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In una recente riunione pubblica tenuta dalla nostra organizzazione, dedicata all’analisi delle prospettive che si aprivano per la lotta di classe dopo il gennaio scorso, una compagna che vi era intervenuta ci ha posto il quesito di quale ruolo concreto pensavamo di svolgere nella lotta di classe.
Questa domanda, come ci ha confermato la stessa compagna, se la pongono anche altri compagni ed, in una certa forma, gli stessi Nuclei Leninisti Internazionalisti che, attraverso una lettera di un loro militante, ci rimproveravano di esserci troppo rinchiusi nel nostro “milieu” assegnando una scarsa importanza all’intervento nella classe operaia.
La domanda della compagna o il “rimprovero” dei N.L.I. hanno ovviamente una base reale, cioè una nostra diversa impostazione, rispetto alla stragrande maggioranza dei gruppi politici, nei riguardi della lotta di classe.
E’ costume di moltissimi gruppi politici, primi fra tutti quelli che scendono trionfalmente in campo come il partito della classe operaia, avere un timore reverenziale per quest’ultima. Lo dimostrano due cose: la tendenza ad intervenire sotto falsi panni di comitato, gruppo operaio, ecc.[1] e la deleteria tattica del gradualismo, che significa ad esempio denunciare i sindacati come nemici della classe solo quando questa se ne è resa conto.
La spiegazione di questo atteggiamento sta nell’idea che la classe sia un corpo amorfo capace tutt’al più di azioni rivendicative ed ostile alla politica, e che solo col mascheramento da “struttura di base” e con “iniezioni di coscienza a piccole dosi” si possa ottenere qualcosa. Infatti si pensa che, con questo accostamento “morbido”, gli operai possano essere lentamente conquistati all’idea della rivoluzione, ma passo dopo passo, digerendo una posizione alla volta e senza avere lo shock che a procurargli questa evoluzione sia un’organizzazione rivoluzionaria.
Questo modo di concepire l’intervento, rivolto verso l’evoluzione di specifiche situazioni piuttosto che verso l’insieme della classe, ha come necessaria conseguenza il localismo, e quindi l’identificazione del proprio intervento politico o con una fabbrica, o con il movimento dei disoccupati, o altro ancora. E’ sorprendente, a questo proposito, come sia facile in molti casi associare un dato gruppo politico al suo settore preferito di intervento (CIM/disoccupati; AGIT-PROP/Italsider; ecc.). Sempre in questa chiave, sono comprensibili, anche se non accettabili, le reiterate richieste su quanti operai abbiamo e su quale settore controlliamo.
La questione per noi si pone in tutt’altri termini. Pur non sottovalutando l’importanza della continuità dell’intervento in certi settori, il nostro obiettivo non è comunque ritagliarci una fetta di classe operaia da conquistare. La questione non si pone al livello di far maturare dei singoli operai propinandogli le nostre posizioni, ma piuttosto far sì che la classe nel suo insieme tragga tutte le conseguenze della sua attuale collocazione sociale ed economica nella società, si liberi delle false alternative e dei falsi tutori e rompa col quadro della società borghese.
Questo obiettivo fondamentale non si può conseguire cercando dì convincere gli operai uno ad uno. I tempi della storia non ce lo consentono. D’altra parte la dinamica con cui si sviluppa la coscienza di classe rende inefficace una tale pratica.
La classe, corpo collettivo vivente, vive oggettivamente già tutte le contraddizioni risolvendo le quali perverrà alla coscienza della necessità di abolire il capitalismo. Ma è nel cammino tortuoso fatto di lotte aperte e di fasi di riflusso che le contraddizioni si risolveranno, non gradualmente, una dopo l’altra, ma un po’ alla volta tutte quante assieme, contestualmente. In questo processo di maturazione ogni nuovo elemento di comprensione non rimarrà isolato, ma servirà a rimuovere ambiguità ed errori su altri piani della coscienza di classe. Così il rifiuto della politica dei sacrifici, la sensazione che questa crisi non ha termine, il ruolo apertamente antioperaio dei sindacati ufficiali e l’idea che ci voglia qualcosa di diverso per difendere i propri interessi costituiscono un insieme compatto su cui la classe sta attualmente riflettendo e maturando.
Conseguentemente il nostro intervento non solo si rivolge alla classe nel suo insieme, ma ricopre l’intera gamma di problemi che si pongono oggi nella lotta di classe. Contrari ad ogni gradualismo, il nostro intervento si caratterizza per denunciare con chiarezza i limiti e gli errori delle lotte presenti e prospettare la via che c’è da percorrere per il futuro. Convinti sostenitori dell’esistenza di più gruppi rivoluzionari, siamo molto critici verso le ammucchiate fatte per “meglio intervenire”, verso gli “intergruppo”, le “azioni in comune”, che dovendo esprimere il minimo comune denominatore delle posizioni politiche dei vari gruppi, finiscono per tagliare le gambe un po’ a tutti.
Vediamo adesso come questi due diversi modi di intendere l’intervento nella classe si sono tradotti praticamente durante le lotte degli ultimi mesi.
Durante gli scioperi dell’ottobre ’82 a Napoli, seguiti dall’introduzione in massa della cassa integrazione all’Italsider, un compagno di Programma Comunista che lavora in questa fabbrica ci ha rimproverato di aver venduto tra gli operai il nostro opuscolo “I sindacati contro la classe operaia”. Questo compagno, che era stato alla testa di quelle lotte, diceva che il nostro intervento provocava una radicalizzazione immatura.
A parte il fatto che questo giudizio sul nostro intervento getta una certa ombra su quello di Programma (in fabbrica non si era mai parlato del ruolo dei sindacati?), il compagno comunque si sbagliava. Nella successiva fase calda di gennaio, nella manifestazione del 12 in cui i sindacalisti non riuscivano a parlare per le urla della folla inferocita, gli operai sotto il palco hanno colto nel titolo del nostro opuscolo ciò che enucleava e spiegava la situazione del momento e in parecchi insieme a noi hanno sbandierato “I sindacati contro la classe operaia” contro i sindacati.
Una grande vittoria della nostra organizzazione? Gli operai aderivano alle nostre posizioni? Niente di tutto questo, nella maniera più assoluta. Solo la dimostrazione, viceversa, che oggi si può e si deve osare; non si può più essere timorosi nei confronti della classe. Il compagno di Programma sicuramente sarà riconosciuto dai suoi compagni dì lavoro come un grande combattente della classe. Ma qual è il ruolo di avanguardia politica che Programma svolge attraverso di lui?
Ma c’è di più. Nello stesso sciopero di gennaio i vari gruppi politici presenti a Napoli (Programma, CIM, … autonomi ... e trotzkisti della LSR) più l’area di compagni che fanno capo ad alcuni collettivi politici, hanno pensato, dopo la prima manifestazione del 12 che era stata caratterizzata da una decisa combattività, di coordinarsi fra di loro per un intervento comune attraverso un manifesto, un volantino ed uno striscione dietro al quale raggrupparsi. Ora, se il manifesto e il volantino, con la pretesa di mettere tutti assieme, finiva per essere generico e poco efficace, quel che è peggio è che il compattarsi tutti dietro lo stesso striscione nella successiva manifestazione del 18 ha comportato un auto isolamento nei confronti degli stessi operai. Tanto che, quando un gruppo di operai si è separato dal corteo per dar luogo a una propria manifestazione alternativa, questo coordinamento di gruppi lo ha seguito fin sotto la Prefettura dove però lo ha abbandonato per andare a fare una riunione come ... prendere contatti con gli operai. C’è da non crederci!
La nostra organizzazione, che pur dando un contributo di analisi sullo stato dalla lotta di classe in Italia in una prima riunione di questo coordinamento ha ribadito il proprio rifiuto di farvi parte, è intervenuta alla manifestazione con un volantino dal significati titolo “4 ore di sciopero ‘generale’ non servono a niente”. Il fatto che in questo volantino si ponevano le domande a cui ognuno degli operai presenti bene o male stava pensando è stato dimostrato sia dai commenti numerosissimi che abbiamo raccolto, sia dal fatto che ognuno dei militanti della nostra organizzazione ha potuto coagulare intorno a sé parecchi capannelli di operai che discutevano con noi dei problemi del momento e su come andare avanti.
Per ironia della sorte, nelle ultime due occasioni del l° maggio e della giornata di sciopero del 27 maggio a Napoli, la nostra organizzazione, quella che “non si sporcherebbe le mani intervenendo nella lotta di classe” è stata l’unica organizzazione rivoluzionaria presente con un suo volantino e la sua stampa politica, mentre un compagno di Programma, presente il 1° maggio, distribuiva un insulso volantino del ... “Comitato familiari detenuti politici”.
Ancora una volta quindi rispondiamo a quelli che ci chiedono guanti operai abbiamo nella nostra organizzazione (quasi si trattasse di trofei di caccia) che il nostro obiettivo principale non è acquisire qualche operaio in più nella nostra organizzazione (non che la cosa ci dispiaccia, naturalmente), ma svolgere un intervento efficace nei confronti di tutta la classe. Ed i nostri volantini, le riviste che vendiamo, le discussioni che sviluppiamo tra gli operai alle manifestazioni e sotto le fabbriche, pur costituendo solamente un minimo di intervento, ci sembrano tuttavia quanto mai concreti, almeno per le centinaia di operai che, leggendo i titoli dei nostri volantini o parlando con noi hanno detto: “è quello che pensavo anch’io”.
La questione quindi non è intervento nella classe sì, intervento no, ma quale intervento. Le recenti lotte in Italia hanno dimostrato che sono presentì nella classe un processo di riflessione e una serie dì nodi politici da risolvere; per noi l’intervento dei rivoluzionari deve cercare di favorire la maturazione di questa coscienza piuttosto che cercare facili, ma effimeri, successi immediati. Che ci sia molto da fare è evidente, ma si tratta anche di farlo bene.
Ezechiele
[1] Vedi su questo
argomento il nostro articolo “A proposito del ... Comitato di difesa
proletaria” pubblicato sul n°24 di Rivoluzione Internazionale, disponibile
anche come “volantone”.