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Lo scopo di questa polemica è provocare un dibattito all'interno dell'ambiente politico proletario. Ci auguriamo che le critiche che rivolgiamo agli altri gruppi porteranno a delle risposte, perché la Sinistra comunista può essere rafforzata solo da un confronto aperto delle nostre divergenze.
Di fronte a grandi sconvolgimenti sociali, il primo dovere dei comunisti è quello di difendere i propri principi con la massima chiarezza, offrendo agli operai i mezzi per capire dove risiedono i loro interessi di classe. I gruppi della Sinistra Comunista si sono distinti soprattutto per la loro lealtà all'internazionalismo durante le guerre tra cricche, alleanze e Stati borghesi. Nonostante differenze di analisi sul periodo storico in cui viviamo, i gruppi esistenti della Sinistra Comunista - la CCI, la TCI (Tendenza Comunista Internazionalista), le differenti organizzazioni bordighiste - sono state generalmente in grado di denunciare tutte le guerre tra Stati come imperialiste e invitare la classe operaia a rifiutare ogni sostegno ai suoi protagonisti. Questo li distingue molto chiaramente dagli pseudo-rivoluzionari come i trotskisti, che invariabilmente applicano una versione totalmente falsificata del marxismo per giustificare il sostegno a questa o quella fazione borghese.
Il compito di difendere gli interessi della classe proletaria si pone naturalmente anche durante lo scoppio di grandi conflitti sociali - non solo per movimenti che sono chiaramente espressioni della lotta proletaria, ma anche per importanti mobilitazioni che coinvolgono grandi numeri di persone che manifestano per strada e che spesso si oppongono alle forze di sicurezza borghesi. In quest'ultimo caso, la presenza di operai in tali movimenti, e anche di rivendicazioni legate ai bisogni della classe operaia, può rendere molto difficile una lucida analisi della loro natura di classe. Tutti questi elementi erano presenti, ad esempio, durante il movimento dei "gilet gialli" in Francia, e alcuni (come il gruppo Guerra di Classe) hanno concluso che si trattava di una nuova forma di lotta di classe proletaria[1]. D'altra parte, molti gruppi della Sinistra Comunista hanno potuto constatare che si trattava di un movimento interclassista, in cui i lavoratori partecipavano principalmente come individui dietro gli slogan della piccola borghesia e persino dietro rivendicazioni e simboli apertamente borghesi (democrazia cittadina, bandiera tricolore, razzismo anti-immigrati, ecc.)[2]. Ma ciò non significa che le loro analisi siano prive di notevoli punti di confusione. La volontà di vedere, nonostante tutto, qualche potenziale della classe operaia in un movimento che era chiaramente iniziato e poi proseguito su un terreno reazionario si poteva ancora scorgere in alcuni gruppi, come vedremo più avanti.
Le manifestazioni del Black Lives Matter (BLM) (Le vite dei neri contano) rappresentano una sfida ancora più grande per i gruppi rivoluzionari: è innegabile che esse siano nate da un'autentica ondata di rabbia di fronte ad un'espressione particolarmente disgustosa della brutalità e del razzismo poliziesco. Inoltre, la rabbia non si limitava alla popolazione nera ed è andata ben oltre i confini degli Stati Uniti. Ma gli scoppi di rabbia, l'indignazione e l'opposizione al razzismo non portano automaticamente alla lotta di classe. In assenza di una vera alternativa proletaria, possono essere facilmente strumentalizzate dalla borghesia e dal suo Stato. A nostro avviso, è ciò che è capitato con le attuali proteste del BLM. I comunisti si trovano quindi di fronte alla necessità di mostrare esattamente come un'intera panoplia di forze borghesi - dal BLM sul campo al Partito Democratico negli Stati Uniti, a certi rami dell'industria, ai capi militari e anche alla polizia - è stata presente fin dal primo giorno per farsi carico della rabbia legittima e usarla per i propri interessi.
Come hanno quindi reagito i comunisti? Non tratteremo qui di quegli anarchici che pensano che i meschini atti di vandalismo dei Black Blocs in tali proteste siano un'espressione della violenza di classe, né di quei "comunizzatori" che pensano che il saccheggio sia una forma di "esproprio proletario", o un colpo assestato alla forma mercantile. Possiamo tornare su questi argomenti in articoli futuri. Ci limiteremo alle dichiarazioni rese dai gruppi della Sinistra Comunista sulla scia dei primi disordini e manifestazioni che hanno fatto seguito all'assassinio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis.
Tre di questi gruppi appartengono alla corrente bordighista e ciascuno ha il nome di "Partito Comunista Internazionale". Li differenzieremo quindi grazie alle loro pubblicazioni: Il comunista/Le Prolétaire; Il Partito Comunista; Il Programma Comunista/Cahiers Internationalistes. Il quarto gruppo è la Tendenza Comunista Internazionalista (TCI).
Il movimento Black Lives Matter è proletario?
Tutte le posizioni espresse da questi gruppi contengono elementi con i quali possiamo essere d'accordo: ad esempio, la denuncia senza compromessi della violenza della polizia, il riconoscimento che tale violenza, come il razzismo in generale, è il prodotto del capitalismo e che può scomparire solo attraverso la distruzione di questo modo di produzione. La posizione di Le Prolétaire è molto chiara su questo argomento:
“Per eliminare il razzismo, che ha le sue radici nella struttura economica e sociale della società borghese, è necessario eliminare il modo di produzione su cui si sviluppa, a partire non dalla cultura e dalla 'coscienza', che sono solo riflessi della struttura economica e sociale capitalista, ma dalla lotta di classe proletaria in cui l'elemento decisivo è costituito dalla condizione comune dei salariati, qualunque sia il loro colore della pelle, razza o paese di origine. L'unico modo per superare ogni forma di razzismo è combattere contro la classe dirigente borghese, qualunque sia il suo colore della pelle, razza o paese di origine, perché essa è la beneficiaria di tutte le oppressioni, di tutti i razzismi, di tutte le forme di schiavitù"[3].
Gli slogan de Il Partito sono sulla stessa linea: "Operai! La vostra sola difesa è nell'organizzazione e nella lotta come classe. La risposta al razzismo è la rivoluzione comunista!"[4].
Tuttavia, quando si arriva alla domanda più difficile per i rivoluzionari, tutti questi gruppi commettono, chi più chi meno, lo stesso errore fondamentale: per loro, le rivolte che hanno seguito le uccisioni e le proteste del Black Lives Matter fanno parte del movimento della classe operaia. Cahiers Internationalistes (Quaderni internazionalisti) scrive:
“Oggi i proletari americani sono costretti a rispondere con la forza agli abusi dei poliziotti, e fanno bene a rispondere colpo su colpo agli attacchi, così come fanno bene a rispondere alla marmaglia del “suprematismo bianco”, dimostrando nella pratica della difesa comune che il proletariato è una classe: chi tocca un proletario, li tocca tutti"[5].
Il Partito:
“La gravità dei crimini commessi dai rappresentanti dello Stato borghese nelle ultime settimane e la vigorosa reazione del proletariato a questi crimini richiedono certamente la ricerca di confronti storici. Vengono subito alla mente le proteste e le rivolte che seguirono l'assassinio di Martin Luther King Jr. nel 1968, così come quelle che seguirono l'assoluzione degli agenti di polizia che picchiarono Rodney King nel 1992".
La TCI:
“Gli eventi di Minneapolis sono un’emergenza dello stesso problema storico e sistemico. Oltre a soffrire di un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello dei suoi coetanei bianchi (dato consistente dagli anni Cinquanta), il proletariato nero rimane sproporzionatamente colpito dalla violenza della polizia, senza alcun segno reale di un freno al numero delle vittime. Nonostante tutto, la classe operaia ha dimostrato ancora una volta di essere combattiva in questi tempi difficili. Le operaie e gli operai neri negli Stati Uniti, e il resto del proletariato solidale con loro, sono scesi in piazza e hanno resistito alla repressione statale. Niente è cambiato. Nel 1965 come nel 2020, la polizia uccide e la classe operaia risponde sfidando il famigerato ordine sociale per il quale essa viene assassinata. La lotta continua"[6].
Naturalmente, tutti i gruppi aggiungono che il movimento "non va abbastanza lontano":
Cahiers Internationalistes:
“Ma queste ribellioni (che i media, organi di espressione della borghesia, persistono a ridurre come 'proteste contro il razzismo e le disuguaglianze', condannando così ogni forma che vada al di là delle lamentele e dei gemiti dei poveri diavoli) deve permettere ai proletari di tutto il mondo di ricordare che il nodo da tagliare è quello del potere: non basta ribellarsi, incendiare le stazioni di polizia, riprendere le merci dai negozi e il denaro dai banchi dei pegni".
Il Partito :
“L'attuale movimento antirazzista sta commettendo un grave errore nel prendere le distanze dalla base di classe quando si tratta di razzismo, perseguendo la sua azione politica esclusivamente su linee razziali nella speranza di fare appello allo Stato borghese. È lungi dall'aver riconosciuto apertamente il ruolo delle forze dell'ordine e dell'esercito nel mantenimento dello Stato capitalista e nel dominio politico della borghesia. Per le persone di colore, e per il proletariato nel suo insieme, la soluzione sta nella conquista del potere politico lontano dallo Stato, e non nell'appello ad esso".
La TCI:
“Sebbene siamo entusiasti nel vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di rivolte tendono a svanire dopo una settimana, seguite da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture oppressive".
Criticare un movimento perché non va abbastanza lontano ha senso solo se va prima nella giusta direzione. In altre parole, questo si applica ai movimenti che si trovano sul terreno di classe. Dal nostro punto di vista, non sono state tali le manifestazioni che si sono avute per l'assassinio di George Floyd.
Cos'è il "terreno della classe operaia"?
Non c'è dubbio che molti partecipanti alle manifestazioni, neri, bianchi o "altri", erano e sono operai. Così come non c'è dubbio che fossero, e giustamente, indignati per il feroce razzismo dei poliziotti. Ma questo non basta a conferire un carattere proletario a queste manifestazioni.
Questa osservazione è valida sia che le manifestazioni hanno assunto la forma di sommosse o di marce per la pace. La sommossa non è un metodo di lotta proletaria, che richiede necessariamente una forma organizzata e collettiva. Una sommossa - e soprattutto il saccheggio - è una risposta disorganizzata di una massa di individui distinti, pura espressione di rabbia e disperazione che espone non solo i saccheggiatori stessi, ma anche tutti coloro che partecipano alle manifestazioni di strada all'aumento della repressione da parte delle forze di polizia, militarizzate e molto più organizzate di loro.
Molti manifestanti hanno constatato l'inutilità delle sommosse, spesso provocate deliberatamente da brutali assalti della polizia dando inoltre libero sfogo a ulteriori provocazioni da parte di elementi loschi mischiati nella folla. Ma l'alternativa sostenuta dal BLM, immediatamente ripresa dai media e dall'apparato politico esistente, in particolare il Partito Democratico, era l'organizzazione di marce pacifiche con vaghe richieste di "giustizia" e "uguaglianza", oppure quelle più specifiche come “smettete di finanziare la polizia”. Tutte richieste politiche borghesi.
Certo, un vero movimento proletario può contenere ogni tipo di rivendicazioni confuse, ma è soprattutto motivato dalla necessità di difendere gli interessi materiali della classe ed è quindi più spesso concentrato - inizialmente - su rivendicazioni economiche volte ad attenuare l'impatto dello sfruttamento capitalista. Come Rosa Luxemburg ha mostrato nel suo opuscolo sullo sciopero di massa, scritto dopo le storiche lotte proletarie del 1905 in Russia, può esserci effettivamente una costante interazione tra rivendicazioni economiche e politiche, e la lotta contro la repressione della polizia può infatti far parte di quest'ultima. Ma c'è una grande differenza tra un movimento della classe operaia che esige, ad esempio, il ritiro della polizia dal luogo di lavoro o il rilascio di scioperanti incarcerati, e uno sfogo generale di rabbia che non ha alcun legame con la resistenza dei lavoratori in quanto operai e che viene subito fatto proprio dalle forze politiche di “opposizione” della classe dirigente.
Ancora più importante, il fatto che queste proteste riguardino principalmente la razza significa che non possono servire come mezzo per unificare la classe operaia. Indipendentemente dal fatto che alle proteste sin dall'inizio si siano uniti molti bianchi, inclusi operai o studenti, la maggior parte dei quali giovani, le proteste sono definite dal BLM e da altri organizzatori come un movimento di neri, che altri possono supportare se lo desiderano. Mentre una lotta della classe operaia ha un bisogno organico di superare tutte le divisioni, siano esse razziali, sessuali o nazionali, in caso contrario essa verrà sconfitta. Possiamo ancora citare esempi in cui la classe operaia si è mobilitata contro gli attacchi razzisti usando i propri metodi: in Russia nel 1905, consapevole che i pogrom contro gli ebrei venivano usati dal regime in vigore per minare il movimento rivoluzionario nel suo insieme, i soviet inviarono guardie armate per difendere i quartieri ebraici contro i pogromisti. Anche in un periodo di sconfitta e di guerra imperialista, questa esperienza non è andata perduta: nel 1941, i lavoratori portuali dell'Olanda occupata scioperarono contro la deportazione degli ebrei.
Non è un caso che le principali fazioni della classe dirigente siano state così ansiose di identificarsi con le manifestazioni del BLM. Quando la pandemia del Covid-19 ha iniziato a colpire l'America, abbiamo assistito a molte reazioni della classe operaia di fronte all'irresponsabilità criminale della borghesia, di fronte alle sue manovre per costringere interi settori della classe ad andare a lavorare senza adeguate misure di sicurezza e protezione. Allora c’è stata una reazione mondiale della classe operaia[7]. E se è vero che, dietro le proteste scatenate dall'omicidio di George Floyd, uno dei motivi di questa rabbia è stato il numero sproporzionato di neri vittime del virus, questo è soprattutto il risultato della posizione dei neri e di altre minoranze negli strati più poveri della classe operaia - in altre parole, della loro posizione di classe nella società. L'impatto della pandemia del Covid-19 offre la possibilità di mettere in luce la centralità della questione di classe, e la borghesia si è mostrata fin troppo disposta a relegarla in secondo piano.
Il ruolo dei rivoluzionari
Di fronte allo sviluppo di un movimento della classe operaia, i rivoluzionari possono infatti intervenire con la prospettiva di invitare quest'ultima ad “andare oltre” (attraverso lo sviluppo di forme autonome di auto-organizzazione, estensione ad altri settori della classe, ecc.). Ma cosa succede se molte persone si mobilitano su un terreno interclassista o borghese? In questo caso è ancora necessario intervenire, ma i rivoluzionari devono poi accettare il fatto che il loro intervento sarà fatto "controcorrente", principalmente con l'obiettivo di influenzare le minoranze che mettono in discussione gli obiettivi fondamentali e le modalità del movimento.
I gruppi bordighisti, forse sorprendentemente, non hanno molto parlato del ruolo del partito in relazione a questi avvenimenti, anche se Cahiers Internationalistes ha avuto ragione – in astratto – nello scrivere:
“La rivoluzione è una necessità che richiede organizzazione, programma, idee chiare e pratica del lavoro collettivo: in termini semplici e precisi, la rivoluzione ha bisogno di un partito che la diriga".
Il problema rimane: come può un tale partito sorgere e formarsi? Come passare dall'attuale ambiente disperso di piccoli gruppi comunisti a un vero partito, un organismo internazionale in grado di fornire una direzione politica alla lotta di classe?
Questa domanda rimane senza risposta per Cahiers Internationalistes, che poi rivela la profondità della sua incomprensione sul ruolo del partito:
“Il proletariato in lotta, il proletariato in rivolta deve organizzarsi con e nel Partito Comunista!"
Semplicemente dichiarando che il suo gruppo è il partito non è sufficiente, soprattutto quando ci sono almeno due altri gruppi ciascuno dei quali sostiene di essere il vero partito comunista internazionale. Né è logico affermare che tutto il proletariato può organizzarsi "nel partito comunista". Tali formulazioni esprimono un totale fraintendimento della distinzione tra l'organizzazione politica rivoluzionaria - che riunisce necessariamente solo una minoranza della classe - e gli organi che riuniscono l'intera classe come i consigli operai. Entrambi sono strumenti essenziali della rivoluzione proletaria. Su questo punto Il Partito è almeno più cosciente sul fatto che la strada per la rivoluzione dipende dall'emergere di organi indipendenti che raggruppano l’insieme della classe in quanto si appella a delle assemblee operaie, anche se indebolisce la sua argomentazione con l’appello “su ogni posto di lavoro e all'interno di ogni sindacato esistente” - come se le vere assemblee dei lavoratori non fossero essenzialmente antagoniste alla forma stessa del sindacato. Ma il Partito omette di fare un'osservazione ancor più cruciale: non c'è stata la minima tendenza allo sviluppo di vere assemblee operaie all'interno delle manifestazioni del BLM.
La TCI rifiuta di definirsi Partito. Dice che è per il partito ma che essa non è il partito[8]. Tuttavia, non ha mai criticato profondamente gli errori che sono alla base del sostituzionismo bordighista - l'errore, commesso nel 1943-45, di dichiarare la formazione del Partito Comunista Internazionalista in un solo paese, l'Italia, nelle profondità della controrivoluzione. Sia i bordighisti che la TCI trovano la loro origine nel PCInt del 1943, ed entrambi teorizzano nella stessa maniera questo stesso errore: i bordighisti con la distinzione metafisica tra partito “storico” e partito “formale”, la TCI con la sua idea di “bisogno permanente del partito”. Queste concezioni dissociano la tendenza all'emergere del partito dal movimento reale di classe e l'effettivo rapporto di forza tra la borghesia e il proletariato. Entrambe implicano l'abbandono della vitale distinzione operata dalla Sinistra Comunista Italiana tra frazione e partito, che mirava proprio a mostrare che il partito non può esistere in ogni momento, e quindi a definire il ruolo reale della organizzazione rivoluzionaria quando la formazione immediata del partito non è ancora all'ordine del giorno.
L'ultima parte del volantino della TCI evidenzia chiaramente questo malinteso.
Il sottotitolo di questa sezione del volantino dà il tono: “7. La ribellione urbana deve trasformarsi in rivoluzione internazionale”.
E continua:
“Sebbene siamo entusiasti di vedere i proletari sconfiggere i poliziotti, questo tipo di sommosse tendono a svanire dopo una settimana, seguita da un brutale ritorno all'ordine e dal rafforzamento delle strutture repressive. Affinché il potere dei capitalisti e dei loro mercenari sia concretamente sfidato e abolito, abbiamo bisogno di un partito rivoluzionario internazionale. Questo partito sarebbe uno strumento indispensabile nelle mani della classe operaia per organizzarsi e indirizzare il suo risentimento non solo verso la distruzione dello Stato razzista, ma anche verso la costruzione del potere operaio e del comunismo”.
Questo singolo paragrafo contiene tutta una raccolta di errori, a cominciare dal sottotitolo: la rivolta in corso può avanzare in linea retta verso la rivoluzione mondiale, ma per questo ci vuole il partito mondiale; questo partito sarà il mezzo di organizzazione e lo strumento per trasformare il piombo in oro, i movimenti non proletari in rivoluzioni proletarie. Questo passaggio rivela fino a che punto la TCI vede il partito come una sorta di deus ex machina, un potere che viene da chissà dove, non solo per permettere alla classe di organizzare e distruggere lo Stato capitalista, ma che ha la capacità ancor più soprannaturale di trasformare rivolte o manifestazioni cadute nelle mani della borghesia,
Questo errore non è nuovo. In passato, avevamo già criticato l’illusione del PCInt nel 1943-1945 sul fatto che i gruppi partigiani in Italia - pienamente allineati con gli alleati nella guerra imperialista – avrebbero potuto essere in qualche modo guadagnati alla rivoluzione proletaria attraverso la presenza del PCInt nelle loro fila[9]. Abbiamo visto nel 1989 quando Battaglia Comunista non solo ha preso le forze di sicurezza golpiste che avevano destituito Ceausescu in Romania per una "rivolta popolare", ma ha anche sostenuto che mancava solo il partito per guidare quest'ultima sulla via della rivoluzione proletaria[10].
Lo stesso problema è apparso l'anno scorso con i "gilet gialli". Anche se la TCI descrive il movimento come "interclassista", ci dice che:
“Serve un altro organo. È uno strumento che permette di unificare l'effervescenza della classe, permettendole di fare un salto di qualità, cioè politico, per darle una strategia, e tattiche anticapitaliste, per dirigere le energie emanate dal conflitto di classe verso un assalto al sistema borghese; non c'è altra via. Insomma, è necessaria la presenza attiva del Partito Comunista, Internazionale e Internazionalista. Altrimenti la rabbia del proletariato e della piccola borghesia declassata sarà schiacciata e dispersa; o brutalmente, se necessario, o con false promesse”[11].
Anche qui il partito è invocato come panacea, pietra filosofale antistorica. Ciò che manca in questo scenario è lo sviluppo del movimento di classe nel suo complesso, la necessità per la classe operaia di ritrovare il senso della propria esistenza come classe e di ribaltare l'equilibrio di forza esistente attraverso enormi lotte. L'esperienza storica ha dimostrato che non solo tali cambiamenti storici sono necessari per consentire alle minoranze comuniste esistenti di sviluppare una reale influenza all'interno della classe operaia: ma sono anche l'unico punto di partenza possibile per trasformare il carattere di classe delle rivolte sociali e offrire una prospettiva all'intera popolazione oppressa dal capitale. Un esempio lampante è stato l’entrata massiccia degli operai francesi nelle lotte di maggio-giugno 1968: lanciando un enorme movimento di sciopero in risposta alla repressione poliziesca esercitata sulle manifestazioni studentesche, la classe operaia ha cambiato anche la natura delle manifestazioni, integrandole in un generale risveglio del proletariato mondiale.
Oggi le possibilità di tali trasformazioni sembrano lontane e, in assenza di un sentimento esteso d’identità di classe, la borghesia ha più o meno mano libera per recuperare lo sdegno provocato dal declino avanzato del suo sistema. Ma abbiamo visto segni, piccoli ma significativi, di un nuovo stato d'animo nella classe operaia, di un nuovo senso di sé come classe, e i rivoluzionari hanno il dovere di coltivare questi giovani segni al meglio delle loro capacità. Ma questo significa resistere alla pressione ambientale che spinge a piegarsi agli ipocriti appelli della borghesia per la giustizia, l'uguaglianza e la democrazia all’interno delle frontiere della società capitalista
Amos, luglio 2020
[1] Gruppo francese, http://guerredeclasse.fr/ : il gruppo sembra essere una sorta di fusione tra anarchismo e bordighismo, più nello stile del GCI (www.gci-icg.org), ma senza le sue pratiche più dubbie (minacce contro i gruppi della Sinistra Comunista, un sottile sostegno alle azioni di cricche nazionaliste e islamiste, ecc.).
[2]Vedere sul nostro sito in francese Prise de position dans le camp révolutionnaire : Gilets jaunes : La nécessité de “réarmer le prolétariat” (Prese di posizione nel campo rivoluzionario: Gilet gialli: la necessità di “riarmare il proletariato”)
[3] Vedere l'articolo su Le prolétaire n. 537: "Stati Uniti: rivolte urbane dopo l'omicidio della polizia di Minneapolis dell'afroamericano George Floyd". https://www.pcint.org/03_LP/537/537_george-floyd.htm
[4] Vedi l'articolo in inglese de Il Partito, “Racism Protects the Capitalist System, Only the Working Class can Eradicate it” ("Il razzismo protegge il sistema capitalista, solo la classe operaia può sradicarlo") (giugno 2020).
[5] Articolo di Cahiers Internationalistes: Après Minneapolis. Que la révolte des prolétaires américains soit un exemple pour les prolétaires de toutes les métropoles, “Dopo Minneapolis. Che la rivolta dei proletari americani possa essere un esempio per i proletari di tutte le metropoli "(28/05/2020).
[6] Articolo della TCI, https://www.leftcom.org/it/articles/2020-05-31/minneapolis-brutalit%C3%A0-della-polizia-e-lotta-di-classe (31/05/2020)
[7] Vedi sul nostro sito l'articolo “https://it.internationalism.org/content/1553/covid-19-nonostante-tutti-gli-ostacoli-la-lotta-di-classe-forgia-il-suo-futuro” , di cui ecco un estratto: "Forse la cosa più importante di tutte, anche perché mette in discussione l'immagine di una classe operaia americana che si è allineata acriticamente alla demagogia di Donald Trump, ci sono state lotte diffuse negli Stati Uniti Uniti: scioperi negli stabilimenti FIAT-Chrysler a Tripton nell'Indiana, nello stabilimento di produzione di camion Warren alla periferia di Detroit, tra autisti di autobus a Detroit e Birmingham (Alabama), nei porti, ristoranti, nella distribuzione alimentare, nel settore delle pulizie e costruzione; si sono verificati scioperi ad Amazon (che è stata comunque interessata da scioperi in diversi altri paesi), Whole Foods, Instacart, Walmart, FedEx, ecc."
[8] Anche se, come abbiamo più volte sottolineato, la chiarezza su questo punto non è facilitata dal fatto che la sua affiliata italiana (che pubblica Battaglia Comunista) insiste ancora a portare il nome di Partito Comunista Internazionalista.
[9] Vedi l'articolo su Rivoluzione Internazionale n.7: "Le ambiguità sulla natura di classe della “resistenza” nella costituzione di Partito Comunista Internazionalista in Italia”, e sul sito in francese in Révue Internationale n°8.
[10] Vedi sul nostro sito i nostri articoli Polemic: The wind from the East and the response of revolutionaries (Polemica: Il vento dell'est e la risposta dei rivoluzionari), International Review n.61 e Polemic: Faced with the convulsions in the East (Polemica: Di fronte agli sconvolgimenti dell'Est, un'avanguardia in ritardo)", International Review n.62.
[11] Vedere l'articolo in inglese della TCI: https://www.leftcom.org/en/articles/2019-01-18/some-further-thoughts-on-the-yellow-vests-movement (08/01/2019).