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I recenti avvenimenti nei paesi a regime stalinista, scontri alla testa del partito e repressione in Cina, esplosioni nazionaliste e lotte operaie in URSS, costituzione in Polonia di un governo diretto da Solidarnosc, rivestono un’importanza considerevole. Essi rivelano la crisi storica, l’entrata in un periodo di convulsioni acute dello stalinismo. In questo senso, essi ci danno la responsabilità di riaffermare, precisare e attualizzare la nostra analisi sulla natura di questi regimi e le loro prospettive di evoluzione.
1) Le convulsioni che scuotono attualmente i paesi a regime stalinista non possono essere compresi al di fuori del quadro generale di analisi, valido per tutti i paesi del mondo, della decadenza del modo di produzione capitalista e dell’inesorabile aggravarsi della sua crisi. Tuttavia un’analisi seria della situazione attuale di questi paesi deve necessariamente prendere in conto le specificità dei loro regimi. Questo esame dei caratteri particolari dei paesi dell’est è stato fatto dalla CCI a più riprese, in particolare in occasione delle lotte operaie dell’estate 1980 in Polonia e della costituzione del sindacato “indipendente” Solidarnosc.
Così, nel dicembre 1980 il quadro generale di questa analisi era stato abbozzato in questi termini:
“Come per l’insieme dei paesi di questo blocco (quello dell’est) la situazione in Polonia si caratterizza per:
a) l’estrema gravità della crisi, che getta oggi milioni di. proletari in una miseria vicina alla fame;
b) la grande rigidità delle istituzioni, che non lasciano praticamente alcun posto per il possibile sorgere di forze politiche borghesi di opposizione capaci di giocare un ruolo di tampone: in Russia, come nei suoi paesi satelliti, ogni movimento di contestazione rischia di cristallizzare l’enorme malcontento che esiste nel seno di un proletariato e di una popolazione sottomessa da decenni alla più violenta delle controrivoluzioni, che è stata proporzionata al formidabile movimento di classe che ha dovuto schiacciare, la rivoluzione del 1917;
c) l’enorme importanza del terrore poliziesco come mezzo praticamente unico di mantenimento dell’ordine.” (Révue Internationale n.24, pag. 2)
Nell’ottobre del 1981, due mesi prima dell’instaurazione dello “stato d’assedio”, nel momento in cui si accentuava la campagna governativa contro Solidarnosc, tornavamo su questa questione nei seguenti termini:
“... gli scontri fra Solidarnosc e POUP non sono una semplice farsa, come non è solo farsa l’opposizione fra destra e sinistra nei paesi occidentali. Tuttavia in occidente il quadro istituzionale permette, in generale, di “gestire” queste opposizioni in maniera che esse non minaccino la stabilità del regime e che le lotte per il potere siano contenute e si risolvano nella formula più appropriata per affrontare il nemico proletario. Al contrario, se in Polonia la classe dominante è arrivata, con molta improvvisazione, ma per il momento con successo, a instaurare dei meccanismi di questo tipo, niente ci porta a dire che si tratti di una formula definitiva ed esportabile verso altri paesi ‘fratelli’. Le stesse invettive che servono a credibilizzare un partner—avversario, quando questo è indispensabile al mantenimento dell’ordine, possono accompagnare la sua eliminazione quando esso non è più utile (...). Costringendola a una divisione dei compiti alla quale la borghesia dell’est è strutturalmente refrattaria le lotte proletarie hanno creato una contraddizione vivente. E’ ancora troppo presto per prevedere come si risolverà. Di fronte a una situazione storicamente inedita..., il compito dei rivoluzionari è di mettersi con modestia all’ascolto dei fatti”. (Rèvue Internationale n. 27, pag.7)
Infine, a seguito dell’instaurazione dello stato d’assedio in Polonia e della messa fuori legge di Solidarnosc, la CCI era stata portata a sviluppare questo quadro di analisi (Rèvue Internationale n.34) a partire dal quale, con gli opportuni aggiornamenti, possiamo capire quello che succede oggi in questa parte del mondo.
2) “La caratteristica più evidente, la più generalmente conosciuta dei paesi dell’est, quella su cui d’altra parte riposa il mito della loro natura “socialista”, sta nel grado estremo di statizzazione della loro economia (...). Il capitalismo di Stato non è un fenomeno proprio solo di questi paesi. E’ un fenomeno che proviene innanzitutto dalle condizioni di sopravvivenza del modo di produzione capitalista nel periodo di decadenza: di fronte alle minacce di disintegrazione di un’economia e di un corpo sociale sottomessi a delle contraddizioni crescenti, di fronte all’inasprirsi delle rivalità commerciali e imperialiste che la saturazione generale dei mercati provoca, solo un rafforzamento permanente del posto dello Stato nella società permette di mantenere un minimo di coesione in questa e di assicurare la sua militarizzazione crescente. Se la tendenza al capitalismo di Stato è dunque un dato storico universale essa non tocca tuttavia in maniera identica ogni paese”. (Rèvue Internationale n.34, pagg. 4 e 5)
3) Nei paesi avanzati, dove esiste una vecchia borghesia industriale e finanziaria, questa tendenza si manifesta in generale attraverso un’intersecazione dei settori “privati” e dei settori statali. In questo tipo di sistema la borghesia “classica” non è privata del suo capitale e conserva l’essenziale dei suoi privilegi. D’altra parte il ruolo dello Stato non si manifesta tanto attraverso la nazionalizzazione dei mezzi di produzione quanto attraverso l’azione di un insieme di strumenti di bilancio, finanziari, monetari e legislativi che gli permettono in ogni. momento di orientare le grandi scelte economiche, senza per questo rimettere in causa i meccanismi del mercato.
Questa tendenza al capitalismo di Stato “prende le sue forme più estreme dove il capitalismo conosce le contraddizioni più brutali, dove la borghesia classica è più debole. In questo senso, la presa in carico diretta da parte dello Stato dell’essenziale dei mezzi di produzione che caratterizza il blocco dell’Est (e in larga misura del “terzo mondo”) è in primo luogo una manifestazione dell’arretratezza e della fragilità della sua economia.” (ibidem, pag.5)
4) “Esiste un legame stretto fra le forme di dominazione economica della borghesia e le forme della sua dominazione politica” (ibidem):
— un capitale nazionale sviluppato, detenuto in maniera “privata” dai differenti settori della borghesia, trova nella “democrazia” parlamentare il suo apparato politico più appropriato;
— “alla statalizzazione quasi completa dei mezzi di produzione corrisponde il potere totalitario di un partito unico” (1).
Tuttavia, “il regime di partito unico non è una caratteristica propria dei paesi dell’est o di quelli del ‘terzo mondo’. Esso è esistito per decenni in paesi dell’Europa occidentale come l’Italia, la Spagna, il Portogallo. L’esempio più notevole è evidentemente quello del regime nazista che dirige tra il 1933 e il 1945 il paese più sviluppato e potente d’Europa. Nei fatti la tendenza storica verso il capitalismo di Stato non implica solo un aspetto economico. Essa si manifesta anche attraverso una crescente concentrazione del potere politico nelle mani dell’esecutivo a detrimento delle forme classiche della democrazia borghese, il parlamento e il gioco partitico. Mentre i partiti politici, nei paesi sviluppati del 19° secolo, erano i rappresentanti della società civile nel o presso lo Stato, con la decadenza del capitalismo essi si trasformano in rappresentanti dello Stato nella società civile” (il caso più evidente è quello degli antichi partiti operai incaricati oggi di inquadrare la classe operaia dietro lo Stato). “Le tendenze totalitarie dello Stato si esprimono, compreso nei paesi in cui sussistono gli ingranaggi formali della democrazia, attraverso una tendenza al partito unico che trova le sue concretizzazioni più nette nei momenti di convulsioni acute della società borghese: ‘Unione nazionale’ durante le guerre imperialiste, convergenza di tutte le forze borghesi dietro i partiti di sinistra nei periodi rivoluzionari, (...)“.
5) “La tendenza al partito unico trova raramente la sua piena realizzazione nei paesi più sviluppati. Gli USA, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Scandinavia non hanno mai conosciuto un tale tipo di regime. Quando questo avvenne in Francia, sotto il regime di Vichy, fu essenzialmente legato all’occupazione del paese da parte dell’esercito tedesco. Il solo esempio storico di un paese pienamente sviluppato in cui questa tendenza sia giunta fino in fondo è quello della Germania” (per delle ragioni che la Sinistra Comunista ha analizzato da lungo tempo).
“(...) Se negli altri paesi avanzati le strutture politiche e i partiti tradizionali si sono mantenuti è perché essi si sono rivelati sufficientemente solidi, per la loro vecchia influenza, per la loro esperienza, per i loro legami con il potere economico, per la forza delle mistificazioni di cui erano portatori, per assicurare la stabilità e la coesione del capitale nazionale di fronte alle difficoltà affrontate da essi (crisi, guerra, lotte sociali).” (ibidem).
In particolare, lo stato dell’economia di questi paesi, la potenza conservata dalla borghesia classica non necessitavano né permettevano l’adozione di misure “radicali” di statalizzazione del capitale che solo le strutture e i partiti “totalitari” sono in grado di mettere in opera.
6) “Ma quello che nei paesi più sviluppati non esiste che come eccezione, nei paesi arretrati è la regola nella misura in cui non esiste alcuna delle condizioni che abbiamo enumerato e in cui questi paesi sono quelli che subiscono più violentemente le convulsioni della decadenza capitalista”. (ibidem)
Così, nelle antiche colonie arrivate alla “indipendenza” nel corso del 20° secolo (in particolare dopo la II guerra mondiale) la costituzione di un capitale nazionale è stato per lo più realizzata attraverso e intorno allo Stato, in generale sotto la guida, in assenza di una borghesia autoctona, di intellettuali formati nelle università europee. In certe circostanze si è potuto vedere anche la giustapposizione e la cooperazione di questa nuova borghesia di Stato con i resti di vecchie classi sfruttatrici precapitaliste.
“Tra i paesi arretrati quelli dell’est occupano un posto particolare. Ai fattori direttamente economici che spiegano il peso che vi occupa il capitalismo di Stato si sovrappongono fattori storici e geopolitici: le circostanze della costituzione dell’URSS e del suo impero.” (ibidem)
7) Lo Stato capitalista in URSS si ricostituisce sulle rovine della rivoluzione proletaria. La debole borghesia dell’epoca zarista era stata completamente eliminata dalla rivoluzione del 1917 (...) e dalla sconfitta delle armate Bianche. Perciò non è né essa né i partiti tradizionali che prendono in carica in Russia l’inevitabile controrivoluzione derivante dalla sconfitta della rivoluzione mondiale. Questo compito è affidato allo Stato che è sorto dopo la rivoluzione e che ha rapidamente assorbito il partito bolscevico (...). Così la classe borghese si ricostituisce non a partire dalla vecchia borghesia (se non in maniera eccezionale e individuale) né a partire da una proprietà individuale dei mezzi di produzione, ma a partire dalla burocrazia del Partito-Stato e dalla proprietà statale dei mezzi di produzione. In Russia la somma dei fattori, arretratezza del paese, distruzione della borghesia classica, schiacciamento fisico della classe operaia, hanno quindi portato la tendenza universale al capitalismo di Stato alle sue forme più estreme: statalizzazione quasi completa dell’economia, dittatura totalitaria del partito unico. Non dovendo più disciplinare i diversi settori della classe dominante o conciliare eventualmente con gli interessi economici di questa, perché ha completamente assorbito la classe dominante identificandosi con essa, lo Stato ha potuto quindi fare a meno delle forme politiche classiche della società borghese (democrazia e pluralismo), anche come finzione. (ibidem, pag. 5 e 6)
8) La stessa brutalità, la centralizzazione estrema con cui il regime dell’URSS esercita il suo potere sulla società si ritrovano nella maniera in cui questa potenza stabilisce e conserva la sua dominazione sull’insieme dei paesi del suo blocco. E’ unicamente basandosi sulla forza delle armi che la Russia si è costituita un impero, sia nel corso stesso della seconda guerra mondiale (sottomissione dei paesi baltici e dell’Europa centrale), sia grazie alle differenti guerre di “indipendenza nazionale” che fanno seguito a questa (come fu per la Cina o il Nord Vietnam per esempio), o ancora in occasione di colpi di stato militari (Egitto 1952, Etiopia 1974, Afghanistan 1978, per esempio). Alla stessa maniera l’utilizzazione della forza delle armi (Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, Afghanistan 1979, per esempio), o la minaccia di questa utilizzazione, costituisce la forma praticamente esclusiva del mantenimento della coesione del suo blocco.
9) Allo stesso titolo della forma del suo capitale nazionale e del suo regime politico, questo modo di dominazione imperialista risulta fondamentalmente dalla debolezza economica dell’URSS (la cui economia è più arretrata della maggior parte dei suoi vassalli).
“Paese di gran lunga il più sviluppato del suo blocco, prima potenza economica e finanziaria del mondo, gli USA si assicurano il loro dominio sui principali paesi del loro impero, che sono anch’essi dei paesi pienamente sviluppati, senza fare appello necessariamente alla forza militare, così come questi paesi non hanno bisogno della repressione permanente per assicurare la loro stabilità. (...) E’ in maniera ‘volontaria’ che i settori dominanti delle principali borghesie occidentali aderiscono all’alleanza americana: essi vi trovano vantaggi economici, finanziari, politici e militari (l’ombrello americano di fronte all’imperialismo russo).” (ibidem, pag.7)
Al contrario, l’appartenenza di un capitale nazionale al blocco dell’est ai traduce in generale per la sua economia in un handicap catastrofico (principalmente per il saccheggio diretto di questa economia esercitato dall’URSS).
“In questo senso tra i principali paesi del blocco americano non esiste nessuna ‘spontanea propensione’ a passare nell’altro blocco come è invece successo nell’altro senso (cambiamento di campo della Yugoslavia nel 1948, della Cina alla fine degli anni ‘60, tentativi dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968)”. (ibidem). La permanenza di forze centrifughe in seno al blocco russo spiega dunque la brutalità della dominazione imperialista che vi viene esercitata. Essa spiega ugualmente la forma dei regimi politici che dirigono questi paesi.
10) “La forza e la stabilità degli USA permettono loro di accettare l’esistenza di qualsiasi tipo di regime all’interno del loro blocco: dal regime ‘comunista’ cinese a quello ‘anticomunista’ di Pinochet, dalla ‘democratica’ Inghilterra, dalla bicentenaria repubblica francese alla monarchia feudale saudita, dalla Spagna franchista alla Spagna social-democratica.” (ibidem).
Al contrario, “il fatto che l’URSS (...) non possa mantenere il controllo del suo blocco che attraverso la forza delle armi determina il fatto che i suoi satelliti siano dotati di regimi che, come il suo, non possono mantenere il loro controllo sulla società che attraverso la stessa forza delle armi (polizia e istituzione militare)” (ibidem).
Inoltre è unicamente dai partiti stalinisti che la Russia può attendersi un minimo (e nemmeno è sicuro!) di fedeltà dal momento che l’accesso e il mantenimento al potere di questi partiti è essenzialmente dipendente dal sostegno diretto dell’Armata Rossa. “Per questo fatto, (...) se il blocco americano può perfettamente ‘gestire’ la ‘democratizzazione’ di un regime fascista o militare quando questo diventa utile (Giappone, Germania, Italia l’indomani della guerra, Portogallo, Grecia, Spagna negli anni ‘70), l’URSS non può accettare alcuna ‘democratizzazione’ in seno al suo blocco.” (ibid.) Un cambiamento di regime politico in un paese “satellite” porta con sé la minaccia diretta del passaggio di questo paese nel blocco avversario.
11) Il rafforzamento del capitalismo di Stato è un dato permanente e universale della decadenza del capitalismo. Tuttavia, come si è visto, questa tendenza non si esprime necessariamente sotto la forma della statalizzazione completa dell’economia, l’appropriazione diretta da parte dello Stato dell’apparato produttivo. In certe circostanze storiche quest’ultima costituisce l’unica via possibile per il capitale nazionale, oppure la formula più adatta alla sua difesa e al suo sviluppo. Ciò è valido principalmente per le economie arretrate, ma in certe condizioni (i periodi di ricostruzione per esempio) è valido anche per delle economie sviluppate, come quelle della Gran Bretagna e della Francia dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia questa forma particolare di capitalismo di Stato comporta gravi inconvenienti per l’economia nazionale.
Nei paesi più arretrati la confusione tra l’apparato politico e quello economico permette e genera lo sviluppo di una burocrazia completamente parassitaria, la cui sola preoccupazione è di riempirsi le tasche, di saccheggiare in maniera sistematica l’economia nazionale per costituirsi delle fortune colossali: i casi di Batista, Marcos, Duvalier, Mobutu sono molto conosciuti, ma sono lungi dall’essere i soli. Il furto, la corruzione e il racket sono dei fenomeni generalizzati nei paesi sottosviluppati e infettano tutti i livelli dello Stato e dell’economia. Questa situazione costituisce evidentemente un handicap supplementare per queste economie, che contribuisce a gettarle sempre più nel baratro.
Nei paesi avanzati la presenza di un forte settore statale tende ugualmente a convertirsi in handicap per l’economia nazionale man mano che la crisi mondiale si aggrava. In effetti in questo settore il modo di gestire le imprese, la loro struttura di organizzazione del lavoro e della mano d’opera, limitano molto spesso il loro adattamento al necessario aumento della competitività. “Servitori dello Stato”, vestali del “servizio pubblico”, che godono per lo più della garanzia dell’impiego con il vantaggio che la loro impresa (lo Stato stesso) non può fallire e chiudere i battenti, la strato dei funzionari anche quando non pratica la corruzione non è necessariamente il più capace di adattarsi alle leggi impietose del mercato. Nella grande ondata di “privatizzazioni” che tocca attualmente la maggior parte dei paesi occidentali avanzati bisogna vedere, di conseguenza, non solo una maniera di limitare l’estendersi dei conflitti di classe sostituendo il padrone unico, lo Stato, con una moltitudine di padroni, ma anche un mezzo per rinforzare la competitività dell’apparato produttivo.
12) Nei paesi a regime stalinista, il sistema della “Nomenclatura”, dove le responsabilità economiche, nella quasi totalità dei casi, sono legate essenzialmente al posto occupato nell’apparato del partito, sviluppa su scala ancora più vasta gli ostacoli a un miglioramento dell’apparato produttivo. Mentre l’economia “mista” esistente nei paesi sviluppati d’occidente costringe un poco le imprese pubbliche e anche le amministrazioni a una minima preoccupazione per la produttività e la redditività, la forma di capitalismo di stato prevalente nei paesi a regime stalinista ha per caratteristica di deresponsabilizzare completamente la classe dominante. Di fronte a una cattiva gestione la sanzione del mercato non esiste più e le sanzioni amministrative non sono usuali perché è tutto l’apparato, dall’alto in basso, che manifesta una tale irresponsabilità.
Fondamentalmente la condizione per il mantenimento dei privilegi è la servilità rispetto alla gerarchia di questo apparato o di fronte a questa o quella delle sue cricche. La prima preoccupazione della maggior parte dei “responsabili”, sia economici che politici (e in generale si tratta delle stesse persone), non è quella di far fruttificare il capitale, ma di utilizzare il loro posto per riempire le loro tasche e quelle della loro famiglia e dei loro fedeli, senza la minima preoccupazione per il buon andamento delle imprese o dell’economia nazionale. Un tale modo di “gestione” non esclude, evidentemente, uno sfruttamento feroce della forza lavoro. Ma questa ferocia non riguardano in generale l’imposizione di norme di lavoro che permettano di aumentare la produttività. Essa si manifesta essenzialmente nel livello di vita miserabile degli operai e la brutalità con cui viene risposto alle loro rivendicazioni.
In sintesi questo tipo di regime si può caratterizzare come il regno dei corrotti, dei piccoli capi incompetenti e ringhiosi, dei prevaricatori cinici, dei faccendieri senza scrupoli e dei poliziotti. Queste caratteristiche appartengono a tutta la società capitalista e non fanno che rafforzarsi con la sua decomposizione, ma quando esse si sostituiscono completamente alla competenza tecnica, allo sfruttamento razionale della forza lavoro e alla ricerca della competitività sul mercato, esse compromettono in maniera radicale lo stato dell’economia nazionale. In queste condizioni, le economie per lo più già considerevolmente arretrate di questi paesi sono particolarmente mal armate per affrontare la crisi capitalista e l’inasprirsi della concorrenza che essa provoca sul mercato mondiale.
13) Di fronte al fallimento totale dell’economia di questi paesi la sola soluzione che possa permettere se non di arrivare a una vera competitività ma almeno di conservare la testa fuori dall’acqua consiste nell’ introduzione di meccanismi che consentano una vera responsabilizzazione dei suoi dirigenti. Questi meccanismi presuppongono una “liberalizzazione” dell’economia, la creazione di un mercato interno che sia tale, una più grande “autonomia” delle imprese e lo sviluppo di un forte settore “privato”. E’ questo d’altra parte il programma della “perestroika”, come del governo Mazowiecki in Polonia e di Deng Xiaoping in Cina. Tuttavia anche se un tale programma diventa sempre più indispensabile, la sua messa in atto comporta degli ostacoli praticamente insormontabili.
In primo luogo un tale programma implica l’instaurazione della “verità dei prezzi” sul mercato; questo vuol dire che i prodotti di corrente consumo, e anche di prima necessità, che oggi sono sovvenzionati dallo Stato, saranno destinati ad aumentare in maniera vertiginosa: gli aumenti del 500% che si sono visti in Polonia nell’agosto 1989 danno un’idea di quello che attende la popolazione, e in particolare la classe operaia. L’esperienza passata (e anche presente) della stessa Polonia dimostrano che una tale politica può provocare delle violente esplosioni sociali che ne compromettono la applicazione.
In secondo luogo questo programma prevede la chiusura delle fabbriche non “redditizie” (che sono tantissime) o riduzioni sensibili dei loro occupati. La disoccupazione (che attualmente si presenta in maniera marginale) si svilupperà in maniera massiccia, costituendo una ulteriore minaccia per la stabilità sociale visto che il pieno impiego era una delle rare garanzie di cui disponevano ancora gli operai e costituiva uno dei mezzi di controllo di una classe operaia esasperata per le sue condizioni di esistenza. Ancora più che nei paesi occidentali, nei paesi dell’est la disoccupazione di massa rischia di trasformarsi in una vera bomba sociale.
In terzo luogo, la “autonomia” delle imprese si scontra con la accanita resistenza di tutta la burocrazia economica la cui ragion d’essere ufficiale è quella di pianificare, organizzare e controllare l’attività dell’apparato produttivo. La notevole inefficienza di cui essa ha finora dato prova in questo compito la spinge al sabotaggio delle “riforme”.
14) Infine, l’apparizione, accanto alla borghesia di Stato, di uno strato di “manager” alla occidentale costituisce per la prima (che è integrata nell’apparato di potere politico) una concorrenza inaccettabile. Il carattere essenzialmente parassitario della sua esistenza sarà messo a nudo in maniera impietosa, il che minaccerà, in breve tempo, non solo il suo potere ma anche l’insieme dei suoi privilegi economici. Per il partito nel suo insieme, la cui ragion d’essere risiede nella messa in applicazione e nella direzione del “socialismo reale”, è tutto il suo programma, la sua identità stessa che sono rimessi in causa.
L’evidente scacco della “perestrojka” di Gorbaciov, come d’altra parte di tutte le precedenti riforme dello stesso tipo, rende conto in maniera chiara di queste difficoltà. Nei fatti, la messa in atto effettiva di tali “riforme” non può condurre che a un conflitto aperto tra i due settori della borghesia, quella di Stato e la borghesia “liberale” (anche se quest’ultima si ritrova anch’essa in una parte dell’apparato di Stato). La conclusione brutale di questo conflitto, quale si è visto recentemente in Cina, dà un’immagine delle forme che esso può rivestire negli altri paesi a regime stalinista.
15) Come esiste un legame stretto fra la forma dell’apparato economico e la struttura dell’apparato politico, così la riforma dell’una si ripercuote necessariamente sull’altro. La necessità di una “liberalizzazione” dell’economia trova la sua espressione nel sorgere, in seno al partito o al di fuori di esso, di forze politiche che si fanno portatrici di questa necessità. Questo fenomeno genera delle forti tendenze alla scissione in seno al partito, come la creazione di formazioni “indipendenti” che si richiamano in maniera più o meno esplicita al ristabilimento delle forme classiche del capitalismo, come è il caso di Solidarnosc. (2)
Una tale tendenza all’apparizione di parecchie formazioni politiche, con programmi economici differenti, porta con sé la pressione in favore del riconoscimento legale del “multipartitismo” e del “diritto di associazione”, di elezioni “libere”, di “libertà di stampa”, in breve degli attributi classici della democrazia borghese. In più, una certa libertà di critica, “l’appello all’opinione pubblica”, possono essere delle leve per scalzare i burocrati “conservatori” che si impuntano. E’ perciò che i “riformatori” sul piano economico lo sono anche sul piano politico. E’ per questa ragione che la “perestrojka” è accompagnata dalla “glasnost”. Inoltre la “democratizzazione”, compresa l’apparizione di forze politiche di “opposizione”, può, in certe circostanze, come in Polonia nel 1980 e nel 1988 e in Russia oggi, costituire una diversione e un mezzo di inquadramento di fronte all’esplosione del malcontento della popolazione, in particolare della classe operaia. Quest’ultimo elemento costituisce, evidentemente, un fattore supplementare di pressione in favore delle “riforme politiche”.
16) Tuttavia, come la “riforma economica” si è data dei compiti praticamente irrealizzabili, così la “riforma politica” ha ben poche possibilità di successo. L’introduzione effettiva del “pluripartitismo” e di elezioni “libere”, che è la conseguenza logica di un processo di “democratizzazione”, costituisce una vera minaccia per il partito al potere. Come si è recentemente visto in Polonia e in una certa misura anche in Russia l’anno scorso, tali elezioni non possono condurre che alla messa in evidenza del completo discredito, del vero odio verso il Partito in seno alla popolazione. Nella logica di tali elezioni la sola cosa che il Partito possa attendersi è quindi la perdita del suo potere. Ciò è qualcosa che il Partito, a differenza dei partiti “democratici” di occidente, non può tollerare dato che:
- se esso perdesse il potere tramite le elezioni non potrebbe mai riconquistarlo con lo stesso mezzo;
- la perdita del suo potere politico significherebbe concretamente l’espropriazione della classe dominante poiché il suo apparato é appunto la classe dominante.
Mentre nei paesi ad economia “liberale” o “mista”, in cui si mantiene una classe borghese classica, direttamente proprietaria dei mezzi di produzione, il cambiamento del partito al potere (a meno che non si tratti appunto di un partito stalinista) non ha che un debole impatto sui suoi privilegi e sul suo posto nella società, un evento simile in un paese dell’est significa, per la grande maggioranza dei burocrati piccoli e grandi, la perdita dei loro privilegi, la disoccupazione, e anche persecuzioni da parte dei loro vincitori. La borghesia tedesca ha potuto adattarsi al “kaiser”, alla repubblica socialdemocratica, al totalitarismo nazista, alla repubblica “democratica”, senza che fosse messo in causa l’essenziale dei suoi privilegi. Un cambiamento di regime in URSS, invece, significherebbe in questo paese la sparizione della borghesia nella sua forma attuale come del partito. E se un partito politico può suicidarsi, pronunciare la sua autodissoluzione, una classe dominante e privilegiata non si suicida.
17) E’ perciò che le resistenze che si manifestano, all’interno dell’apparato dei partiti stalinisti dei paesi dell’est contro le riforme politiche, non possono essere ridotte al timore dei burocrati più incompetenti di perdere il loro posto e i loro privilegi. E’ il partito come corpo, come entità sociale e come classe dominante che si esprime attraverso queste resistenze.
D’altra parte, quello che scrivevamo nove anni fa: “ogni movimento di contestazione rischia di cristallizzare l’enorme malcontento che esiste in seno a un proletariato e una popolazione sottomessi da decenni alla più violenta delle repressioni”, resta valido ancora oggi. In effetti, anche se le “riforme democratiche” hanno come uno dei loro obiettivi di costituire una valvola di sfogo dell’enorme rabbia che esiste nella popolazione, esse comportano anche il rischio di permettere l’emergere di questa rabbia sotto forma di esplosioni incontrollabili. Quando le manifestazioni di malcontento non sono più passibili di essere schiacciate con il sangue e con gli arresti in massa, esse rischiano di esprimersi apertamente e violentemente. Quando la pressione nella pentola diventa troppo forte, il vapore che si vuole far uscire dalla valvola rischia di far saltare il coperchio.
In una certa misura gli scioperi dell’estate scorsa in Russia sono un’illustrazione di questo fenomeno. In un contesto diverso da quello della perestrojka l’esplosione della combattività operaia non avrebbe potuto estendersi in questa maniera o con una tale durata. Lo stesso si può dire per quello che riguarda l’attuale esplosione dei movimenti nazionalisti in questo paese che mette in evidenza il pericolo che la politica di “democratizzazione” rischia di far correre all’integrità territoriale della seconda potenza mondiale.
18) In effetti, dato che praticamente il solo fattore di coesione del blocco russo è la forza armata, ogni politica che tende a far passare in secondo piano questo fattore porta con sé l’esplosione del blocco. Fin da ora il blocco dell’est ci presenta il quadro di una disgregazione crescente. Per esempio, le invettive tra la Germania Est e l’Ungheria, tra i governi “riformatori” e quelli “conservatori”, non sono per niente una farsa. Esse rendono conto dei contrasti che stanno per istaurarsi tra le diverse borghesie nazionali. In questa zona le forze centrifughe sono talmente forti da scatenarsi alla prima occasione. E oggi questa occasione si alimenta dei timori, suscitati in seno ai partiti diretti dai “conservatori”, che il movimento partito dall’URSS, e che si è amplificato in Polonia e Ungheria, non arrivi, per contagio, a destabilizzarli.
Un fenomeno simile si ritrova nelle Repubbliche periferiche dell’URSS. Queste regioni sono per certi versi delle colonie della Russia zarista o anche della Russia stalinista (per esempio i paesi baltici annessi in seguito al patto tedesco-sovietico del 1939). Ma contrariamente alle altre grandi potenze la Russia non ha mai potuto procedere a una decolonizzazione perché questo avrebbe significato per lei la perdita definitiva di qualsiasi controllo su queste regioni, di cui alcune sono molto importanti dal punto di vista economico. I movimenti nazionalisti che oggi, grazie al rilassamento del controllo centrale del partito russo, si sviluppano con quasi un mezzo secolo di ritardo rispetto a quelli che avevano toccato gli imperi francesi o inglese, portano con sé una dinamica di separazione dalla Russia.
In fin dei conti, se il potere centrale di Mosca non reagisse, assisteremmo a un fenomeno di esplosione, non solo del blocco russo, ma anche della sua potenza dominante. In una tale ipotesi la borghesia russa, che oggi è la seconda potenza mondiale, non sarebbe che alla testa di una potenza di secondo piano, più debole della Germania, per esempio.
19) Così, la “perestrojka” ha aperto un vero vaso di Pandora creando situazioni sempre più incontrollabili, come quella, per esempio, che si è venuta a creare in Polonia, con la costituzione di un governo diretto da Solidarnosc. La politica “centrista” (come la definisce Eltsin) di Gorbaciov è in realtà un esercizio di equilibrismo instabile tra due tendenze il cui scontro è inevitabile: quella che vuole andare fino in fondo nel movimento di “liberalizzazione” perché le mezze misure non possono risolvere niente, né sul piano economico, né su quello politico, e quella che si oppone a questo movimento nel timore che esso provochi la caduta della forma attuale della borghesia e anche la perdita della potenza imperialista della Russia.
Dal momento che, attualmente, la borghesia regnante dispone ancora del controllo della forza militare (compreso evidentemente in Polonia), questo scontro non può condurre che a delle lotte violente, ed anche a dei bagni di sangue, come quello che si è avuto in Cina questa estate. E tali lotte saranno rese più brutali per il fatto che dopo più di mezzo secolo per l’URSS, e di quaranta anni per i suoi satelliti, si sono accumulate quantità di odio incredibili da parte delle popolazioni verso le cricche staliniste sinonimo di terrore, massacri, torture, miseria e di un’arroganza cinica fenomenale. Se la burocrazia stalinista perdesse il potere nei paesi che essa controlla, sarebbe vittima di veri e propri pogrom.
20) Ma quale che sia l’evoluzione futura della situazione nei paesi dell’est, gli avvenimenti che li agitano attualmente segnano la crisi storica, il crollo definitivo dello stalinismo, questa mostruosità simbolo della più terribile controrivoluzione subita dal proletariato.
In questi paesi si è aperto un periodo di instabilità, di scosse, di convulsioni, di caos senza precedenti, le cui conseguenze supereranno largamente le loro frontiere. In particolare, il crollo del blocco russo apre le porte a una destabilizzazione del sistema di relazioni internazionali, delle costellazioni imperialiste che erano uscite dalla seconda guerra mondiale con gli accordi di Yalta. Ciò non vuol dire tuttavia che sia in una qualsiasi maniera rimesso in causa il corso storico verso degli scontri decisivi fra le classi. In realtà, il crollo attuale del blocco dell’est costituisce una delle manifestazioni della decomposizione generale della società capitalista la cui origine si trova proprio nell’incapacità della borghesia di dare liberamente la propria risposta, la guerra generalizzata, alla crisi aperta dell’economia mondiale. In questo senso, oggi più che mai, la chiave della prospettiva storica è nelle mani del proletariato.
21) Gli avvenimenti attuali nel blocco dell’est confermano che questa responsabilità del proletariato mondiale ricade principalmente sui suoi battaglioni dei paesi centrali, particolarmente quelli dell’Europa occidentale. In effetti, nella prospettiva delle convulsioni economiche e politiche, degli scontri tra settori della borghesia che attendono i regimi stalinisti, esiste il pericolo che gli operai di questi paesi si lascino irreggimentare e anche massacrare dietro una delle forze capitaliste in campo (come fu il caso nella Spagna ‘36), o anche che le lotte sociali siano deviate su un tale terreno. Le lotte operaie dell’estate 1989 in URSS, malgrado il loro carattere di massa e la combattività che esse rivelano, non hanno abolito l’enorme ritardo politico che pesa sul proletariato di questo paese e del blocco che esso domina. In questa parte del mondo, a causa della stessa arretratezza economica del capitale, ma soprattutto per la profondità e la brutalità con cui si è manifestata la controrivoluzione, gli operai sono ancora particolarmente vulnerabili di fronte alle mistificazioni e alle trappole democratiche, sindacaliste e nazionaliste. Per esempio, le esplosioni nazionaliste di questi ultimi mesi in Russia, ma anche le illusioni che le recenti lotte in questo paese hanno rivelato, come il debole livello attuale della coscienza politica degli operai in Polonia malgrado l’importanza delle lotte che essi hanno condotto da due decenni, costituiscono una nuova illustrazione dell’analisi della CCI su questa questione (rigetto della “teoria dell’anello debole”, vedi Rivista Internazionale n°7). In questo senso, la denuncia nella lotta dell’insieme delle mistificazioni democratiche e sindacaliste da parte degli operai dei paesi centrali costituirà, soprattutto vista l’importanza delle illusioni che gli operai dell’est si fanno sull’Occidente, un elemento fondamentale della capacità di questi ultimi di sventare le trappole che la borghesia non mancherà di tendere loro, di non lasciarsi distogliere dal proprio terreno di classe.
22) Gli avvenimenti che attualmente agitano i cosiddetti paesi “socialisti”, la sparizione di fatto del blocco russo, il fallimento patente e definitivo dello stalinismo sul piano economico, politico e ideologico, costituiscono il fatto storico più importante dalla seconda guerra mondiale insieme con il risorgere internazionale del proletariato alla fine degli anni ‘60. Un avvenimento di tale portata si ripercuoterà, e già ha iniziato a farlo, sulla coscienza della classe operaia, e ciò tanto più che esso riguarda un’ideologia e un sistema politico presentati per più di un mezzo secolo come “socialisti” e “operai”. Con lo stalinismo è il simbolo e la punta di lancia della più terribile controrivoluzione della storia che spariscono. Ma ciò non significa che lo sviluppo della coscienza del proletariato mondiale ne risulti facilitato, al contrario. Anche nella sua fine lo stalinismo rende un ultimo servizio alla dominazione capitalista: decomponendosi il suo cadavere continua ad appestare l’atmosfera che il proletariato respira. Per i settori dominanti della borghesia il definitivo crollo dell’ideologia stalinista, i movimenti “democratici”, “liberali” e nazionalisti che sconvolgono i paesi dell’est costituiscono un’occasione per scatenare e intensificare le loro campagne di mistificazione. L’identificazione sistematica tra comunismo e stalinismo, la menzogna mille volte ripetuta e martellata oggi ancora più di prima per cui la rivoluzione proletaria non potrebbe condurre che al fallimento, vanno a trovare con il crollo dello stalinismo, e per tutto un periodo di tempo, un impatto accresciuto nei ranghi della classe operaia. E’ dunque un riflusso momentaneo della coscienza del proletariato, di cui già ora si possono notare le manifestazioni - in particolare con il ritorno in forze del sindacato - che bisogna attendersi.
Se gli attacchi incessanti e sempre più brutali che il capitalismo non mancherà di sferrare contro gli operai costringeranno questi a scendere in lotta, in un primo tempo non ne risulterà una maggiore capacità della classe di avanzare nella sua presa di coscienza. In particolare, l’ideologia riformista peserà molto fortemente sulle lotte del prossimo periodo, favorendo grandemente l’azione dei sindacati.
Tenuto conto dell’importanza storica dei fatti che lo determinano, l’attuale riflusso del proletariato, benché non rimetta in causa il corso storico, la prospettiva generale agli scontri fra le classi, si presenta come ben più profondo di quello che aveva accompagnato la sconfitta del 1981 in Polonia. Ciò detto, noi non ne possiamo prevedere né l’ampiezza reale, né la durata. In particolare, il ritmo di sprofondamento del capitalismo occidentale - di cui si può percepire attualmente un’accelerazione con la prospettiva di una nuova recessione aperta - va a costituire un fattore determinante del momento in cui il proletariato potrà riprendere la sua marcia verso la coscienza rivoluzionaria. Rovesciando le illusioni sul “raddrizzamento” dell’economia mondiale, mettendo a nudo la menzogna che presenta il capitalismo “liberale” come una soluzione al fallimento del preteso “socialismo”, svelando il fallimento storico dell’insieme del modo di produzione capitalista, e non solamente delle sue incarnazioni staliniste, l’intensificazione della crisi capitalista spingerà il proletariato a volgersi di nuovo verso la prospettiva di un’altra società, a iscrivere in maniera crescente le sue lotte in questa prospettiva.
Come la CCI scriveva già dopo la sconfitta del 1981 in Polonia, la crisi capitalista resta il migliore alleato del proletariato.
C.C.I. 5/10/1989
1. Il fatto che in un certo numero di paesi dell’est esistano parecchi partiti non cambia evidentemente niente alla realtà che è il partito stalinista a detenere la totalità del potere, essendo gli altri partiti solo delle appendici.
2. Così, in seno alla direzione del partito in Polonia alcuni si richiamano alla “Socialdemocrazia”, nell’ufficio politico del partito ungherese si trova un certo Imre Poszgay, candidato designato all’elezione presidenziale prevista nel 1990, che dichiara che “è impossibile riformare la pratica comunista esistente attualmente in Unione Sovietica e nell’Europa dell’est... Questo sistema deve essere liquidato”. Allo stesso modo, il membro dell’apparato di partito Eltsin, vecchio capo del PC di Mosca, dichiara agli Americani che l’URSS deve imparare dagli Stati Uniti, e Mazowiecki, nel suo discorso di investitura, non parla una sola volta di “socialismo”.