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Il fango tossico rosso proveniente dalla fabbrica di alluminio in prossimità della città di Ajka[1], che ha insozzato il Danubio, inondando i corsi d’acqua vicini e i villaggi di Devecser Kolontar (i più toccati), non poteva che generare un sentimento di desolazione. Si tratta del più grave inquinamento che l’Ungheria abbia conosciuto nella sua storia! Sono migliaia i metri cubi di fango tossico che sono stati riversati nella natura. Tuttavia, al di là delle immagini spettacolari del paesaggio devastato dei primi servizi televisivi, un’altra realtà altrettanto scioccante, ma molto meno pubblicizzata, si faceva strada tra le righe dei comunicati ufficiali: quella delle persone morte, nell’immediato e successivamente. L’orrore generato dalla decina di vittime (tra cui una bimba di 14 mesi), dai dispersi, il fatto che più di un centinaio di feriti con gravi lesioni si ritrova oggi in preda ad atroci sofferenze. Questo fango rosso, corrosivo e caustico, contenente metalli pesanti e leggermente radioattivo, provoca in effetti delle forti bruciature e irrita fortemente gli occhi. Migliaia di abitanti hanno deciso di fuggire da casa per evitare di mettere in pericolo la loro salute.
Tutti i drammi umani di questa catastrofe sono stati intenzionalmente nascosti nei commenti che i giornalisti ci hanno presentato. Come al solito la classe dominante ha minimizzato la catastrofe: “Il rischio di inquinamento del Danubio a causa del fango rosso tossico è evitato”. Ecco cosa annunciava il Primo ministro ungherese, Victor Orban, in una conferenza stampa a Sofia solo qualche giorno dopo l’incidente, aggiungendo senza arrossire che “le autorità ungheresi controllavano la situazione”[2]. Allo stesso tempo i giornalisti hanno distolto l’attenzione e la riflessione sulle conseguenze tragiche dell’incidente, contentandosi di immagini spettacolari, destinate a terrorizzare le popolazioni, evitando così ogni vera spiegazione[3]. Comunque, secondo la propaganda dello Stato, gli incidenti industriali legati ai “rischi tecnologici”[4] sono solo “l’inevitabile prezzo da pagare per l’avanzare del progresso”. In altre parole, il fatto che ci siano delle vittime deve essere accettata come una fatalità, per non dire come qualche cosa di “normale”!
Non possiamo che denunciare con rabbia e indignazione questa nauseabonda ideologia e soprattutto la volontà di nascondere degli omicidi programmati da una classe capitalista senza scrupoli. Non possiamo che denunciare con fermezza la barbarie che obbliga le popolazioni a vivere in un ambiente pericoloso, per poi spostare freddamente dei cittadini, come se si spostassero dei polli d’allevamento, dopo che li si è deliberatamente sovraesposti ai rischi, in totale disprezzo della loro vita.
Da tempo erano state individuate delle perdite di fango rosso da un serbatoio difettoso e si sapeva a quali rischi di contaminazione diretta i villaggi vicini e i corsi d’acqua erano sottoposti. L’esposizione delle popolazioni non era un segreto per i padroni e per i politici locali! Ma poiché la prevenzione non è un’attività che rende, la borghesia ha preferito economizzare, anche a costo di giocare alla roulette russa con una parte della popolazione. A questo gioco sono sempre gli stessi che la pagano.
Gli “esperti”, i politici, i padroni e i giornalisti sanno perfettamente che la zona industriale del Danubio è una discarica a cielo aperto, che le istallazioni vecchie, non messe in sicurezza per mancanza di mezzi, non possono che provocare nuove catastrofi delle stesso tipo. Dalle prime fuoriuscite di fango hanno fatto di tutto per minimizzare l’ampiezza dei danni, per sminuire l’impatto della catastrofe. Dopodiché, di fronte all’evidenza, hanno fatto finta di scoprire con sorpresa le condizioni di questa nuova catastrofe, puntando il dito sull’eredità lasciata loro dal periodo del cosiddetto “comunismo”, per meglio assolvere il proprio sistema e la loro responsabilità[5].
Anche se oggi i mezzi di informazione sono passati ad altro, se l’avvenimento non fa più notizia, la catastrofe e le sofferenze non sono ancora terminate!
Questa catastrofe non è né naturale, né è il prodotto della fatalità. Essa è l’espressione della follia distruttrice generata dalla ricerca sfrenata del profitto. La concorrenza sfrenata, in un mondo in cui i mercati si restringono come un tessuto bagnato, obbliga tutti gli industriali e gli Stati ad assumere sempre più rischi, a ridurre sempre più i margini di sicurezza per fare economia. Nello stesso tempo le risorse naturali sono sottoposte dappertutto a un vero saccheggio e sono sottomesse a distruzioni accelerate. La catastrofe in Ungheria ne è un esempio. Non solo il Danubio, secondo fiume europeo per lunghezza, è inquinato, ma certi corsi d’acqua appartenenti al suo bacino idrografico hanno un ecosistema completamente distrutto. E’ il caso del fiume Marcal (che si getta nel Raab, affluente diretto del Danubio) dove i pesci morti galleggiano su un’acqua color ruggine. Ci vorranno molti anni, se non decenni, prima di vedervi rinascere la vita; senza contare i danni prodotti in tutte le terre circostanti e le acque di infiltrazione, di ruscellamento e quelle che filtrano fino ad arrivare nella falda freatica. Più di un migliaio di ettari contaminati hanno ormai danneggiato l’attività agricola e la catena alimentare di questo spazio inquinato. Dopo un certo tempo cosa provocherà la polvere, quando il fango si sarà seccato? Perché è stato appurato che finché i fanghi restano liquidi la loro pericolosità è minore.
Ancora una volta la borghesia mostra il suo disinteresse e il suo disprezzo totale per la vita umana. E non solo il suo istinto di classe è guidato solo dalla sete di un profitto immediato, ma il suo accecamento è tale che essa scivola ogni giorno di più sulla china su cui si trova. Certo, esistono dei borghesi che chiedono al resto della propria classe di frenare la caduta verso la catastrofe. E’ tempo perso, perché la logica generale del capitalismo del profitto immediato, congiunta con l’involuzione attuale nella crisi e dunque nel crollo di intere porzioni di economia, non può che spingere ancora più i rapaci dell’industria e della finanza a succhiare fino al midollo le poche industrie ancora redditizie, le regioni del pianeta in cui è ancora possibile un profitto rapido sfruttando peggio delle bestie i proletari, infischiandosene di ogni misura di sicurezza, troppo “costose”. E questo anche a costo di trascinare con loro, e senza pensarci su un secondo, il resto dell’umanità.
WH (14 ottobre 2010)
[1] A 160 chilometri a ovest della capitale, Budapest.
[3] Ricordiamo, tra l’altro, il silenzio orchestrato non molto tempo fa sugli 11 operai morti a seguito dell’esplosione della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. Tutte le immagini mostrate di questa spettacolare esplosione sono state accompagnate da commenti che hanno sistematicamente omesso di parlare delle vittime (Vedi Révolution Internationale n°413, giugno 2010).
[4] Nei programmi di geografia dei licei francesi esiste un argomento di studio dal titolo « rischi tecnologici ». Una maniera per abituare i giovani ad integrare con fatalismo il fatto che le popolazioni urbane sono sempre più esposte alle catastrofi.
[5] In Francia, a Gardanne (Bouches-du-Rhône), il problema posto da una parte di questi fanghi, in forma liquida, è stata regolata in partenza: sono stati buttate al largo, nel mare Mediterraneo!