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Questo articolo ha l’ambizione di restituire un minimo di memoria storica a quei proletari - e sono tanti - disorientati dal crollo del mito dell’Est e frastornati dalla cagnara di appelli alla difesa della democrazia che oggi si abbatte su di loro (1). Tutti la invocano, dai socialdemocratici di Occhetto ai comunisti democratici di Ingrao, fino ai demo-stalinisti di Cossutta, che spennella lo stalinismo con tre strati di operaismo per rifargli una facciata presentabile.Fuori dei cancelli del PCI, ululano speranzose le varie parrocchie dei trotskysti, che esibiscono i loro titoli di merito come difensori della democrazia di base e si aspettano di incassare finalmente la rendita di mezzo secolo di sostegno “critico” allo stalinismo. In mezzo sta la base operaia, dentro e fuori il PCI, priva di una memoria storica che le permetta di orientarsi in questa baraonda, ma con il vago sospetto che, se tutti parlano bene della democrazia, ci deve stare qualche cosa che non va.A questi proletari sono dedicate le note che seguono, perché sappiano che i loro peggiori sospetti sono ancora inferiori alla realtà e perché non riesca il tentativo dei borghesi di incatenarli a nuove illusioni, ancora più pericolose.
Dal 1921 al 1926: Il PCI dal comunismo all’opportunismoIl PCI (PCd’I) non è stato un partito qualsiasi, ma il migliore fra i partiti della III Internazionale, l’unico partito d’occidente che - dopo l’assassinio di Karl Liebcknecht e Rosa Luxemburg da parte dei socialdemocratici - sia riuscito a dare al movimento comunista un contributo paragonabile a quello dei bolscevichi. Questo risultato fu possibile perché già all’interno del vecchio partito socialista i rivoluzionari si erano costituiti in Frazione Comunista Astensionista, sotto la guida di Amadeo Bordiga. Le esitazioni di alcuni compagni, fra cui Gramsci, ritardarono fino al 1921 la fondazione del PCd’I, sezione della III Internazionale. Il PCI parla del “partito di Gramsci” per nascondere tutto questo, ma Antonio Gramsci a Livorno non prese neanche la parola (e non poteva perché durante la guerra era stato uno dei pochi socialisti tentati di seguire Mussolini nel suo passaggio all’interventismo) e viene accettato solo come semplice iscritto. Fino al 1922 Gramsci e soprattutto Togliatti non emettono la minima riserva sulle posizioni rivoluzionarie di Bordiga, ma nel ‘23 il fascismo incarcera l’intera Direzione di sinistra e l’Internazionale Comunista, che già sta sbandando a destra, ne approfitta per sostituirla con un gruppo di “centro”, guidato da Gramsci, che a Mosca si è avvicinato alla alleanza moderata di Zinoviev e Stalin. Togliatti propone a Bordiga di fare finta di allinearsi “per fottere l’Internazionale” e conservare la direzione. Al suo sdegnato rifiuto passa armi e bagagli nel campo dei centristi. Si crea così una situazione paradossale: un partito quasi totalmente di sinistra è costretto per disciplina ad accettare una direzione di centro che conta ancora meno della minoranza di destra. Ancora al Convegno Nazionale di Como, a metà del ‘24, la Sinistra ha 41 delegati, la destra 10 e la Direzione... 8!
A questo punto è chiaro che non è bastato smantellare la Direzione, è tutto il partito che si deve smantellare. Bordiga viene eletto segretario della Federazione di Napoli ed il Centro lo destituisce, Fortichiari è eletto segretario della Federazione di Milano ed il Centro lo destituisce. Federazione dopo Federazione, il partito, già sotto l’attacco fascista, viene smontato, sostituendo i militanti che hanno la fiducia della base con funzionari che votano come vuole chi paga lo stipendio. Così si prepara il III Congresso e la Sinistra inutilmente protesta contro l’Unità che non pubblica i suoi contributi. Essendo ancora maggioritaria alla base, si costituisce nel ‘25 in Comitato di Intesa per far circolare i documenti della discussione pre-congressuale, ma nel partito è ormai proibito discutere. Il portavoce del Comitato, Girone, viene espulso dal Partito e l’intera Sinistra viene costretta a sciogliere il Comitato, sotto il ricatto di Mosca di essere espulsa in blocco dall’Internazionale. Ogni ostacolo alla liquidazione del partito è ormai rimosso ed i funzionari “bolscevizzatori” scrivono quello che vogliono nei verbali, eliminato ogni controllo della base: contando i voti, risulterà che perfino Bordiga avrebbe votato per la Direzione! Con questi metodi, il Centro si attribuisce più del 90% dei delegati, facendo blocco con la destra ed al Congresso-farsa di Lione può finalmente rinnegare le Tesi di Roma su cui il PCd’I si era costituito. La Sinistra dichiara che “nessuna solidarietà potrà unirci a quegli uomini che abbiamo giudicato (...) come rappresentanti della ormai inevitabile prospettiva dell’inquinamento opportunista del partito”. Il partito di Livorno è cambiato: ha ancora una (ridotta) base operaia, ma non ha più un programma rivoluzionario. Dall’opportunismo alla borghesia, il passo sarà più facile.
Dal 1926 al 1936: dall’opportunismo alla controrivoluzioneIl Congresso truccato di Lione è l’ultimo colpo messo a segno dal presidente centrista dell’Internazionale, Zinoviev, alleato di Stalin. Già alla fine del ‘26 Stalin scarica Zinoviev, che passa all’opposizione con Trotsky, per poi abbandonarlo, senza riuscire con questo a salvare la pelle. La sua sconfitta segna la campana a morto per tutti gli “zinovievisti” dei vari partiti comunisti, che non lo scaricano abbastanza velocemente. Il più veloce è probabilmente Togliatti, che è fra i primi a reclamarne la destituzione da presidente dell’Internazionale. Gramsci, che nel frattempo è caduto in mano fascista, era di tutta altra pasta. Zinovievista convinto, aveva smantellato il partito perché sinceramente persuaso che quei sistemi “sporchi” fossero il male minore e che con i compagni della Sinistra si sarebbe poi trovato un accordo per lottare insieme. Non marxista, ma sincero rivoluzionario, non esitò a scrivere a Togliatti in favore di Zinoviev e Trotsky sottoposti alla emarginazione stalinista. Ma Togliatti era un allievo che aveva superato il maestro: fece sparire la lettera e fece il vuoto intorno a Gramsci, che fu lasciato crepare in carcere nel più totale isolamento, dopo essere stato oggetto di vere e proprie provocazioni (2). Il maestro di Togliatti ora è Stalin che, dopo essersi nel ‘27 sbarazzato di Zinoviev con l’appoggio della destra di Bucharin, nel ‘29 fa una svolta “a sinistra” per poter scaricare Bucharin, che non gli serve più. Nel Centro all’estero del PCI si scatena la lotta fra Togliatti e gli “orfani di Gramsci”, che a suo tempo furono abbastanza furbi da denunciare Zinoviev: entrambi gli schieramenti cercano di farsi riconoscere come gli alfieri della nuova giravolta di Stalin. Come al solito vince Togliatti, che scavalca “a sinistra” Stalin e proclama che in Italia la rivoluzione è alle porte. I “tre” (Leonetti, Ravazzoli, Tresso) che a marzo del ‘30 hanno votato per l’espulsione dal partito del suo fondatore, Amadeo Bordiga, con l’accusa di “trotskysmo”, una volta persa la speranza di prendere il controllo del partito, prendono contatto ad Aprile ... con l’Opposizione Internazionale di Sinistra di Trotsky, di cui erano stati i più feroci persecutori! E la cosa più incredibile è che l’Opposizione li accoglie a braccia aperte, nonostante le riserve politiche della Sinistra Italiana, dato che ora sono pronti a seguire tutte le svolte di Trotsky, come ieri seguivano quelle di Stalin. Così Leonetti, entrato direttamente nella Direzione dell’Opposizione, si può prendere nel ‘32 lo sfizio di espellere dai ranghi dell’Opposizione come “antitrotskysti” quegli stessi compagni della Sinistra Italiana che aveva già espulso come “trotskysti” dal PCI. Bastano questi pochi elementi per capire che non è certo nella tradizione trotskysta italiana che si troveranno gli elementi per rompere con la controrivoluzione togliattiana.
Nel frattempo Togliatti, per farsi bello agli occhi di Stalin, brucia gli ultimi quadri del partito, inviandoli in Italia a prendere la direzione di una rivoluzione che nel 1930 era imminente solo nella sua demagogia. In pochi mesi l’intera rete illegale cade nelle mani della polizia, ma Palmiro ha salvato la poltrona, ed è questo che conta. In tutti questi anni va dunque avanti un duplice processo di smantellamento del partito: da una parte se ne rinnega il programma, dall’altra si escludono quelli che a questo programma rimangono fedeli. Il colpo di grazia è ormai vicino: nel 1933 Hitler prende il potere senza la minima reazione da parte del PC tedesco che invita “ad evitare provocazioni”. Con l’annientamento del PCI, la III Internazionale cessa nei fatti di esistere e Stalin può sancire la fine della Rivoluzione Russa: nel 1935 la Russia viene riconosciuta degna di entrare a far parte della “Società delle Nazioni”, quella che Lenin chiamava “il covo dei briganti”.
Nello stesso anno Stalin firma col governo borghese di Francia un patto di alleanza antitedesco, approvando “la politica di difesa nazionale” di questa ultima, e subito il PC francese vota a favore del piano di riarmo imperia1ista della nazione, “in difesa della pace”, naturalmente. Tutti i PC, ridotti a marionette, battono le mani, ma il compito più schifoso tocca al PCI, che ha l’incarico di cercare di staccare Mussolini da Hitler, identificandosi col nazionalismo anti-tedesco. Nell’agosto ‘36 Togliatti lancerà il famoso appello ai fascisti:
“Diamoci la mano, figli della Nazione Italiana! Diamoci la mano, fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni. Diamoci la mano, e marciamo fianco a fianco.”
Se si cancella l’aggettivo fascisti, si ritrova qui anticipata la linea del PCI, dalla resistenza alla recente fase della “solidarietà nazionale”.A questo punto, il partito di Livorno non esiste più. La Frazione di Sinistra del PCI, che da molti anni è costretta dalle espulsioni ad agire fuori del partito, lancia un appello ai compagni: “Fuori dai Partiti Comunisti, diventati strumenti del capitalismo mondiale” (luglio ‘35) e cambia il suo nome in Frazione Italiana della Sinistra Comunista. Gli anni che seguono dimostreranno che il capitalismo mondiale aveva trovato nel Partiti Comunisti degli strumenti preziosi.
Federico
1. I compagni non sono tenuti a credere ad occhi chiusi nemmeno a noi. I fatti da noi citati sono controllabili nelle Storie del PCI di Paolo Spriano (ed. Einaudi) e Giorgio Galli (ed. Bompiani), nel “Saggio sulla politica comunista in Italia 1921-1970” di Danilo Montaldi (ed. Quaderni Piacentini) e, infine, nella “Storia della Sinistra Comunista Italiana”, pubblicata dalla nostra organizzazione.
2. II giudice istruttore dirà a Gramsci: “Lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera” (lettera a Tania, 5/12/1932).