Periodo settembre-novembre 2011
1. Dalle menzogne alla realtà
Va ricordato che, alla fine del 2007 e all’inizio del 2008, il fallimento della banca americana Lehman Brothers aveva condotto l’economia sull’orlo del baratro. L’intero sistema finanziario, come un castello di carte, rischiava di crollare. Allora gli Stati hanno assunto a loro carico una parte del debito bancario, che rappresenta spesso dei valori incalcolabili, spingendo a loro volta questi sulla strada del fallimento. Su questa strada, le stesse banche centrali non hanno tardato a ritrovarsi in una situazione pericolosa. E per tutto questo tempo, la borghesia si è cinicamente fatto gioco del mondo intero. Abbiamo dovuto ascoltare discorsi uno più mistificatorio dell’altro. Certamente gli stessi borghesi sono in parte vittime dei loro discorsi. Gli sfruttatori non possono mai avere una piena lucidità di fronte al crollo del loro sistema. Tuttavia, mentire, ingannare per nascondere i fatti, è una necessità degli sfruttatori per mantenere gli sfruttati sotto il loro controllo.
Hanno cominciato col dire che tutto ciò non era grave, che la situazione era completamente sotto controllo. Era già difficile essere più ridicoli. Eppure, in questo campo, il meglio doveva ancora arrivare. All’inizio del 2008, dopo la caduta delle borse del 20% circa e il calo della crescita mondiale, ci avevano promesso, con la faccia seria, una rapida uscita dalla crisi. Questa era infatti presentata come passeggera e puntuale; ma i fatti sono più testardi delle parole. La situazione, infischiandosene decisamente di tutti questi imbonitori, ha continuato a peggiorare. Questi signori sono poi passati a degli argomenti bassamente nazionalisti, falsi e perfidi quanto ignobili. Per cominciare, è stata data la colpa ai poveri americani che avevano comprato a credito senza riflettere delle case senza avere i mezzi per rimborsare i loro crediti, parliamo dei famosi subprime. Naturalmente, questa spiegazione non poteva essere più valida quando la crisi ha colpito la zona euro, quando è diventato evidente che lo Stato greco non poteva evitare il fallimento. L’ignominia è allora cresciuta: gli sfruttati di questi paesi sono stati tutti trattati semplicemente come sfaticati e profittatori; la crisi in Grecia era specifica per questo paese, come lo era stato per l’Islanda e come lo sarà, pochi mesi dopo, per l’Irlanda. Per radio e televisione i vari leader trasmettevano le loro piccole frasi assassine. Secondo loro, la gente spendeva troppo; a sentire loro, gli sfruttati vivevano al di sopra delle loro possibilità, come dei pascià! Ma di fronte alla collera legittima che si sviluppava in questo paese, i discorsi menzogneri sono ancora una volta mutati. In Italia, l’indescrivibile Berlusconi, Presidente del Consiglio, viene indicato come il solo responsabile di una politica economica totalmente … irresponsabile. Ma come è possibile che abbia fatto lo stesso il serissimo premier spagnolo Zapatero?
Ora la borghesia indica col dito accusatore una parte di se stessa. La colpa della crisi si sposta in parte sul mondo della finanza, popolata da squali avidi di guadagni sempre maggiori. Negli Stati Uniti, nel dicembre 2008, B. Madoff, ex capo di Nasdaq e uno dei consulenti di investimento più conosciuti e rispettati a New York, si è trasformato dalla sera alla mattina nel peggiore truffatore del mondo. Ugualmente le agenzie di rating continuano a servire come capri espiatori. Alla fine del 2007, le si accusava di incompetenza per aver trascurato nelle loro valutazioni il peso dei debiti sovrani degli Stati. Oggi, esse sono accusate al contrario di puntare eccessivamente il dito su questi stessi debiti sovrani nella zona euro (per Moody) e negli Stati Uniti (per Standard & Poors).
Essendo divenuta infine visibilmente e apertamente mondiale, bisognava trovare una bugia più credibile, più realistica. Così, da qualche mese, sentiamo circolare con sempre maggiore insistenza che la crisi è dovuta a un indebitamento generalizzato, insopportabile, organizzato dalla finanza a beneficio dei grandi speculatori. Con l'estate del 2011 e la nuova esplosione della crisi finanziaria, questi discorsi hanno invaso i nostri televisori.
Anche se tutti questi esempi mostrano che la borghesia ha una difficoltà crescente a far passare delle menzogne credibili, possiamo essere certi che continuerà a servircene; a prova di ciò, tutto il clamore sviluppato dai partiti di sinistra, dai gauchisti e da molti economisti, secondo cui è la finanza - e non il capitalismo in quanto tale - che sarebbe responsabile dell’attuale escalation della crisi. Certo, l’economia crolla sotto i debiti che non può più né rimborsare né sopportare. Viene quindi minato il valore della valuta, il prezzo delle merci viene spinto verso l’alto e si apre la porta ad un processo di fallimento per gli individui, le banche, le assicurazioni e gli Stati. Cosa che rischia di implicare ad un certo punto la paralisi delle banche centrali. Ma questo indebitamento non era motivato fondamentalmente dall’avidità insaziabile del mondo della finanza e di altri speculatori, e ancor meno dal consumo degli sfruttati. Al contrario, questo indebitamento generalizzato era necessario, vitale per la sopravvivenza del sistema da più di mezzo secolo per evitare la sovrapproduzione sempre più massiccia. Il progressivo sviluppo della speculazione finanziaria non è dunque la causa della crisi, ma la conseguenza degli strumenti che gli Stati hanno adottato per cercare di farvi fronte da cinquant’anni a questa parte. Senza questa politica di credito facile e di indebitamento crescente fino a diventare incontrollabile, il capitalismo non avrebbe potuto vendere merci in quantità sempre crescenti. Di fatto, é l’accentuazione di questo indebitamento che ha permesso per tutto questo tempo di sostenere la sua crescita. Il fatto che lo sviluppo mostruoso della finanza speculativa sia diventata progressivamente un cancro per il capitalismo è in realtà solo il prodotto della crescente difficoltà del capitalismo di investire e di vendere con profitto. L’esaurimento storico di questa capacità, a fine 2007/inizio 2008, ha spalancato le porte alla depressione[1].
2. Nei giorni di depressione e di fallimento
Gli avvenimenti che si svolgono in questo mese di agosto ne sono la chiara manifestazione. Il presidente della Banca Centrale Europea, J.C. Trichet, ha dichiarato a tale proposito che “la crisi attuale è tanto grave quanto quella del 1930”. Come prova, a partire dall’apertura della fase attuale della crisi alla fine dell’anno 2007, la sopravvivenza dell’economia mondiale si racchiude in poche parole: creazione accelerata e titanica di denaro da parte delle banche centrali e in primo luogo dagli Stati Uniti. Quello che è stato chiamato “Quantitative Easing” n°1 e n°2[2] non sono che le fasi visibili di un iceberg di una creazione massiccia di moneta. In realtà, la FED ha letteralmente inondato l’economia, le banche e lo Stato americano di nuovi dollari e, di conseguenza, ha fatto lo stesso per l’intera economia mondiale. Il risultato è stato la sopravvivenza del sistema bancario e una crescita mondiale mantenuta per fleboclisi. La depressione iniziata quattro anni fa è stata attenuata. Quello a cui assistiamo in questa estate 2011 è il suo gran ritorno sulla scena mondiale. Una delle cose che spaventa di più la borghesia è l’attuale forte rallentamento dell’attività. La crescita alla fine del 2009 e nel 2010 è crollata. Negli Stati Uniti il PIL del terzo trimestre del 2010 aveva raggiunto 14730 miliardi di dollari in valore. Esso aveva rimontato in totale del 3,5% rispetto al punto più basso della metà del 2009. Tuttavia, era rimasto inferiore dello 0,8% rispetto al suo livello di prima del 2007. Attualmente, negli Stati Uniti, mentre era stato previsto per il primo trimestre 2011un tasso di crescita su scala annua dell’1,5%, la cifra reale è caduta a solo lo 0,4%. Per il secondo semestre la crescita, stimata all’1,3%, sarà effettivamente molto vicina a 0. E’ lo stesso fenomeno a cui assistiamo in Gran Bretagna e nella zona euro. L’economia mondiale si orienta verso dei tassi di crescita in ribasso, e anche in alcuni grandi paesi, come gli Stati Uniti, si prende il cammino verso dei tassi di crescita negativi. Eppure, in questo contesto di recessione, l’inflazione è in aumento. Essa è ufficialmente del 2,985% negli USA, ma del 10% secondo il metodo di calcolo dell’ex direttore della Federal Reserve Paul Volcker. Per la Cina, che esprime il tono di tutti i paesi emergenti, essa arriva ogni anno ad oltre il 9%.
Nel mese di agosto 2011, il panico generale dei mercati finanziari riflette, tra l’altro, la presa di coscienza che il denaro iniettato dalla fine del 2007 non è riuscito a rilanciare l’economia e ad uscire dalla depressione. Al contrario esso ha esacerbato per quattro anni lo sviluppo del debito mondiale al punto che il crollo del sistema finanziario è tornato attuale, ma in una situazione economica complessiva molto più degradata che alla fine del 2007. Attualmente la situazione economica è tale che è necessaria e vitale ogni giorno l’iniezione di nuova liquidità, anche se in quantità più ridotta. Attualmente, la Banca centrale europea (BCE) è obbligata ad acquistare quotidianamente parte del debito italiano e spagnolo per una somma di circa 2 miliardi di euro per evitare di veder crollare questi paesi. Se, dunque, questo nuovo danaro è essenziale per la sopravvivenza del sistema giorno per giorno, esso non potrà mai avere gli effetti, per quanto limitati, che ha avuto la creazione di moneta dalla fine del 2007. In effetti ci vorrebbe molto di più per riassorbire dei debiti che per la Spagna e l’Italia (e non sono i soli) ammontano a centinaia di miliardi di euro. La possibilità di degrado del rating AAA[3] della Francia sarebbe un colpo mortale per la zona Euro. Solo i paesi inclusi in questa categoria possono finanziare i fondi di sostegno europeo. Se la Francia non lo potrà più fare, l’intera area crollerà. Il panico che abbiamo appena vissuto nella prima metà di agosto non è ancora finito! Stiamo per assistere alla presa di coscienza improvvisa da parte della borghesia e dei suoi leader che il sostegno necessario e continuo alla crescita dell’attività economica - anche moderata - diventa impossibile. E’ questo che provoca lo spettacolo deplorevole al quale stiamo assistendo. Ecco le ragioni profonde della lacerazione della borghesia americana sulla questione di elevare il tetto del suo debito. Lo stesso si dica per i cosiddetti accordi - annunciati con la fanfara - dei leader della zona euro sul salvataggio della Grecia, piani rimessi in discussione pochi giorni dopo da alcuni governi europei. I conflitti tra repubblicani e democratici sull’aumento del tetto del debito non sono semplici divergenze, come cerca di presentarceli la stampa borghese, che opporrebbero delle persone responsabili agli irresponsabile della destra americana, anche se l’aberrazione rappresentata dalle rivendicazioni e dal dogmatismo assurdo di quest’ultima - in particolare del Tea Party[4] - aggravano i problemi ai quali è confrontata la classe dirigente americana. L’incapacità dei leader della zona euro ad accordarsi su una politica ordinata e consensuale di sostegno ai paesi europei non più capaci di far fronte al rimborso dei loro debiti, rileva solo gli antagonismi di interessi meschini dei leader di ogni capitale nazionale. Ciò riflette una realtà molto più profonda e ancora più drammatica per il capitalismo. La borghesia si sta semplicemente rendendo conto che un nuovo e consistente sostegno dell’economia, come quello praticato tra il 2008 e il 2010, è particolarmente pericoloso. Perché rischia di provocare sia il crollo del valore dei buoni del tesoro dei diversi paesi che quello della moneta di questi stessi paesi, compreso l’euro; crollo che annuncia, in questi ultimi mesi, lo sviluppo dell’inflazione.
3. Quali sono le prospettive per l’economia mondiale?
La depressione è lì e la borghesia non può più impedire il suo sviluppo. Ecco quello che ci mostra l’estate 2011. La tempesta è scoppiata. La prima potenza mondiale intorno alla quale si organizza tutta l’economia del mondo dal 1945 è sulla strada del default[5]. Impossibile da immaginare solo qualche tempo fa, questa realtà storica marca a fuoco il processo di fallimento di tutta l’economia mondiale. Il ruolo di locomotiva dell’economia svolto dagli Stati Uniti da oltre 60 anni è ormai superato. Gli Stati Uniti lo stanno dimostrando pubblicamente. Essi non possono più continuare come prima, a prescindere dall’importo del riacquisto di una parte del loro debito da parte di paesi come la Cina o l’Arabia Saudita. Il loro proprio finanziamento è diventato un grande problema e, di conseguenza, sono da ora in poi incapaci di sostenere la domanda mondiale. Chi se ne farà carico al loro posto? La risposta è semplice: nessuno! La zona euro non può che andare di crisi in crisi, sia a livello di debito pubblico che privato, incamminandosi a breve verso l’esplosione di questa zona nella sua configurazione attuale. I famosi “paesi emergenti”, tra cui la Cina, sono, per quanto li riguarda, completamente dipendenti dai mercati americani, europei e giapponesi. Nonostante i loro costi di produzione molto bassi, questi ultimi anni mostrano che si tratta di economie che si sviluppano attraverso ciò che viene chiamato dai media una “bolla economica”, vale a dire un investimento enorme che non potrà mai essere redditizio. E’ lo stesso fenomeno che abbiamo ben conosciuto con quello che gli esperti ed i media hanno chiamato “crisi immobiliare” negli Stati Uniti e la “new economy” qualche anno prima. In entrambi i casi abbiamo assistito allo stesso risultato: un crollo. La Cina ha voglia di aumentare il costo del proprio credito, ma non c’è niente da fare. Dei crack minacciano l’Impero di Mezzo ad immagine di ciò che sta accadendo in Occidente. La Cina, l’India, il Brasile, lungi dall’essere i futuri poli di crescita dell’economia, non possono che prendere il loro posto nel processo di depressione mondiale. L’insieme di tutte queste crepe nell’economia sarà un potente fattore di destabilizzazione e di disorganizzazione di questa. Quello che sta accadendo attualmente negli Stati Uniti e nell’Eurozona spinge il mondo in una depressione e verso dei fallimenti che si alimentano a vicenda in maniera sempre più rapida e profonda. La tregua relativa che abbiamo avuto dalla metà del 2009 è dunque terminata. Il processo di bancarotta in cui l’economia capitalistica mondiale è adesso entrata non pone solo agli sfruttati del mondo intero la necessità di rifiutare di pagare gli effetti quotidiani di questa grave crisi del sistema. Con questo, non è più solo una questione di licenziamenti di massa o di riduzione dei nostri salari reali. Ciò che la situazione implica è l’avvio di un processo di generalizzazione della miseria, una incapacità crescente per tutti i proletari di soddisfare i loro bisogni più elementari. Questa prospettiva drammatica ci obbliga a comprendere che non è una forma particolare di capitalismo che sta crollando, come il capitale finanziario, per esempio, ma il capitalismo in quanto tale. E’ l’intera società capitalistica che viene trascinata verso l’abisso e noi con essa, se non reagiamo. Non vi è altra alternativa che il suo completo rovesciamento, che lo sviluppo della lotta di massa contro questo sistema putrescente, portatore di morte e senza futuro. Al fallimento del capitalismo dobbiamo opporre una nuova società in cui gli uomini non producano a vantaggio solo di alcuni, ma per soddisfare i bisogni umani, una società veramente umana, collettiva e solidale. Questa società è il comunismo (che non ha nulla a che fare con i regimi politici e i loro modelli economici di sfruttamento forniti dall’ex Unione Sovietica o dalla Cina). Questa società è necessaria e possibile al tempo stesso.
TX (14/08/2011)
[1] Si definisce depressione un lungo periodo di caduta dell’attività economica, come è avvenuto negli anni 1930. I media parlano oggi del rischio di una nuova “recessione”. Il governo americano definisce una “recessione” come un calo della produzione per tre trimestri consecutivi. Se possiamo definire il periodo attuale di depressione è perché il periodo di stagnazione e di declino della produzione, nel quale ci troviamo, non ha nulla a che vedere, come mostrato nel resto dell’articolo, con la durata limitata che definisce, secondo la classe dominante, una recessione.
[2] Le banche centrali creano sempre della moneta per permettere alla massa di merci create dal capitale nazionale di circolare; l’aumento della creazione di moneta dipende dunque, in tempi normali, dalla crescita della produzione. Di fatto, dall’inizio dell’aggravarsi della crisi nel 2007, le banche centrali hanno creato molta più moneta di quanto fosse necessario per la circolazione delle merci (che si sono globalmente ridotte nei paesi sviluppati), perché si è reso rapidamente necessario per loro acquistare dalle banche e dagli altri Stati dei titoli che non potevano essere rimborsati al loro valore da parte dei debitori. Nonostante questo aumento, poiché era diventato evidente che né le banche americane, né lo Stato americano erano in grado di rimborsare un gran numero di debiti, si è reso necessario alla Federal Reserve emettere più denaro di quanto il suo status e i suoi libri contabili avrebbero dovuto permettergli per riscattare questi debiti “imputriditi”. Così alla fine del 2009, ha deciso di emettere una somma supplementare di 1.700 miliardi di dollari (detto Quantitative Easing - QE n°1) e, nel novembre 2010, per lo stesso scopo, un nuovo importo di denaro chiamato QE n°2 di 600 miliardi di dollari.
[3] Il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari, che le imprese (vedi anche modelli di rating IRB [1] secondo Basilea 2 [2]) in base alla loro rischiosità. In questo caso, essi si definiscono rating di merito creditizio. AAA = indice di rating che corrisponde ad una situazione di elevata capacità di ripagare il debito. (https://it.wikipedia.org/wiki/Rating [3])
[4] Il Tea Party (https://it.wikipedia.org/wiki/Boston_Tea_Party [4]) è un movimento politico populista americano che é generalmente riconosciuto come conservatore e libertario. Sostiene la necessità che i governi spendano meno e che ci siano meno tasse in modo da ridurre il debito nazionale e il deficit budgetario federale.
[5] Nell’ambito della finanza viene definita come situazione di default (in italiano insolvenza) l’incapacità tecnica di un’emittente di rispettare le clausole contrattuali previste dal regolamento del finanziamento (da https://it.wikipedia.org/wiki/Default_%28finanza%29 [5]).
In Israele, nelle ultime tre settimane, centinaia di migliaia di persone hanno manifestato per le strade per protestare contro l’aumento vertiginoso del costo della vita, la crescente difficoltà per il ceto medio di farsi una casa, lo smantellamento dei servizi di welfare. I manifestanti chiedono “giustizia sociale”, ma molti parlano anche di “rivoluzione”. Essi non fanno mistero del fatto che sono stati ispirati dall’ondata di rivolte nel mondo arabo, ora diffusa in Spagna e Grecia. Il primo ministro israeliano Netanyahu, le cui politiche sfacciatamente di destra sembravano aver guadagnato un seguito popolare, viene improvvisamente confrontato con il dittatori d’Egitto (Mubarak, ora sotto processo per aver sparato contro i manifestanti) e della Siria (Assad, che sta ordinando stragi atroci contro una popolazione sempre più esasperata con il suo regime).
Come i movimenti nel mondo arabo ed in Europa, le manifestazioni e le tendopoli che stanno sorgendo in numerose città di Israele, e a Tel Aviv in particolare, sembrano provenire dal nulla: dei messaggi su Facebook, alcune persone che montano la tenda in piazza ... e da questo, da un week-end all’altro ci sono stati tra 50.000 e 150.000 dimostranti che marciano a Tel Aviv, (con più di 200.000 sabato 6 agosto) e forse un numero tre o quattro volte superiore di persone nell’intero paese, con una maggioranza di giovani.
Come negli altri paesi, i dimostranti si sono scontrati frequentemente con la polizia. Come negli altri paesi, i partiti politici ufficiali ed i sindacati non hanno svolto un ruolo di primo piano nel movimento, anche se sono certamente presenti. Le persone coinvolte nel movimento sono spesso legate ad idee di democrazia diretta e anche all’anarchismo. Un manifestante intervistato al telegiornale di RT news network cui era stato chiesto se le proteste erano state ispirate dagli eventi nei paesi arabi ha risposto: “C’è una grande influenza di quello che è successo in piazza Tahrir ... C’è una grande influenza naturalmente. Questo è quando la gente capisce che hanno il potere, che possono organizzarsi da soli, che non hanno più bisogno di un governo che dica loro cosa devono fare, ma che loro possono cominciare a dire al governo quello che vogliono”. Questi punti di vista, anche se esprimono solo l’opinione di una minoranza consapevole, certamente riflettono una sensazione molto più generale di disillusione con l’intero sistema politico borghese, sia nella sua forma dittatoriale che democratica.
Come i suoi omologhi altrove, questo movimento è storico nel suo significato, come osservato da un giornalista israeliano, Noam Sheizaf: “A differenza della Siria o della Libia, dove i relativi dittatori macellano i propri cittadini a centinaia, non è stata mai l’oppressione che ha garantito l’ordine sociale in Israele, per quanto riguarda la società ebraica. E’ stato invece l’indottrinamento - una ideologia dominante, per usare un termine preferito dai teorici critici. Ed é questo ordine culturale che è stato intaccato in questo giro di proteste. Per la prima volta, una parte importante della classe media ebraica - è troppo presto per valutare quanto grande sia questo gruppo - ha riconosciuto che il suo problema non è con altri israeliani, o con gli arabi, o con un politico determinato, ma con l'intero ordine sociale, con l'intero sistema. In questo senso, è un evento unico nella storia d'Israele”. È per questo che questa protesta ha un tale enorme potenziale. Questo è anche il motivo per cui non dobbiamo guardare solo la ricaduta politica immediata - non credo che vedremo la caduta del governo in tempi brevi - ma le conseguenze a lungo termine, la corrente sotterranea, che sicuramente arriverà”.[1]
Minimizzare l’importanza degli eventi
Eppure ci sono quelli che sono ben felici di sminuire il significato di questi eventi. La stampa ufficiale ha in grande misura ignorato del tutto gli avvenimenti. Ci sono da 800 a 1.000 giornalisti esteri accreditati a Gerusalemme (secondi per numero solo a quelli di Washington), che hanno solo cominciato a mostrare qualche interesse dopo che il movimento era già in corso da un paio di settimane. Dovremo cercare a lungo e duramente per avere qualche menzione di questo movimento in giornali “progressisti” come il Guardian o Socialist Worker in Gran Bretagna.
Un'altra questione è quella di etichettare questo come un movimento della “classe media”. E 'vero che, come per tutti gli altri movimenti, siamo di fronte a una rivolta sociale ampia che può esprimere l’insoddisfazione di molti diversi strati sociali, dai piccoli imprenditori ai lavoratori nei punti di produzione, tutti colpiti dalla crisi economica mondiale, un divario crescente tra ricchi e poveri e, in un paese come Israele, dall’aggravamento delle condizioni di vita per le insaziabili esigenze dell’economia di guerra. Ma “classe media” è diventata un’espressione vaga, onnicomprensiva che indica chiunque abbia un titolo di studio o un lavoro, e in Israele come in Nord Africa, Spagna o Grecia, un numero crescente di giovani istruiti sono spinti nei ranghi del proletariato, svolgendo lavori mal retribuiti e non qualificati, dove possono anche non trovare affatto alcun lavoro. In ogni caso, anche settori di classe operaia più “classici” sono stati coinvolti nelle manifestazioni: il settore pubblico e i lavoratori dell’industria, i settori più poveri dei disoccupati, alcuni dei quali immigrati non ebrei dall’Africa e da altri paesi del terzo mondo. C’è stato anche uno sciopero generale di 24 ore quando la federazione sindacale Histradut ha cercato di affrontare il malcontento dei propri membri.
Ma i più grandi detrattori del movimento sono quelli dell’estrema sinistra. Ecco ad esempio quello che viene riportato su uno dei post su libcom [8][2]: “Ho avuto una grande discussione con una dirigente del SWP del mio ramo sindacale, secondo la quale Israele non aveva una classe operaia. Le ho allora chiesto che guidava gli autobus, chi costruiva le strade, chi si occupava dei bambini, ecc., al che lei ha schivato la domanda ed ha farneticato su sionismo e occupazione”.
La stessa pagina di libcom contiene anche un link ad un blog gauchiste [9][3] che presenta una versione più sofisticata di questo argomento: “Certamente, ogni livello della società israeliana, dai sindacati ai sistemi di istruzione, le forze armate e i partiti politici dominanti, sono implicati nel sistema di apartheid. Questo è stato vero fin dall’inizio, nelle forme embrionali dello Stato israeliano costruito nel periodo del Mandato britannico. Israele è una società di coloni, e questo ha conseguenze enormi per lo sviluppo della coscienza di classe. Finché prospera sulla costruzione di avamposti coloniali, finché le persone identificano i loro interessi con l’espansione del colonialismo, ci saranno scarse prospettive che la classe operaia sviluppi un’azione indipendente rivoluzionaria. Non si tratta solo di una società di coloni, ma è anche una finanziata con risorse materiali dell’imperialismo americano”.
L’idea che la classe operaia israeliana rappresenti un caso particolare conduce molti gauchiste a sostenere che il movimento di protesta non dovrebbe essere sostenuto, o che dovrebbe essere sostenuto solo se prima esso prendesse posizione sulla questione palestinese: “Le proteste sociali sono state riconosciute come le più ampie che si siano svolte in Israele dagli anni 1970 e si prevede che provochino politiche di riforme o addirittura un rimpasto governativo. Ma finché le riforme non saranno indirizzate tutte sulle questioni che stanno al centro della situazione oppressiva e discriminatoria della casa in Israele, finché i cambiamenti di politica non mettono i Palestinesi su un piano di parità con gli Israeliani, finché gli annunci di sfratto non vengono più distribuiti per un capriccio, le riforme sono infondate e le proteste sono inutili”, da La protesta unilaterale, “liberale” per le case è un movimento a cui non vale la pena partecipare e neanche difenderlo, Sami Kishawi, Sixteen Minutes to Palestine blog.
In Spagna, tra i partecipanti al movimento 15M, dibattiti simili hanno avuto luogo, per esempio intorno ad una proposta secondo cui “i manifestanti israeliani dovrebbero essere sostenuti solo se “prendono una posizione come movimento sulla questione palestinese, denunciando chiaramente e apertamente l’occupazione, il blocco di Gaza e [chiedendo] la fine degli insediamenti” (dalla stessa pagina su Libcom).
Questi argomenti gauchiste ricevono una risposta nella pratica dello stesso movimento in Israele. Tanto per cominciare, la contestazione che sta avendo luogo nelle strade di Israele sta già sfidando la divisione tra ebrei, arabi ed altri. Alcuni esempi: a Jaffa, decine di manifestanti arabi ed ebrei portavano cartelli in ebraico e in arabo con la scritta “Arabi ed ebrei vogliono alloggi a prezzi accessibili”, e “Jaffa non vuole offerte per i soli ricchi”.
Attivisti arabi hanno creato un accampamento nel centro di Taibeh[4] e centinaia di persone lo visitano ogni sera. “Questa è una protesta sociale derivante dal disagio profondo nella comunità araba. Tutti gli arabi soffrono per il costo della vita e la carenza di alloggi” ha detto uno degli organizzatori, il dott. Zoheir Tibi. Un certo numero di giovani drusi[5] hanno piantato tende al di fuori dei villaggi di Yarka e Julis nella Galilea occidentale. “Stiamo cercando di attirare tutti alla tenda per farli unire alla protesta” ha detto Wajdi Khatar, uno degli iniziatori della protesta. Un campo comune ebraico e palestinese è stato costituito nella città di Akko, così come nella parte orientale di Gerusalemme dove ci sono state proteste continue sia di ebrei che di arabi contro gli sfratti di questi ultimi dal quartiere di Sheikh Jarrah. A Tel Aviv, ci sono stati contatti con i residenti dei campi profughi nei territori occupati, che hanno fatto visita alle tendopoli e si sono impegnati in discussioni con i manifestanti[6].
Al Levinsky Park, nel sud di Tel Aviv, dove la seconda più grande tendopoli della città ha resistito per quasi una settimana, lunedì 1° agosto oltre un centinaio di migranti africani e di rifugiati si sono riuniti per una discussione [10] sulle proteste che si stanno svolgendo in tutta Israele sulla qualità della vita.
Non c’è motivo di rassegnarsi all’austerità
Numerosi manifestanti hanno espresso la loro frustrazione per il modo in cui viene utilizzato il ritornello incessante sulla “sicurezza” e la “minaccia del terrorismo” per far sopportare la crescente miseria economica e sociale. Alcuni hanno apertamente messo in guardia rispetto al pericolo che il governo possa provocare scontri militari o addirittura una nuova guerra per ripristinare l’“unità nazionale” e dividere così il movimento di protesta[7]. Apparentemente, il governo Netanyahu al momento sembra essere sulla difensiva, colto di sorpresa e alla ricerca di contentini da offrire per raffreddare il movimento. Resta il fatto che c’è davvero una consapevolezza crescente che la situazione militare e la situazione sociale siano strettamente collegate.
Come sempre, la situazione materiale della classe lavoratrice è la chiave per lo sviluppo della coscienza, e il movimento sociale attuale sta fortemente accelerando la possibilità di inquadrare la situazione militare da un punto di vista di classe. Il proletariato israeliano, spesso descritto dalla sinistra del capitale come una casta “privilegiata” che vive sulla miseria dei palestinesi, paga attualmente molto pesantemente lo sforzo bellico israeliano a livello di vite umane, danni psicologici e impoverimento materiale. Un esempio molto preciso legato ad una delle questioni chiave che stanno dietro il movimento attuale é quello degli alloggi: il governo sta riversando una quantità enormemente sproporzionata di denaro nella costruzione di insediamenti nei territori occupati piuttosto che aumentare lo stock di abitazioni nel resto di Israele.
L’importanza dell’attuale movimento in Israele, nonostante tutte le sue confusioni ed esitazioni, è che esso ha confermato molto chiaramente l’esistenza dello sfruttamento di classe e del conflitto di classe all’interno dell’apparente monolite nazionale di Israele. La difesa delle condizioni di vita della classe operaia si scontrerà inevitabilmente con la richiesta di sacrifici per la guerra; di conseguenza, tutte le questioni politiche concrete poste dalla guerra dovranno essere sollevate, discusse e chiarite: le leggi sull’apartheid in Israele e i territori occupati, la brutalità dell’occupazione, la coscrizione, fino all’ideologia del sionismo e al falso ideale dello Stato ebraico. Certo, queste sono questioni difficili che possono provocare divisioni e vi è stata una forte attenzione a cercare di evitare di sollevarle direttamente. Ma la politica ha un modo di introdursi in ogni conflitto sociale. Un esempio di ciò è stato il crescente conflitto tra i manifestanti e i rappresentanti di estrema destra, i Kahanists che vogliono espellere gli arabi da Israele ed i coloni fondamentalisti che vedono i manifestanti come traditori.
Ma non si farebbe nessun passo avanti se il movimento respingesse queste ideologie di destra e adottasse le posizioni dell’ala sinistra del capitale: sostegno al nazionalismo palestinese, per una soluzione con due Stati o uno “Stato democratico laico”. L’attuale ondata internazionale di rivolte contro l’austerità capitalista sta aprendo la porta a tutt’altra soluzione: la solidarietà di tutti gli sfruttati al di là di ogni divisione religiosa o nazionale; la lotta di classe in tutti i paesi con l’obiettivo finale di un mondo nuovo che sarà la negazione dei confini nazionali e degli Stati. Uno o due anni fa una tale prospettiva sarebbe sembrata completamente utopica ai più. Oggi, un numero crescente di persone si rende conto che una rivoluzione globale costituisce un’alternativa realistica al collasso dell’ordine del capitalista globale.
Amos 7/8/11
[1] Vedi: The real importance of the tent protest [11]
[2] Libcom (abbreviazione di libertarian communism) é un sito web libertario-comunista che ospita anche forum, blog, ecc.
[3] Il termine gauchiste, che per il dizionario di lingua italiana rappresenta chi “milita nella o simpatizza per la sinistra extraparlamentare” (Sabatini Coletti), ha per noi più in generale il significato di chi si fa portatore di una ideologia di sinistra e soprattutto di estrema sinistra borghese.
[4] Taibeh: città della Cisgiordania che dista 30 km a Nord-Est di Gerusalemme.
[5] Il termine Drusi indica i seguaci di una religione, di derivazione musulmana.
[6] Uno degli israeliani che prendeva parte a questi incontri ha descritto gli effetti positivi [12] che le discussioni hanno avuto sullo sviluppo della consapevolezza e della solidarietà: “I nostri ospiti, alcuni con un pio copricapo, ascoltano attentamente la storia relativa ai giovani della classe media ebraica, che sono senza un posto dove vivere, studiare e lavorare. Le tende sono così tante, così piccole. Annuiscono con stupore, esprimendo simpatia o forse anche un certo piacere per le nuove potenzialità che si aprono sul piano della solidarietà. Una lingua tagliente si affretta allora a fare una battuta a cui nessuno di noi avrebbe mai pensato: “Hada Muchayem Lajiyin Israeliyin” – “Un campo profughi per gli israeliani”, esclama.
“Ridiamo a questa battuta intelligente. Nessuna somiglianza di certo - o forse solo un po’, dopo tutto. I giovani di Rothschild [si tratta di Rothschild Boulevard, una delle principali arterie di Tel Aviv, ndr] (che Allah li aiuti, che le loro proteste portino loro dei frutti), sono presumibilmente in grado di alzarsi in qualsiasi momento e di tornare alla vita triste cui erano abituati prima di stabilirsi nel torrido Boulevard. Tuttavia, essi sono condannati a vita ai margini inferiori della catena israeliana di alloggi - senza proprietà, senza terra e senza tetto per loro. Alcune delle donne che abbiamo con noi questa sera - esuberanti, piene di curiosità e amanti del divertimento - hanno vissuto in “veri” campi profughi per la gran parte della loro vita. Alcune sono nate lì, altre si sono sposate e si sono trasferite per condividere il destino di famiglie numerose concentrate in case fatiscenti che erano partite all’inizio come tende provvisorie alla periferia delle città e villaggi della West Bank molti anni fa.
“I residenti arrabbiati dei “campi profughi” di Israele in tutto il paese stanno attraversando in questi giorni un processo di risveglio dalla falsa coscienza che li ha portati a questo momento delicato dell’estate del 2011. Non è un processo facile, ma vale la pena fare lo sforzo per andare alla radice dei nostri problemi. Quelli di noi, che ebbero il privilegio lo scorso fine settimana di ballare, cantare e di abbracciarsi su un terrazzo di Tel Aviv con i nostri amici provenienti dai villaggi e dai campi profughi dei territori occupati, non accetteranno mai di rinunciare al caldo contatto umano con le persone che un tempo consideravamo nemici. Basti pensare a quanti buoni appartamenti potrebbero essere prodotti con il patrimonio sprecato nel corso dei decenni per fortificare lo stupido concetto che tutti quelli che non sono ebrei costituiscono un “pericolo per la nostra demografia”.
[7] Si veda ad esempio l’intervista con Stav Shafir su RT news [13].
Questa violenta accelerazione degli attacchi è l’immediata conseguenza di un nuovo aggravamento della crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008 e che non era mai stata superata, al di là di una relativa ed effimera ripresa della produzione.
Ed infatti i motivi che l’hanno provocata nel 2008 non solo sono tutti lì, ma si sono anche aggravati: i debiti sovrani, cioè i debiti degli Stati, sono ulteriormente aumentati, sia per l’aiuto dato alle banche per salvarle dal fallimento (almeno per alcuni Stati come gli USA), sia per la mancanza di nuove entrate dovuta alla stagnazione dell’economia, un’economia che non è ripartita perché alla base della crisi c’è una carenza di mercati solvibili, cioè di mercati capaci di assorbire, pagandole, tutte le merci che si producono.
Se la “speculazione” si è scatenata contro gli stessi Stati è perché, dopo il venir meno della credibilità (cioè della solvibilità) degli istituti finanziari, è la solvibilità degli Stati a diventare critica: le minori entrate degli Stati, in diminuzione per la recessione, mettono in pericolo la capacità di questi di pagare gli interessi del debito accumulato, il che significa che, per poter convincere il mercato a comprare i propri titoli, gli Stati devono aumentare i loro rendimenti, con il conseguente aggravamento del debito, e così via.
Perciò gli Stati non hanno altra strada che quella di ridurre le proprie spese e cercare di rastrellare risorse dall’insieme della popolazione, ed, evidentemente, in primo luogo dalla classe operaia[2].
E’ quello che da più di due anni sta facendo il governo greco, che ha varato misure di austerità mai viste prima, da nuove tasse su tutto al licenziamento del 20% degli impiegati statali (in Italia una misura di questo tipo significherebbe più di 600.000 licenziamenti).
E’ quello che sta facendo il governo Berlusconi e non solo da questa estate: al blocco dei salari dei lavoratori del P.I. ormai da due anni (e il blocco degli scatti di anzianità significa, per quelli che l’avrebbero maturato in questi anni, la perdita di più di mille euro all’anno, ben più di quello che veniva richiesto con il cosiddetto contributo di solidarietà ai redditi, per es., di 100.000 euro), al licenziamento di più di 100.000 precari della scuola, il più grosso piano di licenziamenti che ci sia mai stato in Italia e passato quasi sotto silenzio (se non fosse per le lotte dei precari), ai ticket sulle ricette per i medicinali si aggiungono ora le misure prese in queste due ultime manovre estive:
Per tornare alla questione economica, ci siamo limitati a ricordare le misure più importanti che il governo ha preso sotto la spinta degli attacchi della speculazione, che rischiavano di far salire gli interessi sui BOT a valori insostenibili per lo Stato. Una speculazione che, da un lato, deriva dalla situazione di perdita di fiducia anche verso gli Stati sovrani e la loro capacità di far fronte ai propri debiti, ma che per l’Italia si acuisce per la presenza di un governo che sempre più si mostra non all’altezza della drammatica situazione economica. Se ne è avuto conferma nella confusione che ha accompagnato il varo di queste due manovre: la prima è stata giudicata, dai mercati e dalla BCE, non abbastanza efficace, almeno per i tempi di attuazione; la seconda ha avuto 4 riscritture prima di arrivare a quella che abbiamo descritto sopra. In più molte delle misure prese, se certamente significano sacrifici ulteriori per i lavoratori e la popolazione, non garantiscono affatto una uscita dalla crisi, anzi alcune hanno effetti controproducenti tali da annullare i benefici che portano al bilancio dello Stato:
La conseguenza di tutto questo è che presto ci vorranno altre manovre, altri sacrifici; e non siamo solo noi a dirlo, ma molti commentatori borghesi stessi: già si vocifera di un intervento più massiccio sulle pensioni, con il probabile allungamento dell’età lavorativa se non la riduzione pura e semplice delle pensioni di anzianità. E’ per questo che si parla ancora di un nuovo governo, un governo più ampio, che abbia la forza e il coraggio di prendere ulteriori misure antipopolari, e magari più efficaci (che è la vera critica che tutta l’opposizione fa a Berlusconi, un leader sempre più preso dai suoi affari personali e che non difende abbastanza gli interessi del capitale nazionale).
Insomma la borghesia si prepara a sferrare nuovi e più pesanti attacchi ai lavoratori, a questi tocca tirare le somme di quanto sta accadendo e prepararsi a loro volta a rispondere agli attacchi con le loro lotte.
Helios, 20/09/2011
[1] Poiché le due manovre si sommano e la seconda riprende anticipando alcune misure prese nella prima, è anche difficile sapere esattamente il valore della cifra che le due manovre si propongono di recuperare.
[2] Per una analisi più approfondita della situazione economica mondiale, vedere l’articolo Crisi economica mondiale: un’estate micidiale [16] e la parte sulla crisi della Risoluzione sulla situazione internazionale del XIX congresso della CCI [17], entrambi pubblicati su CCI online.
[3] Dobbiamo ricordare Termini Imerese, Eutelia, Irisbus, …?
La maggioranza ha tirato un sospiro di sollievo dopo il voto di fiducia dato alla nuova manovra per aver allentato finalmente la pressione dei mercati, della UE e del presidente Napolitano. Ma sembrerebbe che anche l’opposizione parlamentare, nonostante le polemiche di facciata, abbia tratto vantaggio dal passaggio secco di questa manovra. Come dice La Stampa dell’8 settembre riguardo al voto al Senato: “Il voto di fiducia è stato chiesto per evitare sorprese e per abbreviare i tempi di approvazione, malgrado Pd e Terzo polo avessero deciso di dare il via libera alla manovra entro oggi rinunciando a molti emendamenti e riducendo al minimo gli interventi nel dibattito generale.”[1] In altri termini le opposizioni si sono risparmiate finanche di fare quel minimo di sfoggio di opposizione di fronte a delle misure che andavano prese in ogni caso perché, contrariamente a quanto vorrebbero far credere, il problema non è Berlusconi e il suo governo ma la crisi economica internazionale che colpisce tutto il mondo, nessun paese escluso, e che richiede dappertutto misure di una severità del tutto inedita. D’altra parte le opposizioni attuali, ed in particolare le sinistre, si sono già tante volte sporcate le mani nell’appoggiare o nel promuovere in prima persona - quando erano al governo - misure vergognose contro i lavoratori: lo hanno fatto a luglio scorso con la finanziaria, quando hanno difeso “l’onorabilità” dell’Italia nel pagamento del debito pubblico per evitare l’abbassamento del rating; lo hanno fatto votando a favore delle varie missioni di guerra all’estero o conducendo in prima persona la guerra, come per l’intervento contro la Serbia del governo D’Alema nel 1999; lo hanno fatto stravolgendo il mercato del lavoro con l’introduzione legale del precariato e garantendo di fatto il mantenimento e lo sviluppo del lavoro nero, ed ancora appoggiando o promuovendo le più grandi manovre finanziarie come al solito pagate dai lavoratori, come la sonora batosta che dette il governo di “sinistra” Amato. E se qualcuno avesse speranze di un ravvedimento per il futuro, si legga quello che ha detto il “sinistro” del PD Veltroni nel suo intervento alla Camera del 14 settembre: “Non manovre, riforme. Subito un Governo con un ampio sostegno parlamentare che possa affrontare l’emergenza e compiere le scelte più dolorose. È quello che fecero, con successo, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.”[2] Appunto quello che dicevamo! Infatti, le scelte dolorose dei due ex presidenti del consiglio nominati consisterono non solo nel fare man bassa sui conti correnti di tutti gli italiani, racimolando soldi anche dai pensionati, ma anche nel fare tagli e licenziamenti nelle ferrovie e nella scuola, nell’applicare ticket al servizio sanitario. In realtà, quello che la sinistra rimprovera a Berlusconi non è di non fare tagli, ma di non essere capace di affondare fino in fondo il coltello.
Ma, al di là dell’opposizione parlamentare, quali sono le proposte che girano. E’ possibile che ci sia una maniera per risolvere il problema del debito senza intaccare i lavoratori? E chi se ne fa portavoce? Dappertutto è un fiorire di iniziative e discussioni, soprattutto sui social network come Facebook, su come risolvere la questione del debito dello Stato, del deficit, e far riprendere l’economia. Ma quello che caratterizza l’insieme delle proposte è un muoversi all’interno delle compatibilità del sistema capitalista. Molti infatti non credono che sia possibile una società alternativa al capitalismo e si danno da fare per lanciare proposte atte a far quadrare i bilanci di questa società. Ma è possibile?
Si può combattere meglio l’evasione fiscale?
Una prima riguarda la tanto invocata questione dell’evasione fiscale. Per l’Italia effettivamente ci sarebbe da fare non pochi soldi se si potessero mettere le mani su quello che altri non pagano:
“Dieci finanziarie ogni anno. È l'ammontare dell’evasione fiscale in Italia: ogni anno circa 300 miliardi di euro di imponibile vengono sottratte all’erario. Di queste, l’evasione di imposte dirette è 115 miliardi di euro, l'economia sommersa sottrae 105 miliardi, la criminalità organizzata 40 miliardi e 25 miliardi chi ha il secondo o terzo lavoro. La stima è stata fatta da Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it, Associazione contribuenti italiani, elaborando dati ministeriali e dell’Istat.”[3]
E’ proprio su questo che ad esempio punta il dito una serie di associazioni a livello internazionale, legate da una parola d’ordine: “Chiudiamo i paradisi fiscali”[4], e la cui posta viene rincarata da Beppe Grillo quando, rispondendo al presidente dei vescovi italiani cardinale Bagnasco che se la prende con gli evasori fiscali, aggiunge sul suo blog: “Mi trovo per una volta perfettamente d’accordo con Angelo Bagnasco, il presidente dei vescovi. Le sue parole[5] sono miele del deserto (…). Bagnasco dovrebbe far seguire alle parole i fatti, alla predica l’esempio. Proponga il pagamento dell'ICI sui beni immobiliari del Vaticano, ora esenti. Un patrimonio di circa 100.000 fabbricati sui quali non vengono pagati 2 miliardi all'anno[6]. Anche il Vaticano deve fare la "propria giusta parte"”[7].
Il problema è però che l’obiettivo è semplice a dirsi ma complicato da portare avanti. Infatti, se facciamo riferimento alla distribuzione dei 300 miliardi di dollari riportati nella citazione precedente, si capisce come questi non sono capitali che sfuggono all’erario ma sono soltanto l’espressione del particolare funzionamento del capitale nazionale italiano che, con la complicità dei vari governi, trattiene per sé quote di capitale da versare come imposte o perché lavora completamente in nero, come nel caso delle varie mafie, che non sono altro che pezzi di economia che si sono “guadagnate” sul campo una completa indennità fiscale. Incidere su questi capitali nascosti significa per un governo attaccare la stessa classe che rappresenta, e certamente questa non è un’operazione facile da portare avanti. Non è un caso che tutti i governi fanno grandi discorsi contro l’evasione fiscale ma ben pochi fatti. Per quanto poi riguarda la campagna di Grillo sull’applicazione dell’ICI alle proprietà del Vaticano, si tratta di solo 2 miliardi di euro che veramente non cambiano la situazione.
Si possono ridurre o azzerare le spese militari?
Una seconda idea, che viene fuori da tutta l’area pacifista e di sinistra più o meno radicale[8], è quella di azzerare le spese militari, di rinunciare alla partecipazione alle missioni di guerra e, più recentemente, di non acquistare i 131 cacciabombardieri F-35[9]. Il costo di questi caccia è di 16 miliardi di euro, anche se la spesa è spalmata fino al 2026. Ma può uno Stato capitalista privarsi del rinnovo del suo armamentario bellico? Dire di sì significa credere che l’Italia ha inviato l’esercito in Afghanistan, in Libano, nella ex Jugoslavia e altrove per proteggere la popolazione locale e costruire scuole, ospedali ecc. e non per affermare il suo ruolo imperialista nel mondo. D’altra parte per convincersi del grande amore che lo Stato italiano nutre per le popolazioni dei paesi in difficoltà, basta vedere quello che fa per proteggere i profughi che arrivano in Italia, ch sono trattati come clandestini e lasciati in completo abbandono. Dire ad uno Stato che non deve avere armi significa dire ai mafiosi di presentarsi con la chitarra a chiedere i soldi e di mettersi l’avvocato se i commercianti non pagano il pizzo.
Ma perché pagare i debiti dello Stato? Perché non fare come l’Islanda?
Che dire poi della proposta di non pagare il debito estero[10] come sta facendo l’Islanda? In verità, prima di tutto bisogna correggere l’informazione: non si tratta di un debito contratto dallo Stato islandese con banche o Stati esteri. Lo Stato islandese ha nazionalizzato le tre più importanti banche locali, privatizzate nel 2003, poi fallite con la crisi degli anni scorsi. In queste banche avevano investito in conti di risparmio online (IceSave) molti cittadini inglesi e olandesi per i rendimenti elevati. Rendimenti che avevano attratto quantità eccezionali di denaro che superavano di molte volte il Pil nazionale. Dopo il fallimento delle banche, gli investitori esteri sono stati risarciti dai loro governi, soprattutto Gran Bretagna e Olanda, che poi hanno chiesto il rimborso al governo islandese. Data l’enormità della somma da rimborsare rispetto alle esigue finanze di uno Stato da 320 mila abitanti, la popolazione si è rifiutata, attraverso un referendum, di pagare il debito[11]. A prima vista non è successo niente all’Islanda, non sono state viste cannoniere o portaerei all’orizzonte, ma ha avuto il rating del debito sovrano abbassato da Moody's e S&P quasi a spazzatura. Chi presterà più soldi all’Islanda?[12]
Quindi non si tratta di un debito sovrano e soprattutto riguarda uno Staterello. Nel caso, come propongono vari gruppi di estrema sinistra, che l’Italia o la Grecia facessero lo stesso non pagando il loro debito contratto con le istituzioni estere, le cose non andrebbero altrettanto lisce. L’economia sarebbe privata di qualunque aiuto internazionale se non a tassi elevatissimi, tutte le forniture di merci e servizi dall’estero sarebbero sospesi (vedi tra l’altro una quota del 20% dell’energia elettrica consumata nel paese), e il paese crollerebbe in un caos indicibile.
Togliere ai ricchi per dare ai poveri! La colpa è tutta dei banchieri! La società si deve disfare del parassitismo e degli speculatori!
Queste parole d’ordine partono dall’idea che i soldi ci stanno e che basta cercarli dove sono nascosti. Che la società ha tutti i numeri per funzionare bene se non ci fossero i banchieri egoisti e truffatori, se non ci fossero i parassiti e gli speculatori. Ma questa è una falsa impostazione, una mistificazione che serve solo a nascondere alla gente che, all’interno di questo sistema, non c’è niente da fare, non c’è più alcuna possibilità di trovare misure di rilancio dell’economia. E’ questa la posizione che cercano di portare, naturalmente solo a voce, l’insieme dei sindacati e più in generale la sinistra borghese, dal PD a Rifondazione Comunista. In realtà, se si ragiona nel quadro delle compatibilità di questo sistema economico, non si può trovare alcuna soluzione alla crisi del debito, ed in generale dell’economia, semplicemente perché questa crisi non ha soluzione. Questa crisi infatti non è dovuta al gioco spregiudicato di qualche investitore o ai consumi eccessivi di qualche popolazione, ma solo ai meccanismi intrinseci del sistema capitalista che ormai sono andati irreversibilmente in panne[13].
Ma allora, possiamo almeno affidarci ai sindacati?
Per quanto poi riguarda i sindacati, ovvero quelle organizzazioni create dagli stessi lavoratori a costo di lotte lunghe e penose durante la seconda metà del 19° secolo, oggi come oggi queste stesse organizzazioni o si schierano sistematicamente a fianco delle misure governative, come fanno quasi sempre CISL, UIL, UGL, oppure conducono una lotta semplicemente simbolica, come nel caso della CGIL che ha dedicato alla manovra uno sciopero generale il 6 settembre scorso a cui non è seguito nulla più e dopo il quale la manovra è passata liscia come l’olio, trasmettendo di fatto ai lavoratori l’idea che quello che si poteva fare era stato fatto e che di più non si poteva. La verità è che dei sindacati non ci possiamo fidare perché anche loro portano avanti una politica che si muove all’interno delle compatibilità del capitalismo. Finché pensiamo che dobbiamo preoccuparci di risanare i debiti dello Stato, non riusciremo mai a venir fuori da questa logica che ci imprigiona, che ci impedisce di liberare il nostro pensiero, di immaginare che la nostra vera prospettiva è nella lotta senza precondizioni e senza frontiere perché il proletariato non ha nazione e non ha confini. Ma le spinte che vengono dai paesi del nord Africa, dalla Spagna, dalla Grecia e più di recente da Israele aiutano la classe dei proletari a riflettere e a liberarsi dalle false preoccupazioni e ad unirsi alla marea internazionale di lotte che è in corso.
Oblomov,17/9/2011
[1] www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419109
[2] www.camera.it/668?idSeduta=518&resoconto=stenografico&indice=completo&tit=0 [21] oppure beta.partitodemocratico.it/doc/216473/con-la-fiducia-numero-50-passa-alla-camera-una-manovra-iniqua.htm
[3] www.corriere.it/economia/08_settembre_20/evasione_fiscale_ac39d4b0-8701-11dd-bd39-00144f02aabc.shtml [22]
[7] www.beppegrillo.it/2011/08/lici_del_vatica/index.html [26] “Un patrimonio di circa 100.000 fabbricati sui quali non vengono pagati 2 miliardi all’anno. Anche il Vaticano deve fare la “propria giusta parte”.
[8] Vedi ad esempio il PCL di Marco Ferrando: www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=APP&oid=1558 [27].
[10] E’ la proposta che in Italia viene portata avanti ad esempio dal PCL di Marco Ferrando. Vedi www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=APP&oid=1558 [27].
[11] Breve storia della questione: promotori.bancaipibi.it/Sergio-Ardemagni/2011/04/13/debito-sovrano-lislanda-rifiuta-i-risarcimenti-a-gran-bretagna-ed-olanda
[12] Vedi l’evoluzione del rating dell’Islanda riportata nel sito seguente: www.sedlabanki.is/?PageID=789 [29]
Solo pochi anni fa, uomini politici come David Milliband (allora ministro degli Esteri britannico) e il presidente francese Nicolas Sarkozy lustravano le scarpe al presidente siriano Bashar al-Assad e al suo regime di assassini e di torturatori, ma oggi le democrazie occidentali gli chiedono in coro di dimettersi. Le potenze Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia hanno finora dimostrato una complicità molto prudente, ma reale, nella repressione e nelle atrocità dell’esercito siriano, permettendo alle potenze regionali più piccole di esercitare delle pressioni, pur sostenendo le proprie forze “d’opposizione” all’interno del regime (per esempio, l’appoggio della Gran Bretagna ad un importante leader dissidente, Walid al-Bunni e al suo entourage ). A metà agosto, le grandi potenze di cui sopra, con l’Unione europea, hanno congiuntamente invitato Assad a ritirarsi e minacciato di possibile arresto diverse figure di spicco del regime. Alcuni rapporti indicano che gli Stati Uniti hanno chiesto alla Turchia di non mantenere la sua “zona cuscinetto” rispetto alla Siria e di prendere le distanze rispetto ad una tale provocazione. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno notevolmente rafforzato la loro presenza navale nel Mediterraneo al largo delle coste siriane, nel mare Egeo, nell’Adriatico e nel Mar Nero, con una particolare concentrazione in termini di missili anti-missile e di marines. Le democrazie occidentali non si curano affatto della sofferenza della popolazione siriana: tra le altre cose, sono anni che la Gran Bretagna fornisce armi all’esercito siriano per permettergli di reprimere. Ciò che temono di più è che la possibile eliminazione di Assad possa creare una maggiore instabilità e pericoli da parte di “diavoli che ancora non si conoscono”: l’Iran, in particolare, occupa un posto particolarmente importante negli incubi dei ministeri degli Esteri dei paesi occidentali. Tuttavia, l’Arabia Saudita, che ha inviato le sue truppe nel Bahrain per schiacciare le dimostrazioni, è sempre più preoccupata per il crescente rapporto strategico tra la Siria e l’Iran, incluso il loro sostegno a Hezbollah e ad Hamas. Inoltre, “Da qualche tempo, vi sono voci che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait finanziano tranquillamente degli oppositori siriani.”[1]
Il caos delle relazioni imperialiste e le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran
Ai tempi del mondo bipolare della NATO e del Patto di Varsavia, tutto era relativamente semplice nei rapporti imperialistici, ma il crollo dei blocchi ha liberato delle forze centrifughe. Oggi, le alleanze e le rivalità tra le nazioni cambiano in funzione di come tira il vento imperialista dominante. Anche se le relazioni tra Turchia, Iran, Israele, Siria, nelle loro diverse combinazioni, hanno mostrato cambiamenti nel recente passato, la pietra angolare della politica americana e dei suoi necessari piani di guerra è di proteggere Israele e di tenere sotto tiro l’Iran. Una riconciliazione tra Iran e Stati Uniti non è impossibile, ma con il corso degli eventi, uno scontro militare appare più probabile, soprattutto considerando la politica aggressiva che l’imperialismo USA è spinto a condurre per mantenere il suo ruolo di padrino nel mondo.
Le incessanti difficoltà americane in Iraq e la loro tendenza generale a indebolirsi, mantengono in ebollizione l’influenza iraniana in questo paese, soprattutto attraverso la maggiore forza in Iran, i Corpi delle Guardie Rivoluzionarie di Al-Qods. Secondo un rapporto di The Guardian (28 luglio), questa forza tira praticamente le fila del governo iracheno rispetto a quella che è stata una vera guerra tra gli Stati Uniti e gli agenti dell’Iran in Iraq nel corso degli ultimi 8 anni. L’anno scorso, in occasione della riunione a Damasco che ha formato l’attuale governo iracheno, il generale Suleiman, capo di Al-Quds, “era presente (...) con i dirigenti di Siria, Turchia, Iran e di Hezbollah: li ha costretti tutti a cambiare idea e a incoronare Malaki come leader per un secondo mandato”. Il rapporto continua dicendo “che, ad eccezione di due soldati uccisi in Iraq a giugno, da due anni a questa parte il maggior numero di soldati americani sono stati uccisi per opera delle milizie sotto il controllo (della Guardia Rivoluzionaria): le Brigate di Hezbollah e le Brigate del Giorno della Promessa”. L’ambasciatore statunitense in Iraq aveva già riferito che gli agenti iraniani sono responsabili per circa un quarto delle vittime americane in Iraq (1100 morti e migliaia di feriti).
La crescente influenza iraniana in Iraq, lo è anche in Siria. Secondo il Wall Street Journal del 14 aprile anonimi funzionari statunitensi hanno detto che l’Iran ha aiutato le forze di sicurezza siriane nella repressione contro i manifestanti. La Siria è da tempo un corridoio per le armi e l’influenza iraniana verso Hamas a Gaza ed Hezbollah in Libano. Questa influenza è aumentata dopo il ritiro siriano dal Libano nel 2005 e con l’indebolimento delle forze filo-americane nel paese. Anche se hanno i loro propri interessi nazionali da difendere, e anche se hanno delle divergenze – ad esempio su Israele - Damasco e l’Iran vedono la loro alleanza più forte che mai e anche se l’Iran preferirebbe che la clicca Assad resti al potere, nel caso cadesse, allora i loro “partner” lavorerebbero per installare un regime ancora più filo-iraniano.
Nel maggio 2007, l’Istituto Americano per la Pace segnalò che le relazioni tra l’Iran e la Siria si erano approfondite. Non c’è dubbio che l’Iran stia aumentando la propria presenza nel paese. Nel 2006 è stato firmato un nuovo patto di mutua difesa, oltre che un ulteriore accordo di cooperazione militare a metà del 2007. Gli investimenti e gli scambi tra i due paesi sono aumentati e le difficoltà economiche della Siria, con l’impatto dell’aggravarsi della crisi, non possono che rafforzare l’influenza dell’Iran sul paese. In effetti, lo sviluppo della crisi economica sembra rendere più improbabile che gli Stati Uniti siano in grado di espellere l’Iran dalla Siria.
Il ruolo della Turchia
Tutto questo non è una buona notizia per gli interessi dell’imperialismo turco e le sue aspirazioni a giocare un ruolo importante nella regione. Le ondate di profughi siriani sono state un gran problema per la borghesia turca e il primo ministro turco Erdogan ha condannato la “barbarie” del regime siriano. Ugualmente preoccupante è il colpo portato ai suoi sforzi per eliminare il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nel sud-est. The Guardian (Simon Tisdall, World Briefing, 09/08/11) riferisce che molti combattenti del PKK nella regione, compresa la Turchia, Siria, Iran e Iraq sono di origine siriana e ricorda la polveriera degli anni 90, quando la Turchia e la Siria stavano per entrare in guerra per questo. Gli attacchi del PKK contro le truppe turche e i successivi raid aerei, il 17 e 18 agosto nel nord dell’Iraq, non sono certo estranei a un aumento della tensione. Teheran ha anche respinto tutti i tentativi turchi di agire come mediatore con le potenze occidentali.
Naturalmente, la popolazione che si batte in Siria contro la miseria e la povertà ha dimostrato un coraggio straordinario, ma l’estrema debolezza della classe operaia nella regione rendono questi combattenti vulnerabili alla peggiore ideologia borghese: l’imbrigliamento imperialista. Perché tutte le frazioni presenti, al potere o all’opposizione, così come le “grandi democrazie” coinvolte in questo conflitto, utilizzano senza alcuna vergogna le popolazioni locali come carne da cannone per difendere i loro sordidi interessi di cricca.
Baboun, 20/08/11
Links
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Internal_rating_based
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Basilea_2
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Rating
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Boston_Tea_Party
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Default_%28finanza%29
[6] https://it.internationalism.org/en/tag/3/47/economia
[7] https://it.internationalism.org/files/it/images/610x.jpg
[8] https://libcom.org/discussion/israelpalestine-social-protests?page=2
[9] http://www.leninology.co.uk/2011/08/few-observations-on-israels-protests.html
[10] https://www.jpost.com/National-News/African-migrants-meet-with-housing-activists
[11] https://www.972mag.com/the-essence-of-the-tent-protest-2128-72011/
[12] https://mondoweiss.net/2011/08/will-israels-tent-protesters-awaken-to-the-tents-that-came-before-theirs/
[13] https://www.youtube.com/watch?v=6i6JKSGEs8Y&feature=player_embedded#at=31
[14] https://it.internationalism.org/en/tag/4/86/israele
[15] https://it.internationalism.org/en/tag/2/29/lotta-proletaria
[16] https://it.internationalism.org/content/crisi-economica-mondiale-unestate-micidiale
[17] https://it.internationalism.org/content/risoluzione-sulla-situazione-internazionale-del-xix-congresso-della-cci
[18] https://it.internationalism.org/en/tag/4/75/italia
[19] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/economia-italiana
[20] https://it.internationalism.org/en/tag/situazione-italiana/politica-della-borghesia-italia
[21] http://www.camera.it/668?idSeduta=518&resoconto=stenografico&indice=completo&tit=0
[22] https://www.corriere.it/economia/08_settembre_20/evasione_fiscale_ac39d4b0-8701-11dd-bd39-00144f02aabc.shtml
[23] http://www.endtaxhavensecrecy.org/it/about-us
[24] https://www.repubblica.it/politica/2011/08/19/news/manovra-20609878/?ref=HRER1-1
[25] https://www.repubblica.it/esteri/2010/09/24/news/ue_ici_chiesa-7373099/
[26] http://www.beppegrillo.it/2011/08/lici_del_vatica/index.html
[27] https://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=APP&oid=1558
[28] https://www.disarmo.org/rete/a/29509.html
[29] http://www.sedlabanki.is/?PageID=789
[30] https://it.internationalism.org/en/tag/4/83/medio-oriente