nel 1986) possono essere un fattore di radicalizzazione delle lotte operaie. Oggi, la repressione degli studenti della Sorbona che volevano solamente poter tenere delle AG (e non distruggere i libri come pretende mentendo il signor de Robien) non ha fatto che rafforzare la determinazione degli studenti. Tutta la borghesia ed i suoi media non hanno cessato, ora dopo ora, di fare della pubblicità menzognera per fare passare gli studenti per "teppisti" ("gentaglia" secondo il termine adoperato dal signor Sarkozy al riguardo dei giovani delle periferie).
Ma l'inganno era troppo evidente. La classe operaia non ha abboccato all'amo dei burattini dell'informazione. E' proprio questa violenza dei teppisti della borghesia che ha rivelato con estrema chiarezza la violenza del sistema capitalista e del suo Stato "democratico". Un sistema che getta sul lastrico milioni di operai, che riduce alla miseria i pensionati dopo 40 anni di sfruttamento, un sistema che fa regnare il "diritto" e "l'ordine" con il manganello.
E per mantenere il loro potere, questi signori hanno potuto beneficiare della "solidarietà" dei media e soprattutto del loro strumento di intossicazione ideologica, il "giornale televisivo". Ciò che le immagini ignobili dei media mettono in evidenza è il fascino esibizionista della violenza cieca, la manipolazione delle folle, il deterioramento della coscienza. Ma più la televisione ne aggiunge per intimidire la classe operaia e paralizzarla, più le sue videocamere nauseano la classe operaia (ed anche lo stesso elettorato della destra).
Ed è giustamente per questo che le nuove generazioni della classe operaia, ed i suoi battaglioni più coscienti, detengono tra le loro mani le chiavi dell'avvenire, evitando di cedere alla provocazione dello stato poliziesco (ed alle sue forze di inquadramento sindacale). Hanno evitato di utilizzare la violenza cieca e disperata della borghesia, dei giovani ribelli delle periferie, di certi "anarchici" ed altri "estremisti" eccitati.
I giovani della classe operaia che si trovano all'avanguardia del movimento degli studenti sono i soli che possano aprire una prospettiva a tutta la società. Questa prospettiva, la classe operaia non può svilupparla che grazie ad una visione storica, grazie alla fiducia nella sua propria forza, grazie alla pazienza ed anche all'umorismo (come diceva Lenin). E' proprio perché quella borghese è una classe senza avvenire storico, che la cricca di Villepin si è spaventata tanto da utilizzare la violenza cieca del "no futuro" dei giovani estremisti delle periferie.
La determinazione del signor Villepin a non cedere alla richiesta degli studenti, il ritiro del CPE, rivela ancora una cosa: la borghesia mondiale non lascerà il suo potere sotto la pressione delle "urne". Per rovesciare il capitalismo e costruire la vera comunità umana mondiale, la classe operaia sarà obbligata, in futuro, a difendersi anche con la violenza contro la violenza dello Stato capitalista e di tutte le forze del suo apparato repressivo. Ma la violenza di classe del proletariato non ha rigorosamente niente a che vedere con i metodi del terrorismo o delle sommosse delle periferie (come vuole fare credere la propaganda borghese per giustificare le persecuzioni della polizia, la repressione dei lavoratori, degli studenti e sicuramente dei veri militanti comunisti).
La controffensiva della borghesia per sabotare e destabilizzare il movimento
Per tentare di fare passare tutti i suoi attacchi economici e polizieschi, la borghesia aveva minato il terreno della risposta anti-CPE. Ha prima puntato sul calendario delle vacanze scolastiche per disperdere la collera degli studenti universitari e liceali. Ma gli studenti non sono degli ingenui, anche se alcuni di loro vanno ancora in chiesa. Hanno mantenuto la mobilitazione e l'hanno rafforzata dopo le vacanze. Evidentemente, i sindacati erano presenti fin dall'inizio del movimento e hanno messo tutte le loro forze nella battaglia per inglobarlo.
Ma non hanno previsto che sarebbero stati isolati massicciamente nella maggior parte delle città universitarie.
Per esempio, a Parigi, più di un migliaio di studenti si sono ritrovati sul sagrato della facoltà di Parigi 3-Censier per andare tutti insieme alla manifestazione. Gli studenti si accorgono che i sindacati, CGT in testa, hanno spiegato le loro bandiere per mettersi alla testa del corteo e chiudere nel loro contesto la manifestazione. Immediatamente, gli studenti fanno mezzo giro, utilizzano i differenti mezzi di trasporti e la vitalità delle loro gambe per aggirare i sindacati. Prendono la testa della manifestazione ed innalzano le loro bandiere unitarie. Lanciano una moltitudine di slogan unificatori: "Studenti, liceali, disoccupati, lavoratori precari, del pubblico e del privato, stessa lotta contro la disoccupazione e la precarietà!"
La CGT è ridicolizzata. Si ritrova alla coda degli studenti con una moltitudine di bandiere: "CGT della metallurgia", "CGT del RATP", "CGT dell'ospedale della Pietà Salpêtrière", "CGT della città di Pantin", "CGT della Senna Saint-Denis" ecc. Dietro ciascuna delle enormi bandiere rosse della CGT, un pugno di militanti completamente disorientati. Per riprendersi le loro truppe, i quadri del partito stalinista "rinnovato" di Maurice Thorez (lo stesso che, all'indomani della seconda guerra mondiale, chiese ai minatori e agli operai di Renault in sciopero di riprendere il lavoro, di "rabboccarsi le maniche" perché "lo sciopero era l'arma dei trust") lanciano allora parole d'ordine "radicali". Provano a coprire la voce degli studenti con i loro altoparlanti. I quadri della CGT e del partito "comunista" Francese scuotono le loro truppe facendo loro cantare "L'internazionale". Il vecchio dinosauro stalinista si ridicolizza ancora più. Molti manifestanti e passanti sui marciapiedi sono piegati dal ridere. Si sentono commenti dello stile: "sono i burattini dell'Informazione"!.
I sindacati si sono smascherati da soli attraverso i loro intrallazzi. È questo che il signor de Robien non sempre ha compreso quando si è così "indignato" degli atti di vandalismo degli "studenti" alla Sorbona, esibendo alcuni libri lacerati dagli specialisti borghesi della manipolazione: "è una piccola minoranza che dirige la rivolta degli studenti". de Robien ha messo alla rovescia i suoi occhiali di presbite: infatti è una "piccola minoranza" che dirige tutta la società umana, non il movimento degli studenti. Una minoranza che non produce nient'altro che sfruttamento e repressione della grande maggioranza della classe dei produttori.
I sindacati, CGT e FO in testa, non hanno incassato il brutto colpo del 7 marzo. È perciò che certi giornalisti tra i più intelligenti hanno potuto dire alla televisione: "i sindacati sono stati umiliati". Sono stati "umiliati " ugualmente dalle manifestazioni spontanee degli studenti nelle vie della capitale il 14 marzo. Incapaci di frenare la loro collera contro gli "umiliatori", contro i lavoratori che hanno manifestato la loro solidarietà attiva agli studenti unendosi alla manifestazione del 16 marzo, i sindacati hanno finito per mostrare pubblicamente, davanti alle videocamere, la loro complicità con le truppe di Sarkozy.
A Parigi, il "servizio d'ordine" della CGT (legato al partito stalinista) e di FO (fondato grazie all'appoggio della CIA dopo la seconda guerra mondiale) era alla testa della manifestazione, mano nella mano, di fronte ai CRS (celerini). Il cordone sindacale si è aperto come per incanto alla fine della manifestazione per permettere ai piccoli "kamikaze" di introdursi nella manifestazione e di precipitasi verso la Sorbona per cominciare il loro gioco del gatto col topo coi CRS. Tutti quelli che erano in prima fila e hanno assistito a queste nuove scene di violenza hanno raccontato che è grazie al "servizio d'ordine" dei sindacati CGT/FO che Villepin/Sarkozy hanno picchiato ancora e riempito i loro cellulari.
Ma soprattutto, le immagini insistenti degli scontri violenti che hanno seguito la manifestazione a Parigi hanno per obiettivo di fare paura prima della grande manifestazione del 18 marzo. Molti lavoratori e giovani che contavano di partecipare rischiano di rinunciare per paura di queste violenze.
I presentatori del giornale televisivo annunciano la buona notizia ai telespettatori: si va verso il "deterioramento del movimento" (dalle "notizie" della sera del 16 marzo).
Quelli che vogliono "affievolire il movimento", sono i complici di Sarkozy, le forze di inquadramento sindacale. E questo la classe operaia comincia a comprenderlo. Dietro i loro discorsi "radicali" ed ipocriti, ciò che vogliono i sindacati è salvare il governo. Per il momento, questo non si è verificato!
Il partito stalinista e la sua CGT adesso occupano il loro posto nel grande Pantheon del Jurassic Park, accanto ai brontosauri dell'UMP. Se i sindacati non hanno potuto sostenere finora il loro ruolo di pompieri sociali, è perché i piromani Sarkozy/Villepin hanno dato fuoco alle loro bandiere il 16 marzo. E, se i lavoratori sono venuti a sostenere gli studenti in lotta, è perché hanno visto che i sindacati avevano sostenuto, nelle aziende, il blackout dei media sulle AG di massa degli studenti.
Dalla manifestazione del 7 marzo, i sindacati sono stati a guardare, fatto ogni tipo di contorsioni per paralizzare i lavoratori salariati. Hanno effettuato ogni tipo di manovra per dividere, mandare a pezzi la collera della classe operaia. Hanno tentato di sabotare il movimento degli studenti. Hanno radicalizzato i loro discorsi con un treno di ritardo esigendo "il ritiro del CPE prima di ogni apertura dei negoziati” (mentre normalmente non smettono di "negoziare" sulle spalle della classe operaia). Hanno brandito anche la minaccia dello "sciopero generale" per fare "piegare" il governo. In breve, hanno svelato apertamente che non volevano che i lavoratori si mobilitassero in solidarietà degli studenti. Con le spalle al muro, hanno finito per tirare fuori dalla loro manica l "asso di picche": utilizzando alcuni ragazzini eccitati per scatenare ancora e sempre la violenza.
L'unica via d'uscita a questa crisi politica della borghesia francese, è un restauro della vecchia facciata dello Stato repubblicano. E questo regalo, è la sinistra parlamentare che lo ha voluto offrire su un vassoio d'argento al signor Villepin: PS/PC/Verdi tutti uniti hanno investito il Consiglio Costituzionale per depositare il loro "ricorso" contro il CPE. Forse, alla fine, è proprio questo colpo di mano del PS che permetterà al governo di uscire dal vicolo cieco ritirando il CPE su richiesta dei "12 saggi": potrà fare ancora sua la formula di Raffarin, "non è la strada che governa", ma, aggiungendo, "i 12 pensionati del Consiglio costituzionale!"
La più grande vittoria è la lotta stessa
Volendo "ripulire" dagli studenti la Sorbona (e dai loro compagni venuti a portar loro del cibo) il Signore Sarkozy ha scoperchiato un vaso di Pandora. E da questo vaso dalle "idee nere", il governo Villepin/Sarkozy ha tirato fuori i "falsi amici" della classe operaia, i sindacati.
Il proletariato mondiale può dunque ringraziare la borghesia francese. Agitando il suo spaventapasseri Le Pen alle ultime presidenziali, la classe dominante tricolore è riuscita a rimettere al governo la destra più stupida del mondo. Una destra che ha applicato una politica da "repubblica delle banane!"
Comunque andrà a finire per il movimento, questa lotta di tutta la classe operaia è già in sé una vittoria.
Grazie alle nuove generazioni, la classe operaia è riuscita a rompere il "blocco" della solidarietà effettuato dai sindacati. Tutti i settori della classe operaia, ed in particolare le sue nuove generazioni, hanno vissuto una ricca esperienza che lascia delle tracce profonde nella loro coscienza.
Questa esperienza appartiene al proletariato mondiale. Malgrado il blackout dei media "ufficiali", i media "paralleli", le videocamere "selvagge" ed altre radio "libere", ed anche la stampa dei rivoluzionari, permettono ai proletari del mondo intero di appropriarsi di questa esperienza. Perché questa lotta è solamente un episodio della lotta della classe operaia mondiale. Si iscrive al seguito a tutta una serie di lotte operaie dal 2003 che confermavano che la classe operaia della maggior parte dei paesi industriali stava uscendo dal riflusso provocato da tutte le campagne scatenate dalla borghesia all'indomani del crollo del blocco dell'Est, nel 1989, e dei regimi presentati come "socialisti" o "operai". Una delle caratteristiche essenziale di queste lotte è il riemergere della solidarietà tra lavoratori (vedi l’articolo in questo stesso numero).
Il movimento degli studenti in Francia appartiene dunque ad una lotta che si sviluppa a scala storica e il cui esito finale permetterà di tirare fuori la specie umana dal vicolo cieco della barbarie capitalista. Le giovani generazioni che hanno impegnato la lotta su un campo di classe aprono oggi le porte dell'avvenire. Possiamo dar loro fiducia: in tutti i paesi, continuano a preparare un mondo nuovo sbarazzato dalla concorrenza, dal profitto, dallo sfruttamento, dalla miseria, e dal caos sanguinoso.
Evidentemente, la strada che conduce al capovolgimento dal capitalismo è ancora lunga e cosparsa di insidie, di trappole di ogni tipo, ma ha cominciato a liberarsi.
Corrente Communista Internazionale (17 marzo 2006)
Andiamo a vedere come questa "invenzione" non è affatto tale, che significa solamente un adattamento del capitalismo di Stato alle condizioni di crisi più acuta e soprattutto a dei livelli importanti di decomposizione dell'ordine capitalista. Questa situazione esige un riadattamento tanto delle politiche economiche che dell'insieme dell'arsenale ideologico che ogni borghesia nazionale deve sviluppare per ingannare e sottomettere il proletariato. Tutte le borghesie nazionali, e più ancora quelle dei paesi della periferia, non hanno altra prospettiva che quella di ridistribuire la miseria. Il "neo-socialismo", proposto da Chavez ed applaudito da tutti gli alter-mondialisti, lo dimostra perché è impossibile sradicare la miseria senza rivoluzione comunista.
Il "progetto" chavista: un progetto chiaramente borghese
Il progetto "chavista" trova le sue origini nel movimento civico-militare-bolivariano sviluppato dagli ideologi della guerriglia degli anni 60 che aveva rotto col Partito comunista del Venezuela, progetto che fu ripreso negli anni 80 dal movimento MBR-200 (1); questo progetto mira allo sviluppo di una vera "borghesia nazionalista", diametralmente opposta alla borghesia "oligarchica" emersa dopo la sconfitta della dittatura del generale Marcos Perez Jimenez nel 1958. Questo movimento si ispira al modello capitalista di Stato di tipo stalinista (detto "marxista-leninista" dalla sinistra) condito da un supposto tropicalismo alla moda bolivaregna.
L'irresistibile ascesa di Chavez è fondamentalmente il frutto del livello elevato di decomposizione che colpisce la borghesia venezuelana ed è solo espressione della decomposizione del sistema capitalista nel suo insieme. I settori della borghesia che avevano governato negli ultimi decenni dell'ultimo secolo erano incollati al potere, protetti da un ambiente di impunità e di corruzione. Avevano perso la capacità di mistificare con le illusioni i settori più poveri della società: per potere affrontare la crisi economica, hanno ridotto progressivamente i piani sociali per i più poveri (grazie ai quali avevano potuto mantenere la "pace sociale"), provocando l'esplosione della povertà mentre hanno applicato draconiane misure di austerità contro la classe operaia, ed hanno causato anche un'impennata della disoccupazione e la caduta del potere d'acquisto delle masse lavoratrici.
L'incapacità di questi settori della borghesia al potere a gestire una situazione esplosiva fu messa in evidenza dalle sommosse della fame nel 1989, quando migliaia di magazzini commerciali furono saccheggiati, principalmente a Caracas, riuscendo solo ad infliggere una repressione terribile (le cifre, anche se non ufficiali, parlano di più di diecimila morti). Malgrado questo grido di allerta e di disperazione lanciata dai settori impoveriti, la borghesia nazionale fu incapace di realizzare il minimo di riforme necessarie nelle sue strutture di potere per contenere il malcontento sociale.
Questo contesto ha preparato il campo affinché si potesse concretizzare il primo passo del progetto chavista, il tentativo di colpo di stato del 1992 che, malgrado il suo insuccesso, ha permesso di portare un perfetto sconosciuto, Chavez, in primo piano. Quest'ultimo si lanciò nell'arena elettorale fin dalla sua liberazione nel 1994, facendo allora una critica devastante delle frazioni della borghesia al potere. Forte di un potente carisma personale, adattò poco a poco il progetto di "rivoluzione bolivariana" degli anni 60 al nuovo periodo storico caratterizzato dalla scomparsa dei due grandi blocchi imperialisti, attirando nelle sue fila milioni di poveri, illusi che il suo accesso al potere li avrebbe strappati alla loro miseria.
Dopo il suo schiacciante trionfo alle elezioni del 1998, comincia un processo che domina la scena politica fino ai nostri giorni, caratterizzato dallo scontro di due frazioni del capitale nazionale: da un lato, la "vecchia" borghesia rappresentata dai partiti tradizionali (principalmente AD, COPEI, qualche settore del MAS, etc.), dall'altro la "nuova borghesia" (i partiti ed i gruppi di sinistra, estremisti militari, ecc.) che era stato escluso del potere durante la seconda metà dell'ultimo secolo. In effetti, quando chavisti e soci dicono che il governo bolivaregno è quello degli "esclusi", non fanno riferimento all'immensa massa crescente dei poveri che vivono in questo paese, ma a quei settori della borghesia e della piccolo-borghesia che detengono oggi il potere e che si dividono il bottino costituito dalle ricette dello Stato, attaccando oggi con tutta la forza del loro rancore le altre frazioni della borghesia nazionale. Come i loro predecessori "adecos" e "copeyanos" (2), essi non hanno altre opzioni che quella di accentuare le condizioni di sfruttamento dei lavoratori ed attaccare questa massa di poveri che pretendono di difendere, generalizzando la miseria, ripartendo più "socialmente" delle briciole tra i settori più impoveriti attraverso la sedicente "Missions" (3) per tentare di mantenere la "pace sociale", utilizzando certamente tutto uno sproloquio "rivoluzionario" basato sulla demagogia ed il populismo.
Il chavismo : un movimento decomposto dalla nascita
Sarebbe falso vedere il chavismo come un prodotto "made in Venezuela", frutto delle caratteristiche puramente nazionali. Il "fenomeno" chavista è il prodotto delle contraddizioni proprie del sistema capitalista, della crisi che scuote il capitalismo a livello mondiale dalla fine degli anni 60 e che esige da ogni borghesia nazionale l'attacco permanente delle condizioni di vita delle masse lavoratrici e della popolazione nel suo insieme. Ma è anche il risultato del periodo di decomposizione in cui sprofonda il capitalismo da due decenni, decomposizione la cui espressione maggiore è stata la scomparsa del sistema dei blocchi imperialisti dopo l'implosione dell'ex blocco "socialista" nel 1989.
Nel caso particolare del Venezuela, l'apparizione del chavismo esprime in modo caricaturale la decomposizione della borghesia nazionale che raggiunge tali proporzioni che i suoi conflitti di interesse hanno creato le condizioni affinché il governo cadesse tra le mani di settori della piccola borghesia estremista che hanno chiaramente l'intenzione di mantenerselo ad ogni prezzo. La frazione "chavista" della borghesia tenta di differenziarsi "radicalmente" dall'ideologia democratica della "vecchia oligarchia" adattando la virulenza della sinistra del capitale venezuelano e dell’estremismo ai nuovi tempi della "fine della storia" (4).
La "democrazia partecipativa e protagonista" ha permesso al chavismo di mobilitare la popolazione per adattare giuridicamente il modello democratico borghese e controllare le istituzioni dello Stato attraverso l'adozione di una nuova costituzione. L'aspetto "innovativo" di questo modello borghese si trova nel fatto che rafforza la "nuova borghesia" chavista su due piani:
- sul piano economico, il sedicente "sviluppo endogeno" basato sul cooperativismo, la cogestione e l'autogestione, permette di sviluppare politiche di capitalismo di Stato con l'attribuzione delle risorse dello Stato alla nuova borghesia chavista ed ai settori del capitale privato che sostengono il progetto;
- sul piano economico e sociale, l'attribuzione delle risorse dello Stato attraverso organizzazioni come i Circoli bolivariani, le Missioni, le milizie, ecc., permette al chavismo un controllo politico e sociale del settore più miserabile rappresentato dalla maggioranza della popolazione (in questo il chavismo non si distingue in niente dai regimi stalinisti o fascisti). E questa attribuzione delle risorse permette soprattutto al chavismo di distribuire delle briciole che legittimano tutti i discorsi ideologici sulla "redistribuzione delle ricchezze" e "l'egualitarismo" della sinistra; è questo che, aprirà la via al "socialismo del XXI secolo", secondo il chavismo e l'insieme della sinistra.
Ma questo "socialismo", prima di "ridistribuire le ricchezze" (vecchia solfa borghese per giustificare la sua dittatura di classe) propone in effetti la ridistribuzione della miseria, "l'éguaglianza" della società dal basso, attraverso la precarietà. Il lavoro delle Missioni permette in effetti di liberalizzare le condizioni di lavoro, il che "flessibilizza" (cioè precarizza) la forza lavoro attraverso le cooperative dove i lavoratori percepiscono già stipendi inferiori al miserabile salario minimo senza beneficiare della più piccola protezione sociale. Peraltro, tutti i rami di servizio o di produzione di cui si occupano queste Missioni violando ogni forma di convenzioni collettive, sono il teatro di attacchi alle condizioni di lavoro dei lavoratori, regolari vittime del ricatto di licenziamento se non accettano le condizioni imposte dallo Stato.
Infine, nella misura in cui le Missioni hanno essenzialmente come funzione politica il controllo sociale, ed essendo richiesto l'attivismo "rivoluzionario" per potere racimolare le briciole distribuite dallo Stato, si sta determinando la caduta libera della qualità dei servizi pubblici. Nella misura in cui s'ingrandisce la copertura sociale delle Missioni, la precarietà si estende anche all'insieme della classe operaia ed all'insieme della società. Peraltro il cooperativismo, la cogestione e l'autogestione, forme di organizzazione della produzione alla quale la sinistra e gli estremisti attribuiscono una magica natura "anticapitalista", non eliminano in niente lo sfruttamento dei lavoratori da parte del capitale, che sia privato o statale: i rapporti di produzione di beni o di servizi propri a tutte le forme di organizzazione della produzione capitalista sono mantenuti, ed i beni e servizi prodotti dai lavoratori dovranno prima o poi essere sottomessi alle leggi del mercato. In altri termini, è quest'ultimo che deciderà i prezzi e dunque lo stipendio dei lavoratori.
Qui come altrove, la borghesia non ha altra scelta che giocare con la miseria, e il chavismo si è rivelato essere un maestro in materia. Tenta di imporre le sue ideologie all'insieme della società attraverso il sangue ed il fuoco, creando un ambiente di terrore, di persecuzione, di ricatto e di attacco permanente alle condizioni di vita dei lavoratori attraverso la disoccupazione, gli stipendi di miseria, gli oneri sociali, sviluppando un impoverimento che si traduce, nei fatti, in un aumento significativo della povertà e della malnutrizione (5), della criminalità e della prostituzione infantile e giovanile, mentre i nuovi ricchi chavisti si ripartiscono il bottino delle risorse dello Stato assegnandosi trattamenti e stipendi decine di volte superiori a quelli di un lavoratore, promovendo e permettendo inoltre dei livelli di corruzione tale che i regimi precedenti passano per esempi di bontà. E tutto questo in nome della sedicente "superiorità morale" della sinistra del capitale che non è niente altro che la morale ipocrita borghese elevata al suo parossismo.
In questo senso, non solo il chavismo è un puro prodotto della decomposizione della borghesia venezuelana, ma è inoltre un fattore acceleratore di questo deterioramento della classe borghese e della società venezuelana nel suo insieme. Ed è precisamente questa putrefazione che gli estremisti e la sinistra battezzano nel mondo intero "rivoluzione"! Quale impudenza!
La sola rivoluzione possibile è la rivoluzione proletaria
Il loro radicalismo piccolo-borghese spinge i settori estremisti che compongono il chavismo a battezzare "rivoluzione" un fenomeno che, come abbiamo visto, non è niente altro che una variante del capitalismo di Stato: una "nuova" forma giuridica di amministrazione dello Stato borghese per perseguire lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale nazionale. Che Chavez ed i suoi discepoli ed adulatori lo chiamino "socialismo" non è in sé un fenomeno nuovo: la sinistra e gli estremisti di ogni pelo non hanno mai smesso, durante tutto il XX secolo, di qualificare "socialista" il minimo governo in cui lo Stato assume il controllo della vita economica, politica e sociale (come fu il caso per tutti quei paesi in orbita russa che formavano il famoso "blocco socialista" e di cui sopravvivono solo la Cina, la Corea del Nord e Cuba) in cui è eliminato, o tende ad esserlo, il capitale privato e dove i mezzi di produzione passano sotto controllo dello Stato e della burocrazia. Oggi, la sinistra del capitale, in quanto forza protettrice degli interessi del capitale nazionale, innalza di nuovo la bandiera di questo "socialismo", e cioè del capitalismo di Stato, ma sotto i nuovi colori di movimenti anti-globalizzazione ed alter-mondialisti, per tentare di dare un fondo ideologico alla sua parola d'ordine: "Un altro mondo è possibile".
Questo "neo-socialismo" riprende così i temi populisti ai quali ricorre la borghesia nei suoi momenti di crisi economica e politica. La borghesia ricorre sempre in questi casi alla manipolazione dei settori più poveri della popolazione e della piccola borghesia depauperata, per tentare di controllare il malessere sociale generato dall'incremento della povertà e di utilizzarli per mantenere il suo dominio di classe.
L'accrescimento degli indici di miseria non può più essere nascosto ed è ineluttabile: malgrado le sfrontate manipolazioni delle cifre da parte degli organismi dello Stato, l'istituto nazionale delle statistiche (INE) indica che l'indice di povertà è aumentato del dieci per cento durante i sei anni di governo chavista (6).
Tuttavia, tale aumento della miseria non è dovuto alla cattiva gestione di Chavez, come i settori della borghesia all'opposizione tentano di fare credere: è impossibile sradicare la miseria nel capitalismo, perché questo modo di produzione richiede non solo un attacco permanente sui salari e le condizioni di vita dei lavoratori ma anche che, con la sua entrata in decadenza, crea una massa sempre più grande di proletari che sono buttati per strada senza che esista per essi la minima possibilità di essere integrati nell'apparato produttivo. La borghesia di fronte alla crisi non ha altra scelta che rendere sempre più precarie le condizioni di vita del proletariato per potere restare competitiva sul mercato mondiale e, certamente, poter mantenere i privilegi di cui gode in quanto classe dominante.
Ma la borghesia chavista deve fare i conti con un fattore che contrasta i suoi piani: l'approfondimento della crisi del capitalismo e della decomposizione dell'insieme della borghesia. Malgrado i proventi importanti tratti dall'aumento storico del prezzo del barile di petrolio su cui conta la borghesia venezuelana, questi non sono tuttavia eterni e sono peraltro insufficienti per rispondere al costo della "rivoluzione". L'approfondimento della crisi non tarderà a fare cambiare discorso all'apparato populista ed alle Missioni adottate dallo chavismo. Allora le masse si manifesteranno di nuovo. Ma queste manifestazioni saranno condannate a finire nei vicoli ciechi della rivolta sterile e dell'impotenza se la classe operaia non ha la capacità di dare una prospettiva alle masse più povere verso la distruzione ed il superamento del capitalismo. È dunque di grande importanza che i lavoratori reagiscano con la lotta contro gli attacchi alle loro condizioni di vita affrontando tutta questa ideologia bolivariana egualitaria.
P., 01-04-05
1. Movimento bolivariano rivoluzionario-200, formato in maggioranza dai militari che parteciparono con Chavez all'insurrezione nel 1992.
2. Sostenitori dei "vecchi" partiti dalla borghesia, Ad e COPEI.
3. Organizzazioni create e finanziate dallo Stato che lavorano nei servizi pubblici come quello della salute, dell'educazione, della distribuzione del cibo, ecc. Queste Missioni permettono così di sviluppare il lavoro precario attraverso il cooperativismo. La rete tessuta dalle Missioni permette anche ai partiti che sostengono il governo di esercitare un reale controllo sociale, poiché è stato preteso un impegno in favore della "rivoluzione bolivariana" per potere ricevere aiuti dallo Stato.
4. Uno dei consiglieri di Chavez negli anni 90 era l'argentino Norberto Ceresole, che aveva immaginato un modello battezzato "post-democrazia" che combinava un insieme di ideologie che vanno dal fascismo al bolivarismo passando per lo stalinismo. Vediamo in questo le origini, tipiche della decomposizione, del cocktail ideologico di Chavez.
5. Uno studio recente dell'istituto venezuelano di ricerche scientifiche sostiene che un terzo dei bambini tra i 2 ed i 15 anni sondati negli Stati del centro del paese soffrono di anemia. Questo livello terribile va fino al 71% dei bambini di meno di 2 anni in uno di questi Stati. È bene ricordarsi che, negli anni 80, la percentuale era vicina a quello dei paesi evoluti.
6. L'istituto nazionale di statistiche segnalava che la povertà era passata dal 42,8 % nel 1999 al 53 % nel 2004. Un recente studio dell'impresa Datos segnala tuttavia che la povertà tocca l' 81 % della popolazione, e cioè circa 21 milioni di persone (El Nacional, 31 marzo 2005).
Nuovi esempi di solidarietà operaia in Europa …
La lotta più significativa in Gran Bretagna si è sviluppata nell’Irlanda del Nord dove, dopo decenni di guerra civile tra cattolici e protestanti, 800 impiegati delle poste si sono spontaneamente messi in sciopero a febbraio per due settimane e mezzo a Belfast contro le multe e le pressioni della direzione per imporre loro un forte aumento dei ritmi di lavoro. All’origine della lotta c’è stata la mobilitazione di questi lavoratori per impedire l’esecuzione delle misure disciplinari prese nei confronti di alcuni loro compagni di lavoro in due diversi uffici postali, uno “protestante”, l’altro “cattolico”. Il sindacato delle comunicazioni ha allora mostrato il suo vero volto e si è opposto allo sciopero. A Belfast, uno dei loro portavoce ha dichiarato: “Noi rifiutiamo lo sciopero e chiediamo ai lavoratori di tornare al lavoro perché esso è illegale”. Ma gli operai hanno proseguito la loro lotta fregandosene del carattere legale o non della loro lotta, dimostrando così di non aver affatto bisogno dei sindacati per organizzarsi.
In occasione di una manifestazione comune i lavoratori hanno superato la “frontiera” che separa i quartieri cattolici e protestanti e hanno sfilato assieme nelle strade della città, salendo prima per una grande arteria del quartiere protestante, per poi ridiscendere per un’altra del quartiere cattolico. In questi ultimi anni altre lotte, particolarmente nel settore della Sanità, avevano già mostrato una reale solidarietà tra operai di confessioni differenti. Ma è stata la prima volta che una tale solidarietà si è espressa apertamente tra operai “cattolici” e “protestanti” nel cuore di una provincia devastata e lacerata da decenni da una guerra civile sanguinosa.
In seguito i sindacati, aiutati dalle formazioni di estrema sinistra del capitale, hanno cambiato atteggiamento e hanno preteso di portare a loro volta la loro “solidarietà”, organizzando dei picchetti di sciopero in ogni ufficio postale. Ma questo in realtà ha permesso loro di rinchiudere i lavoratori nei rispettivi uffici postali, quindi di isolarli gli uni rispetto agli altri, in una parola di sabotare la lotta.
Nonostante questo sabotaggio, l’unità aperta degli operai cattolici e protestanti nelle strade di Belfast durante lo sciopero ha fatto rivivere la memoria delle grandi manifestazioni del 1932, quando i proletari dei due diversi campi si unirono per lottare contro la riduzione delle indennità di disoccupazione. Ma questo episodio avveniva in un periodo di sconfitta della classe operaia. Oggi esiste un maggior potenziale per rigettare, in futuro, le politiche di divisione che usa la classe dominante per meglio dominare la situazione e che hanno contribuito così fortemente a preservare l’ordine capitalista. Il grande apporto dell’ultimo sciopero è stata l’esperienza di un’unità di classe realizzata al di fuori del controllo dei sindacati. Questo apporto non vale solo per gli impiegati delle poste implicati in questa lotta ma per ogni lavoratore incoraggiato da questa espressione dell’unità di classe.
A Cottam, vicino Lincoln nella parte orientale del centro dell’Inghilterra, a fine febbraio una cinquantina di operai delle centrali elettriche si sono messi in sciopero per sostenere dei lavoratori immigrati di origine ungherese pagati in media la metà rispetto ai loro compagni inglesi. Questi lavoratori immigrati avevano anche un contratto di lavoro fortemente precario, essendo sotto la minaccia di licenziamento dall’oggi al domani o di essere trasferiti in ogni momento in un qualunque altro cantiere d’Europa. Ancora una volta i sindacati si sono opposti allo sciopero vista la sua “illegalità” poiché, sia per gli operai ungheresi che per quelli inglesi, non era stato deciso sulla base di un voto “démocratico”. Anche stampa e televisione hanno denigrato questo sciopero, un giornaletto locale è arrivato a riportare le proposte di un intellettuale il quale ha dichiarato che chiamare gli operai inglesi e ungheresi a mettersi assieme nei picchetti di sciopero dava un’immagine “sconveniente” e costituiva uno “snaturamento del senso dell’onore della classe operaia britannica”. Al contrario, per la classe operaia riconoscere che tutti gli operai difendono gli stessi interessi, quale che sia la nazionalità o le specificità salariali e di condizioni di lavoro, è un passo importante per entrare in lotta come una classe unita.
In Svizzera, a Reconvilier, 300 metallurgici della Swissmetal sono scesi in sciopero spontaneamente dalla fine di gennaio alla fine di febbraio in solidarietà con 27 loro compagni licenziati dopo un primo sciopero nel novembre 2004. Questa lotta si è sviluppata al di fuori dei sindacati, ma alla fine questi hanno organizzato la negoziazione con il padronato imponendo questo ricatto: o accettare i licenziamenti o non essere pagati per le giornate di sciopero, “sacrificare” o i posti di lavoro o i salari. Seguire la logica economica del sistema capitalista significava, secondo la formulazione utilizzata da un operaio di Reconvilier, “scegliere tra la peste ed il colera”. Accettare la logica del capitalismo non può che portare gli operai ad accettare sempre più nuovi “sacrifici”. D'altronde è già programmata un’altra ondata di licenziamenti per 120 operai. Ma questo sciopero è riuscito a porre chiaramente la questione della capacità degli scioperanti ad opporsi a questo ricatto ed a questa logica del capitale. Un altro operaio ha tratto questa lezione dalla sconfitta dello sciopero: “E’ stato un errore lasciare il controllo delle negoziazioni in altre mani”.
… ed in India
In India, meno di un anno fa, nel luglio 2005, si è sviluppata la lotta di migliaia di operai della Honda a Gurgaon, nella periferia di Delhi che, dopo essere stati raggiunti nella lotta da una massa di operai venuti da fabbriche vicine di un’altra città industriale ed aver ricevuto l’aiuto della popolazione, si erano imbattuti in una repressione poliziesca estremamente brutale e in un’ondata di arresti tra gli scioperanti.
Il 1° febbraio scorso 23.000 operai si sono messi in sciopero in un movimento che ha toccato 123 aeroporti del paese contro le minacce di licenziamenti. Questo sciopero è stata una risposta al pesante attacco della direzione che progettava di eliminare progressivamente il 40% degli effettivi, in particolare i lavoratori più anziani che rischiavano di non trovare più lavoro. A Delhi ed a Bombay, ed in gran parte anche a Calcutta, il traffico aereo è stato paralizzato per giorni. Lo sciopero è stato dichiarato illegale dalle autorità. Queste hanno mandato la polizia e le forze paramilitari in varie città, in particolare a Bombay, a manganellare gli operai e fargli riprendere il lavoro, in applicazione di una legge che permette la repressione per “atti illegali contro la sicurezza dell’aviazione civile”. Contemporaneamente, da buoni partner della coalizione governativa, sindacati e forze della sinistra radicale borghese negoziavano con il governo già dal 3 febbraio. Insieme hanno poi chiamato gli operai ad incontrare il Primo ministro e li hanno spinti a riprendere il lavoro in cambio di una vana promessa di questo di riesaminare il dossier del piano di licenziamenti negli aeroporti. L’altra tattica è stata quella di tendere alla divisione tra i lavoratori con un’efficace gioco dei ruoli tra chi si faceva sostenitore della resa e chi della continuazione dello sciopero.
La combattività operaia si è espressa anche nelle fabbriche Toyota vicino Bangalore dove gli operai hanno scioperato per 15 giorni a partire dal 4 febbraio contro l’aumento dei ritmi di lavoro, causa di un moltiplicarsi degli incidenti sul lavoro alle catene di montaggio da una parte, e dall’altra di una pioggia di multe. Queste penalità per “rendimento insufficiente” vengono sistematicamente prelevato dai salari. Anche qui, i lavoratori si sono spontaneamente scontrati all’opposizione dei sindacati che hanno dichiarato illegale lo sciopero. La repressione è stata feroce: 1.500 scioperanti su 2.300 sono stati arrestati per “turbativa della pace sociale”. Questo sciopero ha avuto il sostegno attivo di altri operai di Bangalore, il che ha costretto i sindacati e le organizzazioni della sinistra borghese a metter su un “comitato di coordinamento” nelle altre fabbriche della città a sostegno dello sciopero e contro la repressione degli operai della Toyota, per contenere e sabotare questo slancio spontaneo di solidarietà operaia. A metà febbraio altri operai, di altre imprese di Bombay sono venuti a manifestare il loro sostegno a 910 operai della Hindusthan Lever in lotta contro la soppressione di posti di lavoro.
Una maturazione internazionale delle lotte portatrici d’avvenire
Queste lotte confermano pienamente una svolta ed una maturazione, una politicizzazione nella lotta di classe che si è delineata con le lotte del 2003 contro la “riforma” delle pensioni, in particolare in Francia ed in Austria. La classe operaia aveva già manifestato chiaramente delle reazioni di solidarietà operaia che noi abbiamo regolarmente ripercosso nella nostra stampa, in opposizione al completo black-out dei media su queste lotte. Queste reazioni si sono espresse in particolare nello sciopero alla Mercedes-Daimler-Chrysler nel luglio 2004 dove gli operai di Brema scioperarono e manifestarono a fianco dei loro compagni di Sindelfingen-Stuttgart vittime del ricatto del licenziamento in cambio della rinuncia dei loro “privilegi”, quando la direzione dell’impresa si proponeva di trasferire 6.000 posti di lavoro dalla regione di Stoccarda verso il polo di Brema.
Stessa cosa con gli addetti ai bagagli e gli impiegati della British Airways all’aeroporto di Heatrhow che, nell’agosto 2005, nei giorni che hanno seguito gli attentati di Londra ed in piena campagna anti-terrorista della borghesia, si sono messi spontaneamente in sciopero per sostenere i 670 operai pakistani dell’impresa di ristorazione Gate-Gourmet minacciati di licenziamento.
Altri esempi: lo sciopero di 18.000 operai della Boeing per tre settimane nel settembre 2005 dove i lavoratori, rifiutando la nuova convenzione proposta dalla direzione per abbassare l’ammontare delle pensioni e dei rimborsi sanitari, si opponevano alla discriminazione delle misure tra i giovani ed i vecchi operai e tra le diverse fabbriche. Più esplicitamente ancora, al momento dello sciopero nella metropolitana ed i trasporti pubblici a New York nel dicembre scorso, alla vigilia di Natale, e quando l’attacco sulle pensioni toccava esplicitamente solo i futuri assunti, gli operai hanno dimostrato la loro capacità di rifiutare una tale misura di divisione. Lo sciopero ha avuto un ampio seguito, malgrado la pressione dei media, perché la maggior parte dei proletari avevano la piena coscienza di battersi per l’avvenire dei loro figli , per le generazioni a venire (il che smentisce clamorosamente la propaganda su di un proletariato americano integrato o inesistente e quando tradizionalmente i proletari negli Stati Uniti non vengono considerai come l’avanguardia del movimento operaio). Nello scorso dicembre alle fabbriche SEAT della regione di Barcellona gli operai si sono opposti ai sindacati che avevano firmato sulle loro spalle degli accordi vergognosi permettendo il licenziamento di 600 lavoratori.
In Argentina durante l’estate scorsa, la più grande ondata di scioperi da 15 anni a questa parte ha toccato principalmente gli ospedali ed i servizi della sanità, il settore alimentare, gli impiegati della metropolitana di Buenos Aires, i lavoratori dell’amministrazione comunale di varie province, i maestri delle scuole elementari. A varie riprese gli operi di settori diversi si sono uniti alle manifestazioni a sostegno degli scioperanti. In particolare i lavoratori del settore petrolifero, gli impiegati del settore giudiziario, gli insegnanti, i disoccupati hanno raggiunto nella lotta i loro compagni impiegati nell’amministrazione comunale di Caleta Olivia. A Neuquen i lavoratori del settore della sanità si sono uniti alla manifestazione dei maestri in sciopero. In un ospedale per bambini i lavoratori in lotta hanno preteso lo stesso aumento salariale per tutte le categorie professionali. Gli operai sono stati confrontati ad una repressione feroce e a delle vere e proprie campagne di denigrazione da parte dei media.
Non si tratta ancora di lotte di massa, ma sicuramente di manifestazioni significative di un cambiamento nello stato d’animo della classe operaia. Lo sviluppo di un sentimento di solidarietà di fronte ad attacchi molto pesanti e frontali, conseguenza dell’accelerazione della crisi economica e dell’empasse del capitalismo, tende ad affermarsi nella lotta al di là delle barriere che impongono dappertutto le differenti borghesie nazionali: la corporazione, la fabbrica, l’impresa, il settore, la nazionalità. Allo stesso tempo, la classe operaia è spinta a prendere in carico in prima persona le proprie lotte e ad affermarsi come tale, a prendere poco a poco fiducia nelle sue proprie forze. E’ anche portata a confrontarsi alle manovre della borghesia ed al sabotaggio dei sindacati per isolare ed intrappolare gli operai. In questo lungo e difficile processo di maturazione, la presenza di giovani generazioni di operai combattivi che non hanno subito l’impatto ideologico del riflusso della lotta di classe del “dopo 1989”, costituisce un importante fermento dinamico. Per questo le lotte attuali, nonostante tutti i loro limiti e le loro debolezze, costituiscono un incoraggiamento e sono portatrici di un avvenire per lo sviluppo della lotta di classe.
Wim, 24 mars 2006
La lotta dei metallurgici è stata di massa e si è organizzata in assemblee generali pubbliche tenute nella strada, assemblee che i lavoratori avevano deciso di aprire a tutti quelli che volevano dare la loro opinione, sostenere lo sciopero, porre delle questioni o formulare delle rivendicazioni. Sono state organizzate delle manifestazioni di massa nel centro della città. Più di diecimila lavoratori si sono riuniti quotidianamente per organizzare la lotta, decidere sulle azioni da intraprendere, decidere verso quali fabbriche bisognava dirigersi per cercare la solidarietà degli altri operai, ascoltare le rare informazioni diffuse sullo sciopero, dar vita a delle discussioni con la popolazione nelle strade, ecc. E’ estremamente significativo che gli operai di Vigo abbiamo utilizzato gli stessi strumenti di lotta degli studenti in Francia durante gli ultimi avvenimenti. Le assemblee erano aperte agli altri lavoratori, occupati, disoccupati o pensionati. Le assemblee, in Francia come qui, sono state il polmone del movimento. E’ anche significativo che oggi, nel 2006, gli operai di Vigo riprendono gli strumenti di cui si erano dotati durante il grande sciopero del 1972: tenuta quotidiana di grandi assemblee generali che riuniscono gli operaia dell’intera città. La classe operaia è una classe internazionale e storica, queste sono le due caratteristiche da cui trae la sua forza.
La forza della solidarietà
Sin dall’inizio del movimento, gli operai in lotta hanno cercato la solidarietà degli altri lavoratori, in particolare di quelli delle grandi imprese della metallurgia che beneficiano di convenzioni particolari e che, per questo, non sarebbero “toccati”. Hanno inviato delle delegazioni di massa ai cantieri navali, alla Citroën e alle altre fabbriche più importanti. I cantieri navali si sono unanimemente messi in sciopero di solidarietà dal 4 maggio. Dal punto di vista egoista e freddo dell’ideologia della classe dominante, secondo cui ognuno deve interessarsi solo alle sue cose, questa azione non può che apparire come una “follia” ma, per la classe operaia, questa azione è la migliore risposta sia di fronte alla situazione immediata che per preparare il futuro. Nell’immediato, perché qualunque settore della classe operaia non può acquistare forza se non appoggiandosi sulla lotta di altri settori. Per preparare il futuro, perché la società che il proletariato aspira a instaurare e che permetterà all’umanità di uscire dall’impasse del capitalismo, trova i suoi fondamenti nella solidarietà, nella comunità umana mondiale. Il 5 maggio, circa 15.000 operai della metallurgia hanno circondato la più grande fabbrica della città, la Citroën che raggruppa 4500 operai, invitandoli a tenere un’assemblea fuori ai cancelli dello stabilimento ed a partecipare alla discussione per tentare di convincerli a unirsi nello sciopero. Ma questi erano divisi, alcuni erano pronti a entrare in sciopero mentre altri volevano lavorare. Mentre la discussione si sviluppava, dei gruppi di sindacalisti hanno cominciato a buttare delle uova ed altri alimenti sugli operai della Citroën, facendo pendere la bilancia a favore della non partecipazione allo sciopero. Alla fine questi hanno ripreso il lavoro tutti assieme. Ma il seme gettato quel giorno dalla delegazione di massa dei lavoratori ha cominciato a portare i suoi frutti: il martedì 9 cominciano dei piccoli scioperi sia alla Citroën che in altre grandi imprese. La solidarietà e l’estensione della lotta sono stati i punti forti anche del movimento degli studenti in Francia. Di fatto, il governo francese ha ritirato il CPE quando un sentimento spontaneo di solidarietà con gli studenti ha cominciato a svilupparsi nelle grandi imprese, in particolare alla Snecma e alla Citroën,. La solidarietà e l’estensione della lotta caratterizzarono fortemente lo sciopero generale di Vigo nel 1972, sciopero che fece ritirare il pugno di ferro della dittatura franchista. In questo si può vedere la forza internazionale e storica della classe operaia.
La repressione, arma della borghesia
L’8 maggio circa 10.000 operai che, dopo un’assemblea generale pubblica, si dirigevano alla stazione ferroviaria con l’intenzione di informare i viaggiatori sui motivi della lotta, sono stati attaccati da tutte le parti dalla polizia con una violenza inaudita. Le cariche della polizia sono state estremamente violente, gli operai dispersi in piccoli gruppi sono stati inseguiti senza tregua dalle forze dell’ordine. Vi sono stati numerosi feriti e tredici arresti. A partire da questo momento il black-out di televisione e giornali spagnoli è stato interrotto per riportare unicamente la violenza degli scontri tra gli operai e la polizia. Questa repressione la dice lunga sulla “democrazia” e i suoi bei discorsi sulla “negoziazione”, la “libertà di manifestare” e la “rappresentanza di tutti i cittadini”. Quando gli operai lottano sul loro terreno di classe, il capitale non esita un secondo a scatenare la repressione. Ed è là che si può vedere la vera natura di questo cinico campione del “dialogo” che è Zapatero, socialista e capo del governo. C’è di che temere: il suo ultimo predecessore socialista, Gonzalez, è stato già il responsabile della morte di un operaio in occasione della lotta dei cantieri navali di Gijon (1984) e di un altro a Reinosa in occasione delle lotte del 1987. Entrambi sono nella tradizione di un altro illustre borghese, il grande repubblicano di sinistra Azaña, che nel 1933 diede l’ordine di “tirare al ventre” in occasione del massacro dei lavoratori giornalieri a Casas Viejas. La violenta spedizione punitiva della stazione ferroviaria ha tuttavia un obiettivo politico: rinchiudere gli operai in lotte stancanti contro le forze di repressione, spingerli ad abbandonare le azioni di massa (manifestazioni e assemblee generali) a profitto della dispersione negli scontri contro la polizia. Lo scopo è chiaramente di piegarli in battaglie perdute in partenza che faranno perdere loro il capitale di simpatia accumulato da parte di altri lavoratori. Il governo francese ha tentato la stessa manovra contro il movimento degli studenti: "La profondità del movimento degli studenti si esprime anche nella sua capacità a non cadere nella trappola della violenza che la borghesia gli ha teso a più riprese, finanche utilizzando e manipolando i ‘casseur’: vedi l’occupazione da parte della polizia della Sorbona, trappola alla fine della manifestazione del 16 marzo, le cariche della polizia alla fine di quella del 18 marzo, le violenze dei "casseur" contro gli stessi manifestanti del 23 marzo. Anche se una piccola minoranza di studenti, in particolare quelli influenzati da ideologie anarchicheggianti, si sono lasciati tentare dagli scontri con le forze di polizia, la grande maggioranza di essi ha avuto a cuore di non lasciare distruggere il movimento in scontri a ripetizione con le forze di repressione”. (“Tesi sul movimento degli studenti della primavera 2006 in Francia”, pubblicate su www.it.internationalism.org [13]). Gli operai si sono dunque mobilitati in massa per esigere la liberazione degli operai arrestati, con una manifestazione che ha raccolto circa 10.000 di loro il 9 maggio e che ha vinto. E’ significativo il fatto che i mass-media (i giornali El País, El Mundo, la televisione…) che fino a quel momento avevano mantenuto un silenzio totale sul movimento delle assemblee, le manifestazioni di massa e la solidarietà, abbiano all’improvviso ingigantito gli scontri dell’8 maggio. Il messaggio che vogliono far passare è chiaro: “Se ti vuoi fare notare e vuoi che ti si presti attenzione, organizza delle azioni violente!” Infatti la borghesia è la prima beneficiaria dello sfinimento degli operai in degli scontri sterili.
Gli indugi e le manovre dei sindacati
Da molto tempo i sindacati hanno cessato di essere l’arma dei lavoratori per diventare lo scudo del capitale, come è stato dimostrato dalla loro partecipazione a tutti i negoziati per le riforme del lavoro nel 1988, 1992, 94, 97 e 2006, che hanno fatto di tutto per sviluppare la precarietà e i “contratti-pattumiera”. I tre sindacati (Commissioni operaie, UGT e CIG (2) ) hanno partecipato allo sciopero per sabotarlo dall’interno e riprenderne il controllo. Ciò è dimostrato dal fatto che si sono opposti, senza successo, all’invio di delegazioni di massa nelle altre aziende, “offrendo” in cambio la proclamazione di uno sciopero generale della metallurgia per l’11 di maggio. Gli operai non hanno atteso e hanno rifiutato di aspettare il giorno “x” del sindacato. Hanno invece messo in pratica il metodo autenticamente proletario: l’invio di delegazioni di massa, il contatto diretto con gli altri operai, l’azione collettiva e di massa. Ma il 10 maggio, dopo 20 ore di negoziazioni, i sindacati hanno firmato un accordo che, pur se ben camuffato, contiene un colpo basso in quanto elimina le rivendicazioni essenziali degli operai in cambio di qualche minutaglia e, naturalmente, si sono affrettati ad annullare l’appello allo sciopero generale del settore per l’indomani. Una gran parte dei lavoratori ha immediatamente manifestato la sua indignazione e il voto rispetto alla firma di questo accordo è stato spostato all’11 maggio. Bisogna tirare una lezione da questa manovra antisciopero. Non si possono lasciare le negoziazioni nelle mani dei sindacati, esse devono essere totalmente gestite dalle assemblee generali. Queste devono nominare una commissione di negoziazione che renda conto quotidianamente dell’avanzare delle discussioni. È ciò che si faceva negli anni ’70 e che noi dobbiamo riprendere se vogliamo evitare d’essere abbindolati da questi venduti.
Le prospettive per la lotta
CCI, 10 maggio 2006
(presa di posizione sul web della nostra sezione in Spagna)
1. La CNT, il più “radicale” dei sindacati, ha mantenuto un silenzio incredibile su questa lotta fino all’8 maggio.
2. CIG: Confederazione Intersindacale di Galizia. Sindacato nazionalista radicale che ha giocato un ruolo molto “combattivo” in contrapposizione alla "moderazione" mostrata dagli altri due.
Links
[1] https://it.internationalism.org/en/tag/4/83/medio-oriente
[2] https://it.internationalism.org/en/tag/3/49/imperialismo
[3] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[4] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[5] https://it.internationalism.org/en/tag/2/31/linganno-parlamentare
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/correnti-politiche-e-riferimenti/gauchismo
[7] https://world.internationalism.org
[8] https://it.internationalism.org/en/tag/4/70/francia
[9] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[10] https://it.internationalism.org/en/tag/4/97/venezuela
[11] https://it.internationalism.org/en/tag/2/33/la-questione-nazionale
[12] https://it.internationalism.org/en/tag/3/44/corso-storico
[13] http://www.it.internationalism.org
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/4/79/spagna